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COMUNICATO. RIPARTE LA CAMPAGNA DI AZIONARIATO POPOLARE A SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)

Dopo il cambio di statuto per divenire Società Benefit, secondo la nuova legge in vigore dal 1 gennaio 2016, la Società Valli del Bitto riapre la campagna di azionariato popolare. Società benefit è quella che non mira solo al proprio utile ma a vantaggi per la società, il territorio, l'ambiente.La Società Valli del Bitto punta solo alla sostenibilità economica e non al lucro. Senza di essa non potrebbe conseguire i propri scopi che sono in primo luogo garantire - attraverso la valorizzazione economica - la sopravvivenza del formaggio "storico ribelle" (ex-bitto storico) con tutto il suo sistema di produzione in alpeggio che rappresenta un monumento di cultura e di biodiversità. Lo "storico ribelle" è Presidio Slow Food, il presidio che - a detta di Slow Food - incarna forse al meglio il principi del cibo "buono - pulito - giusto". Tutti possono partecipare a questa Società che incarna l'ideale dell'agricoltura etica sostenuta dalla comunità che, a sua volta, sostiene il territorio. Sottoscrizione minima 150€ ( massimA 20 mila €). Ai soci viene riconosciuto un "dividendo etico" in natura pari al 2% del capitale sottoscritto. Per sapere come associarsi:

TEL. 334 332 53 66

info@formaggiobitto.com

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Articoli per argomenti 

ex-bitto storico

Il Dizionario del bitto ribelle (IV)

di Michele Corti




Parte IV (R-Z)


R. Raspa, Resistenza, Retro-innovazione, Ribaltonisti, Ribelli, Richelieu,
Rilevatari

S. Sagra, Saperi, Santuario, Scagliatura, Scalzo, Secessione, Sfoglia, Simboli, Società, Spaccature, Storico

T. Tartano, TecnicaTempio, Territori, Torrente, Traditori, Tregua, Trogloditi, Trona

U. Unghia, Usurpazione

V. Valli, Varrone, Venezia, Venina, VerrobbioVerticaleVia

Z. Zafferano


VAI ALLA            PARTE I (A-C)PARTE II (D-L);  PARTE III (M-Q)



Raspa = La raspa è lama utilizzata per pulire il formaggio; per espensione la 'raspa' è il 'truciolo' di formaggio che si ottiene come scarto.. Il bitto della tradizione si caratterizza per la forma sempre pulita, senza 'fioritura' di muffe ma nemmeno trattata con olio. Pertanto solo la cura viene effettuata rivoltando spesso le forme, con la strofinatura e la raspatura (con una lama). Un tempo con la 'raspa' e la polenta si preparava una balota che si mangiava in alpeggio dove ogni scarto era utilizzato (anche la muffa era utilizzata, per i maiali).

Resistenza = Nel caso dei ribelli del bitto le formule della 'resistenza casearia' e della 'resistenza contadina' sono utilizzate nella loro forma più piena e sincera. Sono espressione di una 'resistenza sociale' che si esprime in forme che vanno oltre il conflitto sociale classico, la protesta, aperta, le iniziative clamorose, la forma oppositiva, ma che assumono la forma della prassi quotidiana, della pratica, anche silenziosa,  di modelli alternativi a quelli dominanti.   Iniziò il battagliero periodico Cheese time di Stefano Mariotti a parlare di R. casearia sin dal 2006, proprio in corrispondenza della nascita della 'ribellione del bitto'. Cheese time continuò a mantenere una rubrica così intitolata. Slow Food istituì poi il premio R. casearia, consegnato nel 2011, 2013 e 2015, in occasione di Cheese a Bra. Nel 2013, il Patriarca del bitto (vedi), Mosè Manni, simbolo vivente del bitto della tradizione è stato insignito del premio con la seguente morivazione: "Premiamo Mosè Manni per la sua dedizione al bitto e alla sua valle. Mosè ha 80 anni e conserva un sapere antichissimo che, come altri grandi produttori delle valli del Bitto, non ha esitato a trasmettere e a condividere. Con Mosè Manni premiamo un grande maestro casaro ma con lui rendiamo omaggio anche a tutti i produttori del bitto delle valli storiche e al loro ultradecennale impegno per la sopravvivenza delle pratiche produttive tradizionali. Mosè non ha mai usato i fermenti, non ha mai nutrito con i mangimi, ha custodito con passione le sue capre orobiche che ogni estate, da quando era ragazzo, ha guidato alla malga. Oggi ha passato la sua sapienza alla nipote, per dare ancora un futuro al bitto della famiglia Manni." Ma cos'è questa resistenza? Qualcosa di romantico? di fanatico? Macché, è la condizione di sopravvivenza dell'agricoltura per non essere (completamente) inglobata nella dimensione e nella logica industriale. Dice Terry Mardsen (2007), che con van der Ploeg rappresenta quanto di più autorevole esprima la sociologia rurale (rural studies per gli anglofoni). "It's necessary to create a radical rupture with the agri- industrial processes. Agriculture must in a variety of ways, attempt to find new political, social and ecological platforms and spaces to distinguish itself from the conventional modernization processes that intend to continue to devaluate its base".  Se non è chiaro cosa significhi "devaluate its base" è sufficiente riflettere sul latte a 30 cent e sul formaggio a 3-4 € a togliere ogni dubbio. I ribelli del bitto danno un maledetto fastidio a tanti (nelle imprese agroindustriali, nelle istituzioni della politica, nelle agenzie parapubbliche, nelle burocrazie e nelle accademie) perché dimostrano che retrogradi sono i "modernisti", gli industrialisti. La resistenza contadina - incarnata dai ribelli del bitto - non è una forma di reazione, un'opposizione esclusivamente “difensiva” alla modernizzazione agricola. Non li combattono certo perché siamo perdenti (li lascerebbero morire da soli).

Retroinnovazione = Una forma di innovazione che si è affermata sia in agricotura che nell'industria. Essa rappresenta la forma specifica di innovazione in un contesto di resistenza rurale, ma la troviamo diffusa anche nel campo industriale, per esempio riproponendo oggetti di consumo caduti in disuso associati a nuove tecnologie. Un mix di nuove tecnologie e memoria. Una retro-innovazione è lo sviluppo di conoscenza e competenza, che combina elementi e pratiche dal passato con il presente e configura questi elementi per nuovi e futuri  propositi e si basa fondamentalmente sulla  conoscenza contestuale (Stuiver, 2006). La retro-innovazione valorizza la specificità culturale-storica-ecologica rappresentando uno strumento potente di differenziazione dai prodotti standard. Un modo, in soldoni, per "chiamarsi" fuori dallo stritolamento del mercato globale. Lo 'storico ribelle' rappresenta un campione di retro-innovazione, un caso da manuale. La retro-innovazione dello “storico” ha riguardato: il ripristino delle pratiche pastorali e delle strutture casearie tradizionali, la valorizzazione dei saperi contestuali, ovvero il 'saper fare' del casaro e del pastore nel contesto di una comunità di pratica', la valorizzazione delle risorse naturali (il 'culto dell'erba'), la biodiversità culturale (le razze autoctone, la stagionatura in condizioni di microclima non controllato artificialmente (una pratica onerosa che si giustifica solo se le forme che arrivano in cantina sono "retro-innovate", di elevata qualità all'origine e se ad esse vengono applicate cure attente, competenti, assidue, time-consuming).

Ribaltonisti = I ‘ribaltonisti del bitto’ sono i due ex sindaci di Albaredo e Gerola alta (rispettivamente Patrizio Del Nero e Fabio Acquistapace). Nel 2005, dopo aver sostenuto, con apparente entusiasmo, la causa del produttori storici, Patrizio Del Nero ha cambiato fronte: ha fatto aprire ad Albaredo una succursale della Latteria sociale Valtellina ed è diventato direttore del Multiconsorzio (oggi sciolto) che riuniva le dop e le igp della provincia. L'Acquistapace, siindaco di Gerola dal 2003 al 2013 aveva esordito come consigliere di opposizione nel 1994 con la lista Lega Nord . Era stato eletto Paolo Ciapparelli che, per seguire la vicenda del bitto, aveva lasciato il posto all'Acquistapace. Nel 2010 il sindaco di Gerola era stato protegonista di in un accordo-ribaltone in Comunità montana alleandosi con Del Nero. Da questa alleanza  avrebbe dovuto scaturire (come annunciato sulla stampa locale)  una 'pace del bitto' (sulla pelle dei produttoti che erano all'oscuro di tutto). Dopo aver caldeggiato (gennaio 2010)  un primo tentativo di accordo con la Camera di commercio (che avrebbe comportato la cessione della gestione della casera), quando era ancora in carica come sindaco, l'Acquistapace, nel 2011 tentò, da azionista di minoranza, di sfiduciare Paolo Ciapparelli, il presidente e fondatore della Società valli del bitto.

Nel maggio 2016, in occasione dell'assemblea della società, ha rinnovato pesanti attacchi facendo leva sull'esito negativo della 'pace del bitto' e sull'incapacità di trovare un accordo con il comune (che , guidato dalla sorella, ha respinto, all'inizio dello stesso 2016, a una proposta di accordo complessivo tra la Società valli del Bitto e l' amministrazione comunale).

Ribelli/Ribelle = Dal 2005/2006, in concomitanza con la rottura definitiva con il Ctcb i produttori storici, che, in precedenza svolgevano un ruolo di dissenso e contestazione all'interno del consorzio ufficiale, vengono sempre più spesso definiti ‘ribelli del bitto’. Ribelli del bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva è anche il titolo del volume, autore Michele Corti, edito da Slow Food nel 2011. In precedenza erano stati anche qualificati come ‘i puri e duri del bitto’. Da allora nelle cronache il termini 'ribelli' non è stato più abbandonato. Parallelamente ci si riferisce sempre più frequentemente al bitto dei ribelli come al 'bitto ribelle'.

Richelieu  =  Il Richelieu della vicenda ventennale dei ribelli del bitto è facilmente identificabile nel dott. Marco Deghi, direttore della Latteria sociale Valtellina di Delebio. Armand-Jean du Plessis duca di Richelieu, noto soprattutto come cardinale Richelieu è stato un cardinale, politico e vescovo cattolico francese. Fu nominato primo ministro dal re Luigi XIII di Francia. Ci si riferisce da secoli a Richelieu  come a un politico abile, che detiene le vere leve del potere ma che manovra senza venire allo scoperto, con grande abilità... cardinalizia .

Rilevatari = vedi Cargamuunt

Sagra = La ‘sagra del bitto’ si svolge dagli anni ’80 del secolo scorso a Gerola alta in un fine settimana della prima metà di settembre. Fa parte del circuito delle sagre tradizionali valtellinesi ed è caratterizzata da rievocazioni in costume del gruppo tradizionale dei Giaröi . Con la rottura tra produttori storici e Ctcb la sagra era diventata l’evento di riferimento dei ribelli del bitto che disertano la Mostra del bitto. Anche la sagra, però, ha conosciuto i contraccolpi del mancato sostegno del comune di Gerola ai ribelli. Nel 2010, dopo che sui giornali era apparso l'annuncio di una 'pace del bitto' (di cui i produttori erano del tutto all'oscuro), erano stati invitati gli amministratori dei Albaredo, comune confinante che aveva assunto dal 2005 una posizione contraria ai ribelli e che aveva aspramente polemizzato con lo stesso comune di Gerola, definendo il Centro del Bitto “una cattedrale nel deserto”. Per protesta contro le manovre trasformistiche in atto i caricatori d'alpe storici, presente il presidente della provincia, rifiutarono quell'anno di ricevere i premi. Negli anni successivi vi sono state fasi alterne di riavvicinamento e allontanamento tra ribelli e organizzatori della sagra . Nel 2016, nel clima deteriorato dei rapporti con il comune di Gerola (e la pro loco che ne segue la linea) alcuni dei produttori storici, pur in assenza di un boicottaggio da parte della loro associazione, non hanno partecipato alla premiazione.

Santuario = Il ‘santuario del bitto’ (definizione che si alterna a quella di 'museo') è il nome con il quale sempre più frequentemente viene denominata la casera (naturale) di stagionatura dell'ex bitto storico (oggi 'storico ribelle') che sorge a Gerola alta. All'interno del 'santuario' si ammirano centinaia di forme in dedica, vergate a mano con inchiostro di mirtillo e spesso recanti disegni che richiamano in qualche modo gli ex-voto. Non mancano forme decorate da artisti. Il carattere del santuario è rafforzato dalla presenza di cimeli (ricordi di personaggi della storia del bitto, targhe, diplomi, pergamente) , la 'galleria dei giusti' con le forme dedicate agli 'amici del bitto'. C'è anche il sancta sanctorum, il sacello con le forme più preziose a completare l'analogia. I visitatori firmano un registro dove possono lasciare per iscritto le loro impressioni e i loro commenti. Come in un museo.

Scagliatura = I formaggi duri come il grana, quando stagionati, si porzionano a scaglie utilizzando appositi coltelli con lama cuoriforme. Tagliati con un normale coltello si frantumano in frammenti irregolari di diversa dimensione, alcuni troppo piccoli per costituire un boccone. Nello 'storico ribelle' in considerazione del tenore di grasso elevato (è ottenuto da latte ad elevato tenore di grasso senza alcuna scrematura) e della natura dei grassi (basso fondenti in ragione dell'alimentazione a base di sola erba di pascolo) la pasta si mantiene sorprendentemente'semidura' anche dopo 4-5 e più anni anni di invecchiamento tanto che la lama del coltello riesce a dividere porzioni dalla superficie regolare. Un risultato legato ovviamente ad una adatta tecnica di lavorazione che differenzia lo 'storico ribelle' da formaggi a pasta dura come il grana e lo sbrinz  (minore acidificazione della pasta (uso del siero innesto, acidità del latte lasciato a sostare per la parziale spannatura) e cottura a temperatura molto elevata (55°C contro i 51°C al massimo dello 'storico-ribelle').

Scalzo = Lo scalzo (o 'corona'), equivale all'altezza della forma di formaggi, è molto caratteristica nello 'storico ribelle' che l'ha ereditata dal bitto/branzi della tradizione. Alto 8-10 lo scalzo non è però diritto ma concavo e con spigoli piuttosto vivi. Una simile forma è condivisa con il bitto dop, il branzi FTB, la fontina, il beaufort e l'abondance, ovvero con i formaggi grassi d'alpe della Savoia e della valle d'Aosta. Per quale motivo questi formaggi hanno lo scalzo concavo? Non è facile rispondere ma si può pensare che sia legata alla facilità di trasporto. Una forma con scalzo concavo può essere facilmente legata con una corda e appesa. Rispetto ad uno scalzo convesso la forma ha il vantaggio di poter essere mantenuta in piedi appoggiata sullo scalzo.Indipendente dal motivo lo scalzo concavo è un elemento di identità importante. Non sempre le forme mese in fascere di legno di larice tradizionale 'riescono' con uno scalzo marcatamente concavo e a spigoli vivi. Il legno si usura e la convessità della fascera si riduce. Meglio un bello scalzo tipico ottenuto con una fascera di plastica? I vecchi casari dicono di no. Il legno (vedi) sino a pochi anni fa criminalizzato da igienisti e tecnologi è stato rivalutato. Uno dei motivi la capacità di assorbire l'umidità. Messa in fascere di plastica la pasta (la cagliata estratta dalla culdera) presenta una superficie bagnata e quindi possibili iniziali alterazioni. La cura delle fascere e la loro regolare sostituzione potrebbero però garantire una forma più regolare e riconoscibile come merita un formaggio prezioso come lo 'storico ribelle'.

Secessione = Forse in qualche richiamo alla secessione che ha accompagnato alcuni dei passaggi più di rottura della storia dei ribelli del bitto c'è qualche eco del leghismo 'vecchia maniera', quello cui facevano riferimento Ciapparelli, e non solo lui, prima che la Lega arrivasse alla presidenza della provincia nel 2004 schierandosi con le lobbye 'scaricando' i ribelli. Di 'secessione del bitto' con la prospettiva di 'ritorno alla bergamasca' si è parlato in più occasioni anche nei titoli di giornale. A Sondrio in modo sbalordito, a Bergamocon malcelata soddisfazione. La 'secessione' dalla Valtellina ha significato per il bitto ribelle ricordare che il bitto è nato orobico e che solo per via dell'arroganza e dell'ignoranza di chi occupa le istituzioni è divantato 'pansondriese' con una decisione a tavolino. Una decisione che ignorava non solo la storia ma anche quello che allora era il presente (le iniziative per 'esportate' la tecnica di produzione del bitto, inviando come casari itineranticasari del bitto come Eliseo Manni - il fratello di Mosè - e Alfredo Mazzoni, furono attuate dopo il riconoscimento della dop). Non c'è mai stata nessuna secessione dalla Valtellina perché il bitto della tradizione è sempre stato orobico quindi bergamasco e lecchese. Di fatto, però, c'è stata, in occasione di più edizioni, la presenza dei ribelli del bitto alla Fiera di San Matteo a Branzi, c'è stata la  formazione dell'associazione  formaggi Princi delle Orobie, sono nate diverse iniziative nate sul terreno dell'incontro tra valli del Bitto e Valbrembana (Associazione capra Orobica e relativo Presidio Slow Food  Associazione allevatori lombardi bruna originale, nate nel 2015). Tornare alle Orobie per i ribelli del bitto significa anche tornare a valorizzare il rapporto con la città a nord delle Orobie, la città del torrente e del formaggio bitto, oltre che continuare a recupere il rapporto con la città orobica per definizione: Bergamo.

Seriana (val) = Il bitto/branzi è fortemente legato alla val Brembana, a parte della Valsassina e Valvarrone e alle valli orobiche valtellinesi ma l'affresco di Clusone (vedi: 'antenato') e una pala di San Lucio (patrono dei casari) nel santuario dei bergamini della Madonna della Grazie a Lantana (una località di origine dei bergamini di Dorga in comune di Castione della Presolanaci dice che un tempo (sino al XVIII secolo o anche oltre?) il bitto veniva prodotto anche dai bergamini che caricavano in val Seriana e val Borlezza. Se è vero che la val Seriana e la val Borlezza oggi si sono orientate alle  meno impegnative ‘formaggelle’, è anche vero che la tecnica del formaggio semigrasso (ma anche grasso) è, ancor oggi,  tutt’altro che ignota. E c'è da supporre era molto più comune e perfezionata quando gli alpeggi erano caricati dai più esperti casari bergamini. Essi a Castione (ma in molte altre località) avevano il monopolio degli alpeggi tanto è vero che all'inizio del XX secolo i 'casalini' (i piccoli allevatori stanziali per poter alpeggiare dovevano recarsi sino in Szittera tanto era forte la 'fame di alpeggi' e la domanda sostenuta dai bergamini.  Era, però,  più in auge nel passato. La pala settecentesca raffigurante San Lucio - patrono dei casari e degli alpeggi - presenta un angiolo-putto che sorregge una maestosa forma di quello che appare inequivocabilmente come  ‘bitto’, dallo scalzo, dal colore della pasta, dalla scagliatura della stessa, un bitto pregiato di almeno due anni di affinamento. Inutile sottolineare che la pala è il frutto del mecenatismo dei  ricchi bergamini locali. Il bitto è orobico ma se teniamo conto del numero (certo) di alpeggi che lo producevano in val Brembana a inizio XX e del fatto che, in precedenza, fosse prodotto anche dai bergamini che caricavano le valli più a Est bisognerebbe concludere che è certo più bergamasco che valtellinese.


Sfoglia= La pasta all’interno presenta fessurazioni tra loro parallele mentre all’esterno non si nota alcuna alterazione. Completamente diverso dalle cavitazioni che si producono per azione di fermentazioni con produzioni di gas. È un difetto, non frequante nel caso dello 'storico ribelle'  normalmente imputabile al casaro dal momento che nel nostro formaggio la lavorzione segue immediatamente la mungitura e non vi è il rischio di eccessiva acidificazione del latte prima dell'aggiunta dl caglio né di rapida acidificazione del latte in caldaia per aggiunta di fermenti..  Le cause sono da ricercare in una pasta troppo disidratata e demineralizzata (poco elastica) che non si tiene insieme. Alla base vi è un'eccessiva acidificazione della pasta per un eccesso di caglio,  una coagulazione troppo prolungata, un eccesso di spurgo, una salatura troppo prolungata,  correnti d’aria e variazioni di temperatura nei locali di stagionatura. Può comportare alterazioni del gusto.

Simboli = Simboli ma anche ‘guardiani del bitto’, 'numi tutelari' o 'spiriti guardiani'  (in assonanza con altre mitologie) sono simboli, tra il mito e la storia, che svolgono il ruolo di protezione dei ribelli del bitto: l’Homo selvadego è il più interessante perché affonda la sua leggenda in tempi preistorici, ma sono suggestivi (e pieni di significati reali) anche i pastori-guerrieri celti, gli antichi malghesi transumanti (i bergamini) ma anche la capra orobica, il pizzo dei Tre Signori, lo stesso patriarca del Bitto (Mosè).

Società = (1) Nel 1908 si formò, su impulso della Cattedra ambulante di agricoltura, la Sociètà caricatori d'alpe di Morbegno che, nell'anno successivo inaugurò la Casera sociale, capace di 3 mila forme . La Società si prefiggeva la gestione della casera al fine di valorizzare meglio il prodotto evitando la necessità di venderlo subito a fine alpeggio ai commerciannti per mancanza di luoghi idonei ove conservarlo. Si prefiggeva anche di curare il continuo incremento" della "fiera annuale di formaggi di Morbegno" e di "far conoscere con opportuna pubblicità sia all'interno che all'estero il formaggio grasso tipo Bitto". (2) La Società valli del Bitto trading spa (questo il nome, con quel trading poco azzeccato in verità, che la caratterizzava sino al 18 dicembre 2016)  ha rappresentato e rappresenta il 'braccio commerciale' ('il braccio armato' , se si preferisce un'espressione più immaginifica) dei ribelli del bitto. Fondata nel 2003 da Paolo Ciapparelli, con alcuni amici entusiasti, tra i quali non si può fare a meno di ricordare almeno il Gino (Cattaneo) patron de la Brace di Forcola,  si è gradualmente estesa a professionisti, imprenditori, semplici cittadini interessati a sostenere il bitto della tradizione. Tutti appassionati e ferventi sostenitori della causa. Questa 'fede' non poteva essere certo prevista dai  nemici del bitto ribelle (capaci di ragionare solo in termini guadagno). Oggi la Società conta 130 soci, per lo più residenti tra la Valtellina e la Brianza. Cinque caricatori/casari del bitto ribelle sono soci. Dal dicembre 2016 la Società  ha cambiato la denominazione (e lo statuto) in conformità alla legge sulle società benefit (società che perseguono oltre all'utile economico precise finalità ambientali e sociali). La nuova denominazione è Società valli del Bitto spa benefit.


Spaccature e fessurazioni della crosta =  Compromettono la conservazione e la presentazione del formaggio. E’ un difetto di origine tecnologica che si origina nel corso della stagionatura. Le forme colpite presentano screpolature sulla crosta e/o spaccature superficiali visibili, profonde 2-3 cm che possono riguardare anche la pasta.  Le cause, come per la 'sfogliatura' (vedi) vanno ricercate principalmente in una demineralizzazioneeccessiva della cagliata che la rende poco elastica. Una circostanza dovuta a latte troppo acido in partenza o a una successiva eccessiva acidificazione o anche ad una dose di caglio eccessiva. Possono però derivare anche dalle condizioni dei locali di conservazione con temperature e umidità non idonee. Un problema che, nella fase di stagionatura in alpeggio, può presentarsi anche nello 'storico ribelle' in annate sfavorevoli e in quelle casere che sono state ristrutturate senza rispettare fli elementi tradizionali. La disidratazione troppo veloce della superficie del formaggio (umidità troppo bassa della cantina e presenza di correnti d'aria) dissecca la parte superficiale formando precocemente la crosta ed impedendo quindi la perdita di acqua all'interno della pasta. Una circostanza che causa un'eccessiva attività fermentativa negl strati di pasta sottostanti con produzione di gas e l'esercizio di una pressione dall'interno verso l'esterno (nel gonfiore tardivo, invece, le spaccature dovute alla formazione di gas si verificano al centro stesso della forma).

Storico = Si indicava come ‘bitto storico’ il bitto prodotto dai ribelli del bitto tra il 2010 e il 2016; la denominazione è stata ufficializzata con la costituzione del Consorzio salvaguardia bitto storico (avvenuta il 4 giugno 2010). Nel 2016, a seguito del fallimento dell'accordo con le istituzioni siglato nel 2014, e al venir meno di qualsiasi prospettiva di soluzione legale e concordata della 'guerra del bitto', la Società valli del Bitto depositò alla Camera di commercio di Lecco il nuovo nome 'storico ribelle'.

Tartano (val)  = Sul versante valtellinese la val Tartano, che si divide in val Lunga e val Corta, era di gran lunga la valle più rappresentativa della produzione del bitto. la val Tartano conferma che il bitto è legato ai bergamini, era, infatti terra di transumanza (sino al XIX secolo attraverso i passi perché non esisteva la strada del Lario orientale e non era agevole neppure scendere nel fondovalle dell'Adda). Lo dimostrano ampiamente le ricerche di Natale Arioli su documenti risalenti al XVI-XVII secolo. Nelle carte studiate da Arioli emerge un gran numero di toponimi legati alla val Tartano: alpeggi ('monti') per lo più, ma anche contrade: Aralli/Aralle (Arale), Prati Oles (Pra de  Ules), Zochada (Zoccada, Sciucada). I cognomi di bergamini tartanesi citati sono Tirinzoni, della Quarta, Fondrini/Sfondrina (uno dei cognomi bergamini più diffuso nella bassa milanese e lodigiana), Mainetti, Gusmaroli/Gusmarollo/Gusmarolo, Goglio. A volte questi bergamini li troviamo a Milano per affari, rogiti, testimonianze in tribunale. Nel Novecento, come testimonia Giovanni Bianchini (G. Bianchini) Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini. Sondrio, Tip. Mitta, 1985 i bergamini sono un ricordo anche se ben presente. La tradizione della produzione dello stracchino (l'altra faccia del pianeta caseario dei bergamini) in Tartano è un chiaro lascito dei bergamini. A Tartano la cessazione della transumanza non ha determinato la fine della cultura del bitto che è proseguita sino i tempi recenti. Rispetto alla Valgerola, però, sono stati 'dismessi' prima i calecc' e poi si è verificata una crisi verticale cui l'alluvione del 1987 ha dato un duro colpo. Oggi sono pochi gli alpeggi caricati con vacche da latte e solo in questi ultimissimi anni si riparla di bitto. Pienamente all'interno dell'area storica la val Tartano potrebbe, se qualche caricatore seguisse il metodo di produzione dello 'storico ribelle' entrare a pieno titolo all'interno del gruppo.

Tecnica = Ciò che ha consentito l'affermarsi e il consolidamento del 'formaggio della valle del Bitto', quella che è stata, almeno in parte conservata (al duro prezzo di una conflittualità ventennale), non è tanto una 'tecnica', tantomeno una 'ricetta', una serie di dettagli tecnici che nel tempo hanno subito variazioni (vedasi la temperatura di cottura della cagliata, l'aggiunta o meno di zafferano, l'uso dell'olio di lino per il trattamento delle forme). Quella che ha contato nella storia del bitto è un insieme di pratiche, strutturate e coordinate tra loro da una specifica cultura, dal patrimonio di una comunità di pratica che è stata in grado di tramandarla. La 'tecnica' di caseificazione è espressione di una 'cultura del bitto' che comprende la gestione del pascolamento, la 'coltivazione' del pascolo attraverso il governo del bestiame, la presenza di strutture specifiche (i calécc', i barech)(vedi). La 'tecnica' di caseificazione rappresenta un anello di una catena. Molto prima che iniziassero le polemiche sull'estensione dell'area di produzione del bitto dop o sulla 'modernizzazione' della tecnica di produzione Giovanni Bianchini che da ragazzo aveva vissuto dall'interno la realtà degli alpeggi da bitto della val Tartano, scriveva - anticipando considerazioni che i 'ribelli del bitto' non hanno mai cessato, sino ad oggi, di rimarcare:

La fabbricazione del vero Bitto comporta [...] una tecnica complessa e raffinata, che esige dal casaro intelligenza e gran­de competenza, perché vanno tenuti presenti elementi di difficile determina­zione, inerenti alla qualità del latte, qualità che può derivare da diverse cause:  la qualità dell'erba che le mucche hanno pascolato, la quale - come è sta­to detto - può variare da alpeggio ad alpeggio e da zona a zona dello stesso alpeggio ed anche da «pasto» a «pasto»;  il periodo della stagione, poiché, col progredire di questa, diminuisce il tasso di grasso nel latte;  la situazione metereologica, in rapporto alla temperatura e alle precipita­zioni atmosferiche;  l'affaticamento delle mucche per recarsi al pascolo e ritornare a barek, come pure durante il pascolo .
In base a questi elementi, il casaro esperto varia la temperatura del latte, per la cagliata, la grossezza dei grumi della cagliata triturata, la grana, e la temperatura da dare a questa, che è la temperatura della cottura, che dev'esse­re anche in rapporto diretto alla quantità del latte, quindi, più elevata, se il lat­te nella caldaia è abbondante. Verso la fine della stagione, se giudica che il latte è eccessivamente grasso, lo diluisce leggermente con una quantità di ac­qua corrispondente al 3-4% del latte.
(G. Bianchini, Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini. Tip. Mitta, Sondrio, 1985, p. 33).

Tempio = È conosciuto come ‘tempio del bitto’ lo storico negozio dei fratelli Primo (deceduto nel settembre 2016) e Dario Ciapponi che sorge in piazza 3 Novembre, a Morbegno. Più propriamente la definizione di ‘tempio del Bitto’ è riferita alle profonde cantine dove sono conservate e messe in vendita le forme di bitto dop e di grasso d'alpe. L'importanza che ha assunto la produzione ottenuta con mangimi e fermenti fa, confusa con quella che si attiene al metodo tradizionale. Il 'tempio del bitto' , nonostante l'appannamento del suo prestigio, conserva la sua fama per gli innegabili meriti storici dei fratelli Ciapponi che, da oltre mezzo secolo, hanno valorizzato il bitto portandolo a stagionature di dieci anni.

Territorio/i = I ribelli del bitto quando hanno compreso che il territorio dove aveva preso origine la loro vicenda (la Valgerola, le valli del Bitto, la bassa Valtellina) era troppo condizionato dal peso delle amministrazioni e dei poteri locali, pur mantenendo salda la finalità di un'azione diretta allo sviluppo del territorio stesso e alla valorizzazione del suo patrimonio (principi sanciti nel nuovo statuto della Società valli del Bitto, approvato dall'assemblea straordinaria del 18 dicembre 2016), hanno  capito che dovevano guardare a un territorio più ampio, alle Orobie in quanto matrice della cultura e della storia del bitto della tradizione.  Dal 2011 hanno iniziato a guardare con sempre più  interesse verso la Valbrembana e a Bergamo ricambiati da affetto, attenzione e simpatia.. Hanno partecipato a diverse edizioni della Fiera di San Matteo a Branzi, e a Gourmarte alla Fiera di Bergamo e molto attivamente alla formazione dell'associazione dei formaggi Principi delle Orobie (2015). Nel 2016 sono stati tra i fondatori della rete Territori del cibo, costituitasi a Gandino, in Valseriana.

Torrente = È il torrente Bitto con i suoi rami di Gerola e di Albaredo a dare il nome alla valle e quindi, indirettamente, anche al formaggio.

Traditori = 'Traditori del bitto' (o 'disertori') sono stati definiti - più ironicamente che con astio - quei casari e caricatori delle valli del Bitto che, nel 2005, al momento del ‘grande strappo’ tra produttori storici e Ctcb per incapacità di resistere alle pressioni hanno preferito ‘tornare all’ovile’ e restare nel Consorzio ufficiale. Una limitata defezione (Alpe Pescegallo Foppe, casaro Michele Lombella, che ha preferito schierarsi con il comune, il proprietario del'alpeggio) si è avuta anche nel 2016 quando si è verificata la rottura definitiva tra i 'ribelli' e le istituzioni locali con l'abbandono del nome bitto.

Tregua = La guerra del bitto ha conosciuto diverse tregue. Nel 2003 veniva ottenuta l'ufficializzazione del marchio Valli del Bitto e ci fu un breve periodo di 'pace' con la partecipazione dei 'tradizionalisti' alla Mostra del Bitto del 2004 con due conorsi separati. Nel 2005 e nel 2006 i 'tradizionalisti' ormai ribelli boicottarono la Mostra del bitto. Vi tornarono nel 2007 in occasione del centenario della prima Mostra. Poi basta.  Nel 2014/15 la 'guerra' è stata congelata in attesa dell'accordo del novembre 2014 e poi ancora per qualche mese nell'attesa (vana) dei suoi effetti. Non vi fu neppure il rientro alla Mostra del bitto nell'anno dell'Expo. 

Trogloditi = I 'trogloditi' del bitto della tradizione sono diventati una delle immagini più frequantate nelle accese polemiche tra modernisti, succubi del regime agroindustriale, e ribelli. Quando scoppiarono le prime scaramucce interne al consorzio la cultura industrialista godeva ancora di prestigio, quella tradizionale era svalutata come retaggio di retrogradi incapaci di abbracciare la modernità. Non c'erano ancora i Presidi Slow Food ma nemmeno gli ogm e non c'era ancora stata la vacca pazza. Essere tradizionalisti era eroico allora e si deve nutrire molta ammirazione per chi,come Paolo Ciapparelli, spalleggiato da giovani produttori e casari ribelli come Giuseppe Giovannoni e Alfio Sassella sosteneva fiammeggianti polemiche con il 'blocco granitico' del'establishment . Ma anche per chi come Mosè Manni e la sua famiglia, indifferenti agli sfottò dei colleghi 'modernisti' continuavano a gestire l'alpeggio, a lavorare il latte, ad alimentare gli animali come avevano imparato a fare dalle generazioni precedenti. La loro è una forma di moralità implicita - che non viene trasmessa con insegnamenti orali né tanto meno scritti, che li lega, in sintonia con una cultura che risale al neolitico, ad una responsabilità di accudimento agli animali, al pascolo, alla natura.  I Manni, che per ragioni famigliari non potranno più caricare l'alpe nel 2017,  possono vantare una catena di generazioni di casari. Però gli ultimi arrivati che si sentivano intelligenti perché seguivano acriticamente i consigli (non certo disinteressati) degli apparati tecnici e burocratici del regime agroindustriale, non esitavano a dileggiarli ferocemente. Forse si lavavano qualche volta in meno ma il loro pascolo era 'net', pulito, accudito mentre gli 'evoluti', i 'moderni' in pochi anni hanno degradato enormi superfici sia non utilizzandole (perché scomode) sia eutrofizzandole con l'eccessivo carico e con i mangimi che trasfomano le superfici dove di munge e si distribuisce il mangime da pascoli a 'toilette delle mucche'. 'Trogloditi' era una dei complimenti più educati rivolti ai Manni e agli altri 'retrogradi' ostinati che osavano anche fare della loro aretratezza, della loro cocciutaggine, una bandiera. Pensavano di offender, insultare, demoralizzare. Invece 'trogloditi del bitto' è diventata una bandiera. Ad ogni successo dei 'trogloditi dei ribelli era immancabile il sarcasmo; quel 'trogloditi' veniva rimandato al mittente. E il mittente ha dovuto masticare amaro.

Trona1) La Bocchetta di Trona a 2092 m mette in comunicazione la Valgerola con l'alta Valvarrone (e con la Valsassina). Punto di passaggio importante sulla 'via del bitto'.2)  L'alpe Trona soliva ha visto la presenza, sino al 2014, del patriarca del bitto, Mosé Manni. In nessun altro alpeggio come a Trona soliva venivano utilizzati tanti calecc' ed erano visibili i segni (strutture pastorali, sistema di pascolamento). Un vero 'patrimonio dell'umanità', una testimonianza organica e quasi intatta delle antiche culture pastorali, un caso unico in Europa che è stato oggetto di una tesi di archeologia (autrice Yolanda Alther), dell' Università di Zurigo dal titolo molto significativo: L'ultima alpicoltura multifunzionale tradizionale.

Unghia = Nel gergo caseario l' 'unghia' è una crosta eccessivamente spessa e secca. La crosta assume colore grigio risultando poco aromatica mentre il sottocrosta è eccessivamente salato. Il difetto è causato da un eccessiva salatura, dall'areazione eccessiva dei locali che disidrata troppo rapidamente le crosta, dalle elevate temperature che provocano un eccesso di trasudazione del grasso. 

Usurpazione = Se a proposito delle modalità con le quali è stata istituita dal dop bitto si è parlato di 'esproprio' senza indennizzo (vedi) con il 'bitto storico' sono avvenute delle vere e proprie usurpazioni. Alcuni commercianti spregiudicati hanno utilizzato la denominazione 'storico ribelle' che era legata al Presidio Slow Food senza in alcun modo  appartenere ad esso ma  contando sul fatto che la Società valli del Bitto e il Presidio non avrebbero potuto difendere legalmente una denominazione 'a rischio' (dopo un parziale rientro nel sistema dop nel 2010, in seguito nessun produttore 'storico' si è più assogettato ai controlli previsti dalla dop) in attesa di trovare una soluzione legale (che non è mai arrivata). Così in modo plateale le cantine Innocenti di Ardenno, che hanno per anni venduto su internet 'bitto storico', e - in forma più discreta - la F.lli Ciapponi di Morbegno hanno utilizzatola reputazione del 'bitto storico'. Il colmo si è raggiunto quando, sfruttando la buona fede dell' AIS (associazione italiana sommelier) dell'Umbria, nel marzo 2016 è stata organizzata una fantomatica "degustazione verticale di bitto storico" con prodotto (anche di discutibile stato di conservazione) fornito da Innocenti. Di fronte a questi episodi è stato accelerato il cambiamento di nome a 'storico ribelle' che non essendo esposto agli strali della legge sulla tutela delle dop ed essendo un marchio aziendale depositato è legalmente difendibile. Vi sono stati, probabilmente in buona fede, alcuni tentativi (da parte di almeno due aziende valtellinesi) di mettere in vendita dello 'storico ribelle' ma sono rientrati immediatamente quando è stato spiegato che senza una fattura di acquisto di 'storico ribelle' dalla Società valli del bitto che è titolare del nome commerciale, si incorre in una frode commerciale. 

Valle/Valli = Valle/Valli per antonomasia nel caso del bitto sono, ovviamente, le  valli del Bitto (sino al XIX secolo, però, prevaleva l’uso al singolare). Esse  sono rappresentate dai due solchi vallivi incisi dal torrente Bitto che sbocca a Morbegno. Per secoli (vedi 'elogi') lo storico formaggio delle Orobie era chiamato in Valtellina 'val del Bitt'. Nel XIX secolo a questa denominazione si affiancò quella di 'formaggio del Bitto', per poi diventare nel XX secolo 'formaggio bitto'. Il 'Bitto valli del Bitto' è la denominazione utilizzata dai produttori storici (i 'dissidenti' poi 'ribelli') sino alla costituzione del Consorzio salvaguardia bitto storico (4 giugno 2010). L'Associazione valli del Bitto marchiava a fuoco le forme 'Valli del Bitto'. Dal 2003 questo marchio era stato riconosciuto dalle istituzioni provinciali ma esso è stato abbandonato nel 2006 a seguito di diffida da parte del Ministero delle politiche agricole nel clima di rifiuto da parte dei ribelli delle modifiche 'modernizzatrici' del disciplinare del bitto dop volute dal Ctcb.

Varrone (val) = Una valle importante nella storia del bitto. L'alta val Varrone è stata da secoli una delle aree più legate alla tradizione del bitto. Si trova nel territorio di Introbio anche se l'alpe è di proprietà del comune di Premana (località della Valvarrone). La ragione è legata all'importanza delle miniere di ferro e del transito lungo la via del bitto che, dall'alta val Varrone giunge a Introbio passando in val Biandino e scendendo lungo la valle della Troggia. Un percorso storicamente importante sia per il commercio che per ragini militari. Di qui sono passati molti eserciti sino a che il percorso ha perso importanza all'inizio del XIX secolo con la realizzazione della strada litoranea del lago di Como orientale. Caricata sino al 1870 da bergamini (nella fattispecie i Platti di Pasturo) della Valsassina (che nel Settecento caricavano anche Trona in Valgerola), l'alta val Varrone è stata poi caricata da gerolesi ininterrottamente sino ad oggi. È interessante notare che, ancora all'inizio del Novecento, sono ancora bergamini che scendono in inverno nel milanese, a caricare l'alta val Varrone: gli Acquistapace di Case di sopra di Gerola. Facile osservare che gli Acquistapace, secoli prima, venivano da Cortenova in Valsassina e che quindi distinguere tra 'valsassinesi' e 'valtellinesi' non ha senso nella storia del bitto. In val Varrone di produceva bitto non solo all'ale Varrone (dove si produce tutt'ora lo 'storico ribelle') ma anche ad Artino (tutt'ora caricata con vacche da latte e capre ma senza produzione di bitto) e a Larecc' , oggi 'da pecore' per mancanza di strutture.


Venezia = Da Venezia arrivava lo zafferano utilizzato per quella produzione di bitto/branzi che era esitata sul versante brembano. E, dopo la stagionatura nei magazzini di Bergamo, proseguiva verso la città lagunare. Sarebbe interessante - richiederebbe indagini presso l'archivio di stato di Venezia, scoprire se dalla serenissima proseguiva oltre. Considerando il ruolo di emporio internazionale di Venezia non ci sarebbe da meravigliarsene. Intanto il bitto ex storico ha celebrato il 25° della fondazione di Slow Food a Venezia, l'11 giugno 2011. Una delle tante modalità simboliche che caratterizzano l'esperienza del bitto ribelle.L'ex bitto storico fu presentato in Campo San Bartolomeo con la  Condotta Slow Food Silver. Ai veneziani e ai turisti venne offerta in quella occasione la possibilità di conoscere un prodotto che a Venezia era di casa secoli fa.

Venina (val) =  Una delle valli orobiche valtellinesi dove, in qualche alpeggio, si produceva bitto

Verrobbio (passo) = Il passo (chiamato anche gli 'zapelli' di Verrobio dal termine lombardo per definire un passaggio stretto e obbligato con gradini) era noto anche come Passo di Morbegno. Prima dell'apertura della Priula era il passo frequentato per raggiungere Morbegno dalla bergamasca attraverso la vecchia via mercatorum che proseguiva risalendo la val Mora.  Il passo è legato ad una contesa che si protrasse per sessant'anni a cavallo tra Seicento e Settecento per diritti di passaggio dal Passo di San Marco a quello del V., attraverso le alpi Ancogno e Col, delle malghe dei bergamini bergamaschi che affittavano l'alpe di Bomino (valle laterale della Valgerola). I proprietari delle alpi sul versante brembano pretendevano che i bergamini scendessero per la via Priula sino a Morbegno e risalissero la val Gerola o, in alternativa, elevati pedaggi. La causa, che si protraeva con costi legali elevati per entrambe le parti, si concluse nel 1726 con una composizione ragionevole tra le parti (i privati proprietari delle alpi Ancogno e Col e la parrocchia di San Bartolomeo di Gerola. La ricca documentazione relativa alla causa, che coinvolse le autorità pubbliche (il podestà di Morbegno e il capitano e podestà di Bergamo) ci consegna notizie interessanti sulla storia del bitto desunte dalla documentazione conservata nell'archivio della chiesa di San Bartolomeo di Gerola, proprietaria dell'alpe Bomino (C.Ruffoni “La storia degli alpeggi e del formaggio bitto. La grande svolta - l'età moderna -” in M. Corti, C. Ruffoni, Il formaggio val del Bitt, la storia, gli uomini gli alpeggi. Come nasce un mito caseario. Ersaf, Milano, 1999). Nel 1693 il Podestà di Morbegno reclama il diritto di libero transito attraverso il passo, sottolineandone il valore commerciale mette in evidenza oltre le importazioni dalla bergamasca in valtellina anche la “quantità grande di bestiami e tutta la grassina [formaggi]che si fabbrica ne monti vicini a quei paesi” che si dirige verso la bergamasca. Circostanza confermata nel 1701 dal podestà e dal capitano di Bergamo che sottolineano come l'itinerario attraverso il passo del Verrobio servisse a “racoglier le carni et grassine [formaggi] per beneficio della città di Bergamo et de pubblici datii”. È interessante notare come nel periodo considerato non solo Bomino ma anche le alpi Pescegallo e Dosso cavallo fossero caricate da bergamini bergamaschi e che quindi buona parte del bitto della Valgerola venisse prodotto da bergamaschi che lo trasportavano in val Brembana. Nell'appello dei sindaci della chiesa di Gerola si ribadisce che a memoria d'uomo il transito per l'itinerario contestato dai proprietari delle alpi era sempre stato da memoria d'uomo ininterrottamente praticato e libero per “condurre animali d'ogni sorte dalle valli Averata, Torta e oltre nelle terre di Gerola, Pedesina, Volusa [Rssura?] e Sacco” e che “per suddetta strada e passo di Varobio e Morbegno si conduce gran quantità di formaggi da dette terre in Bergamasca”.

Verticale = Si dice del tipo di degustazione (vedi) che consiste nel confronto di vini dello stesso produttore di annate diverse. Lo 'storico ribelle' è stato il primo formaggio a proporre 'degustazioni verticali' nell'ambito dei formaggi. A volte condotte in parallelo a degustazioni di grandi vini in abbinamenti memorabili.

Via = Da secoli è conosciuta come ‘via del bitto’ il percorso che dalla Valsassina in provincia di Lecco raggiunge Morbegno attraverso la val Biandino, l’alta val Varrone, la Bocchetta di Trona e la valle del Bitto di Gerola. Un percorso di grande interesse storico che consente di visitare, oltre agli alpeggi, l'Oratorio della Madonna della Neve a Biandino, edificato dalla famiglia Annovazzi (bergamini proprietari dell'alpe), le ultime miniere di ferro dell'alta val Varrone, le fortificazioni della 'Linea Cadorna' alla bocchetta di Trona. Possibilità di pernottamento e sosta ai rifugi Biandino, Tavecchia e Madonna della Neve in val Biandino, Sanra Rita (sul crinale che separa la val Biandino dalla val Varrone), casera vecchia (in alta val Varrone).



Volontari = La resistenza del bitto ribelle è stata possibile grazie al sostegno finanziario dei tanti soci della Società valli del bitto, al lavoro sottoretribuito (o volontario) degli amministratori e dei dipendenti della società stessa, ma anche grazie al lavoro di volontari nella veste di 'sostenitori'. La presenza dell'ex bitto storico a tanti eventi è possibile grazie  al volontariato. Chi da una mano vendendo il formaggio a una fiera, chi si impegna anche nella realizzazione e manutenzione del sito. Se lo 'storico ribelle' è così visibile, tanto alle manifestazioni specializzate che sul web, è solo grazie al volontariato. Con risorse insignificanti la visibilità dello 'storico ribelle' supera quella del bitto dop che fruisce delle ingenti risorse pubbliche della 'promozione di stato'.


Volontari del bitto ribelle: Luciano (a sinistra) e Joseph

Zafferano = Utilizzato, sino ai primi decenni del Novecento, per la produzione di bitto che era esitata con il nome di 'branzi' su quella piazza. La tradizione risaliva probabilmente all'apertura della via Priula che aveva creato nuovi sbocchi commerciali sul versante bergamasco. Da Venezia arrivava lo zafferano ma verso Venezia era spedito anche il bitto. Osservava il relatore dell'inchiesta agricola dell'epoca Lombardo-Veneta: “È osservabile eziandio, che il formaggio destinato a smerciarsi nella provincia di Berga­mo vien preparato collo zafferano per colorirlo a foggia di quello Lodigiano, mentre all'in­contro non usasi zafferano per quello da smerciarsi nelle provincie di Milano e di Como” (Regione Lombardia, Settore Cultura e Informazione, Servizio biblioteche e beni librari e documentari, Agricoltura e condizioni di vita dei lavoratori agricoli lombardi: 1835-1839. Inchiesta di K. Czoernig, Editrice bibliografica, Milano, 1986, pp.721). Come è noto la tradizione dell'uso dello zafferano continua nel caso dei formaggi bresciani (bagòss, nostrano di Valtrompia).





 

 

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