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(23.11.10)
La globalizzazione e il dominio dell'agroindustria
trasformano i luoghi di produzione e i produttori in
'non luoghi' e 'non persone'. La resistenza contadina
si gioca anche sulla visibilità delle persone-produttori
e l'identità dei luoghi. Il Bitto storico
Quando
importa chi produce e dove
Nel
'santuario del Bitto' troviamo concretizzate in forma
esemplare le espressioni del 'principio contadino' teorizzato
da J.D. Van der Ploeg, il ruralista olandese che vede
nei contadini del terzo millenio la vera fornza in grado
di contrastare la globalizzazione e il dominio dell'Impero
globale agroalimentare
di
Michele Corti
Van
der Ploeg è un riferimento obbligato per
il neoruralismo,
quello che vede i contadini del terzo millennio come
nuovo soggetto sociale e politico, in grado di contrastare
il global food system, non certo quello della 'casa
in campagna' e del consumismo 'verde' o quello
schernito dai soliti intellettuali spocchiosi e provincialotti
come 'revival folklorico'.
Le
teorie del sociologo rurale olandese (probabilmente
il più autorevole sulla scena europea) erano
ben note tra gli addetti ai lavori ma hanno trovato
diffusione presso un pubblico più vasto solo
attraverso l'opera I nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione,
Donzelli, Roma, 2009 (ed. or. The New Peasantries. Struggle for Authonomy and Sustainability in the Era of Empire and Globalization, Earthscan, London-Sterling, 2008).
Il volume è tutto di grande interesse anche se
consiglio in particolare i capitoli: I, II, V, VI e
l'ultimo (X), 'Il principio contadino', alla cui lettura
dovrebbe essere preceduta quella di almeno alcuni dei
capitoli precedenti.
Prima
di illustrare come il caso del Bitto esprima in modo
paradigmatico la 'nuova resistenza contadina' occorre
solo sottolineare come il teorico ruralista olandese
consideri la nuova realtà contadina del terzo
millennio come qualcosa che si ricollega sì all'esperienza
contadina del passato, ma anche del tutto nuova. Il
'ritorno dei contadini', la 'ricontadinizzazione' sono
una risposta in termini di lotta, resistenza, reazione
a quello che Van der Ploeg definisce 'l'Impero' ,un
sistema di connessioni globali che tende ad assumere
un controllo pervasivo mai visto in precedenza sulle
risorse: accesso ai mercati, acqua, risorse genetiche,
terra. A questo sistema i contadini reagiscono in modo
flessibile, non tanto con forme eclatanti di lotta politica
e sociale quanto in una serie di pratiche quotidiane,
apparentemente 'inoffensive' ma in realtà 'sovversive'.
"La
resistenza si incontra in un'ampia varetà di
pratiche eterogenee e sempre più interconnesse
attraverso le quali i contadini si definiscono come
distintamente differenti: è nei campi, nei modi
in cui si fa un «buon letame», si allevano
«vacche nobili», si costruiscono «belle
aziende». Sebbene tali pratiche possano sembrare
antiche e irrilevanti se considerate in maniera isolata,
nel contesto dell'Impero esse rappresentano i veicoli
di espressione e organizzazione della resistenza contadina"
Gli
aspetti del 'caso Bitto storico' che coincidono con
l'illustrazione del 'principio contadino' e la
'resistenza' di Van der Ploeg sono molti, a partire
dalla contrapposizione tra grande qualità e 'mediocrità'
(del prodotto). In questa sede, però, vogliamo
sottolineare qualcosa che anche un visitatore superficiale
può constatare immediatamente quando si reca
del santuario del Bitto, la casera di stagionatura dove
sono conservate migliaia di forme di Bitto storico a
Gerola alta ("Centro del Bitto"). Parliamo
di un aspetto cruciale del confornto tra principio contadino
e principio agriglobale, quello che contrappone l'identificazione
precisa dei luoghi di origine dei prodotti e la
visibilità di produttori- persone all'anonimato
dei non-luoghi e dei produttori 'invisibili'.
"L'Impero
tende a creare invisibilità poichè la
produzione si sposta in «non
luoghi» e di conseguenza l'origine dei prodotti
alimentari è nascosta dietro la facciata di
prodotti simili mentre i produttori di beni primari
diventano anonimi e intercambiabili. Tendono
cioè a essere convertiti in «non-persone»
le cui identità e capacità non contano".
Conta
il "disciplinare di produzione" aggiungiamo
noi, il "marchio". Ma così quelli che
dovevano essere strumenti di 'tracciabilità',
'identificazione' ecc. diventano ulteriori mezzi di
introdurre 'intercambiabilità' e per consentire
a chi ha in mano le 'connessioni' (fasi chiave della
filiera, commercializzazione) di imporre ai prodotti
nuove identità in relazione alle esigenze dell'industria
o dela Gdo.
Invece
nel Bitto storico conta la personalizzazione, il produttore
è visibile. Le forme in stagionatura recano tutte
il nome dell'alpeggio e in testa alle scalere dove è
conservata la produzione del singolo alpeggio vi è
un cartello con la foto del casaro e il suo nome. Come
dimostrano le foto sotto che ritraggono alcuni dei casari
del Bitto storico, protagonisti di una 'resistenza'
che può a buon ragione essere citata come un
esempio di valore europeo.
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