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COMUNICATO. RIPARTE LA CAMPAGNA DI
AZIONARIATO POPOLARE A SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)
Dopo il cambio di statuto per
divenire Società Benefit, secondo la nuova legge in vigore dal 1
gennaio 2016, la Società Valli del Bitto riapre
la campagna di azionariato popolare. Società benefit è quella che non
mira solo al proprio utile ma a vantaggi per la società, il territorio,
l'ambiente.La Società Valli del Bitto punta solo alla sostenibilità
economica e non al lucro. Senza di essa non potrebbe conseguire i
propri scopi che sono in primo luogo garantire - attraverso la
valorizzazione economica - la sopravvivenza del formaggio "storico
ribelle" (ex-bitto storico) con tutto il suo sistema di produzione in
alpeggio che rappresenta un monumento di cultura e di
biodiversità. Lo
"storico ribelle" è Presidio Slow Food, il presidio che - a detta di
Slow Food - incarna forse al meglio il principi del cibo "buono -
pulito - giusto". Tutti possono partecipare a questa Società che
incarna l'ideale dell'agricoltura etica sostenuta dalla comunità che, a
sua volta, sostiene il territorio. Sottoscrizione minima 150€ ( massimA
20 mila €). Ai soci viene riconosciuto un "dividendo etico" in
natura pari al 2% del capitale sottoscritto. Per sapere come
associarsi:
TEL. 334 332 53 66
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Lo
storico ribelle che porta benefit alla società e all'ambiente
(23.12.16)
Dal 29 novembre la Società Valli del Bitto (meglio nota come
"ribelli del bitto") è bcorp. Una formula che impegna le società a
promuovere vantaggi (in inglese "benefit") per la società, la comunità
locale, l'ambiente. Riducendo, attraverso le sue attività (e nonla
beneficienza) gli impatti negativi per le persone e l'ambiente e
determinando impatti positivi.
Valtellina
che gusto... industriale
(23.11.16) Uno
stile industriale di marketing del fasullo per promuovere un
agroalimentare industrializzato, banalizzato, omologato. Sperperando i
soldi di chi paga le tasse. Ma non basta. Dopo aver espropriato
il bitto storico del nome "bitto" la promozione "ufficiale", continua a
mimetizzare il bitto "legale" ovvero quello "Nuovo omologato" con
lo "Storico ribelle" (il vero bitto che si fa come secoli fa).
Ribellarsi
è giusto e paga (17.11.16)
Lo storico ribelle, liberatosi del nome "bitto" che ormai procurava
solo grane (ed esponeva alla minaccia permanente di denuncia per "lesa
dop") va meglio di prima. Chi ragiona restando nelle coordinate della
vecchia politica pensava che fosse un salto nel buio. Invece i
sostenitori aumentano e lo storico ribelle sbarca in nuovi prestigiosi
templi del gusto.
Varrone
e Biandino cuore di ferro e formaggi (28.08.16)
28.08.16 Nei giorni cruciali in cui l'ex bitto storico cambia nome
approfondiamo alcuni aspetti sinora poco messi a fuoco della storia e
della geografia di questo mito caseario
È ormai bittexit
e fa paura ai nemici del bitto storico (17.07.16)
I nemici del bitto storico
non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop
massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di
due produzioni "simili".
E con la fuga del vero bitto dalla dopsi
profila una figuraccia di grandi proporzioni
per la Valtellina
(13.06.16)
Commercianti si spacciano per l'ex bitto storico
Se si danneggiano i ribelli del bitto si può usare del
tutto impropriamente la denominazione "Bitto storico" e
illegittimanente quella "Bitto".
La storia di una degustazione organizzata in
Umbria da un'incolpevole Ais con il "bitto storico" ...
senza che vi fosse l'ormai ex bitto storico presidio Slow food
(29.04.16)
Assemblea a difesa delbitto storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie, da secolo noto come formaggio del Bitto non può essere più
chiamato con il proprio nome. Dopo vent'anni le lobby
politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i
produttori storici. Ma la società civile sta preparando la
mobilitazione
(14.04.16) Il
formaggio Storico dei ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie è in vendita da Peck . Quello dell' estate
2015) a 92€ al kg, quello del 2009 a 26€ all'etto. Il bitto dop
dei mangimi e dei fermenti , prodotto senza latte di capra, a
volte in condizioni semi-industriali, continua a calare di prezzo
Bitto storico:
rivoluzione permanente (2.10.15)
A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice
anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza
latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione
in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata
anche per la sua "rivoluzione dei prezzi"
(08.09.15) Nuovi
documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti (bitto
storico)
Cirillo Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano
già nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già
allora riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre
zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone.
Scusate se è poco
(02.09.15) Bitto
storico: un autunno di decisioni e novità
La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto
negativo in termini di quantità prodotta, causa della
siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni
l'accordo siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff.
Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza
l'originalità delle loro esperienza facendo leva
sui suoi punti di forza
(23.08.15)
Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili
La grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio non è
rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di
produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il
pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti sentire
(22.08.15) Bitto
storico rivoluzionario
Attraverso la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono
riusciti a imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso
consente un equilibrio economico compensando gli elevatissimi
costi di una produzione che va contro gli schemi della società
industriale e consumistica (che si sono imposti anche
nella produzione agroalimentare)
Articoli per argomenti
|
Il
Dizionario del bitto ribelle (III)
di
Michele Corti
Parte III (M-Q)
M. Màlga , Madre, Maestri, Mangime, Marchio, Maschèrpa, Mascherpèra, Medaglia, Meditazione, Mezzoldo, Millesimo, Mostra, Muunt, Museo
N. Nuovo
O. Occhiatura, Originale, Orobica, Orobie
P. Pace, Passo, Patriarca, Patrimonio, Pellegrini, Pizzo, Precursori, Presidio, Prezzo etico, Prìncipi,
Priula, Puri
Q. Quantità
VAI ALLA PARTE I (A-C); PARTE II (D-L) PARTE IV (R-Z)
Màlga = la mandria/gregge di bovine/capre da latte riunite in alpeggio.
Madre (val) = Una delle valli orobiche valtellinesi dove,in diversi alpeggi, si produceva bitto.
Maestri =
La famiglia Ciapponi resterà per sempre legata alla storia del bitto
che ha saputo valorizzare nel corso di un'attività iniziata nel 1954
quando Paolo ed Emilio Ciapponi rilevarono il negozio di Carlo
Ghislanzoni, in piazza 3 novembre, attivo dal 1885. A Paolo - che
aveva iniziato la sua carriera da garzone del negozio - sono succeduti
i fratelli Primo (morto nel 2016) e Dario, il grande maestro del bitto.
Ancora attivo Dario, il negozio - oggi divenuto una 'istituzione'
e la principale meta turistica di Morbegno - è gestito da Paolo,
figlio di Primo) e da Alberto(figlio di Dario). Le forme di bitto con
le annate vergate a mano sul piatto (l'indicazione degli alpeggi - che
da diversi anni caratterizza anche le forme esposte dai Ciapponi - è
invece recente e merito della Società valli del Bitto che ha introdotto
l'impressione sullo scalzo del nome dell'alpeggio dopo la rottura con
il Consorzio ufficiale nel 2006). Al di là delle vetrine con le forme
allineate in ordine di età i Ciapponi sono stati veri maestri di
stagionatura. Spiace vedere oggi esposte all'ammirazione nelle vetrine
dello storico negozio, insieme a forme dei produttori ribelli(la Società valli del bitto ne
ritira la maggior parte dellla produzione ma non è ancora in
grado di farlo di farsi conferire la totalità della
produzione) insieme a forme premiat alla Mostra del bitto (dei
mangimi) ottenute con latte di bovine che ricevolo una generosa
'integrazione al pascolo' trasportati sull'alpeggio a quintalate con
l'elicottero.
Mangime = Corrado Barberis, quando era presidente dell'Istituto nazionale di sociologia rurale si
espresse i questi termini a proposito dell'uso dei mangimi negli
allevamenti alpini "...le province alpine possono superare il
loro handicap nei confronti della pianura o uniformando le proprie
tecniche produttive a quelle della pianura stessa (in questo caso i
mangimi giocano un ruolo strategico) o esaltando i caratteri specifici
del proprio ambiente, attraverso una valorizzazione dei prodotti
tipici, destinati ad un mercato di qualità. Sono evidenti le ragioni
ecologiche e culturali che rendono preferibile questa seconda
soluzione, ma sono pure evidenti le ragioni che rendono più facile la
prima". Non
immaginava che il mangime, a camionate e a elicotterate, sarebbe
arrivato anche sugli alpeggi. Lo scontro tra le esigenze di qualità (ma
anche di tutela di valori ecologici e culturali) divenne aspro quando il nuovo disciplinare del bitto dop, approvato a livellonazionale
nel 2006, introdusse la possibilità di somministrare a ciascuna bovina
alpeggiata sino a 3 kg di sostanza secca di mangimi al giorno. Si
diceva che la qualità del latte e del formaggio non ne risultasse
alterata. Una serie di studi sperimentali dimostra che basta
un'integrazione anche molto più modesta per modificare la qualità del
grasso del latte e quindi quelle del formaggio. Anche un panel di
assaggiatori alla cieca del bitto dop ha individuato differenze
significative tra formaggi ottenuti in alpeggi senza integrazione di
mangime e quelli con (F. Gusmeroli, G.P. della Marianna, S. Erini, 2011). La somministrazione del mangime alle bovine in alpeggio determina
non solo una diversa qualità del latte (e del formaggio) perché
aumentano i grassi saturi a corta catena a spese di quelli lunghi,
insaturi che - oltre alla loro valenza salutistica - garantiscono una
maggiore morbidezza nel formaggio, chiave di una stagionatura di anni.
Però vi è amche una conseguenza sul pascolo. Il mangime è apportatore
di amido (proveniente da i cereali) e, nel rumine, della bovina, ciò
comporta una modifica del pH (acidità) per la più facile e rapida
fermentazione dell'amido stesso rispetto alla cellulosa (molecola
complessa che i batteri del rumine impiegano più tempo a 'smontare').
Una rapida fermentazione, con evoluzione di acidi grassi volatili, è
meno efficacemente tamponata dai sali tampone della saliva (bicarbonato
di sodio e magnesio) con il risultato che il pH scende e l'ambiente
ruminale diventa subottimale per l'attività e la proliferazione dei
batteri cellulosolitici, capaci di digerire la cellulosa di cui sono
costituiti i tessuti delle piante (oltre allo scheletro di lignina che
è indigeribile ai batteri del rumine ssendo specializzati per questo
solo quelli simbionti delle termiti) .
'Lavorando' meno afficacemente i cellulosolitici impiegano più tempo a
digerire la cellulosa dei tessuti vegetali e, di consegenza, essi
permangono più tempo ne rumine prima di passare all'abomaso (lo stomaco
'vero'). Ma se il rumine non si svuota il 'pancione' non si sgonfia e
come, nel caso degli animali monogastrici -uomo compreso - la pancia
piena, attraverso l'azione di specifici ormoni, 'inibisce' i centri
cerebrali della fame. Così l'animale mangia meno erba, pascola meno e
con bocca 'meno buona'. Le conseguenze soni due: la prima il mangime
somministrato non si trasforma in latte perché per ogni kg di mangime
in più diminuisce di qualche etto almeno l'ingestione di erba di
pascolo, la seconda - più importante, consiste nella riduzione delle
ore di pascolamento, nel trascurare le zone di pascolo meno appetitose.
Così nelle zone di pascolo più 'comode' dove le bovine 'viziate'
dal mangime concentrano la loro attività (e dove è più facile sistemare
i carri di mungitura) il pascolo è sin troppo utilizzato e rischia -
con il sovraccarico di nutrienti indigeriti provenienti dal mangime che
si sommano al riciclo di quelli dell'erba di pascolo - di eutrofizzare
il terreno, premessa alla proliferazione della ben nota 'flora dei
riposi', dove troneggiano le slavazze (Rumex alpinus).
Nelle aree 'marginali' il sottopascolamento, con la riduzione
delle restituzioni di fertilità (azoto, fosforo e altri minerali con le
feci e le urine), il pascolo vede rarefarsi le buone foraggere,
disincantivando - come in un circolo vizioso - la frequantazione
di animali pascolanti. Così dalle cattive foraggere si passa ai
piccoli cespugli, poi a quelli più grandi. E quando il pascolo è invaso
dai rododendri è perso. La
soluzione? Utilizzare razze da montagna a duplice attitudine che
riscono a produrre senza perdere peso. "Ma poi in stalla?".
L'allevatore non plagiato dall'industria (che ha interesse a comprargli
il latte a pochi cent e a vendergli tanti integratori, mangimi,
macchinari, attrezzature, seme di tori 'super') sa che il
reddito non è proporzionale al latte munto e che con un numero
'sostenibile' di capi non 'spinti' si rifucono anche le spese, si può
lavorare con maggiore attenzione e soddisfazione e concentrarsi sulla
qualità del prodotto e sulla sua valorizzazione che, in un'epoca
di comunicazione, vale più del fattore
'quantità' (tanto più che è difficile competere con stalle
di pianura di 1000-2000 frisone). Lo 'storico ribelle' rappresenta la
punta di diamante della visione 'qualitativa' e il tema mangimi in
alpeggio, per la produzione del bitto è diventato, giustamente, uno dei
suoi cavalli di battaglia.
Marchio = Il
bitto ribelle ha abbandonato l'uso di marchi impressi sulle forme nel
2006 quando il Ministero delle politiche agricole diffidò
dall'utilizzare il marchio a fuovo 'Valli del Bitto' che era stato
autorizzato con un accordo siglato dalle istituzioni provinciali
(Provincia, Comunità montana di Morbegno, Ctcb, Coldiretti) nel 2004
dando attuazione ad un accordo del 1996. Dopo questa beffa si è
intrapresa la strada delle forme siglate a mano con inchiostro di
mirtillo perfezionando una pratica introdotta decenni prina dalla ditta
F.lli Ciapponi di Morbegno. Ogni forma che supera la selezione ed
è quindi meritevole di essere 'storico ribelle' (sino alla stagione
d'alpeggio 2015 'bitto storico') viene 'autenticata' a mano. Una forma
rigorosa ma coerente di affermazione dell'artigianalità di un prodotto
disponibile 'in numero limitato'.
Enrico
Colli (il casèr, impegnato nell'applicazione del marchio a fuoco nella
vecchia piccola cantina del 'bitto valli del Bitto' a Gerola.
Maschèrpa = Ricotta grassa ottenuta aggiungendo al siero (lazzerun, serun), rimasto nella culdéra (vedi) dopo l’estrazione della cagliata, un secchio di latte di capra. La maschèrpa, mantenuta nei garòcc (vedi) per due giorni, una volta spurgato tutto il siero viene salata e mantenuta su assi di abete nellamaschèrpera.
Quella del bitto della tradizione (oggi 'storico ribelle') è
particolarmente qualitativa perché il siero contiene elevato
tenore di grasso e perché si continua ad aggiungere latte intero
di capra. Il grasso è elevato perché, con l'alimentazione
esclusivamente a base di pascolo, la produzione è minore ma il titolo
di grasso più elevato.
Miniatura della serie Tacuinum sanitatis (fine XIV secolo)
La maschèrpa stagionata
che si ottiene come 'sottoprodotto' del bitto storico ribelle è unica
perché viene messa in vendita, anche dopo sei mesi (e oltre) dalla
produzione, sempre mantenuta in cantina naturale e non in cella a bassa
temperatura. Un prodotto ancora più originale dello stesso bitto
storico ribelle che rappresenta un vertice entro la categoria dei
formaggi grassi d'alpe ben rappresentata anche da altri validissimi
prodotti (basti citare il bettematt della val Formazza). Unico perché
le ricotte stagionate sono molto salate (produzione del Sud Italia, o
affumicate (produzioni alpine). Attraverso i suoi stati di maturazione
la maschèrpa del bitto
della tradizione assume diverse consistenze e gusti che si prestano
alla realizzazione di molti piatti. Essa rappresenta anche una
testimonianza storica vivente perché, per secoli, la ricotta (che, in
buona parte della Lombardia e nel Piemonte orientale,anche in pianura e
nelle città, era conosciuta come maschèrpa ) è stata prodotta mettendola in forma negli stessi garocc' (vedi) di legno che si usano tutt'oggi solo nell'ambito degli alpeggi del bitto della tradizione e aggiungendo un po' di latte intero al siero.
I mangiatori di ricotta. Vincenzo Campi, Cremona (1536-1591), I mangiatori di ricotta (Musée des Beaux-Arts di Lione)
Mascherpèra = il
livello superiore della casera d'alpeggio tradizionale con aperture
(strette feritoie strombate ) su tre lati per consentire il massimo
della circolazione d’aria e quindi l’essiccazione efficace della maschèrpa.
Masino (val) = L'unica valle del versante retico valtellinese dove si aveva una produzione importante di bitto.
Medaglia = Tra i vari riconoscimenti del bitto (quello della storia) c'è una medaglia d'oro (primo premio) con croce al merito "au fromage gras type Bitto" vinto all'Exposition mondial des fromages che
si tenne a Bruxelles nel 1933. Il formaggio era prodotto da Neftali
Curtoni, caricatore d'alpe ma anche segretario comunale e quindi
in grado di destreggiarsi tra le pratiche che gli consentì di
iscriversi all'esposizione inviando una cassa con tre forme. Le
notizie raccolte da Cirillo Ruffoni aggiungono che, purtroppo la
medaglia d'oro fu offerta "alla patria" e il diploma si perse in un
trasloco. Fortunatamente rimane la croce al merito (sotto).
Meditazione = Anche
in questo caso l'accostare il bitto della tradizione (in questo caso
quello che ha, come minimo 2-3 anni di invecchiamento, potrebbe
sembrare irriverente. Ma
non è affatto così, specie in questo caso. Innanzitutto c'è un filo che
lega il bitto della tradizione a Luigi Veronelli, autore di questa
definizione (come quella del 'prezzo sorgente'). Veronelli intendeva
rivalorizzare i vini da 'fine pasto' (o 'dopo cena') sostituiti dai
superalcolici includendo in questa categoria i passiti ma anche i vini
austeri di lungo invecchiamento. Nulla a che vedere con i 'vini da
dessert' ma un vino a sè così completo e concettoso da esigere di
essere consumato per sè solo". Se
la tecnica della meditazione consiste nella concentrazione su un
oggetto cercando di eliminare tutte le interferenze che ci consentono
di accortarci, con molto rispetto, ad un oggetto, di compenetrarlo
perché considerare irriverente il riferimento alla meditazione? Il
grande lavoro della natura e dell'uomo, il sapere sedimentato,
condiviso, perfezionato che sta dietro un grande vino e un grande
formaggio non meritano 'distrazioni' (accostamenti con altri
cibi). Un cibo può essere oggetto esso stesso di meditazione in
questo senso o un aiuto alla meditazione su realtà che, anche nella
sfera del cibo, possono essere profonde. Respiriamo (per fortuna) in
modo automatico, ma il controllo della respirazionerappresenta una
delle tecniche basilari di aiuto alla meditazione e persino alla base
di tecniche estatiche . Troppo spesso mangiamo 'in automatico' pensando
o facendo altro, in modo frettoloso e distratto. Così come l'aria che
inspiriamo il cibo che ingeriamo rappresenta uno scambio vitale tra noi è
l'ambiente, scambio materiale e scambio sociale ma anche spirituale
come insegna la storia della maggior parte delle esperienze religiose
in cui il cibo è alla base di pratiche rituali ed iniziatiche. No, non
è una metafora lo 'storico ribelle' da meditazione. La rieducazione dei
sensi, atrofizzati dalla manipolazione industriale del cibo
(finalizzati a produrre a emozioni e sensazioni epidermiche e
prevedibili di soddisfacimento effimero) è operazione che va
oltre la sfera edonistica. I sensi, tesi, alla contemplazione della
complessità del gusto di un cibo, a riconoscere e discriminare il
naturale dall'artificiale, rappresentano, attraverso le stimolazioni
indotte dall'esercizio di gusto riflessivo (cfr E.Battaglini, "Il gusto
riflessivo come ponte teorico tra produzione e consumo
alimentare", in E. Battaglini - a cura di - Il gusto riflessivo. Verso una sociologia del consumo e della produzione alimentare,
Bonanno, Acireale-Roma, 2007, pp. 287-302 il mezzo di comprensione del
mondo, di discrimine del bene, dei contenuti etici, attraverso la 'via
del buono'. Aggiungiamo
che la meditazione attraverso e sul cibo è cosa del tutto diversa dalla
degustazione finalizzata a individuare delle caratteristiche,
adescrivere, discriminare, comparare.
Mezzoldo = La località brembana con il maggior numero di alpeggi che, storicamente, producevano bitto e
dove, prima dell'affermazione della Fiera dei Branzi a fine XVIII
secolo, si commercializzava anche il bitto. Anche dopo l'affermazione
della piazza di Branzi, con la fiera di San Matteo, a Mezzoldo
continuavano ad essere immagazzinate le forme di bitto/branzi prodotte
negli alpeggi della zona presso casere in località Castello. Oggi in
due alpeggi di Mezzoldo si produce 'storico ribelle': Ancogno solivo e
Cavizzola.
Millesimo =
Lo 'storico ribelle' ha aperto la via alla 'millesimazione' del
formaggio. Nel mondo del vino i millesimati sono gli spumanti di grande
qualità che sono ottenuti dalle uve delle migliori annate. Il prodotto
della lavorzione di uve di annate diverse viene mantenuto separato nei
millesimati a differenza delle meno pregiate cuvée dove
la miscela compensa i difetti delle diverse annate. Lo 'storico
ribelle' consente di allestire delle degustazioni verticali (vedi) con
parecchie annate e di presentare nelle carte dei formaggi di ristoranti
ed enoteche un offerta di formaggi con un ampio range di invecchiamento
(vedi). L'annata è ricavabile dal bollo Ce impresso sullo scalzo ma
anche dalla faccia in quanto le forme selezionate di 'storico ribelle'
sono sempre vergate a mano con indicazione dell'annata di produzione.
Morbegno = La città del bitto. All'inizio del XX secolo, con la realizzazione della Casera sociale caricatori,
e la prima Mostra casearia (non si chiamava ancora 'del bitto', però).
Morbegno intraprese un programma consapevole per spostare da Branzi
allo sbocco del Bitto la corrente commerciale del bitto. E ci riuscì,
non solo grazie alle iniziative intraprese, ma anche in forza del
decadimento 'spontaneo' del mercato dei Branzi (vedi). Negli anni '90
del secolo scorso Morbegno preferì non investire nel bitto. La dop
venne trasferita a Sondrio e le amministrazioni locali si
disinteressarono del l'ambito caseario (lasciato alle coop e agli enti
settoriali). Si perse la politica di territorio, di sistema produttivo
territoriale costruita quasi un secolo prima. Sintomatica di un certo
atteggiamento la risposta sprezzante dell'ex sindaca Alba
Rapella in occasione delle proteste, novembre 2009, seguite alle
sanzioni inflitte al Bitto valli del Bitto (per 'violazione delle norme
sulle denominazioni di origine): "di bitto c'è n'è uno solo". Uno e
indivisibile come la Repubblica Francese. Oggi a Morbegno il clima è
cambiato, non tanto tra le istituzioni (in crisi profonda indipendentemente dal colore delle giunte) quanto nella società civile e lo 'storico ribelle' sta operando
per spostare almeno parte della sua operatività commerciale da Gerola,
(dove l'amministrazione comunale e le organizzazioni nella sua orbita
lo osteggiano), a Morbegno dove gode crescenti simpatie, legate
anche alla prospettiva di far conoscere la città del Bitto (torrente)
come città dello storico formaggio.
Mostra = La
Mostra del bitto si fa risalire, con non poche forzature, alla
prima mostra casearia organizzata a Morbegno nel 1907. Dal 1908 le
forme furono in mostra esposte nella Casera sociale (poi comunale) fino
al 1994 quando il comune di Morbegno cedette la casera alla USL per la
creazione di un centro diurno psichiatrico. Dal 1997 la Mostra si
trasferì dal centro storico e, in particolare, dalla piazza
Sant'Antonio al Polo Fieristico, realizzato con spirito di grandeur e
anche come contropartita del trasferimento a Sondrio della sede del
Ctcb e finito al centro di scandali di corruzione (la 'tangentopoli
morbegnese'). Si svolge nella seconda metà di ottobre. Nel 2012 la
mostra ha lasciato il Polo Fieristico per tornare nelle vie del centro
storico, salvo poi tornare in parte al Polo dal 2015. La prima Mostra
casearia di Morbegno risale a 109 anni fa ma non 109 edizioni,
tantomeno se si considerano quelle intitolate al bitto. Essa ha subito
molte interruzioni, e non solo in occasione delle due guerre
mondiali. La Mostra, tanto per cominciare, si chiamò sino
alla Seconda guerra mondiale Mostra casearia della Valtellina.
Dopo vent'anni era arrivata alla VI (6a) edizione come documenta la
foto dove si legge: ottobre 1937 anno XV (dell'era fascista), VI Mostra
casearia della Valtellina.
La
seconda guerra mondiale provocò una lunga interruzione e la Mostra
(questa volta si "del bitto") riprese agli inizi degli anni '60. Fate
voi i calcoli quante ne sono state fatte.
Alla crescita dei visitatori è corrisposto l'annebbiamento del
carattere originario dell'evento che ha solo pallidi riferimenti con il
formaggio bitto. Tra gli anni '80 e '90 la Mostra era divenuta Mostra
dei prodotti della montagna lombarda. Oggi l'evento fieristico ha
assunto un carattere sempre più generico puntando al numero di
visitatori.
Museo =
Per il ruolo che ha assunto la particolarissima cantina naturale di
stagionatira dell' 'storico ribelle' vedi 'santuario'. Ma di Musei del
bitto si è parlato anche ad altro proposito di una 'compensazione' da
offrire alla Valgerola. Renato Ciaponi, allora finzionario della
Regione ed una delle 'menti' della dop in un articolo intitolato: "
Bitto finalmente doc e a Gerola un museo etnografico",
(Alpesagia, luglio 1995 pp. 48-50) spiegava produttori
storici doveva essere sufficiente l'onore e la soddisfazione
morale di aver donato al resto della Provincia la loro tradizione.
L'unico contentino che offriva era un museo della tradizione
per... imbalsamarla. " un museo dove la tradizione, la cultura, la
tipicità potrebbero trovare il giusto riconoscimento per una valle dove
il bitto è sempre stato protagonista". Ovviamente non si realizzò
neppure il museo. Quando a Gerola è sato costituito
dall'amministrazione comunale L’Ecomuseo della Valgerola (delibera
c.c. n. 16 del 02.05.2008) era previsto (ci mancava che così non fosse)
il coinvolgimento delle associazioni, degli operatori e della
popolazione. Il bitto che allora si chiamava ancora 'Valli del
Bitto' e la nuova casera del Centro del Bitto furono
presentati, come fiori all'occhiello o come soggetti attivi
nell'Ecomuseo per ottenere il riconoscimento della Regione Lombardia.
Peròstante la posizione contraria alla Società valli del Bitto assunta
dal sindaco Fabio Acquistapace (in carica sino al 2013), che da
azionista della Società stessa ha ripetutamente contestato la gestione
della stessa tentando di sfiduciare il presidente nel 2011, non c'è mai
stata alcuna partecipazione della casera all'Ecomuseo. Essa si è di
conseguenza orientata ad essere museo di sé stessa, indipendentemente
dal comune di Gerola e dall'Ecomuseo che ne è emanazione.
Muunt/mut =
Così si definisce l'alpe pascoliva, detta anche alpeggio e altrove
'malga' (che qui, era - ed è inossidabilmente - la mandria o il gregge
di animali da latte al pascolo) nelle orobie (la forma mut è quella bergamasca, vedi Formai de mut).
Nuovo = 'Nuovo bitto' è stato spesso definito, con ironia, dai ribelli il bitto dop.
Occhiatura =
Una caratteristica della pasta che discrimina spesso tra lo 'storico
ribelle' e il bitto dop più banalizzato. Quest'ultimo, nonostante
quanto sostenuto sull'uso dei 'fermenti starter' (che non altererebbero
a detta dei 'modernizzatori' la presenza di un ampio spettro di
microrganismi attivi nella trasformazione della cagliata fresca e poi
della pasta),presenta spesso paste sconsolatamente 'chiuse' ovvero del
tutto prive di occhiatura o con pochi occhi non caratteristici (tondi)
. A queste paste con aspetto poco caratteristico fanno riscontro gusti
che rimandano ad altri formaggi (Emmenthaler per esempio). Questo è il
difetto più grave per un formaggio che vanta una reputazione secolare
di 're dei formaggi'. L’occhiatura non è mai un difetto in un formaggio
artigianale prodotto da latte crudo, specie senza l'uso degli
'starter'. Un'occhiatura tipica è un pregio perché è legata ad
attività fermentative di diverso tipo in grado di produrre prodotti
finali aromatici. Essa, però, ma deve essere abbastanza regolare,
uniformemente distribuita nella pasta, in generale piccola (tranne che
ovviamente nel caso dell’Emmental). Nel caso del bitto si faceva
riferimento all' 'occhio di pernice'. Se l'assenza di occhiatura
è un grave difetto nei formaggi artigianali in generale, se
l'occhiatura grande non è compatibile con lo 'storico ribelle' è
abbastanza grave anche il difetto rappresentato dalla presenza di una
occhiatura fine, uniforme ma molto diffusa. La pasta in questo caso non
è omogenea e ciò viene avvertito durante la masticazione. Il gusto è
alterato dai prodotti di alcune fermentazioni molto intense (in
particolare acido propionico che conferisce il gusto dolce ma scialbo).
Le cause sono da cercare nella scarsa qualità igienica del latte di
partenza (presenza di batteri coliformi) e da una scarsa attenzione
allo spurgo della cagliata. Un difetto che non può allignare nello
'storico ribelle' perché non compatibile con un formaggio di lunga
stagionatura che deve essere perfetto. Necessita precisare che le forme
con difetti non diventeranno mai 'storico ribelle' da invecchiamento.
Se i difetti non sono gravi (non compromettono il gusto del formaggio
di pochi mesi, ma si limitano ad inconvenienti estetici) il formaggio
viene posto in vendita come 'seconda scelta'.
Originale =
È la vacca bruna originale, quella 'di una volta', altrimenti detto la
verace 'bruna alpina', soppiantata, dagli anni '70 del secolo scorso,
dalla cosmopolita brown swiss made in USA come
conseguenza della corsa alla quantità, al produttivismo e di scelte
dirigistiche dell'Anarb (l'associazione nazionale di razza), che decise
di trasformare le attitudini della razza . L'affermazione della brown
swiss, bovina super-specializzata, in grado di produrre grandi quantità
di latte ma suscettibile di stress, se non adeguatamente 'pompata' con
alimenti concentrati, ha rappresentato il cavallo di Troia per la
'modernizzazione del bitto'. Si sosteneva che le vacche 'soffrissero'
per mancanza di mangime in alpeggio e che quindi sarebbe stato
'disumano' negarglielo (detto da chi non tiene in gran conto ecologia e
benessere animale ma tutt'altri valori). Si aggiungeva che il mangime
non modificava la qualità del latte e del formaggio. Una serie di
ricerche svizzere, francesi, italiane dimostra, invece, che anche una
ridotta aggiunta di mangime modifica in modo significativo la qualità
del latte e del formaggio (in peggio, vviamente). Il ritorno della
'originale', ovvero della original braunvieh,
in sigla OB, fa parte di una 'riscossa contadina' che ha compreso come
razze, tecniche casearie, sistemi di allevamento, utilizzo delle
risorse naturali sono un tutt'uno. Presidente dell'Associazione allevatori lombardi bruna originale è Alfio Sassella, vice-presidente del Consorzio salvaguardia bitto storico e il più rappresentativo dei ribelli del bitto. Difficile pensare a un legame più stretto tra razza e formaggio.
Orobie =
La 'matrice' del bitto della storia che ha dovuto, per essere fedele,
diventare ribelle. Tutto nello storico formaggio che oggi si fregia
della denominazione 'storico ribelle' rimanda alle Orobie. Sono state
le Orobie con la loro natura di area pastorale con pochissime
possibilità di svolgimento dell'agricoltura, con il clima umido che
favorisce la presenza di foreste e di boschi ma che ostacola la
coltivazione, a far emergere la cultura pastorale 'forte' da cui emerge
il bitto, carica di retaggi celtici e longobardi (una cultura quindi
'barbarica' e 'indipendentista' , poco addomesticata dalla romanità e
dalle culture urbane della ripresa medievale). Ma il bitto della storia
è assurto al prestigio indiscuso di cui godeva (e che gode ancora,
grazie alla resistenza dei ribelli alla banalizzazione modernizzatrice)
non solo perché era l'espressione di una fiera cultura pastorale. La
costruzione secolare di una storia di eccellenza fatta di casari ben
pagati, di alpeggi ambiti è frutto anche di una geografia che fa si che
questo comprensorio pastorale sia stato al tempo stesso una ridotta
alpestre ma anche un territorio di passaggio, di scambi di facile
accesso ai mercati. La via Priula alla fine del Cinquecento consente di
far arrivare il bitto a Bergamo attraverso una strada che per i tempi
era una specie di 'superstrada'. Attraverso la via del bitto il
formaggi arrivava a grande emporio di Lecco (dove arrivavano anche i
formaggi svizzeri e austriaci via Spluga e Lario) e da qui per via
fluviale (nel Settecento il naviglio di Paderno consente alle
imbarcazioni di arrivare direttamente a Milano). Da Morbegno lungo
l'Adda e poi sul Lario il bitto arrivava ai magazzini di stagionatura
di Como (dove perveniva anche da Bellano dopo la discesa dalla
Valvarrone). Favorito da questi plurimi accessi ai mercati il bitto,
stagionato a Bergamo, Como, Lecco arrivava a Milano, Venezia, Roma. In
questo modo, con un contatto ai mercati di lusso poteva remunerare
sforzi produttivi e abilità decisamente superiori all'ordinario.
Orobica =
È la capra delle Orobie, la capra del bitto ribelle, detta anche della
Valgerola ma l'origine è di certo comune alla Valbrembana dal momento
che all'inizio del XIX secolo una stampa raffigura delle capre orobiche
all'ingresso delle mura di Milanoc che molto verosimilmente (sulla base
di documenti dell'epoca) provenivano da Carona. È un simbolo del
bitto della tradizione. Il disciplinare di produzione dello 'storico
ribelle' erede unico e legittimo del bitto della storia prescrive che
il latte da utilizzare per la caseificazione debba essere, nella misura
del 10-20% di capra, ma non di una capra qualsiasi, bensì di capra
orobica. Questa è una delle condizioni per mantenere un sistema che 'si
tiene'. Dove non puoi per comodità o semplificazione cambiare un
tassello perché tutto si è coevoluto insieme, Cose difficili da far
capire ai produttivisti che si fanno forti delle rassicuranti certezze
della scienza meccaniscista, in grado di orientare nell'ambiente di uno
stabilimento industriale dove c'è solo la tecnologia, fuorviante quando
ci si muove in un ambiente dove la cultura e la natura sono le
determinanti principali. La capra orobica, robusta e grande
pascolatrice utilizza una grande varietà di essenze erbacee e
arbustive, mantenendo il pascolo bovino libero dall'invasione dei
cespuglieti e arricchendo il latte di svariati composti (più un latte è
ricco di principi derivati dalle piante o trasformati dal metabolismo
dell'animale e più diventa una 'farmacia' dal momento che a basse
concentrazioni presentano proprietà biologiche positive anche
composti che in dosi elevate sono tossici) . Rappresenta anche una
cifra estetica con il manto dal lungo pelo e dai colori variegati
che si scompone ondeggiando mosso da vento quando la 'malga' si dirige
alla mungitura caracollando scendendo i pendii nel suono fragoroso dei sampugn (i campanacci), oltretutto km 0, made in Premana (una delle ultime ditte rimaste in Europa).
Pace
= 'pace del
bitto' è stata definita l'accordo (poi rivelatisi 'bidone') siglato
con solennità a Gerola il 10 novembre 2014. Gli impegni e i
riconoscimenti erano altisonanti; il bitto storico veniva
riconosciuto come: 'prodotto di traino dell'intera produzione di
bitto e del comparto lattiero-provinciale. Ma gli impegni erano
generici e ci vollero solo pochi mesi per capire la strumentalità di
una 'pace' che mirava solo (al fine di ottenere finanziamenti) a
presentare unita la Valtellina in vista dell'Expo 2015 a Milano. Vi fu
uno strascico velenoso con le istituzioni che cercarono di nascondere
le loro vere intenzioni addossando la responsabilità del naufragio
dell'intesa a Paolo Ciapparelli che 'voleva troppi soldi dopo aver
accumulato debiti'. In realtà venivano offerte cose inutili, che la
Camera aveva già deliberato (come dei tavoli interattivi valutati cifre
spropositate e che servivano solo alla promozione delle dopo e igp)
mentre, in cambio, si sarebbe dovuto concede l'uso della Casera per ben
sette anni al Ctcb e alla promozione ufficiale dell'agroalimentare
valtellinese. Quanto alla presunta avidità di Ciapparelli, a fronte
dele centinaia fi migliaia di euro spesi per dubbie iniziative
promozionali a Milano, chiedeva poche decine di migliaia di euro che
rappresentavano una parziale compensazione per l'aiuto fornito al
comune di Gerola quando venne edificato il Centro del Bitto (vedi) che è stato alla base delle perdite subite dalla Società a causa degli interessi passivi sui mutui. Alla
Coldiretti e al suo presidente provinciale, Marsetti, venne assegnato
il compito di lanciare apertamente queste accuse. Gli altri si
mantennero più defilati.
Passo = Per
eccellenza è quello di
San Marco, dove a 1.992 le Orobie valtellinesi e bergamasche si danno
la mano e dove sorge l'antico rifugio della Cantoniera coevo della
strada realizzata a fine XVI secolo dal capitano di Bergamo Alvise
Priuli. Tutto qui parla di bitto. La strada attuale risale al 1966, la
Priula al 1593. Sul versante valtellinese (valle del bitto di Albaredo)
c'è l'alpe di Orta Vaga ('storico ribelle') dall'altra quella di
Ancogno soliva (anch'essa dello 'storico ribelle'). La storia presidia
il passo. Altri passi importanti per la storia del bitto sono quello
del Verrobbio (vedi) e la bocchetta di Trona, ma anche i passi che
collegano la val Tartano alla val Brembana (Tartano, Porcile).
Patriarca =
‘patriarca del
bitto’ è indiscutibilmente Mosè Manni, non solo per ragioni
anagrafiche (è nato nel 1933 ) ma anche per il suo ‘stile di
alpeggio’ (con trenta calecc', la rottura a mano dello
sterco bovino a fine alpeggio) e per il ruolo emblematico dell’Alpe
Trona soliva che carica con i famigliari. Mosè, fratello di Eliseo,
un noto casaro, ha perpetuato sino al 2014 la tradizione di una
lunga dinastia di casari, caricatori, pastori. Orfano di padre, Mosé, ha iniziato a fare il cascin (vedi) all'alpe Artino e poi a 25 Trona Soliva diventando da cascin
(garzone) pastore e infine casaro. Con il tempo ha trasmesso i segreti
del mestiere alla figlia minore Antonella che a 15 anni gestiva già da
sola tutta la lavorazione, Mosè negli ultimi anni di alpeggio (poi per
motivi di salute ha dovuto rinunciare) si è dedicato alla sua più
grande passione: le capre. Da dieci anni, infatti, è capraio: munge le
sue capre di razza orobica, le porta al pascolo, le recupera. Il 2016 è stato
l'ultimo anno in cui la famiglia Manni ha caricato Trona soliva. La
rinuncia è maturata per motivi famigliari.
Patrimonio = L’idea
di patrimonio, per quanto declinata in termini culturali rimanda
all’idea di proprietà. Il patrimonio è un complesso organico di
elementi spirituali, culturali, sociali o materiali che una persona,
una collettività
hanno accumulato nel tempo. È comprensibile che i processi di
patrimonializzazione siano connessi al diritto di godere e
disporre di un bene in
modo pieno ed esclusivo. Questo avviene anche nel caso di quei beni
culturali particolari che sono i prodotti agroalimentari tradizionali.
La definizione di un marchio, di una denominazione protetta
rappresentano elementi di patrimonializzazione di un bene culturale
quale il cibo. Ad essere patrimonializzati sono i saperi, le
esperienze, le forme di organizzazione, le relazioni. Qualcosa di
immateriale ma al tempo stesso molto reale che è legata a una comunità
di pratica (vedi), ad un territorio. Al di là della visione
riduzionista e settorialista dove gli unici attori delle 'filiere
agroalimentari' sono gli imprenditori agricoli professionali, gli
industriali della trasformazione, la comunità di pratica comprende chi
conserva e tramanda la memoria storica attraverso apposite forme
culturali o in modo informale, tutti i protagonisti delle pratiche
commerciali, di cucina, consumo. Un prodotto alimentare che è 'bene
culturale', 'patrimonio', componente dell'identità locale, al centro di
una trama di relazioni, di produzione simbolica, di narrazione, non è
'competenza' di una filiera ma di una rete immersa nella trama della
comunità. Le modalità di riconoscimento della dop bitto hanno
rappresentato un 'esproprio patrimoniale'. Accusati di egoismo e di
'chiusura campanilistica', i rappresentanti della comunità del bitto
della tradizione hanno subito la prepotenza e l'egoismo di chi ha
patrimonializzato la denominazione senza aver concorso alla costruzione
del patrimonio, sottraendola ad una comunità per assegnarla a strutture
burocratiche ed economiche per nulla interessate al patrimonio come
bene culturale ma solo al suo riflesso di capitale di reputazione da
tradurre in valori di marketing, economici, svuotandoli del contenuto.
Pellegrini
= I ‘pellegrini
del bitto’ sono coloro che affrontano a piedi i percorsi a scavalco
delle Orobie che conducono al Santuario del Bitto. Oltre alla ‘Via
del Bitto’ (attraverso la val Biandino e la val Varrone)
comprendono quelli della ‘Via mercatorum’ (l’antico
percorso che da Averara risale la val Mora per scendere nella val
Bomino – laterale di quella del Bitto di Gerola – attraverso il
Passo del Verrobbio); il passo di Salmurano (da Ornica attraverso la
valle di Salmurano e poi scendendo a Pescegallo Foppe); la Bocca di
Trona (da Ornica risalendo la valle dell’Inferno e scendendo al
Lago di Trona). Ma anche chi arriva al 'santuario del bitto' da altre
regioni o altri paesi apposta per visitarlo, entra a buon diritto,
nella qualifica di 'pellegrino del bitto'.
Pizzo = Il
pizzo è quello dei Tre
Signori. Anticamente Pizzo di Varrone assunse questo nome evocativo al
tempo delle Tre Signorie che in questo punto, cerniera tra la catena
orobica occidentale o lecchese (quella che scende sino al Resegone) e
la catena orobica settentrionale. Il confine tra le tre signorie risale
al 1512 (presa della Valtellina) mentre giaà dal 1454, con la pace di
Lodi e la fissazione dei confini, qui passava quello tra i possedimenti
dei duchi di Milano (allora estesi ancora a tutta la Valtellina) e la
Repubblica di Venezia. Dal 1797, con la caduta della Repubblica di
Venezia per opera di Napoleone il territorio intorno al Pizzo è tornato
sotto un solo stato (nonostante i cambi di regime che hanno compreso
tre regni e due repubbliche). Il pizzo ha grande valore simbolico
perché qui convergono tre terre che, nonostante la fine dei confini
statali, sono rimaste aggregate a tre provincie differenti (Sondrio,
Como - poi Lecco, Bergamo). La riscoperta di una comune identità
orobica, indicata palesemente dalla presenza di cognomi uguali sui tre
versanti (che sottolinea la grande mobilità e scambio demografico dei
secoli passati), le antiche consuetudine di portare i mori a seppellire
in località dell'altro versante, le rispolverate relazioni intervallive
in materia
economica (miniere, ferro, formaggi), sono stimolo ad una politica di
massiccio all'interno della quale il bitto ribelle è uno dei
riconosciuti catalizzatori (specie sul versante lecchese e bergamasco,
considerato che le istituzioni valtellinesi continiano a fare muro
contro i ribelli).
Precursori
= I precursori di chi ha custoditola tradizione del bitto sono coloro
che in passato avevano cercato anch'essi di tutelare e valorizzare il
bitto prodotto nella zona d'origine. Il 27 settembre 1970 veniva
costituito a Morbegno, con sede presso il Municipio, il Consorzio volontario
per il formaggio Bitto con il sostegno della Pro Loco Gerola. L’animatore del Consorzio era il dr. Antero
Caretta, veterinario locale. Egli si adoperò per rilanciare la Mostra del Bitto
ma, nel disinteresse dei produttori, la sua attività volontaristica non
potè svilupparsi tanto che, gradualmente, sulla base di accordi tra
Spafa (regione), Coldiretti e Colavev (il Consorzio produttori latte
provinciale) la 'governance' del bitto venne trasferita a Sondrio e
venne avanzata la richiesta di dop estesa a tutta la provincia. Nei
suoi ultimi anni di vita Caretta con soddisfazione frequentava la
Casera del Centro del bitto
di Gerola dove aveva visto concretizzarsi quelle prospettive di
valorizzazione del bitto della tradizione che, ai suoi tempi, erano
sfumate per via di ben altri intendimenti della politica e delle lobby
locali. Una foto di Caretta è esposta nella Casera.
Presidio = I Presìdi Slow Food nascono nel 1999 per iniziativa dell'associazione Slow Food
per salgavuardare le piccole produzioni tradizionali che rischiano di
scomparire. Una finalità che non interessa solo i prodotti in sé ma
anche il loro ruolo di valorizzazione di territori e culture. I Presidi
recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano
dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. Il Presidio Slow
Food bitto valli del Bitto è stato costituito nel 2003 ha
cambiato nome nel 2010 divenendo Presidio Slow Food bitto storico
e poi, nel 2016, Presidio Slow Food
storico ribelle. Ne sono
responsabili Paolo Ciapparelli, presidente della Società valli
del bitto, nonché del Consorzio
salvaguardia Bitto storico
e Maurizio Vaninetti, chef-patron dell’Osteria
del Crotto di
Morbegno. Slow Food considera il Presidio dei ribelli del bitto come un
emblema del cibo "buono, pulito e giusto" e ha sempre rispettato le
decisioni dei produttori non facendo mai venire meno il suo appoggio
anche quando lo scontro tra le istituzioni e il Presidio ha
toccato momenti di grande asprezza. In uno studio i cui risultati sono
stati pubblicati nel 2013 (Analisi della sostenibilità economica, sociale e ambientale di 44 Presìdi montani d’Europa,
Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, 2013) il Presideio di
quello che era allora il 'bitto storico' si classificò al primo posto
per gli indici di sostenibilità totale, di sostenibilità ambientale, e
di sostenibilità sociale e culturale.
Prezzo etico = La Società valli del Bitto ha
ritenuto sin dagli inizi che fosse necessario remunerare un prodotto a
forte contenuto di artigianalità, che richiede competenza ma anche
dedizione, con un prezzo etico, più elevato di quello di mercato ma
tale da rendere sostenibile nel lungo periodo la produzione incentivando
i produttori, i casari a lavorare con quell'attenzione , puntigliosità,
capacità di adattamento alle circostanze che aveva fatto grandi i
casari del bitto. La Società
non è ancora in grado di ritirare tutta la produzione, ma l'acquisto da
essa effettuato di buona parte di essa ha elevato di diversi euro al kg
il prezzo (che resta comunque più basso) praticato da altri acquirenti.
Il prezzo etico riconosciuto ai produttori non è stato ritoccato anche
in presenza di perdite di esercizio. I soci, hanno preferito un
ridimensionamento del capitale versato (il valore nominale delle zioni
è sceso da 150 a 75 euro) piuttosto che venir meno alla finalità di
sostegno etico a un sistema virtuoso di produzione che ha ispirato la
Società.
Prezzo sorgente
= Lanciato da Luigi Veronelli il 'prezzo sorgente' ha trovato una certa
diffusione nel settore del vino ma è praticato da strutture di
commercializzazione (coop e non solo) di altri settori agricoli. Il
principio consiste nel far conoscere al consumatore il prezzo al quale
il produttore agricolo ha ceduto il prodotto a chi lo commercializza e
mette in vendita. Nelle filiere agroalimentari vi sono spesso più
passaggi e questo rappresenta uno stimolo a ridurli perché l'aumento
dei passaggi comporta la riduzione a una piccola frazione del prezzo
sorgente rispetto a quello pagato dal consumatore finale. Nel caso
della Società valli del Bittoche
commercializza l'ex bitto storico, ovvero lo storico ribelle, il
prezzo sorgente è dichiarato (nonostante la crisi e la deflazione è
rimasto da anni pari a 15-16€ per kg di formaggio fresco consegnato a
fine alpeggio alla Casera di Gerola). A differenza di una bottiglia di
vino, però, che deve essere solo mantenuta in un ambiente idoneo, il
formaggio non è un prodotti finito. Non solo perde peso ma richiede
frequenti raschiature che, in una cantina naturale come quella di
Gerola, possono divenire molto frequenti in caso di tempo piovoso molto
umido con forte sviluppo di muffe sulle superficie delle forme. In ogni
caso pulito e rivoltato quasi ogni giorno nei primi mesi e comunque più
di una volta la settimana in seguito.Vi è quindi una fase di vera e
propria 'produzione' che segue l'acquisto del prodotto da 1-2 mesi sino
alla commercializzazione
. Ciò nonostante il prezzo corrisposto al produttore è 'trasparente'.
Come sono trasparenti i costi e i ricavi della Società che , in quanto
spa, è tenuta a depositarli presso la Camera di commercio dove tutti
possono chiedere le visure online.
Prìncipi = i
Prìncipi delle
Orobie rappresentano un'associazione di formaggi orobici:
storico
ribelle, branzi ftb, agrì di Valtorta, stracchino all'antica,
formaggi di capra orobica, strachitunt. L'associazione, sorta
in seguito ai contatti tra Paolo Ciapparelli e alcuni esponenti del
mondo caseario brembano, persegue forme di promozione connesse con la
valorizzazione turistica, in particolare escursionistica, del
territorio. Il presidente è Alvaro Ravasio, di Taleggio, esponente
dello strachitunt della val Taleggio e dell'azienda CasArrigoni.
Priùla
= Una delle vie commerciali che hanno contribuito alla costruzione
della rinomanza del bitto/branzi e, concretamente, a farne un prodotto
di commercio a lunga distanza, sino a raggiungere Venezia.La via prende il nome da Alvise Priuli, Podestà e
Capitano di Bergamo. Egli fece realizzare la nuova via in tempi
rapidissimi, tra il 1592 e il 1593. Fu un'opera importante perché
coincise con l'apertura di una via di traffico commerciale
internazionale consentendo il trasporto con piccoli carri laddove prima
potevano transitare con difficoltà solo i muli (lungo l'antica via
mercatorum). A parziale consolazione va osservato che, in analogia con
le attuale italiche costumanze in materia di opere pubbliche già ai
tempi di Priuli si verificava lo 'splafonamento' dei preventivi (da
2.000 a 8.200 ducati). Ma veniamo all'importanza storica rivestita a
lungo dalla nuova Via. La sua realizzazione corrispondeva ad una
esigenza strategica: evitare che le merci tra il centro-Europa e
Venezia transitassero attraverso lo Stato milanese. In precedenza, data
la difficile percorrenza dei vecchi tracciati brembani (che da Averara
risalivano la Val Mora e conducevano verso il Passo di Verrobbio), le
merci da Bergamo si dovevano dirigere verso il Lario utilizzando la
comoda via d'acqua ma sottostando alla pesante tassazione milanese per
poi proseguire per lo Spluga attraverso la Valchiavenna, anch'essa
sotto il dominio Grigione. La via Priùla, però, non ebbe comunque mai
il successo sperato dal suo ideatore e fu importante più per i traffici
locali che per quelli a lungo raggio. Il suo declino avvenne con il
Congresso di Vienna che, unificando con quanto rimaneva dello Stato di
Milano, i territori lombardi precedentemente sotto dominio veneziano e
grigione, decretò la fine dell'importanza commerciale della Via. La
successiva costruzione, per opera dell'Imperial Regio
Governo Lombardo-Veneto della nuova via del Lago di Como e dello
Spluga (anni '20) consentì di percorrere per la prima volta la riva
orientale del Lario e diede il colpo definitivo anche se - sempre in
periodo Lombardo-Venteo vennero eseguiti dei lavori per rendere il
tracciato realmente carreggiabile (terminati, però, nell'ultimo tratto
di discesa a Morbegno, solo a fine Ottocento). Da allora in poi la Via
Priùla tornò ad essere un collegamento di interesse
esclusivamente locale. Negli anni '60 del secolo scorso la
realizzazione della strada carrozzabile del Passo di San Marco ha
ridato una certa importanza (sul piano turistico) al collegamento tra
la Val Brembana e la Valle del Bitto.Alvise Priuli curò direttamente
anche la realizzazione del tratto di strada in territorio Grigione che
dal Passo di San Marco conduceva a Morbegno. Tale opera venne
completata in tempi successivi, ma comunque brevi, dopo il
completamento del tratto brembano. Oltre che alle merci la Via Priùla
rappresentò anche un'autostrada delle mandrie transumanti che si
spostavano ogni anno tra la pianura lombarda e l'alta Val Brembana. I
malghesi (ovvero i proprietari delle malghe, termine tutt'oggi
utilizzato per indicare le mandrie e non gli alpeggi) non solo poterono
raggiungere più comodamente i pascoli sul versante brembano ma
approfittarono della Priùla per affittare alpeggi anche in Val Gerola.
Un capitolo interessante della storia della transumanza e del formaggio
Bitto che vedrà i malghesi brembani caricare gli alpeggi sul versante
valtellinese ancora all'inizio del XX secolo.
Puri (e duri) =
I ribelli del
bitto sono stati definiti in diverse occasioni anche i ‘puri e duri
del bitto’, così Francesco Arrigoni (Corriere della Sera) sin dal 2003
in un pezzo memorabile del Corriere e, quasi contemporaneamente, da
Stefano Mariotti (Cheese Time ora Qualeformaggio). Oggi
tende a prevalere l’identificazione (e l’autoidentificazione) con
‘ribelli’.
Quantità
= L'argomento
sostenuto in tanti anni di 'guerra del bitto' per giustificare la
posizione delle istituzioni, schierate contro i ribelli, è sempre stato
quello della quantità. Vero che diventano 'storico ribelle' solo 1000
forme (altre 1500 sono vendute direttamente dai produttori come 'grasso
d'alpe' con il nome dell'alpeggio) e che le altre, quelle marchiate dop
(che a questo punto diventa una certificazione di 'serie B') sono 70
mila. Se a Natale in Valtellina lo 'storico ribelle' viene venduto al
doppio del bitto dop all'avvicinarsi dell'anno di stagionatura la
forbice aumenta con il bitto dop che, se ci sono scorte da smaltire,
viene venduto a prezzi persino più bassi di quelli dell'inverno dato
che, come gli stessi responsabili del Consorzio hanno certificato in
sede didi 'pace del bitto' (vedi) il dop è da consumere entro un anno.
Lo 'storico ribelle', invece, continua a salire dopo aver raggunto un
anno, due, tre ecc. Non si parla di 'numeri' ma, comunque, di una
'punta' che fa parlare di sé. E crea trascinamento, compensando anche -
e qui c'è tutto il paradosso della vicenda - un'immagine
dell'agroalimentare Valtellinese tutto squilibrato (tolto il comparto
enologico) a vantaggiodella quantità e a svantagio della qualità.
Grazie ai vituperati ribelli o 'trogloditi' che dir si voglia anche il
bitto delle 70 mila forme e il resto del
comparto caseario (caratterizzata da industrializzazioen spinta) può
godere di un differenziale di prezzoper un'immagine di 'montagna',
'tradizione' ecc. che, in buona misura è legata a quelle 1000 forme
ribelli.
Raspa
= La raspa è lama utilizzata per pulire il formaggio; per espensione la
'raspa' è il 'truciolo' di formaggio che si ottiene come scarto.. Il
bitto della tradizione si caratterizza per la forma sempre pulita,
senza 'fioritura' di muffe ma nemmeno trattata con olio. Pertanto solo
la cura viene effettuata rivoltando spesso le forme, con la
strofinatura e la raspatura (con una lama). Un tempo con la 'raspa' e la polenta si preparava una balota che si mangiava in alpeggio dove ogni scarto era utilizzato (anche la muffa era utilizzata, per i maiali).
Resistenza
= Nel caso dei ribelli del bitto le formule della 'resistenza casearia'
e della 'resistenza contadina' sono utilizzate nella loro forma più
piena e
sincera. Sono espressione di una 'resistenza sociale' che si esprime in
forme che vanno oltre il conflitto sociale classico, la protesta,
aperta, le iniziative clamorose, la forma oppositiva, ma che assumono
la forma della prassi quotidiana, della pratica, anche
silenziosa, di modelli alternativi a quelli
dominanti. Iniziò il battagliero periodico Cheese time di
Stefano Mariotti a parlare di R. casearia sin dal 2006, proprio
in corrispondenza della nascita della 'ribellione del bitto'. Cheese time continuò a mantenere una rubrica così intitolata. Slow Food istituì poi il premio R. casearia, consegnato nel 2011, 2013 e 2015, in occasione di Cheese
a Bra. Nel 2013, il Patriarca del bitto (vedi), Mosè Manni, simbolo
vivente del bitto della tradizione è stato insignito del premio con la
seguente morivazione: "Premiamo Mosè Manni per la sua dedizione al
bitto e alla sua valle. Mosè ha 80 anni e conserva un sapere
antichissimo che, come altri grandi produttori delle valli del Bitto,
non ha esitato a trasmettere e a condividere. Con Mosè Manni premiamo
un grande maestro casaro ma con lui rendiamo omaggio anche a tutti i
produttori del bitto delle valli storiche e al loro ultradecennale
impegno per la sopravvivenza delle pratiche produttive tradizionali.
Mosè non ha mai usato i fermenti, non ha mai nutrito con i mangimi, ha
custodito con passione le sue capre orobiche che ogni estate, da quando
era ragazzo, ha guidato alla malga. Oggi ha passato la sua sapienza
alla nipote, per dare ancora un futuro al bitto della famiglia Manni."
Ma cos'è questa resistenza? Qualcosa di romantico? di fanatico? Macché,
è la condizione di sopravvivenza dell'agricoltura per non essere
(completamente) inglobata nella dimensione e nella logica industriale.
Dice Terry Mardsen (2007), che con van der Ploeg rappresenta quanto di
più autorevole esprima la sociologia rurale (rural
studies per gli anglofoni). "It's necessary to create a radical
rupture with the agri- industrial processes. Agriculture must in a
variety of ways, attempt to find new political, social and ecological
platforms and spaces to distinguish itself from the conventional
modernization processes that intend to continue to devaluate its
base". Se non è chiaro cosa significhi "devaluate its base" è
sufficiente riflettere sul latte a 30 cent e sul formaggio a 3-4 € a
togliere ogni dubbio. I ribelli del bitto danno un maledetto fastidio a
tanti (nelle imprese agroindustriali, nelle istituzioni della politica,
nelle agenzie parapubbliche, nelle burocrazie e nelle accademie) perché
dimostrano che retrogradi sono i "modernisti", gli industrialisti. La
resistenza contadina - incarnata dai ribelli del bitto - non è una
forma di reazione, un'opposizione esclusivamente “difensiva” alla
modernizzazione agricola. Non li combattono certo perché siamo perdenti
(li lascerebbero morire da soli).
Retroinnovazione = Una forma di innovazione che si è affermata sia in agricotura che nell'industria.
Essa rappresenta la forma specifica di innovazione in un contesto di
resistenza rurale, ma la troviamo diffusa anche nel campo industriale,
per esempio riproponendo oggetti di consumo caduti in disuso associati
a nuove tecnologie. Un mix di nuove tecnologie e memoria. Una
retro-innovazione è lo sviluppo di conoscenza e competenza, che combina
elementi e pratiche dal passato con il presente e configura questi
elementi per nuovi e futuri propositi e si basa fondamentalmente
sulla conoscenza contestuale (Stuiver, 2006). La
retro-innovazione valorizza la specificità culturale-storica-ecologica
rappresentando uno strumento potente di differenziazione dai prodotti
standard. Un modo, in soldoni, per "chiamarsi" fuori dallo
stritolamento del mercato globale. Lo 'storico ribelle' rappresenta un
campione di retro-innovazione, un caso da manuale. La retro-innovazione
dello “storico” ha riguardato: il ripristino delle pratiche
pastorali e delle strutture casearie tradizionali, la valorizzazione
dei saperi contestuali, ovvero il 'saper fare' del casaro e del pastore
nel contesto di una comunità di pratica', la valorizzazione delle
risorse naturali (il 'culto dell'erba'), la biodiversità culturale (le
razze autoctone, la stagionatura in condizioni di microclima non
controllato artificialmente (una pratica onerosa che si giustifica solo
se le forme che arrivano in cantina sono "retro-innovate", di elevata
qualità all'origine e se ad esse vengono applicate cure attente,
competenti, assidue, time-consuming).
Ribaltonisti
= I ‘ribaltonisti
del bitto’ sono i due ex sindaci di Albaredo e Gerola alta
(rispettivamente Patrizio Del Nero e Fabio Acquistapace). Nel 2005,
dopo aver sostenuto, con apparente entusiasmo, la causa del
produttori storici, Patrizio Del Nero ha cambiato fronte: ha fatto
aprire ad Albaredo una succursale della Latteria sociale
Valtellina ed è diventato direttore del Multiconsorzio
(oggi sciolto) che riuniva le dop e le igp della provincia.
L'Acquistapace, siindaco di Gerola dal 2003 al 2013 aveva esordito come
consigliere di opposizione nel 1994 con la lista Lega Nord . Era stato
eletto Paolo Ciapparelli che, per seguire la vicenda del bitto, aveva
lasciato il posto all'Acquistapace. Nel 2010 il sindaco di Gerola era
stato protegonista di in un accordo-ribaltone in Comunità montana
alleandosi con Del Nero. Da questa alleanza avrebbe dovuto
scaturire (come annunciato sulla stampa locale) una 'pace del
bitto' (sulla pelle
dei produttoti che erano all'oscuro di tutto). Dopo aver caldeggiato
(gennaio 2010) un primo tentativo di accordo
con la Camera di commercio (che avrebbe comportato la cessione della
gestione della casera), quando era ancora in carica come sindaco,
l'Acquistapace, nel 2011 tentò,
da azionista di minoranza, di sfiduciare Paolo Ciapparelli, il
presidente e fondatore della Società valli del bitto.
Nel
maggio 2016, in occasione dell'assemblea della società, ha rinnovato
pesanti attacchi facendo leva sull'esito negativo della 'pace del
bitto' e sull'incapacità di trovare un accordo con il comune (che ,
guidato dalla sorella, ha respinto, all'inizio dello stesso 2016, a
una proposta di accordo complessivo tra la Società valli del
Bitto e l' amministrazione
comunale).
Ribelli/Ribelle
= Dal 2005/2006,
in concomitanza con la rottura definitiva con il Ctcb i produttori
storici, che, in precedenza svolgevano un ruolo di dissenso e
contestazione all'interno del consorzio ufficiale, vengono sempre più
spesso definiti ‘ribelli del bitto’. Ribelli
del bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva
è anche il titolo del volume, autore Michele Corti, edito da Slow
Food nel 2011. In precedenza erano stati anche qualificati come
‘i puri e duri del bitto’. Da allora nelle cronache il termini
'ribelli' non è stato più abbandonato. Parallelamente ci si
riferisce sempre più frequentemente al bitto dei ribelli come al
'bitto ribelle'. Richelieu
= Il Richelieu della vicenda ventennale dei ribelli del bitto è
facilmente identificabile nel dott. Marco Deghi, direttore della
Latteria sociale Valtellina di Delebio. Armand-Jean
du Plessis duca di Richelieu, noto soprattutto come cardinale Richelieu
è stato un cardinale, politico e vescovo cattolico francese. Fu
nominato primo ministro dal re Luigi XIII di Francia. Ci si riferisce
da secoli a Richelieu come a un politico abile, che detiene le
vere leve del potere ma che manovra senza venire allo scoperto, con
grande abilità... cardinalizia .
Rilevatari = vedi Cargamuunt
Sagra = La
‘sagra del bitto’
si svolge dagli anni ’80 del secolo scorso a Gerola alta in un fine
settimana della prima metà di settembre. Fa parte del circuito delle
sagre tradizionali valtellinesi ed è caratterizzata da rievocazioni
in costume del gruppo tradizionale dei Giaröi . Con la
rottura tra produttori storici e Ctcb la sagra era diventata l’evento
di riferimento dei ribelli del bitto che disertano la Mostra del
bitto. Anche la sagra, però, ha conosciuto i contraccolpi del
mancato sostegno del comune di Gerola ai ribelli. Nel 2010, dopo che
sui giornali era apparso l'annuncio di una 'pace del bitto' (di cui i
produttori erano del tutto all'oscuro), erano stati invitati gli
amministratori dei Albaredo, comune confinante che aveva assunto dal
2005 una posizione contraria ai ribelli e che aveva aspramente
polemizzato con lo stesso comune di Gerola, definendo il Centro
del Bitto “una cattedrale nel deserto”. Per protesta contro
le manovre trasformistiche in atto i caricatori d'alpe storici,
presente il presidente della provincia, rifiutarono quell'anno di
ricevere i premi. Negli anni successivi vi sono state fasi alterne di
riavvicinamento e allontanamento tra ribelli e organizzatori della
sagra . Nel 2016, nel clima deteriorato dei rapporti con il comune di
Gerola (e la pro loco che ne segue la linea) alcuni dei produttori
storici, pur in assenza di un boicottaggio da parte della loro
associazione, non hanno partecipato alla premiazione.
Santuario =
Il ‘santuario del
bitto’ (definizione che si alterna a quella di 'museo') è il nome
con il quale sempre più frequentemente viene denominata la casera
(naturale) di stagionatura dell'ex bitto storico (oggi 'storico
ribelle') che sorge a Gerola alta. All'interno del 'santuario' si
ammirano centinaia di forme in dedica, vergate a mano con inchiostro
di mirtillo e spesso recanti disegni che richiamano in qualche modo
gli ex-voto. Non mancano forme decorate da artisti. Il carattere del
santuario è rafforzato dalla presenza di cimeli (ricordi di
personaggi della storia del bitto, targhe, diplomi, pergamente) , la
'galleria dei giusti' con le forme dedicate agli 'amici del bitto'.
C'è anche il sancta sanctorum,
il sacello con le forme più
preziose a completare l'analogia. I visitatori firmano un registro dove
possono lasciare per iscritto le loro impressioni e i loro commenti.
Come in un museo.
Scagliatura
= I formaggi duri come il grana, quando stagionati, si porzionano a
scaglie utilizzando appositi coltelli con lama cuoriforme.
Tagliati con un normale coltello si frantumano in frammenti irregolari
di diversa dimensione, alcuni troppo piccoli per costituire un boccone.
Nello 'storico ribelle' in considerazione del tenore di grasso elevato
(è ottenuto da latte ad elevato tenore di grasso senza alcuna
scrematura) e della natura dei grassi (basso fondenti in ragione
dell'alimentazione a base di sola erba di pascolo) la pasta si mantiene
sorprendentemente'semidura' anche dopo 4-5 e più anni anni di
invecchiamento tanto che la lama del coltello riesce a dividere
porzioni dalla superficie regolare. Un risultato legato ovviamente ad
una adatta tecnica di lavorazione che
differenzia lo 'storico ribelle' da formaggi a pasta dura come il grana
e lo sbrinz (minore acidificazione della pasta (uso del siero
innesto, acidità del latte lasciato a sostare per la parziale
spannatura) e cottura a temperatura molto elevata (55°C contro i 51°C
al massimo dello 'storico-ribelle').
Scalzo
=
Lo scalzo (o 'corona'), equivale all'altezza della forma di formaggi, è
molto caratteristica nello 'storico ribelle' che l'ha ereditata dal
bitto/branzi della tradizione. Alto 8-10 lo scalzo non è però diritto
ma concavo e con spigoli piuttosto vivi. Una simile forma è condivisa
con il bitto dop, il branzi FTB, la fontina, il beaufort e l'abondance,
ovvero con i formaggi grassi d'alpe della Savoia e della valle d'Aosta.
Per quale motivo questi formaggi
hanno lo scalzo concavo? Non è facile rispondere ma si può pensare che
sia legata alla facilità di trasporto. Una forma con scalzo concavo può
essere facilmente legata con una corda e appesa. Rispetto ad uno scalzo
convesso la forma ha il vantaggio di poter essere mantenuta in piedi
appoggiata sullo scalzo.Indipendente dal motivo lo scalzo concavo è un
elemento di identità importante. Non sempre le forme mese in fascere di
legno di larice tradizionale
'riescono' con uno scalzo marcatamente concavo e a spigoli vivi. Il
legno si usura e la convessità della fascera si riduce. Meglio un bello
scalzo tipico ottenuto con una fascera di plastica? I vecchi casari
dicono di no. Il legno (vedi) sino a pochi anni fa criminalizzato da
igienisti e tecnologi è stato rivalutato. Uno dei motivi la capacità di
assorbire l'umidità. Messa in fascere di plastica la pasta (la cagliata
estratta dalla culdera) presenta
una superficie bagnata e quindi possibili iniziali alterazioni. La cura
delle fascere e la loro regolare sostituzione potrebbero però garantire
una forma più regolare e riconoscibile come merita un formaggio
prezioso come lo 'storico ribelle'.
Secessione
= Forse
in qualche richiamo alla secessione che ha accompagnato alcuni dei
passaggi più di rottura della storia dei ribelli del bitto c'è qualche
eco del leghismo 'vecchia maniera', quello cui facevano riferimento
Ciapparelli, e non solo lui, prima che la Lega arrivasse alla
presidenza della provincia nel 2004 schierandosi con le lobbye
'scaricando' i ribelli. Di 'secessione del bitto' con la prospettiva di
'ritorno alla
bergamasca' si è parlato in più occasioni anche nei titoli di giornale.
A Sondrio in modo sbalordito, a Bergamocon malcelata soddisfazione. La
'secessione' dalla Valtellina ha significato per il bitto ribelle
ricordare che il bitto è nato orobico e che solo
per via dell'arroganza e dell'ignoranza di chi occupa le istituzioni è
divantato 'pansondriese' con una decisione a tavolino. Una decisione
che ignorava non solo la storia ma anche quello che allora era il
presente (le iniziative per 'esportate' la tecnica di produzione del
bitto, inviando come casari itineranticasari del bitto come Eliseo
Manni - il fratello di Mosè - e Alfredo Mazzoni, furono attuate dopo il
riconoscimento della dop). Non c'è mai stata nessuna secessione dalla
Valtellina perché il bitto
della tradizione è sempre stato orobico quindi bergamasco e lecchese.
Di fatto, però, c'è stata, in occasione di più edizioni, la presenza
dei ribelli del bitto alla Fiera di San Matteo a Branzi, c'è stata
la formazione dell'associazione formaggi Princi delle
Orobie, sono nate diverse iniziative nate sul terreno dell'incontro tra
valli del Bitto e Valbrembana (Associazione capra Orobica e relativo Presidio Slow Food Associazione allevatori lombardi bruna originale, nate nel 2015). Tornare
alle Orobie per i ribelli del bitto significa anche tornare a
valorizzare il rapporto con la città a nord delle Orobie, la città del
torrente e del formaggio bitto, oltre che continuare a recupere il rapporto con la città orobica per definizione: Bergamo.
Seriana (val)
= Il bitto/branzi è fortemente legato alla val Brembana, a parte della
Valsassina e Valvarrone e alle valli orobiche valtellinesi ma
l'affresco di Clusone (vedi: 'antenato') e una pala di San Lucio
(patrono dei casari) nel santuario dei bergamini della Madonna della
Grazie a Lantana (una località di origine dei bergamini di Dorga in
comune di Castione della Presolanaci dice che un tempo (sino al XVIII
secolo o anche oltre?) il bitto veniva prodotto anche dai bergamini che
caricavano in val Seriana e val Borlezza. Se è vero che la val
Seriana e la val Borlezza oggi si sono orientate alle meno
impegnative ‘formaggelle’, è anche vero che la tecnica del formaggio
semigrasso (ma anche grasso) è, ancor oggi, tutt’altro che
ignota. E c'è da supporre era molto più comune e perfezionata quando
gli alpeggi erano caricati dai più esperti casari bergamini. Essi a
Castione (ma in molte altre località) avevano il monopolio degli
alpeggi tanto è vero che all'inizio del XX secolo i 'casalini' (i
piccoli allevatori stanziali per poter alpeggiare dovevano recarsi sino
in Szittera tanto era forte la 'fame di alpeggi' e la domanda sostenuta
dai bergamini. Era, però, più in auge nel passato. La pala
settecentesca raffigurante San Lucio - patrono dei casari e degli
alpeggi - presenta un angiolo-putto che sorregge una maestosa forma di
quello che appare inequivocabilmente come ‘bitto’, dallo scalzo,
dal colore della pasta, dalla scagliatura della stessa, un bitto
pregiato di almeno due anni di affinamento. Inutile sottolineare che la
pala è il frutto del mecenatismo dei ricchi bergamini locali. Il
bitto è orobico ma se teniamo conto del numero (certo) di alpeggi che
lo producevano in val Brembana a inizio XX e del fatto che, in
precedenza, fosse prodotto anche dai bergamini che caricavano le valli
più a Est bisognerebbe concludere che è certo più bergamasco che
valtellinese.
Sfoglia=
La pasta all’interno presenta fessurazioni tra loro parallele mentre
all’esterno non si nota alcuna alterazione. Completamente diverso dalle
cavitazioni che si producono per azione di fermentazioni con produzioni
di gas. È un difetto, non frequante nel caso dello 'storico
ribelle' normalmente imputabile al casaro dal momento che nel
nostro formaggio la lavorzione segue immediatamente la mungitura e non
vi è il rischio di eccessiva acidificazione del latte prima
dell'aggiunta dl caglio né di rapida acidificazione del latte in
caldaia per aggiunta di fermenti.. Le cause sono da ricercare in
una pasta troppo disidratata
e demineralizzata (poco elastica) che non si tiene insieme. Alla base
vi è un'eccessiva acidificazione della
pasta per un eccesso di caglio, una coagulazione troppo
prolungata, un eccesso di spurgo, una salatura troppo prolungata,
correnti d’aria e variazioni di
temperatura nei locali di stagionatura. Può comportare alterazioni del
gusto.
Simboli =
Simboli ma anche ‘guardiani del
bitto’, 'numi tutelari' o 'spiriti guardiani' (in
assonanza con altre mitologie) sono simboli, tra il mito e la storia,
che
svolgono il ruolo di protezione dei ribelli del bitto: l’Homo
selvadego è il più interessante perché affonda la sua leggenda
in tempi preistorici, ma sono suggestivi (e pieni di significati reali)
anche i pastori-guerrieri celti, gli antichi malghesi
transumanti (i bergamini) ma anche la capra orobica, il pizzo dei Tre
Signori, lo
stesso patriarca del Bitto (Mosè).
Società = (1) Nel 1908
si formò, su impulso della Cattedra ambulante di agricoltura,
la Sociètà caricatori d'alpe di Morbegno che, nell'anno
successivo inaugurò la Casera sociale, capace di 3 mila forme
. La Società si prefiggeva la gestione della casera al fine di
valorizzare meglio il prodotto evitando la necessità di venderlo subito
a fine alpeggio ai commerciannti per mancanza di luoghi idonei ove
conservarlo. Si prefiggeva anche di curare il continuo incremento"
della "fiera annuale di formaggi di Morbegno" e di "far conoscere con
opportuna pubblicità sia all'interno che all'estero il formaggio grasso
tipo Bitto". (2) La Società valli del Bitto trading spa
(questo il nome, con quel trading
poco azzeccato in verità, che la caratterizzava sino al 18 dicembre
2016) ha
rappresentato e rappresenta il 'braccio commerciale' ('il braccio
armato' , se si preferisce un'espressione più immaginifica) dei ribelli
del bitto. Fondata
nel 2003 da Paolo Ciapparelli, con alcuni amici entusiasti, tra i quali
non si può fare a meno di ricordare almeno il Gino (Cattaneo) patron de
la Brace di
Forcola, si è gradualmente
estesa a professionisti, imprenditori, semplici cittadini interessati
a sostenere il bitto della tradizione. Tutti appassionati e ferventi
sostenitori della causa. Questa 'fede' non poteva essere certo prevista
dai nemici del bitto ribelle (capaci di ragionare solo in termini
guadagno). Oggi la Società conta 130 soci, per lo
più residenti tra la Valtellina e la Brianza. Cinque caricatori/casari
del bitto ribelle sono soci. Dal dicembre 2016 la Società ha
cambiato la denominazione (e lo statuto) in conformità alla legge
sulle società benefit (società che perseguono oltre all'utile
economico precise finalità ambientali e sociali). La nuova
denominazione è Società valli del
Bitto spa benefit.
Spaccature
e fessurazioni della crosta = Compromettono
la conservazione e la presentazione del formaggio. E’ un difetto di
origine tecnologica che si origina nel corso della stagionatura. Le
forme colpite presentano screpolature sulla crosta e/o spaccature
superficiali visibili, profonde 2-3 cm che possono riguardare anche
la pasta. Le cause, come per la 'sfogliatura' (vedi) vanno ricercate principalmente in una
demineralizzazioneeccessiva della cagliata che la rende poco elastica.
Una circostanza
dovuta a latte troppo acido in partenza o a una successiva eccessiva
acidificazione o anche ad una dose di caglio eccessiva. Possono però
derivare anche dalle condizioni dei locali di conservazione con
temperature e umidità non idonee. Un problema che, nella fase di
stagionatura in alpeggio, può presentarsi anche nello 'storico ribelle'
in annate sfavorevoli e in quelle casere che sono state ristrutturate
senza rispettare fli elementi tradizionali. La disidratazione troppo
veloce della
superficie del formaggio (umidità troppo bassa della cantina e
presenza di correnti d'aria) dissecca la parte superficiale formando
precocemente la crosta ed impedendo quindi la perdita di acqua
all'interno della pasta. Una circostanza che causa un'eccessiva
attività fermentativa negl strati di pasta sottostanti con
produzione di gas e l'esercizio di una pressione dall'interno verso
l'esterno (nel gonfiore tardivo, invece, le spaccature dovute alla
formazione di gas si verificano al centro stesso della forma).
Storico = Si
indicava come
‘bitto storico’ il bitto prodotto dai ribelli del bitto tra il
2010 e il 2016; la denominazione è stata ufficializzata con la
costituzione del Consorzio
salvaguardia bitto storico (avvenuta il 4 giugno 2010). Nel
2016, a seguito del
fallimento
dell'accordo con le istituzioni siglato nel 2014, e al venir meno di
qualsiasi prospettiva di soluzione legale e concordata della 'guerra
del bitto', la Società valli del
Bitto depositò alla Camera
di commercio di Lecco il nuovo nome 'storico ribelle'.
Tartano (val)
= Sul versante valtellinese la val Tartano, che si divide in val Lunga
e val Corta, era di gran lunga la valle più rappresentativa della
produzione del bitto. la val Tartano conferma che il bitto è legato ai
bergamini, era, infatti terra di transumanza (sino al XIX secolo
attraverso i passi perché non esisteva la strada del Lario orientale e
non era agevole neppure scendere nel fondovalle dell'Adda). Lo
dimostrano ampiamente le ricerche di Natale Arioli su documenti
risalenti al XVI-XVII secolo. Nelle carte studiate da Arioli emerge un
gran numero di toponimi legati alla val Tartano: alpeggi ('monti') per
lo più, ma anche contrade: Aralli/Aralle (Arale), Prati Oles (Pra de
Ules), Zochada (Zoccada, Sciucada). I cognomi di bergamini
tartanesi citati sono Tirinzoni, della Quarta, Fondrini/Sfondrina (uno
dei cognomi bergamini più diffuso nella bassa milanese e lodigiana),
Mainetti, Gusmaroli/Gusmarollo/Gusmarolo, Goglio. A volte questi
bergamini li troviamo a Milano per affari, rogiti, testimonianze in
tribunale. Nel Novecento, come testimonia Giovanni Bianchini (G.
Bianchini) Gli alpeggi della Val
Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei
pascoli alpini. Sondrio, Tip. Mitta, 1985 i bergamini sono un
ricordo anche se ben presente. La tradizione della produzione dello
stracchino (l'altra faccia del pianeta caseario dei bergamini) in
Tartano è un chiaro lascito dei bergamini. A Tartano la cessazione
della transumanza non ha determinato la fine della cultura del bitto
che è proseguita sino i tempi recenti. Rispetto alla Valgerola, però,
sono stati 'dismessi' prima i calecc'
e poi si è verificata una crisi verticale cui
l'alluvione del 1987 ha dato un duro colpo. Oggi sono pochi gli alpeggi
caricati con vacche da latte e solo in questi ultimissimi anni si
riparla di bitto. Pienamente all'interno dell'area storica la val
Tartano potrebbe, se qualche caricatore seguisse il metodo di
produzione dello 'storico ribelle' entrare a pieno titolo all'interno
del gruppo.
Tecnica = Ciò
che ha consentito l'affermarsi e il consolidamento del 'formaggio della
valle del Bitto', quella che è stata, almeno in parte conservata (al
duro prezzo di una conflittualità ventennale), non è tanto una
'tecnica', tantomeno una 'ricetta', una serie di dettagli tecnici che
nel tempo hanno subito variazioni (vedasi la temperatura di cottura
della cagliata, l'aggiunta o meno di zafferano, l'uso dell'olio di lino
per il trattamento delle forme). Quella che ha contato nella storia del
bitto è un insieme di pratiche, strutturate e coordinate tra loro da
una specifica cultura, dal patrimonio di una comunità di pratica che è
stata in grado di tramandarla. La 'tecnica' di caseificazione è
espressione di una 'cultura del bitto' che comprende la gestione del
pascolamento, la 'coltivazione' del pascolo attraverso il governo del
bestiame, la presenza di strutture specifiche (i calécc', i barech)(vedi). La 'tecnica' di caseificazione rappresenta un anello di una catena.
Molto prima che iniziassero le polemiche sull'estensione dell'area di
produzione del bitto dop o sulla 'modernizzazione' della tecnica di
produzione Giovanni Bianchini che da ragazzo aveva vissuto dall'interno
la realtà degli alpeggi da bitto della val Tartano, scriveva -
anticipando considerazioni che i 'ribelli del bitto' non hanno mai
cessato, sino ad oggi, di rimarcare:
La fabbricazione del vero Bitto
comporta [...] una tecnica complessa e raffinata, che esige dal
casaro intelligenza e grande competenza, perché vanno tenuti
presenti elementi di difficile determinazione, inerenti alla
qualità del latte, qualità che può derivare da diverse cause: la qualità dell'erba che le
mucche hanno pascolato, la quale - come è stato detto - può
variare da alpeggio ad alpeggio e da zona a zona dello stesso
alpeggio ed anche da «pasto» a «pasto»;
il periodo della stagione,
poiché, col progredire di questa, diminuisce il tasso di grasso nel
latte;
la situazione metereologica, in
rapporto alla temperatura e alle precipitazioni atmosferiche;
l'affaticamento
delle mucche per recarsi al pascolo e ritornare a barek,
come pure durante il pascolo .
In base a questi elementi, il
casaro esperto varia la temperatura del latte, per la cagliata, la
grossezza dei grumi della cagliata triturata, la grana, e la
temperatura da dare a questa, che è la temperatura della cottura,
che dev'essere anche in rapporto diretto alla quantità del
latte, quindi, più elevata, se il latte nella caldaia è
abbondante. Verso la fine della stagione, se giudica che il latte è
eccessivamente grasso, lo diluisce leggermente con una quantità di
acqua corrispondente al 3-4% del latte.
(G. Bianchini,
Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi.
Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini.
Tip. Mitta, Sondrio, 1985, p. 33).
Tempio = È
conosciuto come ‘tempio del bitto’ lo storico negozio dei
fratelli Primo (deceduto nel settembre 2016) e Dario Ciapponi che
sorge in piazza 3 Novembre, a Morbegno. Più
propriamente la definizione di ‘tempio del Bitto’ è riferita
alle profonde cantine dove sono conservate e messe in vendita le
forme di bitto dop e di grasso d'alpe. L'importanza che ha assunto la
produzione ottenuta con mangimi e fermenti fa, confusa con quella che
si attiene al metodo tradizionale. Il 'tempio del bitto' , nonostante
l'appannamento del suo prestigio, conserva la sua fama per gli
innegabili meriti storici dei fratelli Ciapponi che, da oltre mezzo
secolo, hanno valorizzato il bitto portandolo a stagionature di dieci
anni. Territorio/i
= I ribelli del bitto quando hanno compreso che il territorio dove
aveva preso origine la loro vicenda (la Valgerola, le valli del Bitto,
la bassa Valtellina) era troppo condizionato dal peso delle
amministrazioni e dei poteri locali, pur mantenendo salda la finalità
di un'azione diretta allo sviluppo del territorio stesso e alla
valorizzazione del suo patrimonio (principi sanciti nel nuovo statuto
della Società valli del Bitto, approvato dall'assemblea straordinaria
del 18 dicembre 2016), hanno capito che dovevano guardare a un
territorio più ampio, alle Orobie in quanto matrice della cultura e
della storia del bitto della tradizione. Dal 2011 hanno iniziato
a guardare con sempre più interesse verso la Valbrembana e a
Bergamo ricambiati da affetto, attenzione e simpatia.. Hanno
partecipato a diverse edizioni della Fiera di San Matteo a Branzi, e a Gourmarte alla Fiera di Bergamo e molto attivamente alla formazione dell'associazione dei formaggi Principi delle Orobie (2015). Nel 2016 sono stati tra i fondatori della rete Territori del cibo, costituitasi a Gandino, in Valseriana.
Torrente = È
il torrente Bitto
con i suoi rami di Gerola e di Albaredo a dare il nome alla valle e
quindi, indirettamente, anche al formaggio.
Traditori =
'Traditori del bitto'
(o 'disertori') sono stati definiti - più ironicamente che con astio - quei casari e caricatori delle
valli del Bitto
che, nel 2005, al momento del ‘grande strappo’ tra produttori
storici e Ctcb per incapacità di resistere alle pressioni hanno
preferito ‘tornare all’ovile’ e restare nel Consorzio
ufficiale. Una limitata defezione (Alpe Pescegallo Foppe, casaro
Michele Lombella, che ha preferito schierarsi con il comune, il
proprietario del'alpeggio) si è avuta anche nel 2016 quando
si è verificata la rottura definitiva tra i 'ribelli' e le
istituzioni locali con l'abbandono del nome bitto.
Tregua = La
guerra del bitto ha conosciuto diverse tregue. Nel 2003 veniva ottenuta
l'ufficializzazione del marchio Valli del Bitto e ci fu un breve
periodo di 'pace' con la partecipazione dei 'tradizionalisti' alla Mostra del Bitto del 2004 con due
conorsi separati. Nel 2005 e nel 2006 i 'tradizionalisti' ormai ribelli
boicottarono la Mostra del bitto.
Vi tornarono nel 2007 in occasione del centenario della prima Mostra.
Poi basta. Nel 2014/15 la 'guerra' è stata congelata in attesa
dell'accordo del novembre 2014 e poi ancora per qualche mese
nell'attesa (vana) dei suoi effetti. Non vi fu neppure il rientro alla Mostra del bitto nell'anno
dell'Expo.
Trogloditi =
I
'trogloditi' del bitto della tradizione sono diventati una delle
immagini più frequantate nelle accese polemiche tra modernisti, succubi
del regime agroindustriale, e ribelli. Quando scoppiarono le prime
scaramucce interne al consorzio la cultura industrialista godeva ancora
di prestigio, quella tradizionale era svalutata come retaggio di
retrogradi incapaci di abbracciare la modernità. Non c'erano ancora i
Presidi Slow Food ma nemmeno gli ogm e non c'era ancora stata la vacca
pazza. Essere tradizionalisti era eroico allora e si deve nutrire molta
ammirazione per chi,come Paolo Ciapparelli, spalleggiato da giovani
produttori e casari ribelli come Giuseppe Giovannoni e Alfio Sassella
sosteneva fiammeggianti polemiche con il 'blocco granitico'
del'establishment . Ma anche per chi come Mosè Manni e la sua famiglia,
indifferenti agli
sfottò dei colleghi 'modernisti' continuavano a gestire l'alpeggio, a
lavorare il latte, ad alimentare gli animali come avevano imparato a
fare dalle generazioni precedenti. La loro è una forma di moralità
implicita - che non viene trasmessa con insegnamenti orali né tanto
meno scritti, che li lega, in sintonia con una cultura che risale al
neolitico, ad una responsabilità di accudimento agli animali, al
pascolo, alla natura. I Manni, che per ragioni famigliari non
potranno più caricare l'alpe nel 2017, possono vantare una catena
di generazioni di casari. Però gli ultimi arrivati che si sentivano
intelligenti perché seguivano acriticamente i consigli (non certo
disinteressati) degli apparati tecnici e burocratici del regime
agroindustriale, non esitavano a dileggiarli ferocemente. Forse si
lavavano qualche volta in meno ma il loro pascolo era 'net',
pulito, accudito mentre gli 'evoluti', i 'moderni' in pochi anni hanno
degradato enormi superfici sia non utilizzandole (perché scomode) sia
eutrofizzandole con l'eccessivo carico e con i mangimi che trasfomano
le superfici dove di munge e si distribuisce il mangime da pascoli a
'toilette delle mucche'. 'Trogloditi' era una dei complimenti più
educati rivolti ai Manni e agli altri 'retrogradi' ostinati che osavano
anche fare della loro aretratezza, della loro cocciutaggine, una
bandiera. Pensavano di offender, insultare, demoralizzare. Invece
'trogloditi del bitto' è diventata una bandiera. Ad ogni successo dei
'trogloditi dei ribelli era immancabile il sarcasmo; quel 'trogloditi'
veniva rimandato al mittente. E il mittente ha dovuto masticare amaro.
Trona = 1) La Bocchetta di Trona a 2092 m mette in
comunicazione la Valgerola con l'alta Valvarrone (e con la Valsassina).
Punto di passaggio importante sulla 'via del bitto'.2) L'alpe Trona soliva ha
visto la presenza, sino al 2014, del patriarca del bitto, Mosé Manni.
In nessun altro alpeggio come a Trona soliva venivano utilizzati tanti calecc' ed erano visibili i segni
(strutture pastorali, sistema di pascolamento). Un vero 'patrimonio
dell'umanità', una testimonianza organica e quasi intatta delle antiche
culture pastorali, un caso unico in Europa che è stato oggetto di una
tesi di archeologia (autrice Yolanda Alther), dell' Università di
Zurigo dal titolo molto significativo:
L'ultima alpicoltura multifunzionale tradizionale.
Usurpazione = Se a proposito delle modalità con le quali è stata istituita dal dop bitto si è parlato di 'esproprio' senza indennizzo (vedi) con il 'bitto storico' sono avvenute delle vere e proprie usurpazioni. Alcuni
commercianti spregiudicati hanno utilizzato la denominazione 'storico
ribelle' che era legata al Presidio Slow Food senza in alcun modo
appartenere ad esso ma contando sul fatto che la Società valli del Bitto e
il Presidio non avrebbero potuto difendere legalmente una denominazione
'a rischio' (dopo un parziale rientro nel sistema dop nel 2010, in
seguito nessun produttore 'storico' si è più assogettato ai controlli
previsti dalla dop) in attesa di trovare una soluzione legale (che non
è mai arrivata). Così in modo plateale le cantine Innocenti di Ardenno,
che hanno per anni venduto su internet 'bitto storico', e - in forma
più discreta - la F.lli Ciapponi di Morbegno hanno utilizzatola
reputazione del 'bitto storico'. Il colmo si è raggiunto quando,
sfruttando la buona fede dell' AIS (associazione italiana sommelier)
dell'Umbria, nel marzo 2016 è stata organizzata una fantomatica
"degustazione verticale di bitto storico" con prodotto (anche di
discutibile stato di conservazione) fornito da Innocenti. Di fronte a
questi episodi è stato accelerato il cambiamento di nome a 'storico
ribelle' che non essendo esposto agli strali della legge sulla tutela
delle dop ed essendo un marchio aziendale depositato è legalmente
difendibile. Vi sono stati, probabilmente in buona fede, alcuni
tentativi (da parte di almeno due aziende valtellinesi) di mettere in
vendita dello 'storico ribelle' ma sono rientrati immediatamente quando
è stato spiegato che senza una fattura di acquisto di 'storico ribelle'
dalla Società valli del bitto che è titolare del nome commerciale, si incorre in una frode commerciale.
Valli = Valli
per antonomasia nel
caso del bitto sono, ovviamente, le
valli del Bitto (sino al XIX secolo, però, prevaleva l’uso al
singolare). Esse sono rappresentate dai due solchi vallivi incisi
dal
torrente Bitto che sbocca a Morbegno. 'Bitto valli del Bitto' è
la denominazione utilizzata dai produttori storici (i 'dissidenti'
poi 'ribelli') sino alla costituzione del Consorzio salvaguardia
bitto storico (4 giugno 2010).L'Associazione
valli del Bitto
marchiava a fuoco le forme 'Valli del Bitto'. Dal 2003 questo marchio
era stato riconosciuto dalle istituzioni provinciali ma esso è stato
abbandonato nel 2006 a seguito di diffida da parte del Ministero
delle politiche agricole nel clima di rifiuto da parte dei ribelli
delle modifiche 'modernizzatrici' del disciplinare del bitto dop
volute dal Ctcb.
Varrone (val)
= Una valle importante nella storia del bitto. L'alta val Varrone è
stata da secoli una delle aree più legate alla tradizione del bitto. Si
trova nel territorio di Introbio anche se l'alpe è di proprietà del
comune di Premana (località della Valvarrone). La ragione è legata
all'importanza delle miniere di ferro e del transito lungo la via del
bitto che, dall'alta val Varrone giunge a Introbio passando in val
Biandino e scendendo lungo la valle della Troggia. Un percorso
storicamente importante sia per il commercio che per ragini militari.
Di qui sono passati molti eserciti sino a che il percorso ha perso
importanza all'inizio del XIX secolo con la realizzazione della strada
litoranea del lago di Como orientale. Caricata sino al 1870 da
bergamini (nella fattispecie i Platti di Pasturo) della Valsassina (che
nel Settecento caricavano anche Trona in Valgerola), l'alta val Varrone
è stata poi caricata da gerolesi ininterrottamente sino ad oggi. È
interessante notare che, ancora all'inizio del Novecento, sono ancora
bergamini che scendono in inverno nel milanese, a caricare l'alta val
Varrone: gli Acquistapace di Case di sopra di Gerola. Facile osservare
che gli Acquistapace, secoli prima, venivano da Cortenova in Valsassina
e che quindi distinguere tra 'valsassinesi' e 'valtellinesi' non ha
senso nella storia del bitto. In val Varrone di produceva bitto non
solo all'ale Varrone (dove si produce tutt'ora lo 'storico ribelle') ma
anche ad Artino (tutt'ora caricata con vacche da latte e capre ma senza
produzione di bitto) e a Larecc' , oggi 'da pecore' per mancanza di
strutture.
Venezia = Da
Venezia arrivava lo zafferano utilizzato per quella produzione di
bitto/branzi che era esitata sul versante brembano. E, dopo la
stagionatura nei magazzini di Bergamo, proseguiva verso la città
lagunare. Sarebbe interessante - richiederebbe indagini presso
l'archivio di stato di Venezia, scoprire se dalla serenissima
proseguiva oltre. Considerando il ruolo di emporio internazionale di
Venezia non ci sarebbe da meravigliarsene. Intanto il bitto ex storico
ha celebrato il 25° della fondazione di Slow Food a Venezia, l'11
giugno 2011. Una delle tante modalità simboliche che caratterizzano
l'esperienza del bitto ribelle.L'ex bitto storico fu presentato in Campo San Bartolomeo con la Condotta Slow Food Silver.
Ai veneziani e ai turisti venne offerta in quella occasione la
possibilità di conoscere un prodotto che a Venezia era di casa secoli
fa.
Venina (val)
= Una delle valli
orobiche valtellinesi dove, in qualche alpeggio, si produceva bitto
Verrobbio
(passo) = Prima dell'apertura della Priula era il passo frequantato per
raggiungere Morbegno dalla Valbrembana attraverso la vecchia via mercatorum. Il passo è
legato ad una secolare contesa per diritti di passaggio delle malghe
dei bergamini brembani che affittavano l'alpe di Bomino (valle laterale
della Valgerola).
Verticale =
Si dice del tipo di degustazione (vedi) che consiste nel confronto di
vini dello stesso produttore di annate diverse. Lo 'storico ribelle' è
stato il primo formaggio a proporre 'degustazioni verticali'
nell'ambito dei formaggi. A volte condotte in parallelo a degustazioni
di grandi vini in abbinamenti memorabili.
Via=
Da secoli è
conosciuta
come ‘via del bitto’ il percorso che dalla Valsassina in
provincia di Lecco raggiunge Morbegno attraverso la val Biandino,
l’alta val Varrone, la Bocchetta di Trona e la valle del Bitto di
Gerola. Un percorso di grande interesse storico che consente di
visitare, oltre agli alpeggi, l'Oratorio della Madonna della Neve a
Biandino, edificato dalla famiglia Annovazzi (bergamini proprietari
dell'alpe), le ultime miniere di ferro dell'alta val Varrone, le
fortificazioni della 'Linea Cadorna' alla bocchetta di Trona.
Possibilità di pernottamento e sosta ai rifugi Biandino, Tavecchia e
Madonna della Neve in val Biandino, Sanra Rita (sul crinale che separa
la val Biandino dalla val Varrone), casera vecchia (in alta val
Varrone).
non sono assoluti ma sono tali in
relazione al determinato tipo di formaggio in esame. I difetti si
possono dividere in tre tipi: difetti di crosta o di superficie (nei
formaggi molli senza crosta) rilevabili all'esame visivo e senza
tagliare la forma , difetti di struttura (o pasta) rilevabili,
all'esame visivo e tattile, tagliando la forma, difetti di aroma e
sapore rilevabili solo con l'esame gustativo. In alcuni casi, però
il difetto si manifesta sia sotto il profilo dell'aroma e del sapore
che della pasta. Come considerazione generale è bene tenere presente
che in un formaggio artigianale, che pur non dove mai presentare
difetti gravi la presenza occasionale di difetti lievi è da
tollerare perché spesso compensata da superiori caratteristiche
organolettiche. L'assenza di occhiatura che caratterizza le versioni
industriali di formaggi tradizionali non è un pregio. Ad essa
corrisponde un grave e diffuso difetto: la banalità.
non sono assoluti ma sono tali in
relazione al determinato tipo di formaggio in esame. I difetti si
possono dividere in tre tipi: difetti di crosta o di superficie (nei
formaggi molli senza crosta) rilevabili all'esame visivo e senza
tagliare la forma , difetti di struttura (o pasta) rilevabili,
all'esame visivo e tattile, tagliando la forma, difetti di aroma e
sapore rilevabili solo con l'esame gustativo. In alcuni casi, però
il difetto si manifesta sia sotto il profilo dell'aroma e del sapore
che della pasta. Come considerazione generale è bene tenere presente
che in un formaggio artigianale, che pur non dove mai presentare
difetti gravi la presenza occasionale di difetti lievi è da
tollerare perché spesso compensata da superiori caratteristiche
organolettiche. L'assenza di occhiatura che caratterizza le versioni
industriali di formaggi tradizionali non è un pregio. Ad essa
corrisponde un grave e diffuso difetto: la banalità.
I difetti si possono dividere in
tre tipi: difetti di crosta o di superficie (nei formaggi molli senza
crosta) rilevabili all'esame visivo e senza tagliare la forma ,
difetti di struttura (o pasta) rilevabili, all'esame visivo e
tattile, tagliando la forma, difetti di aroma e sapore rilevabili
solo con l'esame gustativo. In alcuni casi, però il difetto si
manifesta sia sotto il profilo dell'aroma e del sapore che della
pasta. Come considerazione generale è bene tenere presente che in un
formaggio artigianale, che pur non dove mai presentare difetti gravi
la presenza occasionale di difetti lievi è da tollerare perché
spesso compensata da superiori caratteristiche organolettiche.
L'assenza di occhiatura che caratterizza le versioni industriali di
formaggi tradizionali non è un pregio. Ad essa corrisponde un grave
e diffuso difetto: la banalità.
I difetti si possono dividere in
tre tipi: difetti di crosta o di superficie (nei formaggi molli senza
crosta) rilevabili all'esame visivo e senza tagliare la forma ,
difetti di struttura (o pasta) rilevabili, all'esame visivo e
tattile, tagliando la forma, difetti di aroma e sapore rilevabili
solo con l'esame gustativo. In alcuni casi, però il difetto si
manifesta sia sotto il profilo dell'aroma e del sapore che della
pasta. Come considerazione generale è bene tenere presente che in un
formaggio artigianale, che pur non dove mai presentare difetti gravi
la presenza occasionale di difetti lievi è da tollerare perché
spesso compensata da superiori caratteristiche organolettiche.
L'assenza di occhiatura che caratterizza le versioni industriali di
formaggi tradizionali non è un pregio. Ad essa corrisponde un grave
e diffuso difetto: la banalità.
I difetti si possono dividere in
tre tipi: difetti di crosta o di superficie (nei formaggi molli senza
crosta) rilevabili all'esame visivo e senza tagliare la forma ,
difetti di struttura (o pasta) rilevabili, all'esame visivo e
tattile, tagliando la forma, difetti di aroma e sapore rilevabili
solo con l'esame gustativo. In alcuni casi, però il difetto si
manifesta sia sotto il profilo dell'aroma e del sapore che della
pasta. Come considerazione generale è bene tenere presente che in un
formaggio artigianale, che pur non dove mai presentare difetti gravi
la presenza occasionale di difetti lievi è da tollerare perché
spesso compensata da superiori caratteristiche organolettiche.
L'assenza di occhiatura che caratterizza le versioni industriali di
formaggi tradizionali non è un pregio. Ad essa corrisponde un grave
e diffuso difetto: la banalità.
I difetti si possono dividere in
tre tipi: difetti di crosta o di superficie (nei formaggi molli senza
crosta) rilevabili all'esame visivo e senza tagliare la forma ,
difetti di struttura (o pasta) rilevabili, all'esame visivo e
tattile, tagliando la forma, difetti di aroma e sapore
rilevabili solo con l'esame gustativo. In alcuni casi, però il
difetto si manifesta sia sotto il profilo dell'aroma e del sapore che
della pasta.
Volontari =
La resistenza del bitto ribelle è stata possibile grazie al sostegno
finanziario dei tanti soci della Società valli del bitto, al lavoro
sottoretribuito (o volontario) degli amministratori e dei dipendenti della società stessa,
ma anche grazie al lavoro di volontari nella veste di 'sostenitori'. La presenza dell'ex bitto
storico a tanti eventi è possibile grazie al volontariato. Chi da
una mano vendendo il formaggio a una fiera, chi si impegna anche nella
realizzazione e manutenzione del sito. Se lo 'storico ribelle' è così
visibile, tanto alle manifestazioni specializzate che sul web, è solo
grazie al volontariato. Con risorse insignificanti la visibilità dello
'storico ribelle' supera quella del bitto dop che fruisce delle ingenti risorse pubbliche della 'promozione di stato'.
Volontari del bitto ribelle: Luciano (a sinistra) e Joseph
Zafferano =
Utilizzato, sino ai primi decenni del Novecento, per la produzione di
bitto che era esitata con il nome di 'branzi' su quella piazza. La
tradizione risaliva probabilmente all'apertura della via Priula che
aveva creato nuovi sbocchi commerciali sul versante bergamasco. Da
Venezia arrivava lo zafferano ma verso Venezia era spedito anche il
bitto. Come è noto la tradizione dell'uso dello zafferano continua nel
caso dei formaggi bresciani (bagòss, nostrano di Valtrompia).
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