Documenti
M.
Corti, Riti del fieno e del latte. Alpi inizio XXI secolo
|
Migliaia
di pseudo sagre solo in Lombardia: è ora di mettere
un freno
Riflessioni
sulle sagre: distinguere quelle autentiche dalle iniziative
senza contenuto gastronomico e culturale
di
Michele Corti
Sull'onda
dell'interessante revival della sagra e della festa
popolare si assiste ad una vergognosa proliferazione
di eventi che rappresentano un danno per il turismo,
per la promozione dell'offerta enogastronomica del territorio,
per la rinascita della cultura rurale
Una
protesta sacrosanta
Un
po' in tutta Italia ma con particolare forza a Brescia e a
Bergamo (con iniziative riprese e sostenute dal
consorzio Cuochi di Lombardia) i ristoratori stanno
alzando la testa e si ribellano all'inflazione delle
tavolate in piazza a go go, delle pseudo 'feste popolari'.
Si ribellano alla reiterazione di eventi che avrebbero
un senso se occasionali, una tantum, ma che ne assumono
un altro quando ripetuti ennesime volte durante l'anno.
Si
tratta di niziative intraprese spesso da organizzatori
senza scrupoli che non hanno alcun scopo se non quello
della speculazione. Un 'affare' che può contare sulla
dabbenaggine di amministratori locali pronti a concedere
non solo spazi pubblici (alle tariffe irrisorie generalmente)
ma anche finanziamenti. Va sottolineato con forza che
i profitti di queste iniziative sono ottenuti grazie
ad un abbattimento di costi che non comprende solo la
concessione di spazi pubblici e di supporti comunicativi
ma anche dalla non osservazza di norme e regolamenti
in materia di igiene, sicurezza e condizioni di lavoro.
L'inflazione di questi eventi si trasforma in un'offerta
di servizi di ristorazione sottocosto che condanna i
pubblici esercizi a vedere i tavoli vuoti nel pieno
della stagione. Un danno che va considerato alla luce
delle spese fisse e dei costi legati al rispetto
le delle normative sul lavoro, all'HACCP ecc.)
A
parte da iniziative di improvvisati furbi 'imprenditori'
vi sono quelle di commercianti o produttori di
generi alimentari che si inventano un canale di vendita
diretta attraverso improbabili 'Feste' senza altro contenuto
che il consumo di taluni prodotti (spesso nemmeno artigianali).
Vi sono poi 'sagre' che sono fast food camuffati che servono solo per autofinanziamento di associazioni. Il ricavo netto dipende dall'uso di materia prima scadente. Se nelle sagre si usassero materie prime di qualità del territorio, artigianali la sagra va in pari.
Si
è perso di vista in molti 'eventi' il significato
della sagra
Ma a cosa deve servire la sagra? Dovrebbe servire a ricreare cultura locale, a creare
socializzazione sulla base della riscoperta di valori
e gusti si condivisi, a ritrovare i sapori genuini, non a far cassa. Bisognerebbe distinguere tra sagra
autentica e pseudo sagra chiedendo alle amministrazioni che le autorizzano di applicare un codice di qualità. Quando la sagra risponde alla sua funzione originale (attualizzare antichi riti alimentari comunitari promuovendo presso residenti e turisti la cultura gastronomica del territorio) la ristorazione non solo non subisce concorrenza sleale ma può collaborare e partecipare. Detto questo invito i ristoratori a non farne solo una questione di concorrenza e a limitarsi
a chiedere l'applicazione delle regole amministrative
ma a farsi promotori attivi delle autentiche sagre.
Esse possono promuovere l' interesse più generale del
territorio, creare nuove forme di collaborazione orizzontale
tra attori delle filiere con ricadute positive per il settore agricolo (in
un'ottica di sviluppo rurale) ma
anche per tutto il comparto artigianale e turistico.
Possono
essere definiti alcuni requisiti per la Sagra tradizionale
autentica?
La sagra tradizionale rappresenta un evento con finalità
plurime mai riconducibile a sole o prevalenti finalità commerciali,
promozionali, ricreative, di autofinanziamento delle associazioni promotrici ed
organizzatrici (per quanto nobili siano le cause che esse perseguano) e di
raccolta di fondi per specifiche finalità (per quanto encomiabili esse siano). Esclusa sempre
e comunque la finalità speculativa e la concorrenza sleale ai danni degli
esercizi pubblici le altre finalità,
caratterizzate da assenza di scopo di lucro, possono essere presenti a
condizione che risultino subordinate a quelle che caratterizzano la Sagra
tradizionale e non pregiudichino alcuni requisiti di qualità.
Il
cibo al centro (ma un cibo 'culturale', territorializzato,
artigianale)
Una Sagra tradizionale di qualità ha per oggetto un prodotto agroalimentare e/o delle preparazioni alimentari e/o di luoghi specifici e caratteristici della
loro produzione e consumo che esprimono emblematicamente l’identità gastronomica e più
in generale culturale del territorio dal momento che tali prodotti/preparazioni
connotano storicamente i rapporti sociali, le relazioni economiche (all’interno
del territorio e nei suoi rapporti con l’esterno), lo stesso paesaggio. La distribuzione di prodotti/preparazioni alimentari nell’ambito della
Sagra è elemento centrale della stessa (se non è presente siamo di fronte a un
evento culturale, sportivo ecc. ma non ad un evento gastronomico quale la Sagra
è, sia pure con tutte le sue valenze culturali, sociali, turistiche che la
qualificano). Pertanto essa non può e in alcun modo assumere i contorni del
‘fast food di piazza’ anche nella versione della simpatica tavolata di vicinato
e contrada. Per non scivolare in un catering a basso costo (o ad
alto ricavo per gli organizzatori) ma anche nell'evento di generica convivialità
e untrattenimento l’offerta di prodotti/piatti in piazza deve
essere qualificata, specifica e limitata.
Il
tema. La Sagra non può avere per tema un prodotto alimentare industriale
di una o più aziende né un alimento/preparazione diffusa a livello
internazionale, nazionale, interregionale. Non può esserci la Sagra della
Nutella, della Bresaola Valtellina IGP,
ma nemmeno quella della pastasciutta, della polenta, del risotto, della
pizza ecc. Tema della Sagra può essere
una determinata materia prima prodotta localmente o delle preparazioni che
valorizzino ingredienti né ricette tradizionali. L’aspetto importante è che vi
sia un legame con la cultura e l’economia territoriali. Un piatto ‘ricostruito’
senza materie prime ottenute in ambito
territoriale non può essere nello spirito di una Sagra autentica.
Bevande e servizio.
Deve, innanzitutto, avere riferimento con i temi e i
contenuti della Sagra. Anche nella scelta delle bevande (quando non risultino
esse stesse collegate al tema della Sagra) e delle materie prime ‘accessorie’
dovranno valere criteri di territorialità, artigianalità, qualità. Escludendo
prodotti industriali, congelati, precotti ecc. Non essendo un catering non si
può prevedere di offrire in alternativa ai piatti ‘sul tema’ una gamma di
piatti convenzionali (con la possibile eccezione di cibi e bevande più consoni
ai più piccoli). Vanno evitate le
distribuzioni di vino o birra (industriale) alla spina che degradano le Sagre a
raduni di etilisti. Il vino sfuso
(possibilmente in contenitori tradizionali) deve essere strettamente locale, al
limite regionale, e di una qualità tale da non rappresentare un pessimo
‘biglietto da visita’.
Le code e i vassoi della mensa.
Sempre dal principio che la Sagra finanzia sé stessa ed è un
volano di iniziative economiche e culturali con carattere di continuatività
discendono altri principi finalizzati ad una complessiva coerenza. Dal momento
che obiettivo della Sagra non è quello di servire un gran numero di pasti ai
fini dell’implementazione del fatturato e del profitto vanno evitate le
soluzioni che trasformano la Sagra in una deprimente ‘mensa all’aperto’ con lunghe
file di attesa con il vassoio di plastica in mano multiscomparto. Il sistema di
‘buoni’ deve minimizzare i tempi di attesa e semplificare le ordinazioni (se
non c’è un menù ma solo un piatto o due tutto è più rapido). Meglio il servizio
al tavolo dove possibile. Spesso più
razionale e comunque più consono ad una atmosfera conviviale (la coda riporta
alla condizione di individualismo e di massificazione della vita ‘moderna’).
Valori ecologici.
La Sagra non può non farsi carico di istanze di rispetto non
solo per la tradizione e la cultura locale ma anche per l’ambiente. Vanno
evitate per quanto possibile le stoviglie e i bicchieri di plastica (che
finisce bruciata se va bene nei
‘termovalorizzatori’ o, alla peggio sul posto con grave inquinamento) sostituendole
con la più facilmente riciclabile carta o, meglio ancora, con materiali
tradizionali (come il legno che ha il vantaggio di essere infrangibile anche se
richiede accorgimenti per la pulizia). L’idea dell’usa e getta deve essere
gradualmente sostituita nella Sagra di qualità da quella del riuso (che certo
implica maggiore impegno) e/o del ‘porta a casa’ laddove il calice, la coppa,
la stoviglia – recante riferimenti alla Sagra – souvenir gradito specie se in
relazione a tradizioni di produzione artigianali locali (legno, terracotta
smaltata o meno). La scelta può anche non essere imposta e il partecipante alla
Sagra può anche decidere se richiedere il gadget o meno nel ‘pacchetto’.
Decentralizzazione.
Il rischio della trasformazione della Sagra in un catering
all’aperto è tendenzialmente evitato se la distribuzione del prodotto/piatti risulta
decentralizzata. Oltre al coinvolgimento dei locali ed, eventualmente, di
famiglie private, (specie nelle località più piccole) la decentralizzazione può
essere conseguita prevedendo delle ‘tappe gastronomiche’ legate a luoghi
significativi del contesto urbano specie se collegati a tradizioni di commercio/trasformazione/vendita di alimenti.
La decentralizzazione è anche il mezzo, oltre che per far
conoscere l’insieme del tessuto urbano di una località e di coinvolgimento di
residenti e attività economiche locali, anche per evitare le lunghe ed
avvilenti code di cui sopra che ‘spengono’ lo spirito della Sagra. Ovviamente
il problema non si pone per le Sagre che sono di per sé decentralizzate sul
territorio coinvolgendo i luoghi produttivi tradizionali.
Aspetti ricreativi e culturali.
Posto che la Sagra ha al centro il cibo (per quanto
fortemente impregnato di cultura) non è possibile valutare la qualità
complessiva della Sagra se non si considerano anche le iniziative ricreative e
culturali che si svolgono nell’ambito della Sagra. Posto che le iniziative con
pure finalità ricreativa e di generica ‘socializzazione’ non possono e non
devono essere confuse con le Sagre resta la difficoltà di identificare forme di
espressione ‘popolari’ coerenti con la Sagra per la nota difficoltà di
confondere ‘popolare’ con tradizioni ormai svuotate o, al contrario, con
espressioni ‘di massa’. La differenza tra una Sagra e altri eventi consiste
nel fatto che nella Sagra le iniziative culturali, artistiche,
gli spettacoli, le mostre, i laboratori sono corollari
del tema gastronomico centrale e sono finalizzate ad
illustrarlo e a conferirgli spessore. In altre manifestazioni:
Feste popolari, Feste di partito, Fiere ecc. vi è spesso
un aspetto gastronomico degustazioni, ristorazione
in piazza ma è secondario quando non finalizzato all'esigenza
di fornire un servizio ad un grande numero di partecipanti
alle cui esigenze di somministrazione di pasti
non sono in grado di soddisfare i pubblici esercizi.
Non fa molta differenza se i pasti vengono somministrati
in un contesto che richiama la sagra. L'attenzione della
gente è rivolta ad altro.
Il
contenuto culturale garantisce lo stimolo di iniziativa
economica non effimera
La Sagra tradizionale è espressione di esigenze culturali di
una comunità territoriale, finalizzata a riannodare i fili di una memoria e di
una esperienza condivisa, ad esprimere verso l’esterno la propria identità sia per farsi riconoscere e distinguere sia
per rinnovare elementi di coesione e solidarietà interni. Ma è proprio questa
dimensione 'autentica' a rappresentare un elemento di
interesse turistico. Le improvvisazioni e le invenzioni
troppo smaccate 'per turisti' si rivelano effimere.
Le esigenze
culturali sono il presupposto dell’autenticità della Sagra ma, al tempo stesso
garantiscono anche il carattere della Sagra quale motore di iniziative
economiche. Forniscono gli stimoli, il collante.
Sagra
quale elemento della filiera del cibo territoriale.
Queste iniziative economiche sono concretizzabili nella creazione/rafforzamento di filiere, schemi,
patti locali in grado di raccordare gli attori della produzione agroalimentare,
del turismo, dell’amministrazione, della cultura. La Sagra in questa prospettiva
non è qualcosa di a sé stante ma si inserisce in un
complesso di altre iniziative permanenti, occasionali,
ricorrenti: le Strade del vino e dei prodotti, le rassegne
gastronomiche, le passeggiate gastronomiche, le cantine,
alpeggi, caseifici 'aperti'. Valorizzando un patrimonio comune non appropriabile
in modo esclusivo da
determinate aziende, categorie, la Sagra pone i presupposti per sviluppare la
consapevolezza che questo patrimonio può essere implementato in una
logica di collaborazione e solidarietà, sia orizzontale (tra operatori della
stessa categoria: contadini, artigiani della trasformazione agroalimentare,
ristoratori ecc.). E’ motore di fiducia reciproca (sempre che la Sagra
promuovendo prodotti, attività agroalimentari, turistiche conservi presupposti super partes).
Sagra come volano di una nuova economia.
La specificazione di questi e altri requisiti di qualità è
necessaria per escludere tutte le iniziative di speculazione e
autofinanziamento. La Sagra autentica finanzia sé stessa, offre l’opportunità a
residenti e ai turisti di conoscere e degustare specialità che difficilmente
possono essere consumate in altre località o in altri periodi dell’anno
(promuovendo però prodotti e preparazioni che sul territorio sono disponibili
con continuità o che, e questo è un aspetto particolarmente qualificante,
rimettendo in moto filiere tradizionali sulle basi di nuove condizioni di
economicità legate a : multi
funzionalismo, attività di servizio complementari, effetto ‘trascinamento’,
effetti di moltiplicatore nell’economia locale). Attraverso la Sagra in particolare possono
essere fatti conoscere prodotti che sono ‘usciti dal mercato’, la cui
produzione è ostacolata dal carattere stagionale, dalla limitatezza dell’offerta,
da vincoli di tipo igienistico ma che attraverso una domanda e l’organizzazione
di opportune filiere locali possono ‘tornare a nuova vita’ connotando l’offerta
locale, e migliorando l’identificazione e riconoscibilità del territorio,
quindi la sua attrattività e il suo ‘brand’.
Alcuni
requisiti specifici
Il Comitato/Associazione.
Uno dei requisiti della Sagra di qualità è quindi costituito
dalla presenza nel Comitato promotore/organizzatore di una pluralità di
soggetti che, sul terreno della preparazione, svolgimento, comunicazione
sperimentino formule di collaborazione in grado di consolidarsi in rapporti
permanenti. La presenza di un Comitato o, meglio di un’associazione che ha come
finalità l’organizzazione della Sagra tende ad escludere la strumentalizzazione
da parte di soggetti miranti a scopi speculativi o comunque discorsivi delle
finalità della Sagra.
Un Comitato che opera con continuità non solo per la
preparazione delle dizione successiva ma anche per ‘raccogliere i frutti’ della
Sagra e per sviluppare eventualmente iniziative collaterali (per esempio legate
a ‘strade dei sapori’ o a ‘aziende aperte’, convivi) nel corso di tutto l’anno.
L’adesione del Comitato alla ‘Carta di
qualità delle Sagre’, l’impegno a rispettarla e a partecipare attivamente al
Coordinamento (provinciale, regionale?) appare come un requisito indispensabile
per garantire che la Sagra contribuisca alla buona immagine complessiva del
sistema-Sagre.
‘Anzianità’?
Requisito della Sagra di qualità non può essere la sola
‘anzianità di servizio’. Vi sono pseudo sagre che possono vantare numerose
edizioni. Una distinzione può essere operata comunque tra le aspiranti Sagre di
qualità che possono documentare una tradizione ultraventennale e quelle nate da
pochi anni o anche che si affacciano per la prima volta al mondo delle Sagre.
Stabilito un numero minimo di anni per il riconoscimento quale Sagra
tradizionale di qualità anche queste ‘nuove sagre’ se conformi ai criteri di
qualità stabiliti dovrebbero ottenere il ‘marchio’. La ‘tradizionalità’ infatti
non va intesa solo e principalmente in termini di numero di edizioni ma sulla
base dei contenuti, delle attività previste, della natura dei prodotti e delle
preparazioni alimentari che ne costituiscono il tema, con particolare riguardo
alla loro tradizionalità e al legame tra questi prodotti, l’organizzazione e
la cultura del territorio con particolare riguardo alle forme di socialità
legate alla produzione e consumo di tali prodotti/preparazioni.
In ogni caso anche la ripetizione anno dopo anno di un
evento assume, indipendentemente dai contenuti, i caratteri di una
‘tradizionale’; andrebbero quindi distinti i criteri di riconoscimento degli
eventi che possono vantare una pluriventennale continuità (tenendo presente che
non tutti gli eventi si svolgono con cadenza annuale) da quelli recenti e che
si propongono di nascere ex-novo nella prospettiva (non certo da scoraggiare)
di entrare nel circuito delle Sagre tradizionali di qualità.
Le tipologie di Sagra , le location, il rapporto organico
con l’offerta gastronomica locale
Una Sagra può svolgersi in un contesto urbanizzato,
in piccoli centri o in
ambito rurale (presso i luoghi di produzione o località prive di pubblici esercizi). Può anche prevedere entrambe le
modalità: eventi ‘centralizzati’ in un borgo e, parallelamente, in siti dislocati presso i luoghi
di produzione. Nel contesto urbanizzato la Sagra richiama tradizioni di preparazione
e consumo dei prodotti affluenti dalle campagne e strutture di trasformazione
del territorio. Oltre alla piazza (o alle piazze) luogo dello scambio,
dell’incontro e delle rappresentazioni collettive, la Sagra non può non
coinvolgere altri luoghi deputati storicamente e nel presente alla preparazione
e al consumo alimentare: gli esercizi pubblici, i laboratori alimentari
artigiani, le rivendite specializzate di prodotti alimentari, ma anche luoghi privati (es. i cortili di
abitazioni).
La
partecipazione dei locali di qualità. Il coinvolgimento degli operatori della ristorazione (nelle sue
sfaccettature compatibili con il carattere tradizionale della Sagra, quindi
esclusi fast food, ma anche locali con esclusiva offerta di cucina nazionale o
internazionale) è condizione perché la Sagra rappresenti un evento capace
di promuovere stabilmente il sistema dell’offerta gastronomica locale ‘tipica’. La Sagra tradizionale di qualità che si
svolge in contesti urbanizzati si articola quindi in eventi ‘di strada’ ma
anche in eventi presso osterie, ristoranti, trattorie, enoteche. Da parte degli
esercizi pubblici la partecipazione alla Sagra non potrà essere solo formale ma
deve tradursi in offerte e iniziative legate all’evento: menù predisposti per
l’occasione ma anche degustazioni, incontri con i produttori agricoli,
intrattenimenti culturali, il tutto rompendo la routine. D’altra parte la
partecipazione dei locali alla Sagra può anche esprimersi nella presenza in
piazza degli chef dei ristoranti che partecipano alla Sagra stabilendo un
collegamento il più stretto possibile tra la ‘piazza’ e i locali. Non solo per parlare
di cibo ma anche per prepararlo direttamente sotto gli occhi dei partecipanti.
La
partecipazione degli chef. Nel caso di Sagre che si svolgono in contesto rurale (su un
alpeggio montano ma anche su una spiaggia o un porticciolo con i pescatori) la
partecipazione degli operatori della filiera è altrettanto qualificante. In
questo caso saranno gli chef (meglio se essi stessi imprenditori di locali 'storici')
a spostarsi sul ‘teatro’/’teatri’
della Sagra collaborando – sulla base delle possibilità logistiche e di
attrezzature – alla preparazione di un piatto in grado di valorizzare la
materia prima, i prodotti ottenuti all’origine , ma anche la tradizioni
gastronomiche locali e il sistema di ristorazione di qualità locale. E qui si
apre lo spazio per una dialettica tra tradizione e creatività che deve
contribuire a trasmettere la percezione che la ‘tradizione’ non è folklore
fossilizzato ma una continua rielaborazione e selezione di elementi ereditati
dal passato in funzione del presente e del futuro. Una dialettica che può
esprimersi nella compresenza e ‘dialogo’ tra lo chef ‘stellato’ e della
‘massaia rurale’ depositaria di tradizioni spesso solo orali di cultura
gastronomica.
Valutazione
della qualità di una sagra
Gli
elementi di qualità indicati vanno considerati nel contesto.
Vi sono realtà dove le espressioni tradizionali sono vive, altre dove sono solo
di interesse storico. Pare di poter escludere, però, che la Sagra di qualità
sia compatibile con il karaoke o i balli sudamericani. Quanto alle iniziative
culturali non vanno confuse quelle che raccolgono il favore dell’élite con
quelle ‘di qualità’. La condizione migliore si realizza quando espressioni
‘colte’ si incontrano con l’interesse dei residenti e dei turisti per
l’approfondimento della conoscenza storica, letteraria, artistica, monumentale,
folk lorica dei luoghi tenendo presente l’orientamento che emerge attualmente
verso esperienze interattive e partecipate (percorsi guidati, rievocazioni,
laboratori) rispetto a iniziative di fruizione passiva (mostre, conferenza).
Incrociare
i parametri. Una valutazione coerente dovrà tenere
conto di una griglia in cui da una parte entrano i requisiti
di qualità (secondo una check list che analizzi i vari
aspetti in modo analitico) e dall'altra gli elementi
di contesto (esperienze pregresse, attori locali, filiere).
Tra gli elementi di contesto un elemento fondamentale
è dato dal grado di impatto sulla struttura locale della
ristorazione. Un elemento che dovrà tenere conto di
vari parametri: tipo di offerta gastronomica presso
la 'sagra' (qualità, varietà, prezzi), numero
presumibile di pasti serviti, rapporto tra offerta e
entità della presenza in zona di publici esercizi
(valutata in base ai coperti e alla distanza dall' 'epicentro'
della 'sagra' in termini di percorsi a piedi - nei contesti
urbani -o in auto).
Un duplice piano di validazione.
Considerato che la natura delle Sagre è molto differenziata una volta
stabiliti dei principi comuni pare opportuno stabilire requisiti specifici per
ogni categoria. La procedura di riconoscimento del ‘marchio di qualità’
potrebbe poi prevedere due piani. Una Commissione centrale, composta di
rappresentanti di categoria, studiosi di etnografia, tradizioni, sistemi
agroalimentari, storia locale ed integrata di rappresentanti dei coordinamenti
regionali dei comitati organizzatori delle Sagre tradizionali di qualità e una Commissione locale (composta di
amministratori, rappresentanti di categoria, associazioni culturali, consorzi
turistici operante in ambito abbastanza vasto da escludere distorsioni
campanilistiche).
|
|