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Ambiente e società

Michele Corti, 24  dicenbre, 2022

Gli ambientaliti gettano la maschera


Ambientaliti sono coloro che appartengono alla congrega, animata da fanatismo parareligioso (che non ammette contradditorio ai dogmi sull'apocalisse climatica e sulla salvezza dal "rinnovabile") ma palesemente e direttamente interessata al business speculativo e, in modo occulto, al sostegno di interessi estranei e contrari a quelli dell'Italia e dell'Europa (il Dragone, ovviamente).   Perciò non meritano di essere definiti ambientalisti. Ambientalisti sono, semmai, gli associati di Italia Nostra, Mountain Wilderness, Amici della Terra, Wilderness Italia e di tanti gruppi locali e sovralocali che non accettano che, per innalzare di pochi punti la quote di energia solare e fotovoltaica, si stravolga in modo irreversibile il paesaggio rurale e dei centri storici italiani danneggiando l'economia agricola e turistica del paese.

Nel 2021 la quota della produzione di energia elettrica da solare e eolico si attestava, in Italia, al 14,4%, ma l'energia elettrica rappresenta solo il 22% dell'energia necessaria. La quota di solare e fotovoltaico termico è minima e quindi il contributo di queste fonti al bilancio energetico complessivo arriva a poco più del 3%. Un risultato che è costato 240 miliardi di incentivi lussuosi ai prenditori oltre ai costi per l'estensione della rete elettrica. Anche se si riuscisse a raddoppiare o persino a triplicare il contributo italiano di energia rinnovabile  che cosa cambierebbe sul piano delle emissioni globali, visto che l'Italia contribuisce ad esse per lo 0,8%? Pochissimo conterebbe anche la politica di "transizione energetica" alla quale l'Europa si è fanaticamente impegnata (un impegno sul quale, dopo il Quatargate, circolano ovviamente pesanti sospetti che puntano alla Cina). Ottenere la decarbonicazione facendo leva principalmente su eolico e fotovoltaico è insensato (specie sull'eolico visto che l'Italia è tra i paesi meno ventosi d'Europa).  Un risultato ottenuto a prezzo di impatti enormi (spreco di terreni agricoli, paesaggi deturpati) e con un trasferimento ingente di risorse dalle imprese e dalle famiglie a soggetti speculativi quando non criminali attraverso i super incentivi alle "rinnovabili" (in Italia più generosi che in altri paesi).

 

Anche il governo, in ossequio alle linee europee, influenzato dagli ambientaliti (e da chi sta loro dietro: il WEF, i "filantropi", la Cina), vuole portare la potenza installata eolica e fotovoltaica da 33 a 85 GW nominali. Un obiettivo difficilissimo sulla base dell'ordinamento attuale, sulla base delle autorizzazioni paesistiche, della vigilanza delle Soprintendenze. Ecco allora che il 30 novembre esce un documento del duo WWF e Legambiente, firmato anche da FAI, sui "paesaggi sostenibili", il documento è intitolato Paesaggi sostenibili 12 proposte per una giusta transizione energetica Cos'è un paesaggio rinnovabile? Un paesaggio di pale eoliche e pannelli a terra, ovviamente, con centrali a biogas di contorno. 


Obiettivo degli ambientaliti è una pianificazione dall'alto che che bypassi le autorizzazioni paesistiche, che tagli fuori gli enti locali, che disineschi le possibilità di intervento delle Soprintendenze, che impedisca la difesa da parte delle comunità locali dei loro territori. Troppo faticoso cercare di "ammorbidire" con varie forme di corruzione più o meno nascosta i rappresentanti locali. L'obiettivo è un piano nazionale straordinario (ahi) per l’individuazione delle aree idonee per l’installazione e la riqualificazione degli impianti per le energie rinnovabili. Contro i "retrogradi", gli ambientalisti, fermi all'art. 9 della Costituzione (la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico della nazione), gli ambientaliti auspicano il "rinnovamento" del paesaggio. Ecco la trovata: paesaggio "rinnovabile" significa da modernizzare, da svecchiare, ornandolo di pale alte 200 m, coprendo le colline di specchi riflettenti. Chi si oppone ha una visione statica, è fermo a una visione estetizzante. L'etica (lo dicono loro) impone le pale e i pannelli. Se etica è trasferire risorse dai poveri ai ricchi con i super-incentivi, chiudere la bocca a chi si trova a vivere in un paesaggio stravolto, fare gli interessi dell'industria e dell'impero cinese impoverendo l'Italia senza spostare di nulla i bilanci globali energetici ed emissivi (Usa, Cina, India e Indonesia contano per 3/4 delle emissioni) è una ben strana etica quella degli ambientaliti. 

Non quindi come entità statica, bensì come bene comune rinnovabile, perché per sua natura viene modellato nel tempo, dalle attività umane e dai fenomeni naturali e, oggi, diremmo piuttosto “ferito” dalla crisi climatica. Per “rinnovarlo” in modo sostenibile dal punto di vita culturale, sociale e ambientale servono regole condivise, competenze aggiornate, procedure e strumenti efficaci. La trasformazione del paesaggio non è solo questione estetica, ma sociale e ambientale, e quindi etica.

Il paesaggio, secondo gli ambientaliti, è già compromesso dalla crisi climatica (a noi sembra che è molto più compromesso dai funghi delle biogas, dalle selve di pale, dalle distese di specchi fotovoltaici). Come dire: "perché venite ancora a seccarci, tanto è compromesso"? E allora sia lecito dare il colpo di grazia.  Nel documento si indica chiaramente cosa si vuole: basta chiacchiericcio sulla circolarità, sui tetti dei capannoni, sull'autocroduzione, sulle comunità energetiche, trastulli per romantici inguaribili, si deve andare al sodo: servono i mega-impianti estesi su enormi superfici:

sarà il contributo di impianti su scala industriale a risultare assolutamente indispensabile. Già oggi, si realizzano Già oggi, si realizzano centrali solari con potenza di 2 GW, ma è evidente che la moltiplicazione di questi progetti impone a monte scelte di pianificazione territoriale. La priorità dovrà essere riservata alle grandi zone commerciali, alle aree industriali dismesse, al suolo abbandonato e/o contaminato o compromesso sul piano della fertilità agricola, seguendo il principio di non “occupare” neanche un ettaro di suolo fertile, se non con tecnologie compatibili (agrivoltaico).

Quindi: aree dimesse e grandi aree commerciali come priorità ma non solo loro. E cosa si intende per suolo abbandonato? E se potesse tornare agricolo? Viene da pensare che a "compromettere", inquinare, rendere sterile il terreno agricolo (magari con fanghi) c'è da ottenere un duplice guadagno: prima si smaltisce si sfrutta, si "compromette" e poi qualcuno (collegato) parte con il business "rinnovabile".


Un impianto fotovoltaico con il pretesto della vigna

Se, però, qualcuno nutrisse ancora dubbi sulle cattive intenzioni degli ambientaliti ecco due esemplificazioni che chiariscono bene lo "spirito" del "paesaggio rinnovabile". Nel primo caso non si esclude nemmeno di coprire di pannelli i tetti dei centri storici ("ribaltando la narrazione dei tetti solari nei centri storici", ovvero proclamando che una città che - non dimentichiamo, ha anche una visione da lontano e dall'alto - con coperture di pannelli riflettenti "ci guadagna", nel secondo si apre la porta a massacrare le fasce di rispetto delle "grandi arterie di comunicazione". Così, oltre alle delizie estetiche della modernità che già conosciamo, la selva dei cartelli indicatori e pubblicitari, il viaggiatore (compreso il turista) si troverà a percorrere tunnel di pannelli fotovoltaici. Un ottimo incentivo a viaggiare in Italia.

Da questo punto di vista, serve anche ribaltare la narrazione dei tetti solari nei centri storici, non escludendo a priori la loro installazione ma favorendola a certe condizioni. Servono, in buona sostanza, piani speciali per il FV sui tetti industriali e commerciali, per lo sviluppo dei grandi impianti fotovoltaici nelle aree dismesse e/o da recuperare, o lungo le fasce di rispetto delle grandi arterie di comunicazione.


Le pale eoliche sono le LORO cattedrali

Già prima di "Paesaggi rinnovabili", gli ambientaliti hanno paragonato le pale eoliche a opere di architettura che abbelliscono il paesaggio. In una intervista del 2020, rilasciata a Elena Comelli (Corriere della Sera), Stefano Cefani, presidente di legambiente diceva che  Il paesaggio italiano cambierà. La transizione verde si farà, con molte opere che saranno realizzate sul territorio. Sorgeranno nuove pale eoliche, nuovi campi fotovoltaici. Alla domanda della giornalista Comelli  Non avete paura che il paesaggio italiano venga sconciato? così risponde Cefani Nessuna paura, perché il territorio italiano è sempre cambiato, fin da quando i romani costruivano i loro acquedotti o i geni del Rinascimento edificavano le loro magnifiche cattedrali. Le pale eoliche e le ferrovie ad alta velocità sono le nostre cattedrali... All’associazione Amici della Terra che, insieme con tante altre, difende  il paesaggio dall'invasione degli aerogeneratori, Cefani attribuiva, sprezzante, il nomignolo di "Amici della Serra", mentre Italia Nostra veniva compatita come retrograda.


L'assurdità del confronto tra pale e acquedotti romani, opere straordinarie di architettura e ingegneria, emerge dalla durata bimillenaria dei secondi che, in forza anche del materiale utilizzato (la pietra si cerca di trasportarla da meno lontano possibile) hanno avuto il tempo di diventare parte del paesaggio. Non potranno, per fortuna, farlo le pale di acciaio e calcestruzzo destinate a una vita ventennale (anche se per ora la prospettiva, caldeggiata dagli ambientaliti, è di sostituire con macchine più potenti. Sorvoliamo sil confronto tra capolavori di architettura e macchine industriali seriali se non per osservare a quali bassezze porta il sostegno ideologico e motivato dalla pecunia.
L'immagine della cattedrale è diventata cara cara alle penne "rinnovabili" come Fabio Bogo, già collaboratore dei giornaloni (Corrierone, Repubblica), specializzato cantore degli impianti FER. Sulla rivista ambientalita dei CC forestali (#Natura) del 9.2.2022, scriveva (nel pezzo "Cattedrali dell'energia"):

E allora, in un mondo sempre più assetato di energia, dove sono finite le ciminiere, simbolo per secoli dell’economia? Dove sono quei camini e quelle torri verticali da cui uscivano nuvole sottili che segnavano l’orizzonte e che testimoniavano la creazione di potenza da parte delle macchine e dell’uomo? Stanno sparendo, sostituite da impianti alla cui presenza ancora non siamo abituati. Perché quella che stiamo vivendo è una rivoluzione industriale e tecnica, che ci sta portando nell’era delle nuove cattedrali dell’energia. E che cambia i nostri paesaggi. L’innovazione tecnologica in questo campo è rapidissima. E trova soluzioni che cercano di conciliare la fame energetica con il rispetto dei vincoli paesaggistici e ambientali.

La generosità dei compensi, che la lobby delle rinnovabili può assicurare ai suoi aedi, abbassa - si vede - la soglia del pudore. Perché, se è vero che un impianto energetico può diventare un'opera d'arte, come nel caso delle centrali realizzate all'epoca del "grande balzo" industriale dei primi anni del secolo scorso, è anche vero che a questa metamorfosi di impianti tutt'ora funzionali in monumenti concorsero una serie di circostanze che oggi non si ravvisano nelle pale: l'attenzione alla qualità formale, alla scelta dei materiali pregiati e al loro cromatismo, all'inserimento nel contesto. Dietro un'opera come la centrale idroelettrica di Trezzo d'Adda di stile eclettico, realizzata nel 1906, c'era un grande capitano d'industria, Cristoforo Benigno Crespi, un protagonista di primo piano dell'ambiente industriale lombardo dell'epoca, che realizzò l'impianto per fornire energia ai suoi opifici famosi per l'annesso villaggio operaio di Crespi d'Adda, oggi sito Unesco. Giulia Maria Crespi, fondatrice e a lungo presidente del FAI (dopo essere stata patron del Corrierone di famiglia) era discendente dei Crespi, cugini di quelli di Crespi d'Adda. Deceduta nel 2020, forse oggi si rivolta nella tomba per la conversione della sua organizzazione al "rinnovabilismo". Ogni confronto tra i manufatti del passato e le pale un insulto all'intelligenza. I segni della prima rivoluzione industriale erano limitati a paesaggi dove esistevano già insediamenti e infrastrutture, gli sbocchi delle valli montane, le valli fluviali (spesso incassate come nel casodell'Olona, del Lambro, dell'Adda). Le pale sono oggetti seriali, moltiplicati a dismisura su superfici enormi che, collocate sui crinali e non già nelle valli e presso città e snodi ferroviari invadono paesaggi a forte naturalità risultando, per la loro collocazione, visibili da emormi coni paesaggistici. D cosa stiamo parlando?

 

Ci si può chiedere cosa c'entri il FAI, la paludata associazione delle dinastie della grande borghesia e degli aristocratici con il "rinnovabilismo" palesemente speculativo, arrogante, spregiatore del valore del bello, del paesaggio come patrimonio comune in cui riconoscersi, patrimonio ereditato che si evolve (ma stuprare è alta cosa)?  Il FAI ha seguito Legambiente anche sul terreno della peggiore apologetica cialtronesca. Legambiente, non contenta di equiparare le pale a torri rinascimentali, cattedrali, acquedotti romani, si è inventata - caso unico al mondo - il turismo delle pale (vai a vedere), riesce fare poesia sulle pale sorvolando sulla speculazione finanziaria  ma anche sugli immensi movimenti di terra, gli sbancamenti, le 900 tonnellate di acciaio, le 2.500 tonnellate di calcestruzzo, le 45 tonnellate di plastica non riciclabile che occorrono per ogni pala  e (dalla guida) così declama:  I luoghi dove queste grandi e moderne Macchine producono energia dal vento trasudano un fascino unico anche perché offrono punti di vista d’eccezione verso laghi, mari, montagne, paesi antichi. Uno si aspetterebbe che ai turisti si proponga la visita di luoghi degradati che, in qualche modo, i parchi eolici hanno bonificato, sistemato. Macché, la guida propone di visitare le pale collocate presso un anfiteatro morenico a nord di Verona, con vigneti, giardini fioriti, a due passi dal lago di Garda, e poi in visita a riserve naturali, villaggi, colline coltivate, zone termali e Morellino di Scansano in Maremma. Un entroterra boschivo di Savona, con il mare davanti e le montagne alle spalle, borghi, piccoli paradisi… Altre meraviglie a Gibellina, Salaparuta, poi Taranto. Ma come? Se sono piccoli paradisi ci mettete le pale?


E proprio il "paradiso" a Nord di Verona ci dice che la svolta del FAI era nell'aria. Qualche mese fa il sodalizio organizzava una passeggiata al parco eolico di Rivoli Veronese (vai a vedere). Ma ll suddetto parco eolico è l'esempio lampante non solo della collocazione delle pale in aree di grande pregio ma anche della "truffa dell'eolico": le pale, in Italia, specie al Nord, non girano. Sono solo un business sostenuto da soldi pubblici gettati... al vento che non c'è. Visibile dall'Autobrennero, il parco eolico di Rivoli mostra a tutti coloro che transitano sull'autostrada quanto poco vento ci sia. Pur collocata alla sbocco della più grande valle alpina disposta Nord-Sud, la velocità del vento non è quasi mai in grado di muovere tutte le pale. Tutte le volte che sono passato qualcuna era immobile, le altre giravano al rallenty. E pensare che è uno dei siti più ventosi del Nord Italia!



La mossa da parte del gatto e della volpe di cooptare il FAI è stata comunque geniale. Arruolando l'aristocratico sodalizio, il duo della green economy speculativa ha rotto il fronte delle associazioni percepite come meno affaristiche e compromesse. Il FAI gode di un'aura aristocratica e, tra i valori aristocratici positivi, viene riconosciuto quello del senso estetico, della lealtà, del legame con le comunità e i territori che l'aristocrazia sfruttava ma, al tempo stesso era pronta a proteggere, a differenza dei borghesi "disincantati" che mirano solo al profitto. Non a caso i Crespi, che ha Crespi d'Adda hanno edificato un castello che domina il villaggio operaio ma che avevano dotato quest'ultimo di servizi all'avanguardia, erano considerati borghesi "arretrati", il prototipo del "padrone lombardo", "paternalista" e "feudale".  L'arruolamento del FAI nelle fila del rinnovabilismo (Sgarbi dice nell'associazione a delinquere) si spiega nello stesso modo. E' come quando si pagano le eurotangenti ai sindacalisti e alle Ong dei diritti uman: si corrompe chi è apparentemente virtuoso, credibile, chi può certificare, legittimare. Abbandonando il fronte di Italia Nostra, Amici della Terra, Mountain Wilderness ecc. (la spregiudicata Greenpeace è da sempre rinnovabilista), il FAI ha operato un bel tradimento. Sgarbi si è chiesto - visto che l'attuale presidente del FAI, Magnifico, ha dichiarato che il paesaggio non è più intoccabile - se dobbiamo installare un campo fotovoltaico davanti al castello di Masino, gestito dal Fai, dove Giulia Maria Crespi riuscì ad evitare la realizzazione di un mega parco giochi. E metteremo una selva di pali eolici galleggianti davanti l'Abbazia di San Fruttuoso, sempre del Fai, per educare i giovani alla difesa del 'paesaggio sostenibile'? Probabilmente (a pensare male si fa peccato ma...) il favore del FAI al "rinnovabilismo" non è legato solo al pesante coinvolgimento di ambienti dell'alta borghesia e aristocrazia (milanese e non solo) nelle speculazioni (a Capalbio, per esempio, la biogas bloccata grazie alla mobilitazione di magistrati e vip che colà possiedono seconde case, era promossa dalla Sacra, società cui fanno capo nobili famiglie milanesi). Probabilmente c'è sotto anche la garanzia che pannelli e pale si terranno lontane dai castelli e dai palazzi principeschi del FAI e dei suoi soci.

Fanatismo, ingordigia speculativa... e burattinai

La punta di diamante del "rinnovabilismo" in Italia resta, in ogni caso, Legambiente. Coerentemente con il fondo ideologico progressista tutto ciò che è nuovo per i progressisti, quindi per i compagni capitalisti di Legambiente, è buono e bello, tutto ciò che osa chiedersi se è il caso di conservare, invece che distruggere (vale per il costume, i valori, il paesaggio) è retrogrado e reazionario da mandare al rogo. Nella loro barbarie questi ambientaliti si spingono sino all'iconoclastia ("svecchiamo, cancelliamo, modernizziamo") mostrando non casuali assonanze con gli ebeti ragazzetti prezzolati di Extintion rebellion.  Finanziati dal "filantropo" Aileen Getty, nipote del magnate del petrolio J. Paul Getty, che ha donato milioni di euro per sostenere i gruppi di manifestanti che hanno preso di mira opere d’arte e musei. Che con i profitti del petrolio di ieri il capitale si prefiguri nuove opportunità è molto eloquente.


Extintion rebellion e Legambiente  sono unite dall'assunto di fondo: l'emergenza climatica legittima a passare sopra a tutto, tutto il resto non ha importanza. Che valore hanno la cultura, le opere d'arte di fronte all'apocalisse climatica? In realtà queste posizioni rimandano in modo piuttosto scoperto alle sette millenaristiche, che praticavano un manicheismo estremo dividendo il bene dal male con l'accetta, gli eletti dai predestinati alla dannazione (la massa), la svalutazione della vita, del corpo, il rifiuto della riproduzione in vista dell'unica cosa che contasse: lo spirito,  la purezza dell'anima (anche se poi gli "eletti" in queste sette si concedevano ogni abuso ai danni dei fedeli e ne approfittavano per arricchirsi). Ancora nel 1978, in Guyana,  questo "modello", che pare medievale ma non lo è, è costato il suicidio collettivo  di oltre 900 statunitensi della congregazione del "Tempio del popolo", plagiati dal compagno rev. Jones. Oggi, con il culto delle "rinnovabili", gli ambientaliti, in nome del bene assoluto (guai a metterlo in dubbio, si è eretici e paria), rappresentato da pale e pannelli,  vogliono il suicidio, in quanto economie, culture e società,  dell'Italia e dell'Europa. Le azioni di "Extintion rebellion" sono simboliche, ma propedeutiche a una subliminare svalutazione del patrimonio culturale umano che va di pari passo con l'affermarsi della divinizzazione della natura. L'uomo, l'umanesimo non sono più al centro (prima ancora c'era Dio) e allora tutto è giustificato in nome di un valore superiore: non tanto la Natura, quanto il Clima (ignorando gli altri non meno gravi aspetti della crisi ecologica) e, alla fine, la Transizione ecologica, ovvero un reset sociale ed economico che tende a concentrare sicuramente ricchezza e potere in ancora meno mani ma che, quanto a soluzione della crisi ecologica non offre nessuna garanzia. Basti considerare, ci torniamo dopo, quali devastazioni ambientali comporta la corsa alle terre rare, necessarie per l'auto elettrica, le pale, i pannelli fv. La dignità dell'uomo, il diritto a una cultura a un territorio, a dei costumi in cui riconoscersi. I propositi degli ambientaliti sono, invece, molto concreti pur derivando da questa precisa linea ideologico-religiosa di svalutazione dell'umano, del culturale, del bello in nome di indiscutibili e totalitari assunti. Una chiesa, smarrita, tace o acconsente, timorosa di essere considerata "antimoderna" di subire l'ostracismo, di essere colpita dall'anatema per gli "eretici".

Solare ed eolico: in cosa differiscono, in cosa sono accomunati?

Innanzitutto bosogna partire dal presupposto che, in Italia, il sole è abbondante, il vento scarso. Ben diversa è la ventosità sulle coste del Mare del Nord, in Irlanda, Cornovaglia, Galles. La Danimarca è la regina dell'eolico, con situazioni off-shore con punte di 4.700 ore di vento (contro le 1.800 con le quali si opera in Italia). In Danimarca, dove il vento è più forte e con l'uso di potenti aerogeneratori di nuova generazione (con pali alti 280 m) si può iniziare a produrre energia elettrica senza incentivi. In Italia senza pesanti incentivi non si realizzano impianti che vedono ferme metà delle pale. Va aggiunto che si registra una "siccità eolica" a causa del riscaldamento. Il minor gradiente di temperatura tra il polo e le basse latitudini porta alla diminuzione del vento, più accentuata nel Mediterraneo che nell'Europa del Nord.



Oltre all'energia per produrre le grandi quantità di calcestruzzo e acciaio necessari per le pale, ci sono quelli per le scavatrici, per i movimenti di terra, per realizzare le strade (di solito le pale sono collocate sui crinali dove le strade non ci sono). Se gli incentivi rendono comunque economicamente conveniente l'affare, dal punto di vista del bilancio energetico quanti più anni servono a pareggiare i conti e a consentire agli impianti una produzione netta sui venti anni di vita utile degli stessi. Nelle situazioni peggiori la vita utile potrebbe essere pari alla metà, ovvero solo dieci anni su venti. Ma vanno anche considerati gli impatti sulla fauna, sul paesaggio, non solo l'energia necessaria per i trasporti, la realizzazione delle pale, le strade, i movimenti di terra. Poi c'è il costo per il ripristino, lo smaltimento di una massa enorme di materiale quando molti impianti arriveranno a fine vita. Tutto questo induce a concludere che il gioco vale la candela dove c'è tanto vento. Se prendiamo in considerazione alcuni esempi di progetti di parchi eolici vediamo subito quanto gli ambientalisti considerino gli impatti.



Mentre, quando fa comodo agli ambientaliti per impedire l'attività di utilizzo boschivo, il pascolo, il bosco è sacro, mentre si fa di tutto per favorire l'espansione dei boschi ai danni delle terre coltivate e si promuove l'idolatria della "foresta" e dell'albero (palese regressione al neopaganesimo che venera animali - il lupo - e boschi sacri), quando ci sono di mezzo i progetti eolici non si guarda a scrupoli. E allora quanto sono credibili le assicurazioni sul "paesaggio sostenibilie", sulla "convivenza" tra paesaggio e ambiente e pale della quale gli ambientaliti giurano di voler tenere conto? Se prendiamo lì'esempio della "convivenza" tra lupo e allevamenti estensivi (che sta portando sulla via dell'estinzione questi ultimi) non c'è da essere molto tranquillizati dalle "garanzie" del gatto e della volpe (e del nuovo partner).


A differenza del vento, l'insolazione è abbondante in Italia, non solo al Sud e nelle Isole, anche in Piemonte e, con l'esclusione dei fondovalle, sulle Alpi. In Italia, poi vi è una risorsa che è conseguenza del consumo di suolo e di un urbanizzazione disordinata: i tetti. Un'indagine un po' datata (2002) dell'Agenzia internazionale per l'energia stimava in 760 kmq la superficie di tetti suscettibili di installazione di pannelli FV. A questi aggiungeva 290 kmq di facciate. Però vanno aggiunte tutte le aree come i parcheggi, aree di manovra ecc . che (come dimostrano le pensiline coperte da pannelli fv delle autostrade). Se a queste superfici "vocate" si aggiungono le aree dismesse non utilizzate e senza prospettive immediate di rifunzionalizzazione, i siti contaminati da inquinamento industriale, ancora più estesi, ci si chiede che necessità ci sia di deturpare a tutti i costi i tetti dei centri storici e i terreni agricoli. Probabilmente queste due possibilità sono solo "tattiche". Lo sfregio dei centri storici può servire a "dimostrare" che, per il fotovoltaico bisogna essere pronti a fare sacrifici: "se si mettono nei centri storici dove ci sono i ricchi e che fanno muovere il turismo non fate storie voi villici ad accettare i campi solari in campagna".


Lo sfregio dei centri storici ha anche un intendimento pedagogico, come le azioni di Extintion rebellion: di fronte alla crisi climatica i vecchi valori estetici e culturali non valgono più. In realtà, considerato che anche coprendo superfici pari a intere regioni italiane non si raggiunge per questa via l'obiettivo emissione italiane zero (che porterebbe comporterebbe l'1% in meno di emissioni globali climalteranti, c'è nulla) dobbiamo pensare che si sia una spinta molto potente non solo a favorire la Cina (che vende pannelli e pale e terre rare), a consentire extra-profitti agli interessi finanziari che speculano sulle rinnovabili ma anche a compromettere l'agricoltura e l'economia italiana, basata in buona misura sulla produzione agricola di qualità e sul turismo (la cui attrattività si basa sia sui paesaggi che sui suddetti prodotti agroalimentari). Che i "filantropi" puntino sul cibo artificiale, sugli insetti, sulle vertical farm, sulle alghe, su tutto quanto slega il cibo dalla terra e lo mette sotto il controllo industriale e in poche mani è ormai palese. Tutto ciò che sottrae superfici alla produzione di cibo è benvenuto: che si tratti di bioenergia o di campi solari . Quello che non può essere utilizzato per la produzione energetica o per l'estrazione mineraria negli intendimenti dei "filantropi" deve essere trasformato in parco intoccabile. I "filantropi" vogliono distruggere l'agricoltura (per eliminare un settore irriducibile al controllo delle centrali finanziarie e "perversamente" legato all'azienda famigliare), ma anche il turismo, legato - specie in Italia -  Pensiamo poi all'imposizione dell'auto elettrica che, con le rinnovabili è stategicamente commessa (anche se oggi i proprietari delle veloci Tesla, dalle enormi batterie, utilizzano una buona fetta di energia sporca derivata dalla combustione del carbone). L'auto elettrica dovrebbe avere senso solo se alimentata da elettricità da fonti rinnovabili, ma che possibilità vi sono, almeno nella maggior parte dei paesi europei (la piccola Danimarca con le sue potenti centrali eoliche off-shore alimentate da forti venti è un caso a parte) di alimentare un parco auto di dimensioni paragonabili a quello attualmente in circolazione con le energie rinnovabili, caratterizzate dall'intermittenza, dal poco sole a Nord e dal poco vento a Sud? Nessuna.

Piccola centrale nucleare di nuova generazione in costruzione degli Usa. Il sistema di raffreddamento evita i problemi riscontrati nei casi di incidenti "storici" e il problema delle scorie è drasticamente ridotto. Oltre agli Usa stanno realizzando reattori di quarta generazione il Canada, la Russia,  la Cina e l'Argentina.

Se non ci fosse la volontà di un reset sociale, di un nuovo modello di capitalismo senza ceto medio e senza consumi di massa, con la ricchezza e il potere concentrati in ancor meno mani, la soluzione più logica con la necessità di disporre di energia non intermittente riducendo le emissioni sarebbe fornita dal nucleare (quello da fissione, per ora, visto che per le applicazioni commerciali della fusione si dovrà attendere decenni). Ma il nucleare è demonizzato (dagli stessi che idolatrano la Scienza quando ci sono da imporre le plurime dosi di sieri mRna) e la "transizione energetica" e il rinnovabilismo sono funzionali alla strategia di lotta di classe dall'alto dell'élite "filantropica". Così quest'ultima non ha difficoltà a indurre e mantenere l'irrazionale terrore per questa forma di produzione di energia, nonostante viviamo circondati dalle centrali francesi, svizzere e slovene.



E così, sia attraverso il costo che quelle misure disincentivanti della proprietà di un mezzo privato auspicate dai "filantropi", l'auto diventerà solo per i ricchi. I quali, peraltro, potranno permettersi anche altri mezzi di trasporto (elicotteri, droni) per raggiungere le poche località turistiche (esclusive) che resteranno in attività. Queste poche località per privilegiati, possibilmente all'interno di parchi dove, come in Nord America, non abita nessuno, saranno gestite da grandi società internazionali. Il turismo che conosciamo, quello delle tante località non per vip, dei borghi, dei paesi di montagna, collina, campagna, quello legato all'immenso patrimonio di monumenti religiosi e civili disseminato in ogni provincia italiana, quello legato alle specialità gastronomiche, alle cantine, ancora gestito in gran parte da imprese famigliari piccole e medie. Finita la disponibilità del mezzo privato per il ceto medio buona parte di questo turismo morirà.  Del resto il volere delle élite è di eliminare il lavoro autonomo, la piccola e media impresa di ogni settore. Con il commercio sono a buon punto; la Gdo e Internet hanno già fatto buona parte del lavoro.  La pandemia (con i discutibili lockdown che hanno comportato, alla fine, una mortalità più alta nei paesi che li hanno adottati rispetto agli altri) cha spinto in su il commercio di prodotto online, salito del 45% nel 2020 (eravamo sequestrati in casa), ma che poi  non è rinculato ma, anzi, è continuato a crescere (del 18% nel 2021 e dell'8% nel 2022) ha inferto dovuto subire colpi durissimi.  I provvedimenti di chiusura di alcune attività (musei, eventi) e le limitazioni alla stessa ristorazione hanno determinato un drastico calo dei flussi turistici: la flessione ha interessato sia la componente nazionale (-33,8%) sia, in misura più marcata, quella estera (-70,3%), che nel 2019 rappresentava la metà delle presenze. I ristori governativi (debito che si accumula con rischio Mes) hanno salvato per ora dalla chiusura le imprese ma queste si sono pesantemente indebitate e chi non potrà fruire di una forte ripresa è a rischio. Se il fine è ridimensionare pesantemente turismo e agricoltura, far crollare il valore di immobili e aziende per facilitare lo shopping  straniero, la strategia ambientalita fatta di ritorno alla natura selvaggia, bastoni tra le ruote alle attività agricole, parchizzazione, creazione di grandi parchi solari ed eolici è perfettamente coerente.


Tornando al solare ora forse capiamo meglio perché non ci si vuole accontentare delle superfici dei tetti e delle aree dismesse (che sarebbero sufficienti a raggiungere gli obiettivi prefissi di produzione di energia elettrica fotovoltaica), capiamo perché si voglia puntare su impianti industriali di grandi dimensioni che richiedono di essere installati nelle campagne, nelle colline, nelle montagne (per gli agognati impianti da 2GW servono 40 ettari). Ovvio che le grandi società nel business delle rinnovabili (assecondate dagli ambientaliti) preferiscono gestire in prima persona grandi campi solari piuttosto che lasciare alle aziende, alle famiglie, alle comunità energetiche quote significative di una produzione frammentata ma meno impattante, rispondende alla copertura dei propri fabbisogni e a criteri di circolarit. Cammuffando di agrifotovoltaico quello che consente di coltivare sotto l'ombra dei pannelli (con impatti estetici non diversi dai pannelli appoggiati a terra) si acquista la compiacenza di una parte del mondo agricolo che, invece, andrebbe sostenuto maggiormente nell'utilizzo delle grandi superfici di tetti dei fabbricati rurali.
Ma i grandi campi solari, gestiti dalle società non agricole, sono altra cosa. Oltre a rappresentare grosse operazioni, il loro valore complementare consiste nella messa fuori gioco permanente di attività agricole e silvopastorali. Il documento "Paesaggi rinnovabili" parla ambiguamente di "terreni abbandonati" ma c'è differenza tra un terreno abbandonato in area urbana e sub-urbana e un pascolo montano, abbandonato in forza delle politiche ambientaliste (e agroproduttivistiche). Dopo aver drogato l'alpicoltura con i premi Pac, erogati in modo da favorire la speculazione, il sottopascolamento, i pascoli "di carta" (con animali che non pascolavano o pascolavano pochissimo), in prospettiva (già con la nuova Pac) con il calo dei sussidi e l'aumento esponenziale e inarrestabile dei grandi predatori, il ridimensionamento dei sostegni per l'allevamento estensivo (la Regione Lombardia con il nuovo Psr riduce da 400 a 98 €/Uba il premio per le razze ovicaprine in via di estinzione) aumenteranno drasticamente i pascoli abbandonati. E siccome è sui pascoli alpini che al Nord c'è insolazione, c'è da temere che verranno presto avanzate proposte di trasformazione di alpeggi in parchi solari. Nessuno affronterà più delle camminate per essere disgustato dalla visione dello scempio, ma non ci sarà più neppure la "domanda" di questa forma di turismo escursionistico perché senza animali domestici spariscono anche i sentieri e perché il turista medio non si avventura dove sa che vi sono branchi di lupi. Tutto si tiene e tutto ha la sua coerenza.


Le devastazioni ambientali in Cina (e altrove): il lato sporco della "transizione ecologica"


Se le considerazioni si qui svolte non fossero sufficienti a mettere in discussione il dogma salvifico del rinnovabilismo, rimane da considerare un altro aspetto, che riguarda tanto considerazioni geopolitiche che etico-sociali che ambientali. Oggi, la quota cinese in tutte le fasi di produzione dei sistemi fotovoltaici (silicio policristallino, lingotti, wafer, celle solari e moduli), supera l'ottanta per cento. La quota di batterie al litio per auto elettriche cinese si avvicina all'80%. Una percentuale pari a più del doppio della domanda cinese. Non è un caso che la Germania, dove buona parte dell'automotive punta decisamente sull'elettrico, stia tentando di impostare un rapporto privilegiato con la Cina (vedi la visita di Scholz). Nel campo degli aerogeneratori la Cina rappresenta 1/3 della produzione ma è comunque il primo player mondiale. Quello che conta, però, è l'approvvigionamento di minerali e metalli necessari alla produzione di batterie, pannelli, turbine eoliche. Le terre rare, la cui domanda è destinata ad aumentare da 3 a 7 volte entro il 2040,  sono le "vitamine" della transizione ecologica, grazie alla miriade di dispositivi in cui trovano applicazione strategica, grazie alle loro caratteristiche di duttilità e malleabilità, versatilità e magnetismo stabile; dall’altro sono complicate, sia da estrarre che da gestire sul fronte della scatena di approvvigionamento.

La Cina sino a pochi anni fa deteneva il monopolio assoluto delle terre rare, non perché esse non siano distribuite anche altrove ma perché estrarle e purificarle è difficile e inquinante e comporta processi di elevata tossicità. Nel 2020 la Cina estraeva il 58% delle terre rare ma operava il 90% della purificazione. In particolare, grazie a questo quasi monopolio è in grado di produrre il 90% dei magneti permanenti necessari per la produzione delle turbile eoliche (che richiedono disprosio e neodimio, terre rare necessarie peraltro anche nei pannelli fv e nelle batterie delle auto elettriche). Gli Stati Uniti e l'Australia hanno recuperato parte del terreno perduto ma la Cina ha iniziato a delocalizzare verso realtà (Africa, Sud America) considerati i disastri ambientali e sanitari provocati dalla lavorazione delle terre rare. Ultimamente punta molto sull'Afghanistan, dopo la fuga degli americani, per via della grande ricchezza di giacimenti. Ottenere elementi separati e purificati da un agglomerato di diversi minerali che li contengono rappresenta un processo  complesso, difficile, lungo, costoso, pericoloso, rischioso e richiede cicli di interventi con bagni chimici e continui lavaggi, produce polveri pericolose e radioattività. L'estrazione e la separazione chimica delle terre rare dà origine a rifiuti altamente tossici. Sono rilasciati uranio e torio radioattivi oltre a metalli pesanti e acidi che dopo la lavorazione contaminano le acque sotterranee, arrecando in tal modo danni a lungo termine all'ambiente e alla popolazione residente nella regione. Il sito di Bayan Obo in Cina, utilizzato per decenni per l'estrazione delle terre rare oggi consiste in una discarica di 11 kmq contaminata da torio radioattivo. Interi villaggi sono stati riallocati altrove (in falansteri). Si capisce bene perché gli Usa, almeno sino a un certo punto, abbiano preferito lasciare in mano alla Cina il business delle terre rare. Si capisce bene perché questo aspetto della "transizione ecologica" non sia molto sbandierato dagli ambientaliti.


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