Ruralpini | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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* nel caso delle valli del Bitto e
Tartano l'Indagine indica come “estesa su quasi tutte le alpi
dellazona” la produzione del formaggio grasso; la presenza di due
alpi con carico limitato e quindi non in grado si sostenere la
produzione di Bitto induce a ritenere più probabile il n. di 20 alpi
in Val Tartano. All'inizio del Novecento la produzione di bitto aveva raggiunto la sua massima espansione. Nei decenni successivi essa si contrarrà molto in val Brembana (vedi) ma, in misura più limitata, anche in Valtellina. Bisogna arrivare al 1979 per disporre nell'ambito delle varie indagini ufficiali sugli alpeggi. Meno nota è la produzione di un formaggio 'tipo bitto' (con latte di capra ma senza lo scalzo concavo) nell'area del Monte Bregagno (Lario occidentale). Nella più tarda indagine sui pascoli alpini della provincia di Como (Società Agraria di Lombardia, Atti della Commissione d’inchiesta sui pascoli alpini. «I pascoli alpini della provincia di Como» Volume III, , Milano Premiata Tipografia Agraria, 1912, p. 309) si riferisce che in Val del Liro e Valle Albano “si fabbrica formaggio grasso tipo Bitto, che trova buono smercio sul mercato di Dongo”. È interessante osservare che in queste zone si produce tutt’oggi dell'ottimo formaggio “Lariano grasso d’alpe” che, in alcuni casi, è prodotto con percentuali elevate di latte di capra (25-30%) e, molto probabilmente, si avvicina maggiormente al bitto di un secolo fa dell’attuale produzione valtellinese dop (per non parlare di quella della Valchiavenna dove per ragioni legate alla proprietà e conduzione degli alpeggi era radicata la produzione di formaggio magro e burro). Anche nelle Orobie valtellinesi era chiara la differenziazione tra l'area del bitto e quella del formaggio semigrasso. Il geografo Cesare Saibene, (C. Saibene, “Il versante orobico valtellinese - ricerche antropogeografiche -”, in Memorie di geografia antropica, 14, 1958, Cnr, Roma, 1959. p. 157) osservò come questa differenza si traducesse in tecniche, strutture pastorali e manufatti che imprimevano al paesaggio stesso connotati differenti: "L’uniformità dell’organizzazione imprime altrettanta uniformità al paesaggio della zona dei pascoli. Un’eccezione di notevole portata è causata nel settore occidentale del territorio (valli Cervia, Madre, Tartano e Bitto) dall’usanza di fabbricare esclusivamente formaggio grasso (nel settore orientale, cioè nelle valli Livrio, Venina, Arigna, Malgina, Bondone, Caronella e Belviso, si fabbrica invece burro e formaggio semigrasso). [...] Se nell’alpe si fabbrica anche burro è necessario che il latte, dopo ogni mungitura, sia trasportato al centro dove è posto a riposare nel “baitèl” o “casèl del lac” perché ne affiori la panna [...] . Ma se nell’alpe si fabbrica solo formaggio grasso, la lavorazione del latte si fa direttamente sul luogo di stazione, dove sorge una capanna di sassi (una ogni stazione) che serve anche come ricovero notturno dei pastori, chiamata “baita de preda” e spesso priva di ogni tetto fisso, (e allora si chiama “calèc”) ché il tetto, oggi costituito più frequentemente da un telone impermeabile, ma una volta fornito da una grossa coperta fabbricata a mano (il tipico “pezzotto” valtellinese) chiamata “pelórsa”, viene trasportato da una stazione all’altra insieme agli arnesi per la lavorazione del latte, e serve per tutte le capanne, é evidente la differenza di paesaggio dei due tipi di alpi: le une, quelle dove si fabbrica il burro, spesso sono sprovviste anche della per la stagionatura del formaggio, ché il prodotto, di scarso valore commerciale, è portato a valle quotidianamente insieme al burro, e comunque sono spoglie di edifici su tutta l’area pascoliva, se s’eccettua la zona più elevata dove si incontra qualche spelonca di pastori di pecore costruita a secco. Le altre, dove si fabbrica solo formaggio grasso, sono munite in genere di tre edifici tipici e costellate su tutta l’area di pascolo di piccole capanne. Si rilevi come in questo secondo caso l’alpeggio si avvicini alle più tipiche forme di nomadismo". Le attuali conoscenze sull'area storica del bitto/branzi sono riassunte nella seguente mappa dove in rosso è indicata l'area 'cuore' della produzione (caratterizzata dalla forma tipca, dall'aggiunta del latte di capra, dal sistema dei calecc' - vedi-), in giallo quella di un formaggio con caratteristiche molto simili, in rosa quella dove la tradizione del formaggio grasso 'tipo bitto/branzi' è venuta meno. La pretesa che il bitto rappresenti un formaggio 'sondriese' è frutto di arroganza pari solo all'ignoranza.
Arte = Il bitto ribelle esiste anche in versione 'bitto d'artista'. Il 23 settembre 2012 presso il
centro del Bitto storico a Gerola alta un gruppo di artisti
dell'Associazione milanese Arte da mangiare hanno dato vita ad una
originale performance artistica. Associazione
= Costituita nel
1997, l'Associazione
produttori valli del Bitto è
stata
sciolta in concomitanza con la costituzione del Consorzio
salvaguardia bitto storico
(4 giugno 2010). Durante questa fase piuttosto lunga dell'epopea dei
ribelli sono avvenute cose molto importanti: è avvenuto l'incontro con
Slow Food (dal 2001), il varo del Presidio bitto Valli del Bitto
(2003), la rottura clamorosa con il Consorzio e l'uscita dalla dop a
seguito dell'approvazione - con la totale contrarietà
dell'Associazione- del nuovo disciplinare 'modernizzatore', la
contemporanea rottura con il comune di Albaredo (vedi) e la fuoriuscita
dei 'traditori' (vedi), la multa per 'lesa dop' inflitta nel 2009 dai
gendarmi del gusto (vedi). Al di là di questa cronologia è stato in
questo periodo che i ribelli sono diventati tali e che è stata
elaborata una linea, basata su contenuti, valori ma anche su uno stile
di comunicazione, che è rimasta alla base, e lo è tutt'oggi, della
'resistenza del bitto'. In questo periodo, anche attraverso il sito e
la presenza dell'Associazione a eventi come il Salone del gusto e Cheese,
si è definita e consolidata un'immagine precisa, anche tutta una
simbologia (vedi simboli) e una 'mitologia' che sono diventate un
patrimonio prezioso. Aste
= L'ex bitto storico è stato protagonista di diverse aste che hanno
segnato il suo status di formaggio fuori dal comune. Il debutto di
questa forma ben poco usuale di vendita di un formaggio si ebbe a
Bra (nel contesto di Cheese) il 19 settembre 2011. Vennero battute tre
forme, una del 1996, una del 1997 e una del 1998. La prima venne
prodotta nell'estate del 1996 dal casaro Acquistapace Faustino all'alpe
Trona Vaga. Un casaro eccezionale che oggi non c'è più. Quando ha
saputo che la sua forma di quindici anni proma era divenuta la
star di un grande evento di risonanza più che nazionale Faustino si
commosse alle lacrime.
A Bra, però, l'asta aveva finalità benefiche (a sostegno della campagna
di Slow Food "Orti per l'Africa") e non consentì di verificare se, dal
punto di vista commerciale, la formula poteva avere successo.
L'occasione per un test si ebbe dopo pochi mesi quando a Parigi, nel
2011, curata dalla casa d'aste Artcurial, il 19 dicembre (preceduta
dall'esposizione dei prodotti dal giorno 16) si la prima asta mondiale
dei prodotti degli artigiani del gusto con i prodotti più costosi al
mondo. Battitore il maestro Françoise Tajan sotto la supervisione del
giornalista enogastronomico Bruno Varjus. La forma di 12 kg è stata
battuta a mille euro. Il vero debutto ad un'asta dove sono state
battute forme intere di ex bitto Mercoledì 13 maggio 2015 a Milano,
presso la sede della casa di mode Miroglio (a fianco della Scala)
sono andate all'asta (organizzata dalla nota casa Bolaffi) due forme
del 2000 dell'Alpe Ancogno soliva (Mezzoldo, Bg), casaro Carlo Duca di
Talamona (So). Pesavano 17 kg l'una e anche se non c'è stato rilancio
sono state battute a base d'asta a 2.000 euro. Nell'occasione, però,
sono state batture anche altre mezze fome e quarti di forma.
Baita = Fabbricato con copertura permanente ma in genere di ridotte dimensioni (pari o poco superiori a quelle dei calecc' - vedi)
dove avviene la caseificazione. La presenza di parecchie baite consente
tutt'oggi di lavorare il latte sul pascolo dove è presente la 'malga'
(vedi), senza sottoporre il latte alle alterazioni dovute al trasporto
e le bovine allo stress di lunghi trasferimenti dal pascolo ai siti di
mungitura.
Bàrech =
un
recinto di muriccia a secco realizzato - almeno in origine - presso
capanne o
ripari sotto roccia. Rappresenta una struttura
primordiale, presente sugli alpeggi sin dalla protostoria. Nelle valli
del
Bitto molti alpeggi sono tuttora dotati di più bàrech (sino a
5-7),
distribuiti in vari settori del pascolo. Tali recinti, con muri alti in
media 0,8 m e larghi 0,5-0,6 m, facilitavano la sorveglianza del
bestiame ed
evitavano la sua dispersione (con rischio di caduta nei dirupi) in caso
di
temporali; hanno anche la funzione di favorire l’ingrasso delle aree
migliori
che sono intensamente utilizzate rappresentando anche una "riserva
d'erba"
quando, a fine stagione, si pascolano i ricacci. I bàrech di
tipo più primitivo sono irregolarmente circolari;
quelli più "moderni", invece, sono a pianta geometrica
regolare (quadrata, rettangolare o poligonale). Anche la tecnica di
costruzione
si è evoluta: da una struttura muraria irregolare si è passati alla
disposizione più o meno regolare di lastre disposte verticalmente.
Spesso il
muro è coperto da lastre piatte disposte orizzontalmente e sovrapposte
le une
alle altre in funzione di consolidamento e prot
Benefit = La Società valli del bitto dalla fine del 2016 è 'società benefit'. Le società benefit, previste nell'ordinamento italiano a partire dal 1° gennaio 2016, sono imprese finalizzate, oltre a produrre utili, a realizzare precisi obiettivi sociali e ambientali. Per la Società ciò a significato poter dichiarare in una forma che trova corrispondenza in una precisa connotazione giuridica, il proprio statuto di società per azioni 'anomala', nata per tutelare un patrimonio di cultura, storia, tradizione, biodiversità per farne una risorsa viva per la sua autosostenibilità e per lo sviluppo del territorio e della comunità locale. Dal 29 novembre la Società valli del bitto è anche certificata B-corp Benefit corporation dall'ente internazionale no profit B-Lab (che esamina molto severamente i requisiti di sostenibilità di una società). Bénula = cassa di legno chiusa , fornita di uno sportello, per consentire ai pastori che devono sorvegliare la malga (vedi) di notte di disporre di un riparo e di un giacilio. È trasportata da due uomini come una barella inserendo delle stanghe lateralmente. Ancora utilizzata in qualche alpeggio. Bergamini = I bergamini, detti anche malghesi, erano gli allevatori-casari che dalle Orobie scendevano in inverno nella bassa lombarda. La storia e la nascita del bitto sono strettamente intrecciate. Erano bergamini i caricatori d'alpe delle più alte contrade di Tartano, ma anche alcuni di quelle più alte di Gerola. Per secoli i bergamini della val Brembana e della Valsassina hanno caricato anche alpeggi della stessa Gerola. Con la sedentarizzazione dei bergamini (molti si stabirono definitivamente nella Bassa tra le due guerre mondiali come agricoltori, allevatori, artigiani ed imprenditori del settore agroalimentare), i caricatori delle valli orobiche valtellinesi, sfruttando i 'vuoti' lasciati dal bergamini brembani (che avevano spesso grosse mandrie e completavano da soli o in società tra loro il carico delle alpi) hanno iniziato tra le due guerre a 'colonizzare' gli alpeggi della valbrembana (e lo fanno ancor oggi). L'utilizzo degli alpeggi della lecchese Valvarrone da parte di gerolesi – da soli o con elementi locali - risale, invece, alla seconda metà del XIX secolo. Romagna ove si spacciano per animali di provenienza svizzera Questa regione ha numerosi pascoli per nutrire le mandre durante la stagione estiva. AGGIUNGERE
Bergamo = È
stata una piazza importante per il commercio del bitto/branzi. Favorito
dall'apertura della via Priula alla fine del XVI secolo il bitto veniva
trasportato sino a Bergamo per essere stagionato dopo aver stazionato
sino alle fiere settembrine a Branzi e, in precedenza, anche di
Mezzoldo, Cusio e forse altre località. Il declino della stagionatura e
del commercio bergamasco del bitto/branzi (a Branzi e a
Bergamo era conosciuto solo come branzi) risale al periodo dopo la
prima guerra mondiale e si spiega con la fissazione dei bergamini (come
fittavoli o agricoltori proprietari) nella bassa. Gli allevatori
locali, che sino allora erano stati completamente tagliati fuori
dall'accesso agli alpeggi (almeno di quelli migliori, da bitto/branzi)
impiegarono del tempo ad aumentare le mandrie e riempire (insieme ai
valtellinesi) i vuoti lasciati dai bergamini. Il branzi (vedi) divenne
un formaggio semigrasso prodotto anche in inverno a Branzi (molto
imitato anche fuori della Valbrembana), il bitto venne ancora prodotto
(con il suo nome) su alcuni alpeggi da caricatori valtellinesi (e
venduto a Morbegno), mentre in altri alpeggi si passò a produrre il più
modesto (la forma è più piccola e lo scalzo diritto) formai de mut, come conseguenza di
una diminuzione del carico degli alpeggi. Oggi vi sono anche caricatori
bergamaschi che producono bitto (per ora solo dop). Ancora una volta la
storia casearia orobica procede parallela sui due versanti. A Bergamo tutt'oggi stagiona bitto Giulio Signorelli (Ol formager). Al mercato di Branzi negli anni precedenti il primo conflitto mondiale la produzione di b. ivi esitata, nonostante un forte calo di afflusso del prodotto, era valutata ancora in 1.300 q.li.. . Prima del decollo della Mostra casearia di Morbegno e della realizzazione della Casera sociale (1907-1908) tutta la produzione della val Tartano e delle valli orobiche ad est, ma anche buona parte della produzione delle valli del Bitto affluiva ai Branzi ( Società Agraria di Lombardia, "I pascoli alpini della Valtellina" Atti della Commissione d’inchiesta sui pascoli alpini. Volume I, Fascicolo III, Milano Premiata Tipografia Agraria, 1903. pp. 1-128). Da Branzi il prodotto era inviato agli stagionatori di Bergamo da dove poi raggiungeva diverse piazze della Lombardia e del Veneto e anche le rivendite romane gestite da valtellinesi: "Nella fiera del formaggio dei Branzi si concentrava, un tempo, gran parte del Bitto prodotto in Bergamasca e in Valtellina, che affluiva su numerose piazze in Lombardia, nel Veneto e a Roma tramite valtellinesi dei Cek e della Valmasino che, già allora vi gestivano negozi alimentari. Quella fiera ne manteneva inoltre elevato il prezzo. (G. Bianchini, Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini , Tip. Mitta, Sondrio, 1985., p.104). È facile osservare che le caratteristiche del bitto attuale si avvicinano più alla tipologia che il Melazzini, identifìcava con il ‘B.’. Il bitto in ogni caso era il b.. Dopo la grande guerra vi fu una crisi verticale del branzi, sia per la concorrenza fattasi agguerrita di Morbengo, sia per la stabilizzazione in pianura dei bergamini che caricavano la maggior parte degli alpeggi brembani, sia per la penetrazione sul mercato bergamasco del grana lodigiano che, in precedenza, era un prodotto costoso che diventava vieppiù più accessibile al consumo di massa mano a mano che procedeva lo sviluppo della produzione di latte nella pianura. Così esso sostituì il n. quale prodotto da grattugia anche dei bergamaschi. I commercianti bergamaschi, o almeno alcuni, si inserirono essi stessi nella filera del “Grana”, cul cui commercio costruirà le sue fortune la ditta Zanetti, mentre il formaggio branzi trovò una sua nuova vocazione come formaggio da tavola. Alla crisi l'alta val Brembana , per poter mantenere una sia pure ridotta attività commerciale, rispose valorizzando la produzione invernale di formaggio non più grasso ma semiduro da tavola (e semigrasso data la convenienza della produzione di burro, sino all'avvento della margarina e della fobia dietetica per i grassi animali). Venne perantro mantenuta la stessa forma, pezzatura e nome del vecchio b./bitto che era ben radicato nella tradizione bergamasca (va tenuto presente che il mercato cittadino di Bergamo è sempre stato legato alla val Brembana, mentre la produzione della val Seriana era indirizzata alle stagionature di Rovato e al mercato di Brescia dove il 'formaggio bergamasco' faceva concorrenza al bagoss). Nel 1953 nacque per opera del casaro Giacomo Midali la Latteria sociale di B. tutt'ora attiva. Nacque così il b. 'moderno' (oggi b. FTB della Latteria sociale di B., poi imitato da diversi caseifici che operano anche fuori dalla val Brembana). Brembana(Val) = Buona parte della produzione di bitto/branzi a cavallo tra XIX e XX secolo era realizzata in val B. dai bergamini (vedi). Producevano bitto/branzi ben 33 alpeggi con un carico di 4144 paghe e una produzione stimabile in 2300 q.li. . (Società agraria di Lombardia, 1907. Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini. Vol II, Fasc. III “I pascoli alpini della provincia di Bergamo ” Milano, Premiata Tipografia Agraria). Curiosamente nell'Indagine il bitto/branzi era definito bitto (formaggio grasso tipo Bitto) tranne che sugli alpeggi di Carona dove era chiamato branzi. Tutto quello che era commercializzato alla Fiera di San Matteo era comunque venduto come 'branzi'. Il Formai de mut (vedi) semplicemente non esisteva Tabella - Alpeggi dell'alta val Brembana all'inizio de XX secolo (da: I pascoli alpini della provincia di Bergamo, 1907)
In val B. era importantissima, tra la fine del Settecento e il periodo tra le due guerre mondiali, la fiera di San Matteo ai Branzi (vedi) al 21 settembre dove veniva trattata la maggior parte delle partite sino agli anni precedenti la grande guerra . Importanti depositi di bitto/branzi si trovavano anche a Mezzoldo.
Bergamini impegnati nella mungitura su un alpeggio dell'alta Valbrembana (inizio Novecento) Burocrati = Tra b. e il bitto ribelle non c'è mai stato feeling (vedi Funzionarie) Bustine
= Ci si riferisce alle b' per indicare le dosi predosate di colture
microbiche selezionate liofilizzate, pronte per essere aggiunte al
latte (100, 500, 1000 litri) in caldaia. Trattasi dei famosi
'fermenti' ('starter', 'industriali', 'selezionati', 'autoctoni' che
dir si voglia)(vedi 'Fermenti'). Cadùla
=
attrezzo
per il trasporto a spalla costituito da un telaio di legno con
spallacci. Serve
per il trasporto di forme di Bitto o della maschèrpa
(vedi) ancora contenuta dei garòcc
(vedi).
Calècc =
semplice capanna
'casearia' (4 x 5 m in pianta)
costituita da un muretto a secco (alto 1-1 ,5 m) senza copertura fissa.
La copertura è costituita da un telone impermeabile sorretto da
pertiche (due
infisse nel terreno ed una orizzontale sorretta dalle prime) e
opportunamente
ancorato mediante delle corde alla muratura. Quando le condizioni
atmosferiche
sono buone, al fine di favorire l'allontanamento del fumo, il telone
viene in
parte rimosso. In passato la copertura era costituita da tavole di
legno
caricate da grosse pietre (per non farle smuovere dal vento) e, in
tempi più
recenti, anche da rozze coperte di
lana di fabbricazione casalinga (pelòrsc).
L'entrata,
chiusa
da un cancelletto di legno che impedisce l'accesso degli animali, si
trova sul lato a"va11e: Dove il terreno è in forte pendenza si doveva
procedere ad un livellamento, in questi casi il muro a valle è molto
più alto e
l'accesso avviene mediante una soglia e alcuni gradini realizzati con
grosse
lastre di pietra. All'interno del calècc , in un angolo, si trova il
focolare con il supporto girevole per la caldaia del latte; in un altro
angolo
il paièr (vedi). Nel calècc vi sono anche lo spersoio
dove vengono appoggiate, per lo spurgo del siero, le forme di Bitto e i
garòcc della maschèrpa. Non manca mai lo scrìgn (bauletto di legno)
con gli effetti personali e le scorte di cibo per i pastori. Oggi il calécc è utilizzato solo raramente quale ricovero
notturno per il personale che, di norma, può disporre di baite nelle
vicinanze.
Ogni stazione d'alpeggio disponeva di più calècc e ogni anno ne veniva
utilizzato solo uno. Ma le stazioni erano numerose e l'utilizzo dei calècc' richiede
frequenti e faticosi spostamenti di tutte le attrezzature (a cominciare
dalla
caldaia) e delle assi di copertura. Quando piove e tira vento, la lav
Caröol = Il caröol è il tarlo del formaggio. Vengono chiamati così, per estensione, pezzi di ottimo formaggio 'recuperati dalle forme attaccate dagli acari (vedi). Eliminata la parte alterata sono messi in vendita in apposite confezioni sotto vuoto, come caröi (solo preso il punto vendita della Casera di Gerola). Ad un prezzo molto conveniente è possibile così degustare porzioni del tutto 'sane' provenienti da più forme di grande invecchiamento. Un modo economico per conoscere un formaggio di grande invecchiamento (da meditazione). Capra
= Per
il bitto che vuole restare fedele alla tradizione, la capra è
un elemento irrinunciabile di identità.
Il latte di capra deve entrare per il 10-20% nella produzione
dello 'storico ribelle', un punto inconciliabile con il disciplinare
(vedi) della dop che prescrive: da 0 a 10% massimo. Un'ulteriore
differenza tra 'storico ribelle' e bitto dop consiste nel tipo di
capra. Per il bitto della tradizione la capra non può essere di razza
qualsiasi, ma deve essere quella autoctona, a rischio di estinzione,
l'orobica (vedi), che si è 'coevoluta'con il bitto, che è stata conservata grazie al bitto. Cascìn (cascìgn) = Pastorelli,
gli addetti
più giovani dell’alpeggio;
adibiti prevalentemente alla sorveglianza diurna del bestiame. I cascìn
ricevevano come compenso vitto e
alloggio e uno o due maschèrpe (vedi)
stagionate a fine alpeggio; iniziavano la loro attività a 9-10 anni e,
successivamente, una volta che imparavano a mungere, passavano al ruolo
di
pastori. I grandi casari hanno iniziato così. Il termine cascin, tradotto un tempo impropriamente con 'cascinaio' non ha nulla a che fare con la 'cascina' (cassina),
tanto è vero che l'aiutante del casaro, che si occupava della raccolta
della legna ma anche del trasporto del bitto e della maschérpa dai calécc' (o baite) alla casera, nonché della preparazione dei pasti (per quanto estremamante frugali) era il cassinér. Cascìn è legato a casciàda, una forma di pascolo su pendi ripidi che necessita della sorveglianza assidua di pastori o pastorelli. Casér = Il casér (casaro) per definizione è Enrico Colli. Di famiglia di casari e caricatori d'alpe di Gerola, da bambino ha fato il cascin (vedi) come tutti i coetanei, 'respirando' la cultura del bitto. Responsabile
tecnico già ai tempi della prima piccola casera del bitto ribelle (che
si chiamava ancora bitto 'valli del bitto'), ha svolto per anni il
ruolo di casaro nella nuova casera del Centro del bitto.
Sempre presente ancora oggi in occasione degli eventi importanti è
stato per lunghi anni l'immancabile braccio destro di Paolo Ciapparelli
nelle tante occasioni in cui il bitto ribelle era invitato a
partecipare.
Cheese (a Bra) 2005. Il casaro nello stand del 'bitto storico' Al livello interrato vi è la cantina naturale di stagionatura, il caveau con 3 mila forme di formaggio storico ribelle, al piano terra il negozio con la sala degustazione e la cucina. 3) (d'alpeggio) fabbricato dove il bitto viene conservato e sottoposto a salatura a secco e pulizia durante il periodo d’alpeggio sino allo scarico dell’alpe. Nelle valli del Bitto e in quelle limitrofe dell’area storica di produzione del Bitto la casera non era mai utilizzata per la lavorazione del latte, ma solo per la conservazione dei latticini. La casera tipica della zona è su due livelli; quello inferiore, semi-interrato (sfruttando il profilo del pendio) garantisce un ambiente con temperatura bassa e umidità elevata e costante, idoneo per la stagionatura del Bitto. Al fine di assicurare un idoneo microclima il muro addossato al pendio era realizzato a secco (al contrario delle altre murature realizzate con malta di calce); le aperture erano limitate e il pavimento in terra battuta. Il livello superiore (sotto tetto), invece, ere destinato a mascherpèra (vedi). La casera era senza dubbio il fabbricato meglio costruito, con spesse pareti in muratura e calce, ed era dotato di spesse porte e di inferriate a prot Cèch = I cèch sono i 'retici', la popolazione al di là dell'Adda divisa (sino a non molto tempo fa) da una sentita rivalità 'etnica' con gli 'orobici' (i maròch, termine spregiativo che rimanda a concetti di 'sterile', 'diroccato'). Per millenni i fiumi come l'Adda di un tempo (difficilmente superabili) hanno costituito il limes tra diverse etnie, non i crinali delle catene montuose che, quasi sempre sono popolate di qua e di là dalla stessa gens. Solo la modernità, lo stato nazionale, Napoleone, hanno ribaltato le cose, 'naturalizzando' i confini politici (ovvero costringendo ad assumere una identità 'nazionale' uniforme, a partire dalla lingua) ai sudditi (pardon, cittadini). Tra cèch e maròch non c'erano scambi matrimoniali (i paesi orobici andavano semmai in Valbrembana e in valsassina a prendere moglie), però c'erano scambi economici, complementarietà. I cèch erano più agricoltori che allevatori, tenevano poche vacche che affidavano per l'alpeggio ai 'retici'. I proprietari delle vacche, spesso numerosi, erano chiamati lacèer: fornitori del latte. Quello prodotto da ogni bovina alpeggiata veniva pesato a date fisse in presenza del proprietario e quest'ultimo riceveva un compenso in denaro per ogni litro di latte (il calcolo veniva effettuato dopo la vendita del formaggio a fine alpeggio). Celti
= Molto presenti ed evocati nell'immaginario del bitto della tradizione
(ma anche di quello dop). Nel primo caso si sottolineano gli elementi
indubbi di storicità: la presenza delle tombe di
pastori-guerrieri-minatori celti in Valsassina, la recente scoperta di
incisioni rupestri riconducibili alla cultura proceltica di Golasecca
(insediata in età del bronco, diversi secoli prima dell'arrivo dei
galli, i 'celti storici'), l'indubbia superiorità tecnologica dei celti
rispetto ad altri popoli italici e germanici che da loro hanno dipeso
per innovazioni casearie (come prova la linguistica). Nel caso del
bitto dop i celti sono stati utilizzati per un depistaggio circa
l'origine del formaggio bitto. I documenti che riferiscono il formaggio
alla "valle del Bitto" sono schiaccianti ma qualcuno ha voluto slegare
(il perché si intuisce facilmente) il formaggio dalla valle e dal
torrente. L'idronimo potrebbe essere ricondotto alla stessa radice di
toponimi e antroponimi di origine gallica basati su bitu-
(che significa 'mondo') ma non c'è nessuna ragione per ipotizzare un'
origine indipendente del nome del formaggio che, fino alla fine
dell'Ottocento, era indicato con chiaro riferimento all'origine
geografica "della valle del Bitto", poi contratto in "del Bitto" e sono
la metà Novecento in "Bitto".
Centro = il
Centro del Bitto
è il fabbricato di proprietà del comune di Gerola che ospita
il complesso di casera di stagionatura, sale degustazione e vendita,
museo, uffici comunali e auditorium. Si trova a a Gerola alta in via
Nazionale 31. La Società valli del Bitto
gestisce il piano
terra e l'interrato (con uso dell'auditorium). La Società è legata al
comune di Gerola non solo da un contratto di affitto ma anche da una
Convenzione del tutto sfavorevole alla Società. Per aiutare il comune,
che al tempo non disponeva delle risorse necessarie per il
completamento dell'immobole la Società, sulla base della Convenzione
pagò di tasca sua duecentomila euro di opere edili sulla struttura al
100% dal comune. Una cifra che costrinse ad
accendere mutui creando una zavorra di interessi passivi che ha
penalizzato la Società valli del Bitto
sino ad oggi tanto che nell'assemblea straordinaria del 18 dicembre
2016 si è dovuto, ai sensi dell'art. 2644 del c.c. ridimensionare il
valore nominale delle azioni in proporzione alla perdita subita
(riconducibile agli interessi passivi dei duecentomila euro e a una
perdita di cinquanta mila euro nello sfortunato tentativo di gestione
dell'Albergo Valli del Bitto, sito di fronte al Centro del Bitto e di proprietà, anch'esso, del comune). Cervia (val) =
Una delle valle
orobiche dove si produceva in diversi alpeggi, il bitto. Classico = ‘bitto classico’ denominazione utilizzata temporaneamente dai produttori dell’ Associazione valli del Bitto prima dell’adozione di quella di 'bitto storico'. Oggi è totalmente in disuso. Colore = 1) Colorre tipico. Per il bitto della tradizione il colore è molto importante anche perché non si copre con pelure (le etichette di carta) ma è 'nudo'. Sono importanti sia il colore della pasta che quello della superficie, della crosta. La pasta del formaggio fresco riflette la presenza di pigmenti vegetali (caroteni e xantofille) presenti nell’erba di pascolo. Sono invece bianchi i formaggi di pecora e di capra perché i pigmenti non passano nel latte di queste specie. Il colore giallo del formaggio è tanto più marcato quanto più il latte di origine è ricco di grasso in quanto i pigmenti contenuti nelle piante sono solubili nel grasso (liposolubili) e non nella fase acquosa. Le medesime sostanze pigmentanti, in quanto foto- e termolabili, vengono alterate o perdute nel corso dei processi di conservazione dei foraggi il che spiega perché i formaggi invernali (a meno di aggiunta di coloranti) si presentano chiari. Il colore marcato 'dorato' delle forme stagionate che rappresenta una caratteristica peculiare è legato a trasformazioni a carico delle proteine e dei grassi. Anche la pasta assume colorazioni molto cariche cn gli anni di invecchiamento. La crosta, oltre ad essere più disidratata è esposta a fenomeni di ossidazione a carico del grasso; il suo colore, in ogni caso, è del tutto naturale. Le forme di bitto sono solo regolarmente strofinate e raschiate. Un tempo si utilizzava anche l'olio di lino (il regolamento della Casera sociale del 1908 prescrive l'unzione ogni 15-20 giorni) in analogia ad altri formaggi che assumono un colore della crosta estremamente scuro in ragione dell'ossidazione dei grassi dell'olio. Le forme di bitto di parecchi anni dal bel colore dorato e ambrato a volte virano ad un colore scuro (cioccolato) o molto scuro. In questo caso non c'è aggiunta di olio ma, anche alla temperatura ambiente della Casera i grassi poliinsaturi bassofondenti (derivati dall'erba, che mantengono morbido a lungo il formaggio), trasudano in forma di minute goccioline che poi raffreddandosi creano una patina soggetta ad ossidazione (e quiondi iscurimento). Nel bitto le colorazioni anomale, legate a sostanze pigmentate prodotte da batteri sono considerate un grave difetto, ma sono rare. 2) Colorazioni anomale. Rappresentano un difetto della crosta e della pasta. Nel caso dello 'storico ribelle' la crosta è regolarmente pulita e raschiata. Batteri e muffe, responsabili di colorazioni anomale in altri formaggi, non hanno la possibilità di produrre il difetto. La pasta può invece presentare colorazioni anomale in relazione a discontinuità della crosta (spaccature, vedi) che consentono all'aria di penetrare e facilitare la formazione di muffe verdi-azzurre (da Penicillium). L'uso della salamoia, che non non regolarmente rinnovata rischia varie contaminazioni batteriche, può essere causa di colorazioni rosse. Una colorazione biancasta disuniforme della pasta è legata a una salagione scorretta, e non uniforme o a salamoia troppo fredda o a una rottura non omogenea della cagliata che produce una venatura simile al marmo ( formaggio marmorizzato).
Coproduzione
= Divulgato
da Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, rimanda ad un ruolo attivo
del consumatore (che diventa quindi secondo altre definizioni
'consumattore') all'interno del movimento a favore del cibo locale
(buono, pulito e giusto). Un ruolo che implica una relazione diversa
con il produttore rispetto a quello, più o meno occasionale,
mediata dall'acquisto (sia pure diretto) del prodotto. Il coproduttore,
attraverso formule che implicano a in alcuni casi la partecipaziene ad
un gruppo di consumatori/coproduttori, attraverso formule quali le
'adozioni' (di animali, piante fruttifere, superfici coltivate), gli
acquisti anticipati, gli 'abbonamenti spesa', i Gas, le quote di
coltivazione (versate anticipatamente con diritto a quote di raccolto),
l'acquisto di animali (con l'affido in soccida), la partecipazione a
formule di 'nuova cooperazione', si assume parte del rischio della
produzione agricola o altri oneri diventando un partner del produttore
agricolo. In molti casi queste formule che appaiono 'post-moderne',
risultanti dall'esigenza, da parte del consumatore consapevole, di
superare la massificazione del sistema agroalimentare, ricalcano
antichi contratti agrari secondo un'interessante riattualizzazione di
antiche formule di compartecipazione. Nell'esperienza dei 'ribelli del
bitto' i coproduttori, non tanto in quanto consumatori quanto persone
consapevoli della necessità di sostituirsi alle istituzioni che stavano
deliberatamente distruggendo un patrimonio prezioso per assecondare
interessi forti, ma di corto respiro. Essi hanno sostenuto i
produttori storici del bitto, che rischiavano di essere assorbiti
all'interno di una dop omologata, piegata alle strategie di marketing
agroindustriali, costituendo una Società e avviando (grazie a
investimenti e impegni finanziari non
indifferenti ) la stagionatura e la commercializzazione del loro
prodotto che ha consentitodi salvarlo, grazie a una radicale
differenziazione di prezzo.Il concetto di coproduzione assume, però,
anche altri importanti significati nell'economia agroalimentare
contemporanea. Esso rinvia alla produzione, congiunta e complementare a
quella di beni fisici, alimentari o no food che sia), di utilità
immateriali che possono essere a loro volta di carattere pubblico o
limitato ad alcuni fruitori. Si tratta di tutti quei beni che
riguardano la produzione di valori ambientali, social e culturali che -
quando presi in considerazione - ribaltano le considerazioni
riduzioniste e fuorvianti dell'analisi economica. Di norma,
l'efficiente produzione industriale, massificata, globalizzata,
di beniin grado di produrre profitto attraverso il mercato è
controbilanciata dalla produzione di utilità negative in termini di
servizi ecosistemici
(inquinamento, riduzione di biodiversità, maggiore suscettabilità a
calamità naturali, riserve di acqua pura), di patrimonio (culturale),
di valori sociali. L'inefficienza da questo punto di vista della
produzione è anche economica perché la riduzione di capitale ambientale
e sociale trova riscontro - temporalmente differito, cioè mascherato ad
un'analisi all'attalità, in perdite di valori economici. Comitato = Il Comitato per la salvaguardia del Bitto prodotto nelle zone di origine (Valli del Bitto), al quale ci si riferiva più frequentemente con il semplice nome di Comitato Bitto, si costituì nel 1994 quando i produttori storici si resero conto che i ‘giochi erano fatti’ e che la dop del bitto estesa a tutta la provincia era stata ormai decisa. Si sciolse nel 1997, in concomitanza con la costituzione dell'Associazione produttori valli del Bitto. Como = In passato una
parte del bitto veniva convogliata verso magazzini di stagionatura di
Como sfruttando la comodità del trasporto lacuale.
Comunità di pratica =
I caricatori, i casari, i pastori, gli
stagionatori facevano parte di una vera e propria comunità di pratica
caratterizzata da un interesse e da un prestigio comune, pur nel
contesto di elementi di concorrenza. Esistevano
meccanismi di confronto sulla qualità che comportavano un ruolo non
puramente commerciale degli stagionatori, partecipi di un sapere comune
che, attraverso di loro, era aperto alle verifiche, alle trasformazioni
e agli stimoli del mercato. Da parte di diversi caricatori e casari, specie
quelli più
giovani - dopo una discontinuità generazionale che ha in larga misura
disgregato la comunità di un tempo, sottoposta all'impatto con i valori
produttivisti, all'accettazione di un ruolo subalterno all'interno di
filiere in cui i nuovi valori della modernizzazione agricola venivano
dettati da tecnici, funzionari, sindacalisti. Sono subentrati
individualismo, perdita di orgoglio e identità, mera ricerca
dell'interesse economico secondo il programma imposto. Con la rottura
con il 'sistema' la comunità del bitto ribelle per quanto
'assediata' da un contesto dove prevalgono altri valori (oggi, però,
fortemente in crisi di credibilità) ha potuto recuperare una propria
autonomia culturale. Così si sono rivitalizzate le relazioni
orizzontali tradizionali, si è recuperato il valore della conoscenza
che nasce dal basso, di un sapere che si riscopre capace - in contesti agli antipodi degli stabilimenti industriali - di
rispondere alle esigenze di 'produrre qualità' più
dell'osservanza di prescrizioni tecniche informate a rigidi principi
igienistici e a criteri 'scientifici' (cui spesso sfugge la complessità
dei sistemi reali). Questo sapere che torna ad essere un fattore
vivo in quanto non più 'autocensurato' nella consapevolezza e nella
pratica dei produttori, non è
semplice informazione ma è 'incorporato' nei gesti e nelle azioni
quotidiane, nella corporeità, e
nelle esperienze passate che un individuo porta con sé e che solo
attraverso la
pratica viene assimilato, 'assorbito' da altri individui che entrano in
risonanza con questo sapere in azione.
In pochi casi il valore delle 'comunità di pratica' tradizionali nel
campo della produzione zoocasearia è stato così chiaramente messo in evidenza
come in quello del bitto ribelle. È
sintomatico che il concetto di 'comunità di pratica' sia stato
formulato da Etienne Wenger nel contesto della moderna sociologia delle
organizzazioni produttive prendendo spunto da quel mondo, alla Silicon
valley che appare abissalmente distante dai vecchi rapporti
industriali. Che queste comunità produttive post-moderne ricalchino,
per alcuni aspetti, quelle artigianali del passato tradizionale, non è
un caso. Che il bitto ribelle, anche sotto questo profilo, rappresenti
una punta avanzata, neppure. Per la discussione teorica del significato
di 'comunità di pratica' cfr.E.
Wenger , Communities of practice Learning, meaning, and identity Cambridge UK, 1998. Cristina Grasseni, Lo sguardo della mano. Pratiche della
località e antropologia della visione in una comunità montana lombarda, Bergamo, 2003. Consorzio = (1) il Consorzio tutela Valtellina casera e bitto (Ctcb) è il consorzio bitto ‘ufficiale’. Costituitosi su base volontaria nel 1995, è stato ufficializzato nel 1996, in concomitanza con la attribuzione in sede nazionale transitoria della denominazione di origine ‘Bitto’. (2) Il ‘Consorzio salvaguardia bitto storico’ è stato costituito ufficialmente il 4 giugno 2010 e rappresenta la forma ‘matura’ di organizzazione dei ribelli del bitto. (3) Un Consorzio volontario per il formaggio Bitto. Fu costituito nel 1970 per iniziativa del veterinario Altero Carretta e del presidente della Pro Loco di Gerola, Genesio Maxenti. Ne fu presidente un casaro storico, Plinio Curtoni (classe 1925) . Il consorzio aveva sede a Morbegno. Nonostante l'impegno di Carretta , a causa dell'atteggiamento di disinteresse dei caricatori che delegavano i loro interessi alla Coldiretti (di cui il Curtni era anche presidente locale), non riuscì a decollare. Rimase formalmente in vita sino al 1995 per gestire la Mostra del bitto che, di fatto, veniva gestita dallo Spafa (Servizio provinciale agricoltura e foreste) della Regione Lombardia. I soci partecipanti alla costituzione del Consorzio erano: Ezio Piganzoli di Rasura, Camillo Angelini di Morbegno, Daniele Zugnoni di Cosio Valtellino, Fausto Acquistapace di Cosio Valtellino, Iseo Mazzoni di Albaredo per S. Marco, Giuseppe Tarabini di Pedesina, Gaetano Curtoni di Gerola Alta, Alessandro Arrigoni di Bema, Adolfo Passerini di Morbegno, Mario Mazzoni di Albaredo per S. Marco, Luigi Orlandi di Cosio Valtellino, Gioachino Fallati di Gerola Alta, Lazzaro Rocco Curtoni di Gerola Alta, Francesco Curtoni di Gerola Alta.
Cooperativa
= 1) Una Cooperativa
produttori bitto fu costituita nel 1985. Operava la stagionatura
presso le strutture del Colavev. (Consorzio
produttori latte
Valtellina e Valchiavenna). Dopo un periodo di intensa attività
grazie al ruolo in qualità di segretario di un valente tecnico quale
Fausto Gusmeroli, si avviò a un declino, sino ad essere
‘riassorbita’ nella fase costituente del Consorzio Ctcb a metà
degli anni '90. L'attività della coop servì a spostare da Morbegno a Sondrio la 'governance' del bitto. 2)
la
Cooperativa di consumo di Gerola mette in vendita formaggio
grasso degli alpeggi di Gerola (che non potrebbe essere chiamato bitto)
a prezzi significativamente inferiori a quelli del Centro del bitto, che si trova ...
a una vetrina di distanza. Un perfetto esempio di cosa significhi in
Italia "fare sistema". CSA = Community supported agriculture.
È una forma di 'agricoltura civica' che rientra nei sistemi agricoli e
di consumo 'alternativi'.
Diffusa nel Nord America trova corrispondenze in varie parti del mondo.
Unisce le esperienze dei GAS (gruppi di acquisto solidale), basate su
acquisti collettivi o degli 'abbonamenti spesa', settimanali o
mensili, che rappresentano una forma di relazione tra una singola
azienda (o una cooperativa agricola) e un singolo consumatore. Nello
schema della CSA vi è una relazione stretta tra un gruppo locale di
consumatori (o coproduttori) e una o poche aziende agricole locali. I
coproduttori si assumono parte dei rischi della produzione agricola
anticipando all'inizio del ciclo stagionale una quota di partecipazione
al prodotto e ricevendo i frutti indipendentemente dall'esito del
raccolto.
La relazione è comunque intensa perché il produttore è attento ai
bisogni e alle esigenze della comunità che lo sostiene e,
viceversa, quest'ultima tiene conto dei problemi del coltivatore. In
alcuni casi la quota di partecipazione può essere corrisponsa non in
denaro ma in prestazione di lavoro. Il prodotto in eccesso rispetto ai
bisogni della comunità di sostegno viene di regola indirizzato a
'banche del cibo'. Nel caso della Società valli del Bitto
ci si trova di fronte a uno schema ancora più impegnativo. Non viene
anticipata una quota stagionale o annuale ma si investe in quote della
Società che sostiene i produttori assicurando loro un prezzo etico di
ritiro della loro produzione e gestendo la stagionatura (che comporta
costi elevati e importanti perdite) e la commercializzazione. Un
sostegno rischioso (i soci hanno in effetti perso in misura
significativa quanto versato). L'esperienza della Società valli
del Bitto è quindi una forma unica ed estremamente avanzata e
impegnativa di CSA anche se esprime lo stesso spirito, ovvero il
sostegno di una comunità di 'coproduttori' a un gruppo di produttori, a
una produzione. Nel caso della CSA, i valori che si intendono sostenere
sono quelli della piccola azienda locale, del cibo 'sano' (in genere
biologico e biodinamico) ma rimane fondamentale l'interesse per poter
consumare direttamente questo cibo. Nel caso della Società valli del Bitto
l'aspetto del consumo diretto è molto limitato in quanto il 'dividendo
etico' in prodotto corrisponde al 2% annuo del valore della quota in
denaro versata. Il che significa un anticipo 'più che a vita', un
anticipo di cui potranno fruire nella maggior parte dei casi gli eredi.
La motivazione di consumo è quindi pocp più che simbolica. La comunità
di sostegno dello 'storico ribelle' è mossa dal desiderio di
tutelare un prodotto per quello che rappresenta: i suoi valori storici,
culturali, etici ed ecologici. Valori, però, che non sono solo
importanti per sé stessi, ma forse ancora di più perché divenuti
l'emblema di un modello che si contrappone all'omologazione
agroindustriale delle attività agricole di allevamento, di
trasformazione alimentare. Un medello che provoca accese discussioni
nel dibattito pubblico e che quindi ha un grande valore di stimolo,
educazione, critica. Un modello che mostra come possono essere
contrastati i fattori che rendono i produttori dipendenti dai
meccanismi del sistema globale (l'Impero del cibo) assicurando loro la
sostenibilità economica ma che, al tempo stesso,che determina anche ricadute positive sul
territorio e la comunità locali attraverso i tanti valori positivi
(turismo, recupero di identità, cura del paesaggio, recupero memoria
storica) 'coprodotti' da una produzione agroalimentare
rilocalizzata e virtuosa. Cusio = Una delle località brembane dove si commercializzava bitto prima dell'affermazione della Fiera di San Matteo ai Branzi quale principale piazza del commercio del bitto/branzi
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