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Commenti/Direttiva nitrati: sostenibilità virtuale

   

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La sostenibilità virtuale peggiora quella vera

   

Lo slittamento della concessione delle deroghe dovrebbe essere occasione per riflettere sugli evidenti punti deboli di un sistema che previene l'inquinamento spesso solo sulla carta. Ma si preferiscono altre strade ...

 

di Michele Corti

 

L'applicazione della Direttiva Nitrati è stata oggetto di una lunga telenovela; con l'Italia che si è salvata in extremis dall'applicazione di pesanti sanzioni. La lenta e tortuosa applicazione ha però  indotto un atteggiamento comprensibilmente sospettoso da parte della Eu, dove paesi come l'Olanda hanno dovuto ridimensionare il loro sistema zootecnico e non sono certo disposti a concedere sconti alla Padania (che ha un sistema lattiero più intensivo di quello Olandese).

 

Sorvegliati speciali

 

Così la Lombardia è stata 'punita' ricomprendendo il 57% della pianura nelle AV (Aree Vulnerabili) dove la quantità di azoto da reflui zootecnici non può essere 340 kg per ettaro ma deve essere 'tagliata' a 170 kg.  Il tutto giustificato dalla presenza di nitrati nelel acque.

In più, mentre già da tempo  alcune regioni della Ue hanno ottenuto la deroga ad innalzare tale quantità a 250 kg/ha, le regioni padano-venete devono attendere.

In realtà la situzione giustifica questa prudenza. Come si vede nella cartografia sotto riportata (fonte: Ersaf Lombardia) lo 'sforamento' oltre i 170 kg di azoto riguarda la maggior parte dell'Area Vulnerabile (limite blu). In un hard core zootecnico, dove gli allevamenti di suini e quelli di vacche da latte si sovrappongono, si supera anche il limite di 340 arrivando a carichi di oltre 1000 kg! In aggiunta va detto che i carichi di azoto calcolati con le obsolete tabelle di comodo delle  'medie standard' (per categoria di animale e senza tenere conto di alcun elemento di specificità aziendale) sottostimano la quantità di azoto di origine zootecnia apportato ai terreni.  La situzione è ancora peggiore di quella 'ufficiale'.

 

 

Deroga rinviata

 

Per concedere la deroga la Eu pretende dalle regioni italiane interessate ulteriori aggiornamenti di dati scientifici, garanzie sui sistemi di monitoraggio e controllo. Quello che è certo è che il 1° gennaio 2011 la deroga  non entrerà in vigore in Italia come si pensava fino a pochi mesi fa. Eppure in questi anni sono stati prodotti sforzi notevoli da parte delle regioni interessate, principalmente al Lombardia, per mettere a punto sistemi di monitoraggio e modelli di previsione delle perdite di azoto. Il PGN (procedimento gestione nitrati) messo in atto dalla DG Agricoltura con il supporto di enti di sperimentazione e ricerca è sempre più sofisticato eppure ...

Eppure la concentrazione di NO3 nelle acque aumenta, specie nelle zone vulnerabili continua a crescere. Nel 5% dei pozzi i valori dei nitrati nell'acqua superano la soglia massima consentita di 50 mg/litro di NO3. I valori medi nelle acque sotterranee nelle zone vulnerabili è passato da 21 (media 2002-2008) a 23,5 mg/l (2009).

 

Condizioni eterogenee di piovosità e permeabilità dei terreni

 

In questo contesto la richiesta di deroga punta sulla dimostrazione che i sistemi colturali foraggeri attuati (o attuabili) nell'area vulnerabile possono assorbire grandi quantità di azoto minimizzando così la lisciviazione (perdita di azoto solubile nelleacque sotterranee). Tra i sistemi colturali è previsto che siano ammessi a deroga i seguenti: mais classe Fao 600-700; mais + erbaio invernale (loiessa, triticale, segale, orzo, …);  cereale vernino + erbaio estivo (panico, sorgo, mais, …); prati avvicendati e permanenti (< 50% leguminose). L'adozione di sistemi che aumentino l'utilizzo agronomico dell'azoto è da valutare con favore anche perché essi riducono il periodo durante il quale il suolo resta nudo (come avviene nella monosuccesione maidicola) migliorando anche altri aspetti di sostenibilità.

Resta il fatto che le condizioni di piovosità e la natura dei suoli nell'ambito della Zona Vulnerabile sono alquanto eterogenee. Ciò significa che in alcun casi ad una situazione 'rossa' (alti carichi zootecni) non corrisponde un forte inquinamento delle acque sotterranee ma anche che, all'opposto,  in altre zone (dove il terreno è sciolto e molto permeabile) anche con carichi zootecnici moderati si hanno rischi elevati. Tutta la fascia alta delle pianura è quindi a rischio ed anche altre zone con terreni più permeabili della bassa pianura. Il dato peggiore si ha nei colli morenici mantovani dove i terreno è permeabilissimo (e vi sonono allevamenti suini). Qui la quantità di azoto che viene lisciviato è di 200-250 kg/ha. Un'enormità. Nelle altre zone comunque le perdite si aggirano più frequentemente sui 100-150 kg. Pochissime sono le zone dell'Area Vulnerabile senza apprezzabili perdite di azoto.

Un sistema che tenesse conto della reale vulnerabilità (raggruppando gruppi di comuni omogenei) contribuirebbe molto di più a ridurre l'impatto ambientale. Però non basta. All'interno di una zona omogenea dovrebbe essere logico premiare chi contribuisce meno alla produzione di un eccesso di azoto.

 

L'aspetto più discutibile del 'SISTEMA GESTIONE NITRATI' resta quello delle 'escrezioni standard'

 

Oggi, nonostante i calcoli sofisticati sull'assorbimento dell'azoto da parte delle culture, si continua ad usare dati medi 'standard' per stimare l'escrezione di azoto di una vacca da latte o di un suino. Nel caso delle vacche da latte i dati sono ricavati da studi di diversi anni fa ottenuti in Veneto su diverse razze e che considerano una 'vacca media' che produce 8366 kg annui di latte, ovvero molto meno di quello che producono le vacche delle aree 'rosse' dove vi sono allevamenti con medie da 12000 kg.

Il risultato è che la 'vacca standard' produce al netto delle perdite di volatilizzazione (in stalla e in vascone o laguna) 83,5 kg di azoto. Gli olandesi  hanno adottato un metodo di calcolo basato sulla quantità di latte prodotta e sulla concentrazione di urea nel latte (l'urea rappresenta la maggior parte dell'azoto urinario e la concentrazione nel latte è ben correlata con l'escrezione di azoto urinario). E E fanno apprezzamenti sarcastici riguardo alla nostra vacca 'standard' che elimina poco azoto "importando le vacche italiane risolveremmo i nostri problemi". Così si capisce perché gli ispettori olandesi sono un po' 'prevenuti'. Se applichiamo il metodo di calcolo olandese con i due valori di 20 e 30 mg/l di urea nel latte (limiti di 'normalità') otteniamo per una vacca che produce 10.000 kg di latte rispettivamente 90 e 101 kg di azoto escreto. Ma con la precisazione che abbiamo sempre considerato un 28% 'medio' di perdite. Questa 'perdita media' risulta un'assurdo e un obbrobrio in Olanda dove si fa di tutto per ridurre le perdite di ammoniaca e ossidi di azoto in atmosfera causa di 'piogge acide' e di 'effetto serra'. Ma anche da noi le perdite sono variabili e possono essere ridotte al 15% anche senza particolari accorgimenti 'all'olandese'. Però si preferisce assumere che quell'azoto se ne sia andato in cielo.

 

Si premiano i sistemi più 'spinti'

 

La conseguenza di questo sistema non consiste solo in una sottovalutazione del carico di azoto effettivo ma anche nello scoraggiare chi adotta sistemi di alimenatazione che riducono le perdite di azoto. L'utilizzo della concentrazione di urea nel latte, della percentuale di proteine del latte, della percentuale di proteine nel foraggio consentirebbero un quadro più reale e, a parità d latte prodotto, determinerebbero un bilanzio azotato aziendale meno pesante e quindi un minor inquinamento.

Il rozzo sistema attuale non dipende dall'impossibilità di effettuare studi e costruire modelli (come di fa per dimostrare il consumo da parte delle colture) ma dalla convenienza a tenersi il più a lungo possibile cari i dati 'storici' dal momento che ogni metodo più analitico non andrebbe che a ritoccare verso l'alto la stima dell'azoto prodotto dagli animali.

Così è meglio fare 20.000 kg di latte con due vacche che producono sulla carta 161 kg di azoto (sempre al netto delle volatilizzazioni) piuttosto che produrne 20.000 con tre vacche che ne producono 6.666 che 'sballerebbero' il dato di escrezione azotata (250,5 kg). In realtà la differenza di escrezione tra le due situazioni è meno di 83,5 kg e probabilmente, se consideriamo tutto il sistema foraggero e alimentare, la differenza si ridurrebbe ulteriormente (minor fabbisogno di concimi chimici azotati). le vacche da 6.666 kg di latte sono molto più sostenibili anche da altri punti di vista (malattie, longevità, utilizzo di farmaci). Ma l'attuale sistema 'sulla carta', 'virtuale' premia l'intensificazione anche oltre ogni ragionevole considerazione.

 

Terreni e pascoli affittati sulla carta su Alpi e Appennini

 

Vi sono anche altri aspetti deleteri nel sistema di 'gestione dei nitrati'. Non è un mistero che molte aziende emiliane hanno affittato terreni sulla carta in Appennino (dove le vacche non andranno mai a pascolare) e che quelle piemontesi, lombarde e venete affittano alpeggi altrettanto sulla carta. Chi redige i Piani di utilizzo agnonomico dei reflui si applica evidentemente delle belle fette di salame sugli occhi (ma sono parecchi!). E nessun controlla. Si fanno i controlli finché c'è di mezzo un satellite o le scartoffie, poi basta. Si controlla ciò che può essere tradotto in sistemi di dati computerizzati in una lontana stanza dei bottoni. Non si adottano metodi di controllo efficaci ma quelli più facilmente gestibili, globalizzabili. Il tutto spinge verso sistemi sempre più standardizati e penalizza la montagna dove pastori e malghesi subiscono la concorrenza sleale delle aziende della pianura che hanno drogato il mercato defli affitti dei pascoli.

 

Un incentivo a forme poco sostenibili di 'trattamento tecnologico' dei reflui

 

Veniamo ad un ultimo aspetto forse ancora non ben definito in sede di discussioni sulla concessione delle deroghe: l'uso dei digestati da impianti di produzione biogas e di 'abbattimento' dell'azoto nei reflui zootecnici. E' un tema delicato. Come si calcola il digestato (quale tipo poi?). Come un concime minerale? Il fatto che mentre l'azoto organico da refluo zootecnico sia assogettato ad una rigida normativa e il concime minerale no e che sia relativamente 'libero' il suo utilizzo già la dice lunga sull'efficacia di misure che dovrebbero ridurre l'impatto ambientale dei sistemi agrozootecnici. Dietro questi dilemmi ci sono in gioco scelte economiche e ambientali importanti. L'abbattimento dell'azoto è processo che richiede energia. Energia che alla fine riporta in atmosfera dell'azoto molecolare, lo stesso che viene 'catturato' attraverso i processi di sintesi dell'urea che finisce nei concimi chimici, processi che 'mangiano' molta energia elettrica.

L'aspetto di 'recupero energetico' della produzione di biogas viene azzerato. L'azienda agricola si trasforma in un piccolo impianto di produzione di concimi chimici o - peggio ancora - deve esternalizzare questi processi e dipendere da grandi strutture comprensoriali che gestiscono per conto di molti conferenti i processi di digestione e abbattimento di azoto (e fosforo) dei liquami. Il tutto implica imponenti investimenti a fronte di una sostenibilità ambientale a dir poco dubbia. Così invece di incentivare l'estensivizzazione, la zootecnia biologica, la montagna si sostiene una zootecnia industriale sempre più slegata dalla terra (in teoria basta accoppiare alla 'fabbrica del mangime' la  la 'fabbrica del concime' con entrambe anche fuori dall'azienda ).  Si continua a pensare di risolvere i problemi aumentando le produzioni e affidandosi alla fede salvifica nelle 'tecnolgie'; meglio se costose e se alimentano l'indotto della produzione, progettazione, manutenzione ecc. (tutto valore aggiunto tolto all'attività agricola) . Un modo si rinviare un ripensamento sempre meno eludibile.

 

 

 

 

 

 

                 

 

 

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