(29.10.10)
La proroga chiesta dalla regioni della pianura padano-veneta
tendente a consentire l'innalzamanto del carico
di azoto da reflui zootecnici da 170 a 250 kg per ettaro
non entrerà in vigore il 1 gennaio 2011. La Ue
vuole vederci chiaro
La
sostenibilità virtuale peggiora quella
vera
Lo
slittamento della concessione delle deroghe dovrebbe
essere occasione per riflettere sugli evidenti punti
deboli di un sistema che previene l'inquinamento spesso
solo sulla carta. Ma si preferiscono altre strade ...
di
Michele Corti
L'applicazione della
Direttiva Nitrati è stata oggetto di una
lunga telenovela; con l'Italia che si è salvata
in extremis dall'applicazione di pesanti sanzioni. La
lenta e tortuosa applicazione ha però indotto
un atteggiamento comprensibilmente sospettoso da parte
della Eu, dove paesi come l'Olanda hanno dovuto ridimensionare
il loro sistema zootecnico e non sono certo disposti
a concedere sconti alla Padania (che ha un sistema lattiero
più intensivo di quello Olandese).
Sorvegliati speciali
Così la Lombardia
è stata 'punita' ricomprendendo il 57% della
pianura nelle AV (Aree Vulnerabili) dove la quantità
di azoto da reflui zootecnici non può essere
340 kg per ettaro ma deve essere 'tagliata' a 170 kg.
Il tutto giustificato dalla presenza di nitrati
nelel acque.
In più, mentre
già da tempo alcune regioni della Ue hanno
ottenuto la deroga ad innalzare tale quantità
a 250 kg/ha, le regioni padano-venete devono attendere.
In realtà la
situzione giustifica questa prudenza. Come si vede nella cartografia
sotto riportata (fonte: Ersaf Lombardia) lo 'sforamento'
oltre i 170 kg di azoto riguarda la maggior parte dell'Area
Vulnerabile (limite blu). In un hard core zootecnico,
dove gli allevamenti di suini e quelli di vacche
da latte si sovrappongono, si supera anche il limite
di 340 arrivando a carichi di oltre 1000 kg! In aggiunta
va detto che i carichi di azoto calcolati con le obsolete
tabelle di comodo delle 'medie standard' (per
categoria di animale e senza tenere conto di alcun elemento
di specificità aziendale) sottostimano la quantità
di azoto di origine zootecnia apportato ai terreni.
La situzione è ancora peggiore di quella
'ufficiale'.
Deroga rinviata
Per concedere la deroga
la Eu pretende dalle regioni italiane interessate ulteriori
aggiornamenti di dati scientifici, garanzie sui sistemi
di monitoraggio e controllo. Quello che è certo
è che il 1° gennaio 2011 la deroga non
entrerà in vigore in Italia come si pensava fino
a pochi mesi fa. Eppure in questi anni sono stati prodotti
sforzi notevoli da parte delle regioni interessate,
principalmente al Lombardia, per mettere a punto sistemi
di monitoraggio e modelli di previsione delle perdite
di azoto. Il PGN (procedimento gestione nitrati) messo
in atto dalla DG Agricoltura con il supporto di enti
di sperimentazione e ricerca è sempre più
sofisticato eppure ...
Eppure la concentrazione
di NO3 nelle acque aumenta, specie nelle zone vulnerabili
continua a crescere. Nel 5% dei pozzi i valori
dei nitrati nell'acqua superano la soglia massima consentita
di 50 mg/litro di NO3. I valori medi nelle acque sotterranee
nelle zone vulnerabili è passato da 21 (media
2002-2008) a 23,5 mg/l (2009).
Condizioni
eterogenee di piovosità e permeabilità
dei terreni
In questo contesto
la richiesta di deroga punta sulla dimostrazione che
i sistemi colturali foraggeri attuati (o attuabili)
nell'area vulnerabile possono assorbire
grandi quantità di azoto minimizzando così
la lisciviazione (perdita di azoto solubile nelleacque
sotterranee). Tra i sistemi colturali è previsto
che siano ammessi a deroga i seguenti: mais
classe Fao 600-700; mais + erbaio invernale (loiessa,
triticale, segale, orzo, …); cereale vernino +
erbaio estivo (panico, sorgo, mais, …); prati avvicendati
e permanenti (< 50% leguminose). L'adozione di sistemi
che aumentino l'utilizzo agronomico dell'azoto è
da valutare con favore anche perché essi riducono
il periodo durante il quale il suolo resta nudo (come
avviene nella monosuccesione maidicola) migliorando
anche altri aspetti di sostenibilità.
Resta
il fatto che le condizioni di piovosità e la natura
dei suoli nell'ambito della Zona Vulnerabile sono alquanto
eterogenee. Ciò significa che in alcun casi ad
una situazione 'rossa' (alti carichi zootecni) non corrisponde
un forte inquinamento delle acque sotterranee ma anche
che, all'opposto, in altre zone (dove il terreno
è sciolto e molto permeabile) anche con carichi
zootecnici moderati si hanno rischi elevati. Tutta la
fascia alta delle pianura è quindi a rischio
ed anche altre zone con terreni più permeabili
della bassa pianura. Il dato peggiore si ha nei colli
morenici mantovani dove i terreno è permeabilissimo
(e vi sonono allevamenti suini). Qui la quantità
di azoto che viene lisciviato è di 200-250 kg/ha.
Un'enormità. Nelle altre zone comunque le perdite
si aggirano più frequentemente sui 100-150 kg.
Pochissime sono le zone dell'Area Vulnerabile senza
apprezzabili perdite di azoto.
Un
sistema che tenesse conto della reale vulnerabilità
(raggruppando gruppi di comuni omogenei) contribuirebbe
molto di più a ridurre l'impatto ambientale.
Però non basta. All'interno di una zona omogenea
dovrebbe essere logico premiare chi contribuisce meno
alla produzione di un eccesso di azoto.
L'aspetto
più discutibile del 'SISTEMA GESTIONE NITRATI'
resta quello delle 'escrezioni standard'
Oggi,
nonostante i calcoli sofisticati sull'assorbimento dell'azoto
da parte delle culture, si continua ad usare dati medi
'standard' per stimare l'escrezione di azoto di una
vacca da latte o di un suino. Nel caso delle vacche
da latte i dati sono ricavati da studi di diversi
anni fa ottenuti in Veneto su diverse razze e che considerano
una 'vacca media' che produce 8366 kg annui di latte,
ovvero molto meno di quello che producono le vacche
delle aree 'rosse' dove vi sono allevamenti con medie
da 12000 kg.
Il
risultato è che la 'vacca standard' produce al
netto delle perdite di volatilizzazione (in stalla e in
vascone o laguna) 83,5 kg di azoto. Gli olandesi hanno
adottato un metodo di calcolo basato sulla quantità
di latte prodotta e sulla concentrazione di urea
nel latte (l'urea rappresenta la maggior parte dell'azoto
urinario e la concentrazione nel latte è ben
correlata con l'escrezione di azoto urinario). E E fanno
apprezzamenti sarcastici riguardo alla nostra vacca
'standard' che elimina poco azoto "importando le
vacche italiane risolveremmo i nostri problemi".
Così si capisce perché gli ispettori olandesi
sono un po' 'prevenuti'. Se applichiamo il metodo di
calcolo olandese con i due valori di 20 e 30 mg/l
di urea nel latte (limiti di 'normalità') otteniamo per
una vacca che produce 10.000 kg di latte rispettivamente
90 e 101 kg di azoto escreto. Ma con la precisazione
che abbiamo sempre considerato un 28% 'medio' di perdite.
Questa 'perdita media' risulta un'assurdo e un obbrobrio
in Olanda dove si fa di tutto per ridurre le perdite
di ammoniaca e ossidi di azoto in atmosfera causa di
'piogge acide' e di 'effetto serra'. Ma anche da noi
le perdite sono variabili e possono essere ridotte al
15% anche senza particolari accorgimenti 'all'olandese'.
Però si preferisce assumere che quell'azoto
se ne sia andato in cielo.
Si
premiano i sistemi più 'spinti'
La
conseguenza di questo sistema non consiste solo in una
sottovalutazione del carico di azoto effettivo ma anche
nello scoraggiare chi adotta sistemi di alimenatazione
che riducono le perdite di azoto. L'utilizzo della concentrazione
di urea nel latte, della percentuale di proteine del
latte, della percentuale di proteine nel foraggio consentirebbero
un quadro più reale e, a parità d latte
prodotto, determinerebbero un bilanzio azotato aziendale
meno pesante e quindi un minor inquinamento.
Il rozzo
sistema attuale non dipende dall'impossibilità
di effettuare studi e costruire modelli (come di
fa per dimostrare il consumo da parte delle colture)
ma dalla convenienza a tenersi il più a
lungo possibile cari i dati 'storici' dal momento
che ogni metodo più analitico non andrebbe che
a ritoccare verso l'alto la stima dell'azoto prodotto
dagli animali.
Così
è meglio fare 20.000 kg di latte con due vacche
che producono sulla carta 161 kg di azoto (sempre al
netto delle volatilizzazioni) piuttosto che produrne
20.000 con tre vacche che ne producono 6.666 che 'sballerebbero'
il dato di escrezione azotata (250,5 kg). In realtà
la differenza di escrezione tra le due situazioni è
meno di 83,5 kg e probabilmente, se consideriamo tutto
il sistema foraggero e alimentare, la differenza
si ridurrebbe ulteriormente (minor fabbisogno di concimi
chimici azotati). le vacche da 6.666 kg di latte sono
molto più sostenibili anche da altri punti di
vista (malattie, longevità, utilizzo di farmaci).
Ma l'attuale sistema 'sulla carta', 'virtuale' premia
l'intensificazione anche oltre ogni ragionevole considerazione.
Terreni
e pascoli affittati sulla carta su Alpi e Appennini
Vi
sono anche altri aspetti deleteri nel sistema di 'gestione
dei nitrati'. Non è un mistero che molte aziende
emiliane hanno affittato terreni sulla carta in Appennino
(dove le vacche non andranno mai a pascolare) e che
quelle piemontesi, lombarde e venete affittano alpeggi
altrettanto sulla carta. Chi redige i Piani di utilizzo
agnonomico dei reflui si applica evidentemente delle
belle fette di salame sugli occhi (ma sono parecchi!).
E nessun controlla. Si fanno i controlli finché
c'è di mezzo un satellite o le scartoffie, poi
basta. Si controlla ciò che può essere
tradotto in sistemi di dati computerizzati in una lontana
stanza dei bottoni. Non si adottano metodi di controllo
efficaci ma quelli più facilmente gestibili,
globalizzabili. Il tutto spinge verso sistemi sempre
più standardizati e penalizza la montagna dove
pastori e malghesi subiscono la concorrenza sleale delle
aziende della pianura che hanno drogato il mercato defli
affitti dei pascoli.
Un
incentivo a forme poco sostenibili di 'trattamento tecnologico'
dei reflui
Veniamo
ad un ultimo aspetto forse ancora non ben definito in
sede di discussioni sulla concessione delle deroghe:
l'uso dei digestati da impianti di produzione biogas
e di 'abbattimento' dell'azoto nei reflui zootecnici.
E' un tema delicato. Come si calcola il digestato (quale
tipo poi?). Come un concime minerale? Il fatto che mentre
l'azoto organico da refluo zootecnico sia assogettato
ad una rigida normativa e il concime minerale no e che
sia relativamente 'libero' il suo utilizzo già
la dice lunga sull'efficacia di misure che dovrebbero
ridurre l'impatto ambientale dei sistemi agrozootecnici.
Dietro questi dilemmi ci sono in gioco scelte economiche
e ambientali importanti. L'abbattimento dell'azoto è
processo che richiede energia. Energia che alla fine
riporta in atmosfera dell'azoto molecolare, lo stesso
che viene 'catturato' attraverso i processi di sintesi
dell'urea che finisce nei concimi chimici, processi che
'mangiano' molta energia elettrica.
L'aspetto
di 'recupero energetico' della produzione di biogas
viene azzerato. L'azienda agricola si trasforma in un
piccolo impianto di produzione di concimi chimici o
- peggio ancora - deve esternalizzare questi processi
e dipendere da grandi strutture comprensoriali che gestiscono
per conto di molti conferenti i processi di digestione
e abbattimento di azoto (e fosforo) dei liquami. Il
tutto implica imponenti investimenti a fronte di una
sostenibilità ambientale a dir poco dubbia. Così
invece di incentivare l'estensivizzazione, la zootecnia
biologica, la montagna si sostiene una zootecnia
industriale sempre più slegata dalla terra (in
teoria basta accoppiare alla 'fabbrica del mangime'
la la 'fabbrica del concime' con entrambe anche
fuori dall'azienda ). Si continua a pensare di
risolvere i problemi aumentando le produzioni e affidandosi
alla fede salvifica nelle 'tecnolgie'; meglio se costose
e se alimentano l'indotto della produzione, progettazione,
manutenzione ecc. (tutto valore aggiunto tolto all'attività
agricola) . Un modo si rinviare un ripensamento sempre
meno eludibile.
|