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COMUNICATO. RIPARTE LA CAMPAGNA DI
AZIONARIATO POPOLARE A SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)
Dopo il cambio di statuto per
divenire Società Benefit, secondo la nuova legge in vigore dal 1
gennaio 2016, la Società Valli del Bitto riapre
la campagna di azionariato popolare. Società benefit è quella che non
mira solo al proprio utile ma a vantaggi per la società, il territorio,
l'ambiente.La Società Valli del Bitto punta solo alla sostenibilità
economica e non al lucro. Senza di essa non potrebbe conseguire i
propri scopi che sono in primo luogo garantire - attraverso la
valorizzazione economica - la sopravvivenza del formaggio "storico
ribelle" (ex-bitto storico) con tutto il suo sistema di produzione in
alpeggio che rappresenta un monumento di cultura e di
biodiversità. Lo
"storico ribelle" è Presidio Slow Food, il presidio che - a detta di
Slow Food - incarna forse al meglio il principi del cibo "buono -
pulito - giusto". Tutti possono partecipare a questa Società che
incarna l'ideale dell'agricoltura etica sostenuta dalla comunità che, a
sua volta, sostiene il territorio. Sottoscrizione minima 150€ ( massimA
20 mila €). Ai soci viene riconosciuto un "dividendo etico" in
natura pari al 2% del capitale sottoscritto. Per sapere come
associarsi:
TEL. 334 332 53 66
Articoli
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Lo
storico ribelle che porta benefit alla società e all'ambiente
(23.12.16)
Dal 29 novembre la Società Valli del Bitto (meglio nota come
"ribelli del bitto") è bcorp. Una formula che impegna le società a
promuovere vantaggi (in inglese "benefit") per la società, la comunità
locale, l'ambiente. Riducendo, attraverso le sue attività (e nonla
beneficienza) gli impatti negativi per le persone e l'ambiente e
determinando impatti positivi.
Valtellina
che gusto... industriale
(23.11.16) Uno
stile industriale di marketing del fasullo per promuovere un
agroalimentare industrializzato, banalizzato, omologato. Sperperando i
soldi di chi paga le tasse. Ma non basta. Dopo aver espropriato
il bitto storico del nome "bitto" la promozione "ufficiale", continua a
mimetizzare il bitto "legale" ovvero quello "Nuovo omologato" con
lo "Storico ribelle" (il vero bitto che si fa come secoli fa).
Ribellarsi
è giusto e paga (17.11.16)
Lo storico ribelle, liberatosi del nome "bitto" che ormai procurava
solo grane (ed esponeva alla minaccia permanente di denuncia per "lesa
dop") va meglio di prima. Chi ragiona restando nelle coordinate della
vecchia politica pensava che fosse un salto nel buio. Invece i
sostenitori aumentano e lo storico ribelle sbarca in nuovi prestigiosi
templi del gusto.
Varrone
e Biandino cuore di ferro e formaggi (28.08.16)
28.08.16 Nei giorni cruciali in cui l'ex bitto storico cambia nome
approfondiamo alcuni aspetti sinora poco messi a fuoco della storia e
della geografia di questo mito caseario
È ormai bittexit
e fa paura ai nemici del bitto storico (17.07.16)
I nemici del bitto storico
non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop
massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di
due produzioni "simili".
E con la fuga del vero bitto dalla dopsi
profila una figuraccia di grandi proporzioni
per la Valtellina
(13.06.16)
Commercianti si spacciano per l'ex bitto storico
Se si danneggiano i ribelli del bitto si può usare del
tutto impropriamente la denominazione "Bitto storico" e
illegittimanente quella "Bitto".
La storia di una degustazione organizzata in
Umbria da un'incolpevole Ais con il "bitto storico" ...
senza che vi fosse l'ormai ex bitto storico presidio Slow food
(29.04.16)
Assemblea a difesa delbitto storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie, da secolo noto come formaggio del Bitto non può essere più
chiamato con il proprio nome. Dopo vent'anni le lobby
politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i
produttori storici. Ma la società civile sta preparando la
mobilitazione
(14.04.16) Il
formaggio Storico dei ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie è in vendita da Peck . Quello dell' estate
2015) a 92€ al kg, quello del 2009 a 26€ all'etto. Il bitto dop
dei mangimi e dei fermenti , prodotto senza latte di capra, a
volte in condizioni semi-industriali, continua a calare di prezzo
Bitto storico:
rivoluzione permanente (2.10.15)
A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice
anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza
latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione
in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata
anche per la sua "rivoluzione dei prezzi"
(08.09.15) Nuovi
documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti (bitto
storico)
Cirillo Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano
già nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già
allora riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre
zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone.
Scusate se è poco
(02.09.15) Bitto
storico: un autunno di decisioni e novità
La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto
negativo in termini di quantità prodotta, causa della
siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni
l'accordo siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff.
Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza
l'originalità delle loro esperienza facendo leva
sui suoi punti di forza
(23.08.15)
Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili
La grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio non è
rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di
produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il
pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti sentire
(22.08.15) Bitto
storico rivoluzionario
Attraverso la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono
riusciti a imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso
consente un equilibrio economico compensando gli elevatissimi
costi di una produzione che va contro gli schemi della società
industriale e consumistica (che si sono imposti anche
nella produzione agroalimentare)
Articoli per argomenti
|
Il
Dizionario del bitto ribelle (IV)
di
Michele Corti
Parte IV (R-Z)
R. Raspa, Resistenza, Retro-innovazione, Ribaltonisti,
Ribelli, Richelieu,
Rilevatari
S. Sagra, Saperi, Santuario, Scagliatura, Scalzo, Secessione, Sfoglia, Simboli, Società, Spaccature, Storico
T. Tartano, Tecnica, Tempio, Territori, Torrente, Traditori, Tregua, Trogloditi, Trona
U. Unghia, Usurpazione
V. Valli, Varrone, Venezia, Venina, Verrobbio, Verticale, Via
Z. Zafferano
VAI ALLA PARTE I (A-C); PARTE II (D-L); PARTE III (M-Q)
Raspa
= La raspa è lama utilizzata per pulire il formaggio; per espensione la
'raspa' è il 'truciolo' di formaggio che si ottiene come scarto.. Il
bitto della tradizione si caratterizza per la forma sempre pulita,
senza 'fioritura' di muffe ma nemmeno trattata con olio. Pertanto solo
la cura viene effettuata rivoltando spesso le forme, con la
strofinatura e la raspatura (con una lama). Un tempo con la 'raspa' e la polenta si preparava una balota che si mangiava in alpeggio dove ogni scarto era utilizzato (anche la muffa era utilizzata, per i maiali).
Resistenza
= Nel caso dei ribelli del bitto le formule della 'resistenza casearia'
e della 'resistenza contadina' sono utilizzate nella loro forma più
piena e
sincera. Sono espressione di una 'resistenza sociale' che si esprime in
forme che vanno oltre il conflitto sociale classico, la protesta,
aperta, le iniziative clamorose, la forma oppositiva, ma che assumono
la forma della prassi quotidiana, della pratica, anche
silenziosa, di modelli alternativi a quelli
dominanti. Iniziò il battagliero periodico Cheese time di
Stefano Mariotti a parlare di R. casearia sin dal 2006, proprio
in corrispondenza della nascita della 'ribellione del bitto'. Cheese time continuò a mantenere una rubrica così intitolata. Slow Food istituì poi il premio R. casearia, consegnato nel 2011, 2013 e 2015, in occasione di Cheese
a Bra. Nel 2013, il Patriarca del bitto (vedi), Mosè Manni, simbolo
vivente del bitto della tradizione è stato insignito del premio con la
seguente morivazione: "Premiamo Mosè Manni per la sua dedizione al
bitto e alla sua valle. Mosè ha 80 anni e conserva un sapere
antichissimo che, come altri grandi produttori delle valli del Bitto,
non ha esitato a trasmettere e a condividere. Con Mosè Manni premiamo
un grande maestro casaro ma con lui rendiamo omaggio anche a tutti i
produttori del bitto delle valli storiche e al loro ultradecennale
impegno per la sopravvivenza delle pratiche produttive tradizionali.
Mosè non ha mai usato i fermenti, non ha mai nutrito con i mangimi, ha
custodito con passione le sue capre orobiche che ogni estate, da quando
era ragazzo, ha guidato alla malga. Oggi ha passato la sua sapienza
alla nipote, per dare ancora un futuro al bitto della famiglia Manni."
Ma cos'è questa resistenza? Qualcosa di romantico? di fanatico? Macché,
è la condizione di sopravvivenza dell'agricoltura per non essere
(completamente) inglobata nella dimensione e nella logica industriale.
Dice Terry Mardsen (2007), che con van der Ploeg rappresenta quanto di
più autorevole esprima la sociologia rurale (rural
studies per gli anglofoni). "It's necessary to create a radical
rupture with the agri- industrial processes. Agriculture must in a
variety of ways, attempt to find new political, social and ecological
platforms and spaces to distinguish itself from the conventional
modernization processes that intend to continue to devaluate its
base". Se non è chiaro cosa significhi "devaluate its base" è
sufficiente riflettere sul latte a 30 cent e sul formaggio a 3-4 € a
togliere ogni dubbio. I ribelli del bitto danno un maledetto fastidio a
tanti (nelle imprese agroindustriali, nelle istituzioni della politica,
nelle agenzie parapubbliche, nelle burocrazie e nelle accademie) perché
dimostrano che retrogradi sono i "modernisti", gli industrialisti. La
resistenza contadina - incarnata dai ribelli del bitto - non è una
forma di reazione, un'opposizione esclusivamente “difensiva” alla
modernizzazione agricola. Non li combattono certo perché siamo perdenti
(li lascerebbero morire da soli).
Retroinnovazione = Una forma di innovazione che si è affermata sia in agricotura che nell'industria.
Essa rappresenta la forma specifica di innovazione in un contesto di
resistenza rurale, ma la troviamo diffusa anche nel campo industriale,
per esempio riproponendo oggetti di consumo caduti in disuso associati
a nuove tecnologie. Un mix di nuove tecnologie e memoria. Una
retro-innovazione è lo sviluppo di conoscenza e competenza, che combina
elementi e pratiche dal passato con il presente e configura questi
elementi per nuovi e futuri propositi e si basa fondamentalmente
sulla conoscenza contestuale (Stuiver, 2006). La
retro-innovazione valorizza la specificità culturale-storica-ecologica
rappresentando uno strumento potente di differenziazione dai prodotti
standard. Un modo, in soldoni, per "chiamarsi" fuori dallo
stritolamento del mercato globale. Lo 'storico ribelle' rappresenta un
campione di retro-innovazione, un caso da manuale. La retro-innovazione
dello “storico” ha riguardato: il ripristino delle pratiche
pastorali e delle strutture casearie tradizionali, la valorizzazione
dei saperi contestuali, ovvero il 'saper fare' del casaro e del pastore
nel contesto di una comunità di pratica', la valorizzazione delle
risorse naturali (il 'culto dell'erba'), la biodiversità culturale (le
razze autoctone, la stagionatura in condizioni di microclima non
controllato artificialmente (una pratica onerosa che si giustifica solo
se le forme che arrivano in cantina sono "retro-innovate", di elevata
qualità all'origine e se ad esse vengono applicate cure attente,
competenti, assidue, time-consuming).
Ribaltonisti
= I ‘ribaltonisti
del bitto’ sono i due ex sindaci di Albaredo e Gerola alta
(rispettivamente Patrizio Del Nero e Fabio Acquistapace). Nel 2005,
dopo aver sostenuto, con apparente entusiasmo, la causa del
produttori storici, Patrizio Del Nero ha cambiato fronte: ha fatto
aprire ad Albaredo una succursale della Latteria sociale
Valtellina ed è diventato direttore del Multiconsorzio
(oggi sciolto) che riuniva le dop e le igp della provincia.
L'Acquistapace, siindaco di Gerola dal 2003 al 2013 aveva esordito come
consigliere di opposizione nel 1994 con la lista Lega Nord . Era stato
eletto Paolo Ciapparelli che, per seguire la vicenda del bitto, aveva
lasciato il posto all'Acquistapace. Nel 2010 il sindaco di Gerola era
stato protegonista di in un accordo-ribaltone in Comunità montana
alleandosi con Del Nero. Da questa alleanza avrebbe dovuto
scaturire (come annunciato sulla stampa locale) una 'pace del
bitto' (sulla pelle
dei produttoti che erano all'oscuro di tutto). Dopo aver caldeggiato
(gennaio 2010) un primo tentativo di accordo
con la Camera di commercio (che avrebbe comportato la cessione della
gestione della casera), quando era ancora in carica come sindaco,
l'Acquistapace, nel 2011 tentò,
da azionista di minoranza, di sfiduciare Paolo Ciapparelli, il
presidente e fondatore della Società valli del bitto.
Nel
maggio 2016, in occasione dell'assemblea della società, ha rinnovato
pesanti attacchi facendo leva sull'esito negativo della 'pace del
bitto' e sull'incapacità di trovare un accordo con il comune (che ,
guidato dalla sorella, ha respinto, all'inizio dello stesso 2016, a
una proposta di accordo complessivo tra la Società valli del
Bitto e l' amministrazione
comunale).
Ribelli/Ribelle
= Dal 2005/2006,
in concomitanza con la rottura definitiva con il Ctcb i produttori
storici, che, in precedenza svolgevano un ruolo di dissenso e
contestazione all'interno del consorzio ufficiale, vengono sempre più
spesso definiti ‘ribelli del bitto’. Ribelli
del bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva
è anche il titolo del volume, autore Michele Corti, edito da Slow
Food nel 2011. In precedenza erano stati anche qualificati come
‘i puri e duri del bitto’. Da allora nelle cronache il termini
'ribelli' non è stato più abbandonato. Parallelamente ci si
riferisce sempre più frequentemente al bitto dei ribelli come al
'bitto ribelle'. Richelieu
= Il Richelieu della vicenda ventennale dei ribelli del bitto è
facilmente identificabile nel dott. Marco Deghi, direttore della
Latteria sociale Valtellina di Delebio. Armand-Jean
du Plessis duca di Richelieu, noto soprattutto come cardinale Richelieu
è stato un cardinale, politico e vescovo cattolico francese. Fu
nominato primo ministro dal re Luigi XIII di Francia. Ci si riferisce
da secoli a Richelieu come a un politico abile, che detiene le
vere leve del potere ma che manovra senza venire allo scoperto, con
grande abilità... cardinalizia .
Rilevatari = vedi Cargamuunt
Sagra = La
‘sagra del bitto’
si svolge dagli anni ’80 del secolo scorso a Gerola alta in un fine
settimana della prima metà di settembre. Fa parte del circuito delle
sagre tradizionali valtellinesi ed è caratterizzata da rievocazioni
in costume del gruppo tradizionale dei Giaröi . Con la
rottura tra produttori storici e Ctcb la sagra era diventata l’evento
di riferimento dei ribelli del bitto che disertano la Mostra del
bitto. Anche la sagra, però, ha conosciuto i contraccolpi del
mancato sostegno del comune di Gerola ai ribelli. Nel 2010, dopo che
sui giornali era apparso l'annuncio di una 'pace del bitto' (di cui i
produttori erano del tutto all'oscuro), erano stati invitati gli
amministratori dei Albaredo, comune confinante che aveva assunto dal
2005 una posizione contraria ai ribelli e che aveva aspramente
polemizzato con lo stesso comune di Gerola, definendo il Centro
del Bitto “una cattedrale nel deserto”. Per protesta contro
le manovre trasformistiche in atto i caricatori d'alpe storici,
presente il presidente della provincia, rifiutarono quell'anno di
ricevere i premi. Negli anni successivi vi sono state fasi alterne di
riavvicinamento e allontanamento tra ribelli e organizzatori della
sagra . Nel 2016, nel clima deteriorato dei rapporti con il comune di
Gerola (e la pro loco che ne segue la linea) alcuni dei produttori
storici, pur in assenza di un boicottaggio da parte della loro
associazione, non hanno partecipato alla premiazione.
Santuario =
Il ‘santuario del
bitto’ (definizione che si alterna a quella di 'museo') è il nome
con il quale sempre più frequentemente viene denominata la casera
(naturale) di stagionatura dell'ex bitto storico (oggi 'storico
ribelle') che sorge a Gerola alta. All'interno del 'santuario' si
ammirano centinaia di forme in dedica, vergate a mano con inchiostro
di mirtillo e spesso recanti disegni che richiamano in qualche modo
gli ex-voto. Non mancano forme decorate da artisti. Il carattere del
santuario è rafforzato dalla presenza di cimeli (ricordi di
personaggi della storia del bitto, targhe, diplomi, pergamente) , la
'galleria dei giusti' con le forme dedicate agli 'amici del bitto'.
C'è anche il sancta sanctorum,
il sacello con le forme più
preziose a completare l'analogia. I visitatori firmano un registro dove
possono lasciare per iscritto le loro impressioni e i loro commenti.
Come in un museo.
Scagliatura
= I formaggi duri come il grana, quando stagionati, si porzionano a
scaglie utilizzando appositi coltelli con lama cuoriforme.
Tagliati con un normale coltello si frantumano in frammenti irregolari
di diversa dimensione, alcuni troppo piccoli per costituire un boccone.
Nello 'storico ribelle' in considerazione del tenore di grasso elevato
(è ottenuto da latte ad elevato tenore di grasso senza alcuna
scrematura) e della natura dei grassi (basso fondenti in ragione
dell'alimentazione a base di sola erba di pascolo) la pasta si mantiene
sorprendentemente'semidura' anche dopo 4-5 e più anni anni di
invecchiamento tanto che la lama del coltello riesce a dividere
porzioni dalla superficie regolare. Un risultato legato ovviamente ad
una adatta tecnica di lavorazione che
differenzia lo 'storico ribelle' da formaggi a pasta dura come il grana
e lo sbrinz (minore acidificazione della pasta (uso del siero
innesto, acidità del latte lasciato a sostare per la parziale
spannatura) e cottura a temperatura molto elevata (55°C contro i 51°C
al massimo dello 'storico-ribelle').
Scalzo
=
Lo scalzo (o 'corona'), equivale all'altezza della forma di formaggi, è
molto caratteristica nello 'storico ribelle' che l'ha ereditata dal
bitto/branzi della tradizione. Alto 8-10 lo scalzo non è però diritto
ma concavo e con spigoli piuttosto vivi. Una simile forma è condivisa
con il bitto dop, il branzi FTB, la fontina, il beaufort e l'abondance,
ovvero con i formaggi grassi d'alpe della Savoia e della valle d'Aosta.
Per quale motivo questi formaggi
hanno lo scalzo concavo? Non è facile rispondere ma si può pensare che
sia legata alla facilità di trasporto. Una forma con scalzo concavo può
essere facilmente legata con una corda e appesa. Rispetto ad uno scalzo
convesso la forma ha il vantaggio di poter essere mantenuta in piedi
appoggiata sullo scalzo.Indipendente dal motivo lo scalzo concavo è un
elemento di identità importante. Non sempre le forme mese in fascere di
legno di larice tradizionale
'riescono' con uno scalzo marcatamente concavo e a spigoli vivi. Il
legno si usura e la convessità della fascera si riduce. Meglio un bello
scalzo tipico ottenuto con una fascera di plastica? I vecchi casari
dicono di no. Il legno (vedi) sino a pochi anni fa criminalizzato da
igienisti e tecnologi è stato rivalutato. Uno dei motivi la capacità di
assorbire l'umidità. Messa in fascere di plastica la pasta (la cagliata
estratta dalla culdera) presenta
una superficie bagnata e quindi possibili iniziali alterazioni. La cura
delle fascere e la loro regolare sostituzione potrebbero però garantire
una forma più regolare e riconoscibile come merita un formaggio
prezioso come lo 'storico ribelle'.
Secessione
= Forse
in qualche richiamo alla secessione che ha accompagnato alcuni dei
passaggi più di rottura della storia dei ribelli del bitto c'è qualche
eco del leghismo 'vecchia maniera', quello cui facevano riferimento
Ciapparelli, e non solo lui, prima che la Lega arrivasse alla
presidenza della provincia nel 2004 schierandosi con le lobbye
'scaricando' i ribelli. Di 'secessione del bitto' con la prospettiva di
'ritorno alla
bergamasca' si è parlato in più occasioni anche nei titoli di giornale.
A Sondrio in modo sbalordito, a Bergamocon malcelata soddisfazione. La
'secessione' dalla Valtellina ha significato per il bitto ribelle
ricordare che il bitto è nato orobico e che solo
per via dell'arroganza e dell'ignoranza di chi occupa le istituzioni è
divantato 'pansondriese' con una decisione a tavolino. Una decisione
che ignorava non solo la storia ma anche quello che allora era il
presente (le iniziative per 'esportate' la tecnica di produzione del
bitto, inviando come casari itineranticasari del bitto come Eliseo
Manni - il fratello di Mosè - e Alfredo Mazzoni, furono attuate dopo il
riconoscimento della dop). Non c'è mai stata nessuna secessione dalla
Valtellina perché il bitto
della tradizione è sempre stato orobico quindi bergamasco e lecchese.
Di fatto, però, c'è stata, in occasione di più edizioni, la presenza
dei ribelli del bitto alla Fiera di San Matteo a Branzi, c'è stata
la formazione dell'associazione formaggi Princi delle
Orobie, sono nate diverse iniziative nate sul terreno dell'incontro tra
valli del Bitto e Valbrembana (Associazione capra Orobica e relativo Presidio Slow Food Associazione allevatori lombardi bruna originale, nate nel 2015). Tornare
alle Orobie per i ribelli del bitto significa anche tornare a
valorizzare il rapporto con la città a nord delle Orobie, la città del
torrente e del formaggio bitto, oltre che continuare a recupere il rapporto con la città orobica per definizione: Bergamo.
Seriana (val)
= Il bitto/branzi è fortemente legato alla val Brembana, a parte della
Valsassina e Valvarrone e alle valli orobiche valtellinesi ma
l'affresco di Clusone (vedi: 'antenato') e una pala di San Lucio
(patrono dei casari) nel santuario dei bergamini della Madonna della
Grazie a Lantana (una località di origine dei bergamini di Dorga in
comune di Castione della Presolanaci dice che un tempo (sino al XVIII
secolo o anche oltre?) il bitto veniva prodotto anche dai bergamini che
caricavano in val Seriana e val Borlezza. Se è vero che la val
Seriana e la val Borlezza oggi si sono orientate alle meno
impegnative ‘formaggelle’, è anche vero che la tecnica del formaggio
semigrasso (ma anche grasso) è, ancor oggi, tutt’altro che
ignota. E c'è da supporre era molto più comune e perfezionata quando
gli alpeggi erano caricati dai più esperti casari bergamini. Essi a
Castione (ma in molte altre località) avevano il monopolio degli
alpeggi tanto è vero che all'inizio del XX secolo i 'casalini' (i
piccoli allevatori stanziali per poter alpeggiare dovevano recarsi sino
in Szittera tanto era forte la 'fame di alpeggi' e la domanda sostenuta
dai bergamini. Era, però, più in auge nel passato. La pala
settecentesca raffigurante San Lucio - patrono dei casari e degli
alpeggi - presenta un angiolo-putto che sorregge una maestosa forma di
quello che appare inequivocabilmente come ‘bitto’, dallo scalzo,
dal colore della pasta, dalla scagliatura della stessa, un bitto
pregiato di almeno due anni di affinamento. Inutile sottolineare che la
pala è il frutto del mecenatismo dei ricchi bergamini locali. Il
bitto è orobico ma se teniamo conto del numero (certo) di alpeggi che
lo producevano in val Brembana a inizio XX e del fatto che, in
precedenza, fosse prodotto anche dai bergamini che caricavano le valli
più a Est bisognerebbe concludere che è certo più bergamasco che
valtellinese.
Sfoglia=
La pasta all’interno presenta fessurazioni tra loro parallele mentre
all’esterno non si nota alcuna alterazione. Completamente diverso dalle
cavitazioni che si producono per azione di fermentazioni con produzioni
di gas. È un difetto, non frequante nel caso dello 'storico
ribelle' normalmente imputabile al casaro dal momento che nel
nostro formaggio la lavorzione segue immediatamente la mungitura e non
vi è il rischio di eccessiva acidificazione del latte prima
dell'aggiunta dl caglio né di rapida acidificazione del latte in
caldaia per aggiunta di fermenti.. Le cause sono da ricercare in
una pasta troppo disidratata
e demineralizzata (poco elastica) che non si tiene insieme. Alla base
vi è un'eccessiva acidificazione della
pasta per un eccesso di caglio, una coagulazione troppo
prolungata, un eccesso di spurgo, una salatura troppo prolungata,
correnti d’aria e variazioni di
temperatura nei locali di stagionatura. Può comportare alterazioni del
gusto.
Simboli =
Simboli ma anche ‘guardiani del
bitto’, 'numi tutelari' o 'spiriti guardiani' (in
assonanza con altre mitologie) sono simboli, tra il mito e la storia,
che
svolgono il ruolo di protezione dei ribelli del bitto: l’Homo
selvadego è il più interessante perché affonda la sua leggenda
in tempi preistorici, ma sono suggestivi (e pieni di significati reali)
anche i pastori-guerrieri celti, gli antichi malghesi
transumanti (i bergamini) ma anche la capra orobica, il pizzo dei Tre
Signori, lo
stesso patriarca del Bitto (Mosè).
Società = (1) Nel 1908
si formò, su impulso della Cattedra ambulante di agricoltura,
la Sociètà caricatori d'alpe di Morbegno che, nell'anno
successivo inaugurò la Casera sociale, capace di 3 mila forme
. La Società si prefiggeva la gestione della casera al fine di
valorizzare meglio il prodotto evitando la necessità di venderlo subito
a fine alpeggio ai commerciannti per mancanza di luoghi idonei ove
conservarlo. Si prefiggeva anche di curare il continuo incremento"
della "fiera annuale di formaggi di Morbegno" e di "far conoscere con
opportuna pubblicità sia all'interno che all'estero il formaggio grasso
tipo Bitto". (2) La Società valli del Bitto trading spa
(questo il nome, con quel trading
poco azzeccato in verità, che la caratterizzava sino al 18 dicembre
2016) ha
rappresentato e rappresenta il 'braccio commerciale' ('il braccio
armato' , se si preferisce un'espressione più immaginifica) dei ribelli
del bitto. Fondata
nel 2003 da Paolo Ciapparelli, con alcuni amici entusiasti, tra i quali
non si può fare a meno di ricordare almeno il Gino (Cattaneo) patron de
la Brace di
Forcola, si è gradualmente
estesa a professionisti, imprenditori, semplici cittadini interessati
a sostenere il bitto della tradizione. Tutti appassionati e ferventi
sostenitori della causa. Questa 'fede' non poteva essere certo prevista
dai nemici del bitto ribelle (capaci di ragionare solo in termini
guadagno). Oggi la Società conta 130 soci, per lo
più residenti tra la Valtellina e la Brianza. Cinque caricatori/casari
del bitto ribelle sono soci. Dal dicembre 2016 la Società ha
cambiato la denominazione (e lo statuto) in conformità alla legge
sulle società benefit (società che perseguono oltre all'utile
economico precise finalità ambientali e sociali). La nuova
denominazione è Società valli del
Bitto spa benefit.
Spaccature
e fessurazioni della crosta = Compromettono
la conservazione e la presentazione del formaggio. E’ un difetto di
origine tecnologica che si origina nel corso della stagionatura. Le
forme colpite presentano screpolature sulla crosta e/o spaccature
superficiali visibili, profonde 2-3 cm che possono riguardare anche
la pasta. Le cause, come per la 'sfogliatura' (vedi) vanno ricercate principalmente in una
demineralizzazioneeccessiva della cagliata che la rende poco elastica.
Una circostanza
dovuta a latte troppo acido in partenza o a una successiva eccessiva
acidificazione o anche ad una dose di caglio eccessiva. Possono però
derivare anche dalle condizioni dei locali di conservazione con
temperature e umidità non idonee. Un problema che, nella fase di
stagionatura in alpeggio, può presentarsi anche nello 'storico ribelle'
in annate sfavorevoli e in quelle casere che sono state ristrutturate
senza rispettare fli elementi tradizionali. La disidratazione troppo
veloce della
superficie del formaggio (umidità troppo bassa della cantina e
presenza di correnti d'aria) dissecca la parte superficiale formando
precocemente la crosta ed impedendo quindi la perdita di acqua
all'interno della pasta. Una circostanza che causa un'eccessiva
attività fermentativa negl strati di pasta sottostanti con
produzione di gas e l'esercizio di una pressione dall'interno verso
l'esterno (nel gonfiore tardivo, invece, le spaccature dovute alla
formazione di gas si verificano al centro stesso della forma).
Storico = Si
indicava come
‘bitto storico’ il bitto prodotto dai ribelli del bitto tra il
2010 e il 2016; la denominazione è stata ufficializzata con la
costituzione del Consorzio
salvaguardia bitto storico (avvenuta il 4 giugno 2010). Nel
2016, a seguito del
fallimento
dell'accordo con le istituzioni siglato nel 2014, e al venir meno di
qualsiasi prospettiva di soluzione legale e concordata della 'guerra
del bitto', la Società valli del
Bitto depositò alla Camera
di commercio di Lecco il nuovo nome 'storico ribelle'.
Tartano (val)
= Sul versante valtellinese la val Tartano, che si divide in val Lunga
e val Corta, era di gran lunga la valle più rappresentativa della
produzione del bitto. la val Tartano conferma che il bitto è legato ai
bergamini, era, infatti terra di transumanza (sino al XIX secolo
attraverso i passi perché non esisteva la strada del Lario orientale e
non era agevole neppure scendere nel fondovalle dell'Adda). Lo
dimostrano ampiamente le ricerche di Natale Arioli su documenti
risalenti al XVI-XVII secolo. Nelle carte studiate da Arioli emerge un
gran numero di toponimi legati alla val Tartano: alpeggi ('monti') per
lo più, ma anche contrade: Aralli/Aralle (Arale), Prati Oles (Pra de
Ules), Zochada (Zoccada, Sciucada). I cognomi di bergamini
tartanesi citati sono Tirinzoni, della Quarta, Fondrini/Sfondrina (uno
dei cognomi bergamini più diffuso nella bassa milanese e lodigiana),
Mainetti, Gusmaroli/Gusmarollo/Gusmarolo, Goglio. A volte questi
bergamini li troviamo a Milano per affari, rogiti, testimonianze in
tribunale. Nel Novecento, come testimonia Giovanni Bianchini (G.
Bianchini) Gli alpeggi della Val
Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei
pascoli alpini. Sondrio, Tip. Mitta, 1985 i bergamini sono un
ricordo anche se ben presente. La tradizione della produzione dello
stracchino (l'altra faccia del pianeta caseario dei bergamini) in
Tartano è un chiaro lascito dei bergamini. A Tartano la cessazione
della transumanza non ha determinato la fine della cultura del bitto
che è proseguita sino i tempi recenti. Rispetto alla Valgerola, però,
sono stati 'dismessi' prima i calecc'
e poi si è verificata una crisi verticale cui
l'alluvione del 1987 ha dato un duro colpo. Oggi sono pochi gli alpeggi
caricati con vacche da latte e solo in questi ultimissimi anni si
riparla di bitto. Pienamente all'interno dell'area storica la val
Tartano potrebbe, se qualche caricatore seguisse il metodo di
produzione dello 'storico ribelle' entrare a pieno titolo all'interno
del gruppo.
Tecnica = Ciò
che ha consentito l'affermarsi e il consolidamento del 'formaggio della
valle del Bitto', quella che è stata, almeno in parte conservata (al
duro prezzo di una conflittualità ventennale), non è tanto una
'tecnica', tantomeno una 'ricetta', una serie di dettagli tecnici che
nel tempo hanno subito variazioni (vedasi la temperatura di cottura
della cagliata, l'aggiunta o meno di zafferano, l'uso dell'olio di lino
per il trattamento delle forme). Quella che ha contato nella storia del
bitto è un insieme di pratiche, strutturate e coordinate tra loro da
una specifica cultura, dal patrimonio di una comunità di pratica che è
stata in grado di tramandarla. La 'tecnica' di caseificazione è
espressione di una 'cultura del bitto' che comprende la gestione del
pascolamento, la 'coltivazione' del pascolo attraverso il governo del
bestiame, la presenza di strutture specifiche (i calécc', i barech)(vedi). La 'tecnica' di caseificazione rappresenta un anello di una catena.
Molto prima che iniziassero le polemiche sull'estensione dell'area di
produzione del bitto dop o sulla 'modernizzazione' della tecnica di
produzione Giovanni Bianchini che da ragazzo aveva vissuto dall'interno
la realtà degli alpeggi da bitto della val Tartano, scriveva -
anticipando considerazioni che i 'ribelli del bitto' non hanno mai
cessato, sino ad oggi, di rimarcare:
La fabbricazione del vero Bitto
comporta [...] una tecnica complessa e raffinata, che esige dal
casaro intelligenza e grande competenza, perché vanno tenuti
presenti elementi di difficile determinazione, inerenti alla
qualità del latte, qualità che può derivare da diverse cause: la qualità dell'erba che le
mucche hanno pascolato, la quale - come è stato detto - può
variare da alpeggio ad alpeggio e da zona a zona dello stesso
alpeggio ed anche da «pasto» a «pasto»;
il periodo della stagione,
poiché, col progredire di questa, diminuisce il tasso di grasso nel
latte;
la situazione metereologica, in
rapporto alla temperatura e alle precipitazioni atmosferiche;
l'affaticamento
delle mucche per recarsi al pascolo e ritornare a barek,
come pure durante il pascolo .
In base a questi elementi, il
casaro esperto varia la temperatura del latte, per la cagliata, la
grossezza dei grumi della cagliata triturata, la grana, e la
temperatura da dare a questa, che è la temperatura della cottura,
che dev'essere anche in rapporto diretto alla quantità del
latte, quindi, più elevata, se il latte nella caldaia è
abbondante. Verso la fine della stagione, se giudica che il latte è
eccessivamente grasso, lo diluisce leggermente con una quantità di
acqua corrispondente al 3-4% del latte.
(G. Bianchini,
Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi.
Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini.
Tip. Mitta, Sondrio, 1985, p. 33).
Tempio = È
conosciuto come ‘tempio del bitto’ lo storico negozio dei
fratelli Primo (deceduto nel settembre 2016) e Dario Ciapponi che
sorge in piazza 3 Novembre, a Morbegno. Più
propriamente la definizione di ‘tempio del Bitto’ è riferita
alle profonde cantine dove sono conservate e messe in vendita le
forme di bitto dop e di grasso d'alpe. L'importanza che ha assunto la
produzione ottenuta con mangimi e fermenti fa, confusa con quella che
si attiene al metodo tradizionale. Il 'tempio del bitto' , nonostante
l'appannamento del suo prestigio, conserva la sua fama per gli
innegabili meriti storici dei fratelli Ciapponi che, da oltre mezzo
secolo, hanno valorizzato il bitto portandolo a stagionature di dieci
anni. Territorio/i
= I ribelli del bitto quando hanno compreso che il territorio dove
aveva preso origine la loro vicenda (la Valgerola, le valli del Bitto,
la bassa Valtellina) era troppo condizionato dal peso delle
amministrazioni e dei poteri locali, pur mantenendo salda la finalità
di un'azione diretta allo sviluppo del territorio stesso e alla
valorizzazione del suo patrimonio (principi sanciti nel nuovo statuto
della Società valli del Bitto, approvato dall'assemblea straordinaria
del 18 dicembre 2016), hanno capito che dovevano guardare a un
territorio più ampio, alle Orobie in quanto matrice della cultura e
della storia del bitto della tradizione. Dal 2011 hanno iniziato
a guardare con sempre più interesse verso la Valbrembana e a
Bergamo ricambiati da affetto, attenzione e simpatia.. Hanno
partecipato a diverse edizioni della Fiera di San Matteo a Branzi, e a Gourmarte alla Fiera di Bergamo e molto attivamente alla formazione dell'associazione dei formaggi Principi delle Orobie (2015). Nel 2016 sono stati tra i fondatori della rete Territori del cibo, costituitasi a Gandino, in Valseriana.
Torrente = È
il torrente Bitto
con i suoi rami di Gerola e di Albaredo a dare il nome alla valle e
quindi, indirettamente, anche al formaggio.
Traditori =
'Traditori del bitto'
(o 'disertori') sono stati definiti - più ironicamente che con astio - quei casari e caricatori delle
valli del Bitto
che, nel 2005, al momento del ‘grande strappo’ tra produttori
storici e Ctcb per incapacità di resistere alle pressioni hanno
preferito ‘tornare all’ovile’ e restare nel Consorzio
ufficiale. Una limitata defezione (Alpe Pescegallo Foppe, casaro
Michele Lombella, che ha preferito schierarsi con il comune, il
proprietario del'alpeggio) si è avuta anche nel 2016 quando
si è verificata la rottura definitiva tra i 'ribelli' e le
istituzioni locali con l'abbandono del nome bitto.
Tregua = La
guerra del bitto ha conosciuto diverse tregue. Nel 2003 veniva ottenuta
l'ufficializzazione del marchio Valli del Bitto e ci fu un breve
periodo di 'pace' con la partecipazione dei 'tradizionalisti' alla Mostra del Bitto del 2004 con due
conorsi separati. Nel 2005 e nel 2006 i 'tradizionalisti' ormai ribelli
boicottarono la Mostra del bitto.
Vi tornarono nel 2007 in occasione del centenario della prima Mostra.
Poi basta. Nel 2014/15 la 'guerra' è stata congelata in attesa
dell'accordo del novembre 2014 e poi ancora per qualche mese
nell'attesa (vana) dei suoi effetti. Non vi fu neppure il rientro alla Mostra del bitto nell'anno
dell'Expo.
Trogloditi =
I
'trogloditi' del bitto della tradizione sono diventati una delle
immagini più frequantate nelle accese polemiche tra modernisti, succubi
del regime agroindustriale, e ribelli. Quando scoppiarono le prime
scaramucce interne al consorzio la cultura industrialista godeva ancora
di prestigio, quella tradizionale era svalutata come retaggio di
retrogradi incapaci di abbracciare la modernità. Non c'erano ancora i
Presidi Slow Food ma nemmeno gli ogm e non c'era ancora stata la vacca
pazza. Essere tradizionalisti era eroico allora e si deve nutrire molta
ammirazione per chi,come Paolo Ciapparelli, spalleggiato da giovani
produttori e casari ribelli come Giuseppe Giovannoni e Alfio Sassella
sosteneva fiammeggianti polemiche con il 'blocco granitico'
del'establishment . Ma anche per chi come Mosè Manni e la sua famiglia,
indifferenti agli
sfottò dei colleghi 'modernisti' continuavano a gestire l'alpeggio, a
lavorare il latte, ad alimentare gli animali come avevano imparato a
fare dalle generazioni precedenti. La loro è una forma di moralità
implicita - che non viene trasmessa con insegnamenti orali né tanto
meno scritti, che li lega, in sintonia con una cultura che risale al
neolitico, ad una responsabilità di accudimento agli animali, al
pascolo, alla natura. I Manni, che per ragioni famigliari non
potranno più caricare l'alpe nel 2017, possono vantare una catena
di generazioni di casari. Però gli ultimi arrivati che si sentivano
intelligenti perché seguivano acriticamente i consigli (non certo
disinteressati) degli apparati tecnici e burocratici del regime
agroindustriale, non esitavano a dileggiarli ferocemente. Forse si
lavavano qualche volta in meno ma il loro pascolo era 'net',
pulito, accudito mentre gli 'evoluti', i 'moderni' in pochi anni hanno
degradato enormi superfici sia non utilizzandole (perché scomode) sia
eutrofizzandole con l'eccessivo carico e con i mangimi che trasfomano
le superfici dove di munge e si distribuisce il mangime da pascoli a
'toilette delle mucche'. 'Trogloditi' era una dei complimenti più
educati rivolti ai Manni e agli altri 'retrogradi' ostinati che osavano
anche fare della loro aretratezza, della loro cocciutaggine, una
bandiera. Pensavano di offender, insultare, demoralizzare. Invece
'trogloditi del bitto' è diventata una bandiera. Ad ogni successo dei
'trogloditi dei ribelli era immancabile il sarcasmo; quel 'trogloditi'
veniva rimandato al mittente. E il mittente ha dovuto masticare amaro.
Trona = 1) La Bocchetta di Trona a 2092 m mette in
comunicazione la Valgerola con l'alta Valvarrone (e con la Valsassina).
Punto di passaggio importante sulla 'via del bitto'.2) L'alpe Trona soliva ha
visto la presenza, sino al 2014, del patriarca del bitto, Mosé Manni.
In nessun altro alpeggio come a Trona soliva venivano utilizzati tanti calecc' ed erano visibili i segni
(strutture pastorali, sistema di pascolamento). Un vero 'patrimonio
dell'umanità', una testimonianza organica e quasi intatta delle antiche
culture pastorali, un caso unico in Europa che è stato oggetto di una
tesi di archeologia (autrice Yolanda Alther), dell' Università di
Zurigo dal titolo molto significativo:
L'ultima alpicoltura multifunzionale tradizionale.
Unghia = Nel gergo caseario l' 'unghia' è una
crosta eccessivamente spessa e secca. La crosta assume colore grigio
risultando poco aromatica mentre il sottocrosta è eccessivamente
salato. Il difetto è causato da un eccessiva salatura,
dall'areazione eccessiva dei locali che disidrata troppo rapidamente
le crosta, dalle elevate temperature che provocano un eccesso di
trasudazione del grasso.
Usurpazione = Se a proposito delle modalità con le quali è stata istituita dal dop bitto si è parlato di 'esproprio' senza indennizzo (vedi) con il 'bitto storico' sono avvenute delle vere e proprie usurpazioni. Alcuni
commercianti spregiudicati hanno utilizzato la denominazione 'storico
ribelle' che era legata al Presidio Slow Food senza in alcun modo
appartenere ad esso ma contando sul fatto che la Società valli del Bitto e
il Presidio non avrebbero potuto difendere legalmente una denominazione
'a rischio' (dopo un parziale rientro nel sistema dop nel 2010, in
seguito nessun produttore 'storico' si è più assogettato ai controlli
previsti dalla dop) in attesa di trovare una soluzione legale (che non
è mai arrivata). Così in modo plateale le cantine Innocenti di Ardenno,
che hanno per anni venduto su internet 'bitto storico', e - in forma
più discreta - la F.lli Ciapponi di Morbegno hanno utilizzatola
reputazione del 'bitto storico'. Il colmo si è raggiunto quando,
sfruttando la buona fede dell' AIS (associazione italiana sommelier)
dell'Umbria, nel marzo 2016 è stata organizzata una fantomatica
"degustazione verticale di bitto storico" con prodotto (anche di
discutibile stato di conservazione) fornito da Innocenti. Di fronte a
questi episodi è stato accelerato il cambiamento di nome a 'storico
ribelle' che non essendo esposto agli strali della legge sulla tutela
delle dop ed essendo un marchio aziendale depositato è legalmente
difendibile. Vi sono stati, probabilmente in buona fede, alcuni
tentativi (da parte di almeno due aziende valtellinesi) di mettere in
vendita dello 'storico ribelle' ma sono rientrati immediatamente quando
è stato spiegato che senza una fattura di acquisto di 'storico ribelle'
dalla Società valli del bitto che è titolare del nome commerciale, si incorre in una frode commerciale.
Valle/Valli
= Valle/Valli
per antonomasia nel
caso del bitto sono, ovviamente, le
valli del Bitto (sino al XIX secolo, però, prevaleva l’uso al
singolare). Esse sono rappresentate dai due solchi vallivi incisi
dal
torrente Bitto che sbocca a Morbegno. Per secoli (vedi 'elogi') lo
storico formaggio delle Orobie era chiamato in Valtellina 'val del
Bitt'. Nel XIX secolo a questa denominazione si affiancò quella di
'formaggio del Bitto', per poi diventare nel XX secolo 'formaggio
bitto'. Il 'Bitto valli del Bitto' è
la denominazione utilizzata dai produttori storici (i 'dissidenti'
poi 'ribelli') sino alla costituzione del Consorzio salvaguardia
bitto storico (4 giugno 2010). L'Associazione
valli del Bitto
marchiava a fuoco le forme 'Valli del Bitto'. Dal 2003 questo marchio
era stato riconosciuto dalle istituzioni provinciali ma esso è stato
abbandonato nel 2006 a seguito di diffida da parte del Ministero
delle politiche agricole nel clima di rifiuto da parte dei ribelli
delle modifiche 'modernizzatrici' del disciplinare del bitto dop
volute dal Ctcb.
Varrone (val)
= Una valle importante nella storia del bitto. L'alta val Varrone è
stata da secoli una delle aree più legate alla tradizione del bitto. Si
trova nel territorio di Introbio anche se l'alpe è di proprietà del
comune di Premana (località della Valvarrone). La ragione è legata
all'importanza delle miniere di ferro e del transito lungo la via del
bitto che, dall'alta val Varrone giunge a Introbio passando in val
Biandino e scendendo lungo la valle della Troggia. Un percorso
storicamente importante sia per il commercio che per ragini militari.
Di qui sono passati molti eserciti sino a che il percorso ha perso
importanza all'inizio del XIX secolo con la realizzazione della strada
litoranea del lago di Como orientale. Caricata sino al 1870 da
bergamini (nella fattispecie i Platti di Pasturo) della Valsassina (che
nel Settecento caricavano anche Trona in Valgerola), l'alta val Varrone
è stata poi caricata da gerolesi ininterrottamente sino ad oggi. È
interessante notare che, ancora all'inizio del Novecento, sono ancora
bergamini che scendono in inverno nel milanese, a caricare l'alta val
Varrone: gli Acquistapace di Case di sopra di Gerola. Facile osservare
che gli Acquistapace, secoli prima, venivano da Cortenova in Valsassina
e che quindi distinguere tra 'valsassinesi' e 'valtellinesi' non ha
senso nella storia del bitto. In val Varrone di produceva bitto non
solo all'ale Varrone (dove si produce tutt'ora lo 'storico ribelle') ma
anche ad Artino (tutt'ora caricata con vacche da latte e capre ma senza
produzione di bitto) e a Larecc' , oggi 'da pecore' per mancanza di
strutture.
Venezia = Da
Venezia arrivava lo zafferano utilizzato per quella produzione di
bitto/branzi che era esitata sul versante brembano. E, dopo la
stagionatura nei magazzini di Bergamo, proseguiva verso la città
lagunare. Sarebbe interessante - richiederebbe indagini presso
l'archivio di stato di Venezia, scoprire se dalla serenissima
proseguiva oltre. Considerando il ruolo di emporio internazionale di
Venezia non ci sarebbe da meravigliarsene. Intanto il bitto ex storico
ha celebrato il 25° della fondazione di Slow Food a Venezia, l'11
giugno 2011. Una delle tante modalità simboliche che caratterizzano
l'esperienza del bitto ribelle.L'ex bitto storico fu presentato in Campo San Bartolomeo con la Condotta Slow Food Silver.
Ai veneziani e ai turisti venne offerta in quella occasione la
possibilità di conoscere un prodotto che a Venezia era di casa secoli
fa.
Venina (val)
= Una delle valli
orobiche valtellinesi dove, in qualche alpeggio, si produceva bitto
Verrobbio
(passo) = Il passo (chiamato anche gli 'zapelli' di Verrobio dal
termine lombardo per definire un passaggio stretto e obbligato con
gradini) era noto anche come Passo di Morbegno. Prima dell'apertura
della Priula era il passo frequentato per raggiungere Morbegno dalla
bergamasca attraverso la vecchia via
mercatorum che
proseguiva risalendo la val Mora. Il passo è legato ad una
contesa che si protrasse per sessant'anni a cavallo tra Seicento e
Settecento per diritti di passaggio dal Passo di San Marco a quello
del V., attraverso le alpi Ancogno e Col, delle malghe dei bergamini
bergamaschi che affittavano l'alpe di Bomino (valle laterale della
Valgerola). I proprietari delle alpi sul versante brembano
pretendevano che i bergamini scendessero per la via Priula sino a
Morbegno e risalissero la val Gerola o, in alternativa, elevati
pedaggi. La causa, che si protraeva con costi legali elevati per
entrambe le parti, si concluse nel 1726 con una composizione
ragionevole tra le parti (i privati proprietari delle alpi Ancogno e
Col e la parrocchia di San Bartolomeo di Gerola. La ricca
documentazione relativa alla causa, che coinvolse le autorità
pubbliche (il podestà di Morbegno e il capitano e podestà di
Bergamo) ci consegna notizie interessanti sulla storia del bitto
desunte dalla documentazione conservata nell'archivio della chiesa di
San Bartolomeo di Gerola, proprietaria dell'alpe Bomino (C.Ruffoni
“La storia degli alpeggi e del formaggio bitto. La grande svolta -
l'età moderna -” in M. Corti, C. Ruffoni, Il
formaggio val del Bitt, la storia, gli uomini gli alpeggi. Come nasce
un mito caseario. Ersaf,
Milano, 1999). Nel 1693 il Podestà di Morbegno reclama il diritto
di libero transito attraverso il passo, sottolineandone il valore
commerciale mette in evidenza oltre le importazioni dalla bergamasca
in valtellina anche la “quantità grande di bestiami e tutta la
grassina [formaggi]che
si fabbrica ne monti vicini a quei paesi” che si dirige verso la
bergamasca. Circostanza confermata nel 1701 dal podestà e dal
capitano di Bergamo che sottolineano come l'itinerario attraverso il
passo del Verrobio servisse a “racoglier le carni et grassine
[formaggi]
per beneficio della città di Bergamo et de pubblici datii”. È
interessante notare come nel periodo considerato non solo Bomino ma
anche le alpi Pescegallo e Dosso cavallo fossero caricate da
bergamini bergamaschi e che quindi buona parte del bitto della
Valgerola venisse prodotto da bergamaschi che lo trasportavano in val
Brembana. Nell'appello dei sindaci della chiesa di Gerola si
ribadisce che a memoria d'uomo il transito per l'itinerario
contestato dai proprietari delle alpi era sempre stato da memoria
d'uomo ininterrottamente praticato e libero per “condurre animali
d'ogni sorte dalle valli Averata, Torta e oltre nelle terre di
Gerola, Pedesina, Volusa [Rssura?]
e Sacco” e che “per suddetta strada e passo di Varobio e Morbegno
si conduce gran quantità di formaggi da dette terre in Bergamasca”.
Verticale =
Si dice del tipo di degustazione (vedi) che consiste nel confronto di
vini dello stesso produttore di annate diverse. Lo 'storico ribelle' è
stato il primo formaggio a proporre 'degustazioni verticali'
nell'ambito dei formaggi. A volte condotte in parallelo a degustazioni
di grandi vini in abbinamenti memorabili.
Via
= Da secoli è
conosciuta
come ‘via del bitto’ il percorso che dalla Valsassina in
provincia di Lecco raggiunge Morbegno attraverso la val Biandino,
l’alta val Varrone, la Bocchetta di Trona e la valle del Bitto di
Gerola. Un percorso di grande interesse storico che consente di
visitare, oltre agli alpeggi, l'Oratorio della Madonna della Neve a
Biandino, edificato dalla famiglia Annovazzi (bergamini proprietari
dell'alpe), le ultime miniere di ferro dell'alta val Varrone, le
fortificazioni della 'Linea Cadorna' alla bocchetta di Trona.
Possibilità di pernottamento e sosta ai rifugi Biandino, Tavecchia e
Madonna della Neve in val Biandino, Sanra Rita (sul crinale che separa
la val Biandino dalla val Varrone), casera vecchia (in alta val
Varrone).
Volontari =
La resistenza del bitto ribelle è stata possibile grazie al sostegno
finanziario dei tanti soci della Società valli del bitto, al lavoro
sottoretribuito (o volontario) degli amministratori e dei dipendenti della società stessa,
ma anche grazie al lavoro di volontari nella veste di 'sostenitori'. La presenza dell'ex bitto
storico a tanti eventi è possibile grazie al volontariato. Chi da
una mano vendendo il formaggio a una fiera, chi si impegna anche nella
realizzazione e manutenzione del sito. Se lo 'storico ribelle' è così
visibile, tanto alle manifestazioni specializzate che sul web, è solo
grazie al volontariato. Con risorse insignificanti la visibilità dello
'storico ribelle' supera quella del bitto dop che fruisce delle ingenti risorse pubbliche della 'promozione di stato'.
Volontari del bitto ribelle: Luciano (a sinistra) e Joseph
Zafferano
= Utilizzato, sino ai primi decenni del Novecento, per la produzione
di bitto che era esitata con il nome di 'branzi' su quella piazza. La
tradizione risaliva probabilmente all'apertura della via Priula che
aveva creato nuovi sbocchi commerciali sul versante
bergamasco. Da Venezia arrivava lo zafferano ma verso Venezia era
spedito anche il bitto. Osservava il relatore dell'inchiesta
agricola dell'epoca Lombardo-Veneta: “È osservabile eziandio, che
il formaggio destinato a smerciarsi nella provincia di Bergamo
vien preparato collo zafferano per colorirlo a foggia di quello
Lodigiano, mentre all'incontro non usasi zafferano per quello da
smerciarsi nelle provincie di Milano e di Como” (Regione Lombardia,
Settore Cultura e Informazione, Servizio biblioteche e beni librari e
documentari, Agricoltura e condizioni di vita dei lavoratori
agricoli lombardi: 1835-1839. Inchiesta di K. Czoernig, Editrice
bibliografica, Milano, 1986, pp.721). Come è noto la tradizione
dell'uso dello zafferano continua nel caso dei formaggi bresciani
(bagòss, nostrano di Valtrompia).
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