Ambientaliti sono coloro che appartengono alla congrega, animata da
fanatismo parareligioso (che non ammette contradditorio ai dogmi
sull'apocalisse climatica e sulla salvezza dal "rinnovabile") ma
palesemente e direttamente interessata al business speculativo e, in
modo occulto, al sostegno di interessi estranei e contrari a quelli
dell'Italia e dell'Europa (il Dragone, ovviamente). Perciò non
meritano di essere definiti ambientalisti. Ambientalisti sono, semmai,
gli associati di Italia Nostra, Mountain Wilderness, Amici della Terra,
Wilderness Italia e di tanti gruppi locali e sovralocali che non
accettano che, per innalzare di pochi punti la quote di energia solare
e fotovoltaica, si stravolga in modo irreversibile il paesaggio rurale
e dei centri storici italiani danneggiando l'economia agricola e
turistica del paese.
Nel 2021 la quota della produzione di energia elettrica da solare
e eolico si attestava, in Italia, al 14,4%, ma l'energia elettrica
rappresenta solo il 22%
dell'energia necessaria. La quota di solare e fotovoltaico termico è
minima e quindi il contributo di queste fonti al bilancio energetico
complessivo arriva a poco più del 3%. Un risultato che è costato 240
miliardi di incentivi lussuosi ai prenditori oltre ai costi per
l'estensione della rete elettrica. Anche se si riuscisse a raddoppiare
o persino a triplicare il contributo italiano di energia
rinnovabile che cosa cambierebbe sul piano delle emissioni
globali, visto che l'Italia contribuisce ad esse per lo 0,8%? Pochissimo
conterebbe anche la politica di "transizione energetica" alla quale
l'Europa si è fanaticamente impegnata (un impegno sul quale, dopo il
Quatargate, circolano ovviamente pesanti sospetti che puntano alla
Cina). Ottenere la decarbonicazione facendo leva principalmente su
eolico e fotovoltaico è insensato (specie sull'eolico visto che
l'Italia è tra i paesi meno ventosi d'Europa). Un risultato
ottenuto a prezzo di impatti enormi (spreco di terreni agricoli,
paesaggi deturpati) e con un trasferimento ingente di risorse dalle
imprese e dalle famiglie a soggetti speculativi quando non criminali
attraverso i super incentivi alle
"rinnovabili" (in Italia più generosi che in altri paesi).
Anche il governo, in ossequio alle linee europee, influenzato dagli
ambientaliti (e da chi sta loro dietro: il WEF, i "filantropi", la
Cina), vuole portare la potenza installata eolica e fotovoltaica da 33
a
85 GW nominali. Un obiettivo difficilissimo sulla base dell'ordinamento
attuale, sulla base delle autorizzazioni paesistiche, della vigilanza
delle Soprintendenze. Ecco allora che il 30 novembre esce un documento
del duo WWF e Legambiente, firmato anche da FAI, sui "paesaggi
sostenibili", il documento è intitolato Paesaggi sostenibili 12
proposte per una giusta transizione energetica Cos'è un paesaggio
rinnovabile? Un paesaggio di pale eoliche e pannelli a terra,
ovviamente, con centrali a biogas di contorno.
Obiettivo
degli ambientaliti è una pianificazione dall'alto che che bypassi le
autorizzazioni paesistiche, che tagli fuori gli enti locali, che
disineschi le possibilità di intervento delle Soprintendenze, che
impedisca la difesa da parte delle comunità locali dei loro territori.
Troppo faticoso cercare di "ammorbidire" con varie forme di corruzione
più o meno nascosta i rappresentanti locali. L'obiettivo è un
piano nazionale straordinario (ahi) per l’individuazione delle aree
idonee per l’installazione e la riqualificazione degli impianti per
le energie rinnovabili. Contro i "retrogradi", gli ambientalisti, fermi
all'art. 9 della Costituzione (la Repubblica tutela il paesaggio e il
patrimonio storico della nazione), gli ambientaliti auspicano il
"rinnovamento" del paesaggio. Ecco la trovata: paesaggio "rinnovabile"
significa da modernizzare, da svecchiare, ornandolo di pale alte 200 m,
coprendo le colline di specchi riflettenti. Chi si oppone ha una
visione statica, è fermo a una visione estetizzante. L'etica (lo dicono
loro) impone le pale e i pannelli. Se etica è trasferire risorse dai
poveri ai ricchi con i super-incentivi, chiudere la bocca a chi si
trova a vivere in un paesaggio stravolto, fare gli interessi
dell'industria e dell'impero cinese impoverendo l'Italia senza spostare
di nulla i bilanci globali energetici ed emissivi (Usa, Cina, India e
Indonesia contano per 3/4 delle emissioni) è una ben strana etica
quella degli ambientaliti.
Non
quindi come entità statica, bensì come bene comune rinnovabile,
perché per sua natura viene modellato nel tempo, dalle attività
umane e dai fenomeni naturali e, oggi, diremmo piuttosto “ferito”
dalla crisi climatica. Per “rinnovarlo” in modo sostenibile dal
punto di vita culturale, sociale e ambientale servono regole
condivise, competenze aggiornate, procedure e strumenti efficaci. La
trasformazione del paesaggio non è solo questione estetica, ma
sociale e ambientale, e quindi etica.
Il paesaggio, secondo gli
ambientaliti, è già compromesso dalla crisi climatica (a noi sembra che
è molto più compromesso dai funghi delle biogas, dalle selve di pale,
dalle distese di specchi fotovoltaici). Come dire: "perché venite
ancora a seccarci, tanto è compromesso"? E allora sia lecito dare il
colpo di grazia. Nel documento si indica chiaramente cosa si
vuole: basta chiacchiericcio sulla circolarità, sui tetti dei
capannoni, sull'autocroduzione, sulle comunità energetiche, trastulli
per romantici inguaribili, si deve andare al sodo: servono i
mega-impianti estesi su enormi superfici:
sarà
il contributo di impianti su scala industriale a risultare
assolutamente indispensabile. Già oggi, si realizzano Già oggi, si
realizzano centrali solari con potenza di 2 GW, ma è evidente che la
moltiplicazione di questi progetti impone a monte scelte di
pianificazione territoriale. La priorità dovrà essere riservata
alle grandi zone commerciali, alle aree industriali dismesse, al
suolo abbandonato e/o contaminato o compromesso sul piano della
fertilità agricola, seguendo il principio di non “occupare”
neanche un ettaro di suolo fertile, se non con tecnologie compatibili
(agrivoltaico).
Quindi: aree
dimesse e grandi aree commerciali come priorità ma non solo loro. E
cosa si intende per suolo abbandonato? E se potesse tornare agricolo?
Viene da pensare che a "compromettere", inquinare, rendere sterile il
terreno agricolo (magari con fanghi) c'è da ottenere un duplice
guadagno: prima si smaltisce si sfrutta, si "compromette" e poi
qualcuno (collegato) parte con il business "rinnovabile".
Un impianto fotovoltaico con il
pretesto della vigna
Se, però, qualcuno nutrisse ancora
dubbi sulle cattive intenzioni degli ambientaliti ecco due
esemplificazioni che chiariscono bene lo "spirito" del "paesaggio
rinnovabile". Nel primo caso non si esclude nemmeno di coprire di
pannelli i tetti dei centri storici ("ribaltando la narrazione dei
tetti solari nei centri storici", ovvero proclamando che una città che
- non dimentichiamo, ha anche una visione da lontano e dall'alto - con
coperture di pannelli riflettenti "ci guadagna", nel secondo si apre la
porta a massacrare le fasce di rispetto delle "grandi arterie di
comunicazione". Così, oltre alle delizie estetiche della modernità che
già conosciamo, la selva dei cartelli indicatori e pubblicitari, il
viaggiatore (compreso il turista) si troverà a percorrere tunnel di
pannelli fotovoltaici. Un ottimo incentivo a viaggiare in Italia.
Da
questo punto di vista, serve anche ribaltare la narrazione dei tetti
solari nei centri storici, non escludendo a priori la loro
installazione ma favorendola a certe condizioni. Servono, in buona
sostanza, piani speciali per il FV sui tetti industriali e
commerciali, per lo sviluppo dei grandi impianti fotovoltaici nelle
aree dismesse e/o da recuperare, o lungo
le fasce di rispetto delle grandi arterie di comunicazione.
Le pale eoliche sono le LORO cattedrali
Già prima di "Paesaggi
rinnovabili", gli ambientaliti hanno paragonato le pale eoliche a opere
di architettura che abbelliscono il paesaggio. In una intervista del
2020, rilasciata a Elena Comelli (Corriere della Sera), Stefano Cefani,
presidente di legambiente diceva che Il paesaggio italiano cambierà. La
transizione verde si farà, con molte opere che saranno realizzate sul
territorio. Sorgeranno nuove pale eoliche, nuovi campi fotovoltaici.
Alla domanda della giornalista Comelli Non avete paura che il paesaggio italiano
venga sconciato? così risponde Cefani Nessuna paura, perché il territorio
italiano è sempre cambiato, fin da quando i romani costruivano i loro
acquedotti o i geni del Rinascimento edificavano le loro magnifiche
cattedrali. Le pale eoliche e le ferrovie ad alta velocità sono le
nostre cattedrali... All’associazione Amici della Terra che,
insieme con tante altre, difende il paesaggio dall'invasione
degli aerogeneratori, Cefani attribuiva, sprezzante, il nomignolo di
"Amici della Serra", mentre Italia Nostra veniva compatita come
retrograda.
L'assurdità del confronto tra pale e acquedotti romani, opere
straordinarie di architettura e ingegneria, emerge dalla durata
bimillenaria dei secondi che, in forza anche del materiale utilizzato
(la pietra si cerca di trasportarla da meno lontano possibile) hanno
avuto il tempo di diventare parte del paesaggio. Non potranno, per
fortuna, farlo le pale di acciaio e calcestruzzo destinate a una vita
ventennale (anche se per ora la prospettiva, caldeggiata dagli
ambientaliti, è di sostituire con macchine più potenti. Sorvoliamo sil
confronto tra capolavori di architettura e macchine industriali seriali
se non per osservare a quali bassezze porta il sostegno ideologico e
motivato dalla pecunia.
L'immagine della cattedrale è diventata cara cara alle penne
"rinnovabili" come Fabio Bogo, già collaboratore dei giornaloni
(Corrierone, Repubblica), specializzato cantore degli impianti FER.
Sulla rivista ambientalita dei CC forestali (#Natura) del 9.2.2022,
scriveva (nel pezzo "Cattedrali dell'energia"):
E
allora, in un mondo sempre più assetato di energia, dove sono finite
le ciminiere, simbolo per secoli dell’economia? Dove sono quei
camini e quelle torri verticali da cui uscivano nuvole sottili che
segnavano l’orizzonte e che testimoniavano la creazione di potenza
da parte delle macchine e dell’uomo? Stanno sparendo, sostituite da
impianti alla cui presenza ancora non siamo abituati. Perché quella
che stiamo vivendo è una rivoluzione industriale e tecnica, che ci
sta portando nell’era delle nuove cattedrali dell’energia. E che
cambia i nostri paesaggi. L’innovazione tecnologica in questo campo
è rapidissima. E trova soluzioni che cercano di conciliare la fame
energetica con il rispetto dei vincoli paesaggistici e ambientali.
La generosità dei compensi,
che la lobby delle rinnovabili può assicurare ai suoi aedi, abbassa -
si vede - la soglia del pudore. Perché, se è vero che un impianto
energetico può diventare un'opera d'arte, come nel caso delle centrali
realizzate all'epoca del "grande balzo" industriale dei primi anni del
secolo scorso, è anche vero che a questa metamorfosi di impianti
tutt'ora funzionali in monumenti concorsero una serie di circostanze
che oggi non si ravvisano nelle pale: l'attenzione alla qualità
formale, alla scelta dei materiali pregiati e al loro cromatismo,
all'inserimento nel contesto. Dietro un'opera come la centrale
idroelettrica di Trezzo d'Adda di stile eclettico, realizzata nel 1906,
c'era un grande capitano d'industria, Cristoforo Benigno Crespi, un
protagonista di primo piano dell'ambiente industriale lombardo
dell'epoca, che realizzò l'impianto per fornire energia ai suoi opifici
famosi per l'annesso villaggio operaio di Crespi d'Adda, oggi sito
Unesco. Giulia Maria Crespi, fondatrice e a lungo presidente del FAI
(dopo essere stata patron del Corrierone di famiglia) era discendente
dei Crespi, cugini di quelli di Crespi d'Adda. Deceduta nel 2020, forse
oggi si rivolta nella tomba per la conversione della sua organizzazione
al "rinnovabilismo". Ogni confronto tra i manufatti del passato e le pale un insulto all'intelligenza.
I segni della prima rivoluzione industriale erano limitati a paesaggi dove esistevano già insediamenti
e infrastrutture, gli sbocchi delle valli montane, le valli fluviali (spesso incassate come nel casodell'Olona, del Lambro, dell'Adda).
Le pale sono oggetti seriali, moltiplicati a dismisura su superfici enormi che, collocate sui crinali e non già
nelle valli e presso città e snodi ferroviari invadono paesaggi a forte naturalità risultando, per la loro collocazione, visibili
da emormi coni paesaggistici. D cosa stiamo parlando?
Ci si può chiedere cosa
c'entri il FAI, la paludata associazione delle dinastie della grande
borghesia e degli aristocratici con il "rinnovabilismo" palesemente
speculativo, arrogante, spregiatore del valore del bello, del paesaggio
come patrimonio comune in cui riconoscersi, patrimonio ereditato che si
evolve (ma stuprare è alta cosa)? Il FAI ha seguito Legambiente
anche sul terreno della peggiore apologetica cialtronesca. Legambiente,
non contenta di equiparare le pale a torri rinascimentali, cattedrali, acquedotti romani, si è inventata - caso unico al mondo - il
turismo delle pale (
vai a
vedere),
riesce fare
poesia sulle pale sorvolando sulla speculazione finanziaria ma
anche sugli immensi movimenti di terra, gli sbancamenti, le 900
tonnellate di acciaio,
le 2.500 tonnellate di calcestruzzo, le 45 tonnellate di plastica non
riciclabile
che occorrono per ogni pala e (dalla guida) così declama: I
luoghi dove queste grandi e moderne Macchine producono energia dal
vento trasudano un fascino unico anche perché offrono punti di vista
d’eccezione verso laghi, mari, montagne, paesi antichi. Uno si
aspetterebbe che ai turisti si proponga la visita di luoghi degradati
che, in qualche modo, i parchi eolici hanno bonificato, sistemato.
Macché, la guida propone di visitare le pale collocate presso un
anfiteatro morenico a nord di Verona, con vigneti, giardini fioriti, a
due passi dal lago di Garda, e poi in visita a riserve naturali,
villaggi, colline coltivate, zone termali e Morellino di Scansano in
Maremma. Un entroterra boschivo di Savona, con il mare davanti e le
montagne alle spalle, borghi, piccoli paradisi… Altre meraviglie a
Gibellina, Salaparuta, poi Taranto. Ma come? Se sono piccoli
paradisi
ci mettete le pale?
E proprio il "paradiso" a Nord
di Verona ci dice che la svolta del FAI era
nell'aria. Qualche mese fa il sodalizio organizzava una passeggiata
al parco eolico di Rivoli Veronese (
vai
a vedere).
Ma ll suddetto parco eolico è
l'esempio lampante non solo della collocazione delle pale in aree di
grande pregio ma anche della "truffa
dell'eolico": le pale, in Italia, specie al Nord, non girano. Sono solo
un business sostenuto da soldi pubblici gettati... al vento che non
c'è. Visibile dall'Autobrennero, il parco eolico di Rivoli mostra a
tutti coloro che
transitano sull'autostrada quanto poco vento ci sia. Pur collocata alla
sbocco della più grande valle alpina disposta
Nord-Sud, la velocità del vento non è quasi mai in grado di muovere
tutte le pale. Tutte le volte che sono passato qualcuna era immobile,
le altre giravano al rallenty. E pensare che è uno dei siti più ventosi
del Nord Italia!
La mossa da parte del gatto e
della volpe di cooptare il FAI è stata comunque geniale. Arruolando
l'aristocratico sodalizio, il duo della green economy speculativa ha
rotto il fronte delle associazioni percepite come meno affaristiche e
compromesse. Il FAI gode di un'aura aristocratica e, tra i valori
aristocratici positivi, viene riconosciuto quello del senso estetico,
della lealtà, del legame con le comunità e i territori che
l'aristocrazia sfruttava ma, al tempo stesso era pronta a proteggere, a
differenza dei borghesi "disincantati" che mirano solo al profitto. Non
a caso i Crespi, che ha Crespi d'Adda hanno edificato un castello che
domina il villaggio operaio ma che avevano dotato quest'ultimo di
servizi all'avanguardia, erano considerati borghesi "arretrati", il
prototipo del "padrone lombardo", "paternalista" e "feudale".
L'arruolamento del FAI nelle fila del rinnovabilismo (Sgarbi dice
nell'associazione a delinquere) si spiega nello stesso modo. E' come
quando si pagano le eurotangenti ai sindacalisti e alle Ong dei diritti
uman: si corrompe chi è apparentemente virtuoso, credibile, chi può
certificare, legittimare. Abbandonando il fronte di Italia Nostra,
Amici della Terra, Mountain Wilderness ecc. (la spregiudicata
Greenpeace è da sempre rinnovabilista), il FAI ha operato un bel
tradimento. Sgarbi si è chiesto - visto che l'attuale presidente del
FAI, Magnifico, ha dichiarato che il paesaggio non è più intoccabile -
se dobbiamo installare un campo fotovoltaico davanti al castello di
Masino, gestito dal Fai, dove Giulia Maria Crespi riuscì ad evitare la
realizzazione di un mega parco giochi. E metteremo una selva di pali
eolici galleggianti davanti l'Abbazia di San Fruttuoso, sempre del Fai,
per educare i giovani alla difesa del 'paesaggio sostenibile'?
Probabilmente (a pensare male si fa peccato ma...) il favore del FAI al
"rinnovabilismo" non è legato solo al pesante coinvolgimento di
ambienti dell'alta borghesia e aristocrazia (milanese e non solo) nelle
speculazioni (a Capalbio, per esempio, la biogas bloccata grazie alla
mobilitazione di magistrati e vip che colà possiedono seconde case, era
promossa dalla Sacra, società cui fanno capo nobili famiglie milanesi).
Probabilmente c'è sotto anche la garanzia che pannelli e pale si
terranno lontane dai castelli e dai palazzi principeschi del FAI e dei
suoi soci.
Fanatismo,
ingordigia speculativa... e burattinai
La punta di diamante del
"rinnovabilismo" in Italia resta, in ogni caso, Legambiente.
Coerentemente con il fondo ideologico progressista tutto ciò che è
nuovo per i progressisti, quindi per i compagni capitalisti di
Legambiente, è buono e bello, tutto ciò che osa chiedersi se è il caso
di conservare, invece che distruggere (vale per il costume, i valori,
il paesaggio) è retrogrado e reazionario da mandare al rogo. Nella loro
barbarie questi ambientaliti si spingono sino all'iconoclastia
("svecchiamo, cancelliamo, modernizziamo") mostrando non casuali
assonanze con gli ebeti ragazzetti prezzolati di Extintion
rebellion. Finanziati dal "filantropo" Aileen Getty, nipote del
magnate del petrolio J. Paul Getty, che ha donato milioni di euro per
sostenere i gruppi di manifestanti che hanno preso di mira opere d’arte
e musei. Che con i profitti del petrolio di ieri il capitale si
prefiguri nuove opportunità è molto eloquente.
Extintion rebellion e Legambiente sono unite
dall'assunto di fondo: l'emergenza climatica legittima a passare sopra
a tutto, tutto il resto non ha importanza. Che valore hanno la cultura,
le opere d'arte di fronte all'apocalisse climatica? In realtà queste
posizioni rimandano in modo piuttosto scoperto alle sette
millenaristiche, che praticavano un manicheismo estremo dividendo il
bene dal male con l'accetta, gli eletti dai predestinati alla
dannazione (la massa), la svalutazione della vita, del corpo, il
rifiuto della riproduzione in vista dell'unica cosa che contasse: lo
spirito, la purezza dell'anima (anche se poi gli "eletti" in
queste sette si concedevano ogni abuso ai danni dei fedeli e ne
approfittavano per arricchirsi). Ancora nel 1978, in Guyana,
questo "modello", che pare medievale ma non lo è, è costato il suicidio
collettivo di oltre 900 statunitensi della congregazione del
"Tempio del popolo", plagiati dal compagno rev. Jones. Oggi, con il
culto delle "rinnovabili", gli ambientaliti, in nome del bene assoluto
(guai a metterlo in dubbio, si è eretici e paria), rappresentato da
pale e pannelli, vogliono il suicidio, in quanto economie,
culture e società, dell'Italia e dell'Europa. Le azioni di
"Extintion rebellion" sono simboliche, ma propedeutiche a una
subliminare svalutazione del patrimonio culturale umano che va di pari
passo con l'affermarsi della divinizzazione della natura. L'uomo,
l'umanesimo non sono più al centro (prima ancora c'era Dio) e allora
tutto è giustificato in nome di un valore superiore: non tanto la
Natura, quanto il Clima (ignorando gli altri non meno gravi aspetti
della crisi ecologica) e, alla fine, la Transizione ecologica, ovvero
un reset sociale ed economico che tende a concentrare sicuramente
ricchezza e potere in ancora meno mani ma che, quanto a soluzione della
crisi ecologica non offre nessuna garanzia. Basti considerare, ci
torniamo dopo, quali devastazioni ambientali comporta la corsa alle
terre rare, necessarie per l'auto elettrica, le pale, i pannelli fv. La
dignità dell'uomo, il diritto a una cultura a un territorio, a dei
costumi in cui riconoscersi. I propositi degli ambientaliti sono,
invece, molto concreti pur derivando da questa precisa linea
ideologico-religiosa di svalutazione dell'umano, del culturale, del
bello in nome di indiscutibili e totalitari assunti. Una chiesa,
smarrita, tace o acconsente, timorosa di essere considerata
"antimoderna" di subire l'ostracismo, di essere colpita dall'anatema
per gli "eretici".
Solare ed
eolico: in cosa differiscono, in cosa sono accomunati?
Innanzitutto bosogna partire
dal presupposto che, in Italia, il sole è abbondante, il vento scarso.
Ben diversa è la ventosità sulle coste del Mare del Nord, in Irlanda,
Cornovaglia, Galles. La Danimarca è la regina dell'eolico, con
situazioni off-shore con punte di 4.700 ore di vento (contro le 1.800
con le quali si opera in Italia). In Danimarca, dove il vento è più
forte e con l'uso di potenti aerogeneratori di nuova generazione (con
pali alti 280 m) si può iniziare a produrre energia elettrica senza
incentivi. In Italia senza pesanti incentivi non si realizzano impianti
che vedono ferme metà delle pale. Va aggiunto che si registra una
"siccità eolica" a causa del riscaldamento. Il minor gradiente di
temperatura tra il polo e le basse latitudini porta alla diminuzione
del vento, più accentuata nel Mediterraneo che nell'Europa del Nord.
Oltre all'energia per produrre
le grandi quantità di calcestruzzo e acciaio necessari per le pale, ci
sono quelli per le scavatrici, per i movimenti di terra, per realizzare
le strade (di solito le pale sono collocate sui crinali dove le strade
non ci sono). Se gli incentivi rendono comunque economicamente
conveniente l'affare, dal punto di vista del bilancio energetico quanti
più anni servono a pareggiare i conti e a consentire agli impianti una
produzione netta sui venti anni di vita utile degli stessi. Nelle
situazioni peggiori la vita utile potrebbe essere pari alla metà,
ovvero solo dieci anni su venti. Ma vanno anche considerati gli impatti
sulla fauna, sul paesaggio, non solo l'energia necessaria per i
trasporti, la realizzazione delle pale, le strade, i movimenti di
terra. Poi c'è il costo per il ripristino, lo smaltimento di una massa
enorme di materiale quando molti impianti arriveranno a fine vita.
Tutto questo induce a concludere che il gioco vale la candela dove c'è
tanto vento. Se prendiamo in considerazione alcuni esempi di progetti
di parchi eolici vediamo subito quanto gli ambientalisti considerino
gli impatti.
Mentre, quando fa comodo agli
ambientaliti per impedire l'attività di
utilizzo boschivo, il pascolo, il bosco è sacro, mentre si fa di tutto
per favorire l'espansione dei boschi ai danni delle terre coltivate e
si promuove l'idolatria della "foresta" e dell'albero (palese
regressione al neopaganesimo che venera animali - il lupo - e boschi
sacri), quando ci sono di mezzo i progetti eolici non si guarda a
scrupoli. E allora quanto sono credibili le assicurazioni sul
"paesaggio sostenibilie", sulla "convivenza" tra paesaggio e ambiente e
pale della quale gli ambientaliti giurano di voler tenere conto? Se
prendiamo lì'esempio della "convivenza" tra lupo e allevamenti
estensivi (che sta portando sulla via dell'estinzione questi ultimi)
non c'è da essere molto tranquillizati dalle "garanzie" del gatto e
della volpe (e del nuovo partner).
A differenza del vento,
l'insolazione è abbondante in Italia, non solo al Sud e nelle Isole,
anche in Piemonte e, con l'esclusione dei fondovalle, sulle Alpi. In
Italia, poi vi è una risorsa che è conseguenza del consumo di suolo e
di un urbanizzazione disordinata: i tetti. Un'indagine un po' datata
(2002) dell'Agenzia internazionale per l'energia stimava in 760 kmq la
superficie di tetti suscettibili di installazione di pannelli FV. A
questi aggiungeva 290 kmq di facciate. Però vanno aggiunte tutte le
aree come i parcheggi, aree di manovra ecc . che (come dimostrano le
pensiline coperte da pannelli fv delle autostrade). Se a queste
superfici "vocate" si aggiungono le aree dismesse non utilizzate e
senza prospettive immediate di rifunzionalizzazione, i siti contaminati
da inquinamento industriale, ancora più estesi, ci si chiede che
necessità ci sia di deturpare a tutti i costi i tetti dei centri
storici e i terreni agricoli. Probabilmente queste due possibilità sono
solo "tattiche". Lo sfregio dei centri storici può servire a
"dimostrare" che, per il fotovoltaico bisogna essere pronti a fare
sacrifici: "se si mettono nei centri
storici dove ci sono i ricchi e
che fanno muovere il turismo non fate storie voi villici ad accettare i
campi solari in campagna".
Lo sfregio dei centri storici ha anche un intendimento pedagogico, come
le azioni di Extintion rebellion: di fronte alla crisi climatica i
vecchi valori estetici e culturali non valgono più. In realtà,
considerato che anche coprendo superfici pari a intere regioni italiane
non si raggiunge per questa via l'obiettivo emissione italiane zero
(che porterebbe comporterebbe l'1% in meno di emissioni globali
climalteranti, c'è nulla) dobbiamo pensare che si sia una spinta molto
potente non solo a favorire la Cina (che vende pannelli e pale e terre
rare), a consentire extra-profitti agli interessi finanziari che
speculano sulle rinnovabili ma anche a compromettere l'agricoltura e
l'economia italiana, basata in buona misura sulla produzione agricola
di qualità e sul turismo (la cui attrattività si basa sia sui paesaggi
che sui suddetti prodotti agroalimentari). Che i "filantropi" puntino
sul cibo artificiale, sugli insetti, sulle vertical farm, sulle alghe,
su tutto quanto slega il cibo dalla terra e lo mette sotto il controllo
industriale e in poche mani è ormai palese. Tutto ciò che sottrae
superfici alla produzione di cibo è benvenuto: che si tratti di
bioenergia o di campi solari . Quello che non può essere utilizzato per
la produzione energetica o per l'estrazione mineraria negli
intendimenti dei "filantropi" deve essere trasformato in parco
intoccabile. I "filantropi" vogliono distruggere l'agricoltura (per
eliminare un settore irriducibile al controllo delle centrali
finanziarie e "perversamente" legato all'azienda famigliare), ma anche
il turismo, legato - specie in Italia - Pensiamo poi
all'imposizione dell'auto elettrica che, con le rinnovabili è
stategicamente commessa (anche se oggi i proprietari delle veloci
Tesla, dalle enormi batterie, utilizzano una buona fetta di energia
sporca derivata dalla combustione del carbone). L'auto elettrica
dovrebbe avere senso solo se alimentata da elettricità da fonti
rinnovabili, ma che possibilità vi sono, almeno nella maggior parte dei
paesi europei (la piccola Danimarca con le sue potenti centrali
eoliche off-shore alimentate da forti venti è un caso a parte) di
alimentare un parco auto di dimensioni paragonabili a quello
attualmente in circolazione con le energie rinnovabili, caratterizzate
dall'intermittenza, dal poco sole a Nord e dal poco vento a Sud?
Nessuna.
Piccola
centrale nucleare di nuova
generazione in costruzione degli Usa. Il sistema di raffreddamento
evita i problemi riscontrati nei casi di incidenti "storici" e il
problema delle scorie è drasticamente ridotto. Oltre agli Usa stanno
realizzando reattori di quarta generazione il Canada, la Russia,
la Cina e l'Argentina.
Se non ci fosse la volontà di un reset sociale, di un nuovo modello di
capitalismo senza ceto medio e senza consumi di massa, con la ricchezza
e il potere concentrati in ancor meno mani, la soluzione più logica con
la necessità di disporre di energia non intermittente riducendo le
emissioni sarebbe fornita dal nucleare (quello da fissione, per ora,
visto che per le applicazioni commerciali della fusione si dovrà
attendere decenni). Ma il nucleare è demonizzato (dagli stessi che
idolatrano la Scienza quando ci sono da imporre le plurime dosi di
sieri mRna) e la "transizione energetica" e il rinnovabilismo sono
funzionali alla strategia di lotta di classe dall'alto dell'élite
"filantropica". Così quest'ultima non ha difficoltà a indurre e
mantenere l'irrazionale terrore per questa forma di produzione di
energia, nonostante viviamo circondati dalle centrali francesi,
svizzere e slovene.
E così, sia attraverso il
costo che quelle misure disincentivanti della proprietà di un mezzo
privato auspicate dai "filantropi", l'auto diventerà solo per i ricchi.
I quali, peraltro, potranno permettersi anche altri mezzi di trasporto
(elicotteri, droni) per raggiungere le poche località turistiche
(esclusive) che resteranno in attività. Queste poche località per
privilegiati, possibilmente all'interno di parchi dove, come in Nord
America, non abita nessuno, saranno gestite da grandi società
internazionali. Il turismo che conosciamo, quello delle tante località
non per vip, dei borghi, dei paesi di montagna, collina, campagna,
quello legato all'immenso patrimonio di monumenti religiosi e civili
disseminato in ogni provincia italiana, quello legato alle specialità
gastronomiche, alle cantine, ancora gestito in gran parte da imprese
famigliari piccole e medie. Finita la disponibilità del mezzo privato
per il ceto medio buona parte di questo turismo morirà. Del resto
il volere delle élite è di eliminare il lavoro autonomo, la piccola e
media impresa di ogni settore. Con il commercio sono a buon punto; la
Gdo e Internet hanno già fatto buona parte del lavoro. La
pandemia (con i discutibili lockdown che hanno comportato, alla fine,
una mortalità più alta nei paesi che li hanno adottati rispetto agli
altri) cha spinto in su il commercio di prodotto online, salito del 45%
nel 2020 (eravamo sequestrati in casa), ma che poi non è
rinculato ma, anzi, è continuato a crescere (del 18% nel 2021 e dell'8%
nel 2022) ha inferto dovuto subire colpi durissimi. I
provvedimenti di chiusura di alcune attività (musei, eventi) e le
limitazioni alla stessa ristorazione hanno determinato un drastico calo
dei flussi turistici: la flessione ha interessato sia la componente
nazionale (-33,8%) sia, in misura più
marcata, quella estera (-70,3%), che nel 2019 rappresentava la metà
delle presenze. I ristori governativi (debito che si accumula con
rischio Mes) hanno salvato per ora dalla chiusura le imprese ma queste
si sono pesantemente indebitate e chi non potrà fruire di una forte
ripresa è a rischio. Se il fine è ridimensionare pesantemente turismo e
agricoltura, far crollare il valore di immobili e aziende per
facilitare lo shopping straniero, la strategia ambientalita fatta
di ritorno alla natura selvaggia, bastoni tra le ruote alle attività
agricole, parchizzazione, creazione di grandi parchi solari ed eolici è
perfettamente coerente.
Tornando al solare ora forse
capiamo meglio perché non ci si vuole accontentare delle superfici dei
tetti e delle aree dismesse (che sarebbero sufficienti a raggiungere
gli obiettivi prefissi di produzione di energia elettrica
fotovoltaica), capiamo perché si voglia puntare su impianti industriali
di grandi dimensioni che richiedono di essere installati nelle
campagne, nelle colline, nelle montagne (per gli agognati impianti da 2GW servono 40 ettari). Ovvio che le grandi società nel
business delle rinnovabili (assecondate dagli ambientaliti)
preferiscono gestire in prima persona grandi campi solari
piuttosto che lasciare alle aziende, alle famiglie, alle comunità
energetiche quote significative di una produzione frammentata ma meno
impattante, rispondende alla copertura dei propri fabbisogni e a
criteri di circolarit. Cammuffando di agrifotovoltaico quello che
consente di coltivare sotto l'ombra dei pannelli (con impatti estetici
non diversi dai pannelli appoggiati a terra) si acquista la compiacenza
di una parte del mondo agricolo che, invece, andrebbe sostenuto
maggiormente nell'utilizzo delle grandi superfici di tetti dei
fabbricati rurali.
Ma i grandi campi solari, gestiti dalle società non agricole, sono
altra cosa. Oltre a rappresentare grosse operazioni, il loro valore
complementare consiste nella messa fuori gioco permanente di attività
agricole e silvopastorali. Il
documento "Paesaggi rinnovabili" parla ambiguamente di "terreni
abbandonati" ma c'è differenza tra un terreno abbandonato in area
urbana e sub-urbana e un pascolo montano, abbandonato in forza delle
politiche ambientaliste (e agroproduttivistiche). Dopo aver
drogato l'alpicoltura con i premi Pac, erogati in modo da favorire la
speculazione, il sottopascolamento, i pascoli "di carta" (con animali
che non pascolavano o pascolavano pochissimo), in prospettiva (già con
la nuova Pac) con il calo dei sussidi e l'aumento esponenziale e
inarrestabile dei grandi predatori, il ridimensionamento dei sostegni
per l'allevamento
estensivo (la Regione Lombardia con il nuovo Psr riduce da 400 a 98
€/Uba il premio per le razze ovicaprine in via di estinzione)
aumenteranno drasticamente i pascoli abbandonati. E siccome è sui
pascoli alpini che al Nord c'è insolazione, c'è da temere che verranno
presto avanzate proposte di trasformazione di alpeggi in parchi solari.
Nessuno affronterà più delle camminate per essere disgustato dalla
visione dello scempio, ma non ci sarà più neppure la "domanda" di
questa forma di turismo escursionistico perché senza animali domestici
spariscono anche i sentieri e perché il turista medio non si avventura
dove sa che vi sono branchi di lupi. Tutto si tiene e tutto ha la sua
coerenza.
Le devastazioni ambientali in Cina (e altrove): il lato sporco della
"transizione ecologica"
Se le considerazioni si qui
svolte non fossero sufficienti a mettere in discussione il dogma
salvifico del rinnovabilismo, rimane da considerare un altro aspetto,
che riguarda tanto considerazioni geopolitiche che etico-sociali che
ambientali. Oggi, la quota cinese in tutte le fasi di produzione dei
sistemi fotovoltaici (silicio policristallino, lingotti, wafer, celle
solari e moduli), supera l'ottanta per cento. La quota di batterie
al litio per auto elettriche cinese si avvicina all'80%. Una
percentuale pari a più del doppio della domanda cinese. Non è un caso
che la Germania, dove buona parte dell'automotive punta decisamente sull'elettrico,
stia tentando di impostare un rapporto privilegiato con la Cina (vedi la visita di Scholz). Nel campo degli
aerogeneratori la Cina rappresenta 1/3 della produzione ma è comunque
il primo player mondiale. Quello che conta, però, è l'approvvigionamento di
minerali e metalli necessari alla produzione di batterie, pannelli,
turbine eoliche. Le
terre rare, la cui domanda è destinata ad aumentare da 3 a 7 volte
entro il 2040, sono le "vitamine" della transizione ecologica,
grazie
alla miriade di dispositivi in
cui trovano applicazione strategica, grazie alle loro caratteristiche
di duttilità e malleabilità, versatilità e magnetismo stabile;
dall’altro sono complicate, sia da estrarre che da gestire sul
fronte della scatena di approvvigionamento.
La Cina sino a pochi anni fa
deteneva il monopolio assoluto delle terre rare, non perché esse non
siano distribuite anche altrove ma perché estrarle e purificarle è
difficile e inquinante e comporta processi di elevata tossicità.
Nel 2020 la Cina estraeva il 58% delle terre rare ma operava il 90%
della purificazione. In particolare, grazie a questo quasi monopolio è
in grado di produrre il 90% dei magneti permanenti necessari per la
produzione delle turbile eoliche (che richiedono disprosio e neodimio,
terre rare necessarie peraltro anche nei pannelli fv e nelle batterie
delle auto elettriche). Gli Stati Uniti e l'Australia hanno recuperato
parte del terreno perduto ma la Cina ha iniziato a delocalizzare verso
realtà (Africa, Sud America) considerati i disastri ambientali e
sanitari provocati dalla lavorazione delle terre rare. Ultimamente
punta molto sull'Afghanistan, dopo la fuga degli americani, per via
della grande ricchezza di giacimenti. Ottenere elementi separati e
purificati da un agglomerato di diversi minerali che li contengono
rappresenta un
processo complesso, difficile, lungo, costoso, pericoloso,
rischioso e richiede cicli di interventi con bagni chimici e continui
lavaggi, produce polveri pericolose e radioattività. L'estrazione
e la separazione chimica delle terre rare dà origine a rifiuti
altamente tossici. Sono rilasciati uranio e torio
radioattivi oltre a metalli pesanti e acidi che dopo la lavorazione
contaminano le acque
sotterranee, arrecando in tal modo danni a lungo termine all'ambiente
e alla popolazione residente nella regione. Il sito di Bayan Obo in
Cina, utilizzato per decenni per l'estrazione delle terre rare oggi
consiste in una discarica di 11 kmq contaminata da torio radioattivo.
Interi villaggi sono stati riallocati altrove (in falansteri). Si capisce
bene perché gli Usa, almeno sino a un certo punto, abbiano preferito
lasciare in mano alla Cina il business delle terre rare. Si capisce
bene perché questo aspetto della "transizione ecologica" non sia molto
sbandierato dagli ambientaliti.