Tra le valli prealpine, la Valsassina è quella che vanta la
maggiore tradizione casearia. Dal 1880 al 1930 essa rappresentò anche,
insieme alla vicina città di Lecco, un distretto caseario di rilevo
nazionale. Nelle sue casere, gestite da importanti ditte come Galbani,
Locatelli, Cademartori, erano stagionati grandi quantitativi di
prodotto (soprattutto gorgonzola ma anche taleggio, prodotto lanciato a
livello nazionale - con questo nome - dalla Cademartori). I
formaggi, in larga misura salivano, dalla pianura, dove la produzione
era
ancora largamente artigianale e realizzata dagli stessi bergamini (i
transumanti delle vallate orobiche) per
essere affinati nelle "grotte", costruzioni che fruivano di
correnti di aria fredda che escono direttamenti dai fianchi delle
montagne. In Valsassina, oggi, a fianco di grosse ditte (la Mauri, che
ha un secolo di vita, la Ciresa, la Gildo, la Carozzi)
vi sono ancora piccole ditte come la Doniselli di Pasturo e la Selva di
Introbio, presenti dalla fine dell'Ottocento ma che si sono sempre
limitate alla
stagionatura. Una ditta, fondata nel 1961, ma direttamente legata alla
tradizione secolare dei bergamini (allevatori-casari), è la Invernizzi
Daniele di Pasturo che opera la produzione con il solo latte
degli allevatori della valle, lavora a crudo e, di recente, ha riaperto
una "grotta"
di stagionatura naturale.
Il
nonno di Daniele Invernizzi era nato in transumanza, alle osterie delle
Fornasette, sull'Adda, tappa fissa per i bergamini che dalla Valsassina
scendevano verso l'area del Melegnanese, appena a Sud di Milano. Era la
via che passava da Vimercate, Gorgonzola, Melzo (queste due ultime
località fatidiche della storia dei bergamini e dell'industria casearia
lombarda e italiana). Da Melzo si imboccava la via Cerca, uno
"stradone" che risale alla prima metà dell'Ottocento e porta (tuttora)
a Melegnamo. Gli Invernizzi transumarono sino al tempo di guerra, poi
tornarono a stabilirsi definitivamente nella valle natia. Dopo il
militare, Daniele, partendo dal nulla (con una 1100 alla quale aveva
tolto i sedili per caricare i bidoni del latte) avviò la sia attività
di piccolo commerciante-stagionatore, nel solco di altri che misero in
piedi grosse ditte partendo così. Gradualmente la ditta è passata alla
produzione, prima presso una piccola struttura a Cremeno, poi nella
sede attuale di Pasturo, dotata di un moderno caseificio e ampie celle
Daniele Invernizzi, classe 1937, è
ancora al lavoro nell'azienda da lui fondata, sessant'anni di attività
ininterrotta, nella quale è stato affiancato dai tre figli
Nella
ditta Eugenio e Francesco seguono al produzione, Gabriele la
commercializzazione. In una ditta che è rimasta famigliare,
commercializzazione significa gestire dalle strategie di marketing e
dai contatti con l'Esselunga al giro delle consegne."Ieri ho fatto 900
km per il giro, nella nostra attività le consegne vanno seguite di
persona, un impegno gravoso ma ho preso il più bel furgone
Mercedes".
Fermamente
convito che il punto di forza dell'azienda consiste nel forte legame
con la tradizione casearia della valle e con la caseificazione di latte
a km 0, raccolto solo da aziende valsassinesi nelle vicinanze del
caseificio, Gabriele Invernizzi ha costruito un'immagine ben precisa
dell'azienda e dei suoi prodotti attraverso una comunicazione
commerciale che, orma da anni, è fedele a sé stessa e coglie tutte le
opportunità per valorizzare aspetti storici, toponimi, tradizioni della
valle. Unendo cultura a imprenditoria. Fa bene perché chi lavora latte
di montagna raccolto a km 0, lacora a crudo, usa anche le "grotte"
naturali, ha un diritto legittimo di rifarsi alla tradizione. Tutti
quei prodotti "all'antica", "del contadino", confezionati
con carte rustiche, spaghi e altri orpelli, con tutte quelle pastorelle
e barbuti pastori, ingannano il consumatore,
sono una truffa legalizzata (su questo tema mi permetto di rimandare a
una mia pubblicazione Allegre
pastorelle, pascoli fioriti e barbuti casari.
L’universo simbolico della comunicazione commerciale lattiero-casearia
tra idillio e conflitto sociale).
Va
particolarmente fiero delle etichette che utilizzano la storia del
Lasco, un personaggio di fantasia, il bandito della Valsassina,
dalla doppia personalità, un po’ come dottor Jekyll e Mr. Hyde.
Ambientato nello stesso periodo dei Promessi Sposi, il romanzo, uscito
nel 1871; utilizza vasto materiale di leggende e storie locali e
ricalca al tempo stesso l'opera più famosa. Lasco è il
signore della rocca di Bajedo distrutta nel 1513 durante la rivolta
contro i francesi. Nel XVII
secolo era solo un cumulo di rovine ma per la fiction, c'era ancora. La
fantasia di Antonio Balbiani
fece di Lasco il signore della rocca, generoso con i sudditi di giorno,
bandito assassino di notte. Lasco non ebbe la fortuna nazionale
dell'opera del Manzoni ma, a livello locale e regionale, il successo fu
inegabile. Vi furono varie edizioni e riedizioni, anche recenti e,
sulla sua trama, venne costruita un'opera teatrale. Il personaggio è
entrato fortemente nell'immaginario.
Tra i personaggi leggendari ai quali si ispirano i
formaggi della Daniele Invernizzi vi è anche il guerriero Taino, un
personaggio dei tempi barbarici. La "tomba di Taino" è un
toponimo che individua un tratto della ripidissima valle solcata dal
torrente Pioverna che scende con profondi canyon, dalla dolce
Valsassina al Lago di Como. Come la tomba di Alarico - come non vedere
un calco - scavata, secondo la leggenda, nel letto del
fiume Basento, anche qui il torrente spumeggiante fu deviato per
rendere introvabile la tomba con i grandi tesori che Taino aveva
sottratto ai
nemici. Altrove erano i draghi i custodi, qui la furia delle acque.
L'immagine della ditta, però, si rifà anche a personaggi del
tutto storici: i bergamini, che per secoli praticarono la transumanza
tra la valle e la bassa pianura lombarda.
Mentre molte ditte si limitano a
sfruttare le immagini di storie che non sono le loro, la Daniele
Invernizzi, come abbiamo ricordato, affonda la sua storia nella
transumanza. Ma Gabriele Invernizzi è anche un
collezionista che preserva dalla distruzione molti cimeli della storia
casearia della Valsassina e li utilizza per costruire un'immagine
attenta, non da Mulino bianco, ma filologica
. Le cassette della foto sotto, che servivano
a trasportare, senza danneggiarli, gli stracchini quadri dall'alpeggio
alle grotte di stagionatura in fodovalle, fanno parte della ricca
collezione di Gabriele. "Per farmele dare
da un collega ho dovuto farle ricostruire nuove con tanto di
rivestimento interno in acciaio e dargliele in cambio".
Una
bella collezione di Gabriele riguarda le matrici tipografiche in bronzo
delle
etichette dei formaggi di inizio secolo. Sulla scia di Egidio Galbani,
le altre ditte si sono affidate ad abili disegnatori e incisori per
realizzare le matrici in bronzo delle etichette.
Sono
tante piccole opere d'arte, altro che i "creativi" di oggi. Un
patrimonio prezioso, messo da parte con
costanza. Oltre agli oggetti, Gabriele ha raccolto anche libri (come
quello celebrativo del centenario della Locatelli.
I
tanti oggetti raccolti da Gabriele Invernizzi meriterebbro un degno
spazio espositivo. Alcuni sono esposti nel negozio della ditta, ma
altri sono ammassati nei magazzini del caseificio. Come questa pesa
centenaria che operava presso la grande casera di Maggio della
Locatelli. La più imponente delle casere della Valsassina, dotata di
laghetto per la produzione del ghiaccio e di una grande ghiacciaia
Oggi,
la grande casera, vero esempio di archeologia industriale casearia, è
ridotta in condizioni deplorevoli. Collocata a ridosso del versante
della montagna esposto a Nord, era una "macchina del clima". Un
suo recupero mettrebbe a disposizione non solo grotte naturali di
stagionatura ma anche un grande spazio museale, capace di operare come
attrattore turistico e di raccontare una pagina esaltante, durata mezzo
secolo, di decollo dell'industria casearia nazionale, una bella storia
a cavallo tra
industria e zootecnia (i prodotti stagionati nella grandi casere erano
ottenuti freschi dai bergamini, sugli alpeggi della Valsassina e val
Taleggio o nelle cascine della Bassa ove svernavano in inverno).
In
attesa che le
istituzioni e le grandi ditte casearie che tutt'oggi operano i
Valsassina si decidano a recuperare le vecchie casere, Gabriele
Invernizzi ha rimesso in funzione una vecchia "grotta" a
Ballabio. Per chi non lo sapesse, ricordiamo che le "grotte"
valsassinesi non sono anfratti ma edifici in muratura addossati, con le
loro "cantine", alla roccia della montagna.
Stagionano
in questa grotta naturale, intitolata a San Lucio, dove, attraverso
delle aperture, penetrano, le correnti d'aria fredda provenienti dalle
viscere della montagna, sia gli stracchini quadri che i formaggi
latteria. La differenza tra la cella e la grotta si vede (più che altro
si sente in bocca) e, in un mercato satuto di "formaggi tipo latteria",
prodotti in abbondanza sulle motagne lombarde e venete, quelli della
grotta spuntano prezzi decisamente più soddisfacienti. Così Gabriele
Invernizzi dimostra che la "retroinnovazione" non solo è possibile ma
funziona.