Condividi
l'articolo su Facebook
Articoli correlati
(03.07.2010) No al fotovoltaico pseudo agricolo e insostenibile
leggi
tutto
(16.02.10) Como. Fino all'ultima goccia...
leggi tutto
|
(04.10.10)
La prossima crisi energetica da esaurimento
delle risorse petrolifere e il riscaldamento climatico
spingono le 'rinnovabili'. Ma queste possono essere un'arma a doppio
taglio se non si premiano le realizzazioni decentrate
e legate a soluzioni di risparmio energetico
Gli
equivoci delle energie rinnovabili
Produrre
energie 'rinnovabili' con grandi impianti che implicano
il trasporto e la distribuzione su grandi distanze dell'energia
prodotta usando le stesse reti dell'energia di origine
fossile e nucleare rappersenta un grosso errore che
vanifica gli elementi di sostenibilità di queste
fornti 'alternative
di
Fausto Gusmeroli
Il riscaldamento climatico e
l’approssimarsi del cosiddetto picco di Hubbert per il petrolio, ossia il punto
di massima estrazione oltre il quale le disponibilità di greggio andranno
progressivamente diminuendo e i prezzi aumentando, pone all’umanità la
necessità di trovare in tempi rapidi un’alternativa energetica ai combustibili
fossili. Né il metano, né ancor meno il carbone sono infatti in grado di
sostituire il petrolio, sia perché le loro riserve non sono così elevate, sia
perché presentano gli stessi problemi di emissione di CO2 (minori nel metano,
maggiori nel carbone). L’energia nucleare, pur non producendo di per sé
emissioni di gas serra, non è al momento un’alternativa percorribile, per i
costi, la complessità di realizzazione degli impianti, i collegamenti con
l’industria bellica e, soprattutto, i problemi di smaltimento degli scarti e
delle scorie radioattive che comporta. Solo nel momento in cui si riuscirà a
governare il processo di fusione potrà forse proporsi come la soluzione
energetica definitiva per l’umanità, ma i tempi di questo evento sembrano
essere lontani.
fonte:
http://www.hubbertpeak.com/rempel/
Le
'rinnovabili': tra restituzione di responsabilità
e controllo alle comunità locali e spietata speculazione
Si comprendono
allora e si giustificano le crescenti attese riposte nelle fonti rinnovabili.
Si tratta delle prime avvisaglie di quella che sarà una vera e propria
rivoluzione, destinata in pochi decenni a cambiare la società dalle fondamenta.
A differenza dei fossili, le rinnovabili sono forme di energia di alta entropia
(bassa intensità) e diffuse, il cui utilizzo non può avvenire in maniera puntiforme
e centralizzata, come nei giacimenti fossili, ma su spazi estesi e dislocati
nei territori, restituendo così alle
comunità locali parte di quella responsabilità e autonomia sottratte dalla
globalizzazione. Ciò che preme qui sottolineare non sono però gli aspetti
legati ai mutamenti sociali, quanto le ambiguità che accompagnano la
conversione alle rinnovabili. Tali ambiguità scaturiscono in parte da una
errata comprensione delle caratteristiche intrinseche delle nuove fonti, in
parte dal richiamo delle sirene del business. Le conseguenze sono le numerose
realizzazioni speculative, quali l’installazione dei pannelli fotovoltaici sui
terreni agricoli o delle pale eoliche sui passi alpini, di cui si è parlato qui
in precedenza, assolutamente ingiustificate da una prospettiva ecologica e
termodinamica, ma dalla remuneratività garantita. Occorre quindi
fare chiarezza su alcuni punti fondamentali, ad evitare che il passaggio alla
società delle rinnovabili sia ostacolato o rallentato, o che si traduca in
vantaggi per pochi a scapito dei molti.
Le
'rinnovabili' senza risparmio energetico non possono
essere una soluzione
Un primo punto è il primato del risparmio. Non solo
l’energia risparmiata è l’unica veramente pulita, ma le rinnovabili, in ragione
della loro alta entropia e delle difficoltà di stoccaggio, non sembrano in
grado di sostenere gli attuali consumi e ancor meno, naturalmente, quelli che
l’avanzata dei paesi emergenti potrebbe determinare. La produzione di nuova
energia non può dunque andare ad aggiungersi a quella già prodotta dai fossili
e dal nucleare, come sta avvenendo, ma la deve solo parzialmente sostituire,
altrimenti non farà altro che aumentare le emissioni di gas serra. Le
possibilità di risparmio sono davvero notevoli, in tutti i campi. Valga ad
esempio il dato del consumo energetico delle abitazioni in Italia, superiore in
media a 200 kWh all’anno per m2 di superficie, mentre le moderne
case a basso consumo scendono sotto i 30. Se si considera che l’energia consumata nell’edilizia residenziale
per il riscaldamento e per l’acqua calda sanitaria rappresenta circa il 30% dei
consumi energetici nazionali si ha la misura della dimensione degli
sprechi e delle potenzialità del risparmio. Già questo sarebbe più che
sufficiente a dimostrare l’inutilità e l’assurdità della costruzione di
centrali nucleari nel nostro paese.
Ripensare
i processi produttivi e l'organizzazione socio-tecnica
in funzione dell'efficienza energetica
Strettamente
legato al tema del risparmio vi è l’efficienza energetica dei processi
produttivi. Negli ultimi decenni il sistema economico è stato orientato verso
l’aumento esasperato della produttività e l’apertura al mercato globale. A
farne le spese sono stati i rendimenti energetici delle filiere. Clamoroso è il
caso dell’agricoltura che, nonostante sia la sola componente produttiva capace
di “creare” energia attraverso la fotosintesi clorofilliana, si trova spesso ad
operare con rendimenti molto bassi o addirittura negativi (più energia fossile
immessa che energia fotosintetica utilizzata dal consumatore finale). I
trasporti da un capo all’altro del pianeta determinano poi ulteriori sprechi:
per ogni caloria fornita dall’alimento si ha un dispendio medio di ben tre
calorie! Le cose non stanno meglio negli altri comparti. Uno dei casi più
clamorosi è senz’altro quello della automobili, dove l’energia che serve
effettivamente a spostare il passeggero si riduce ad una frazione risibile
(pochi punti percentuali di quella contenuta nel carburante). Processi così
dissipativi non saranno più possibili. Ogni processo dovrà essere valutato
nella sua efficienza, privilegiando a parità di produzione e utilità quelli dai
rendimenti migliori. Filiere oggi trascurate potranno così essere riabilitate,
mentre altre oggi in auge andranno abbandonate.
Preservare
il terreno coltivabile. Il fotovoltaico va meglio nelle
aree urbanizzate
Alla logica dell’efficienza si
riconduce anche un terzo punto nodale: l’utilizzo delle terre. Al forte
incremento della popolazione mondiale dei prossimi decenni si contrappone un
trend negativo nelle disponibilità alimentari, causa la perdita di superficie
agraria per urbanizzazioni, desertificazione ed erosione, e il deterioramento
della fertilità dei suoli per eccessivo sfruttamento. Incrementare
significativamente le produttività non sarà fattibile, per invalicabili limiti
naturali e i prevedibili effetti negativi del riscaldamento climatico. Non
resta dunque che cercare di conservare i terreni coltivabili, vincolandoli alla
produzione alimentare. L’utilizzo ai fini energetici delle colture, come la già
ricordata installazione dei pannelli fotovoltaici sui terreni agricoli, sono
dunque del tutto aberranti. Nel caso dei biocombustibili non reggono neppure
dal punto di vista energetico il confronto con la destinazione tradizionale: la
quantità di energia ricavabile dai raccolti è infatti largamente inferiore a
quella estraibile con l’alimentazione. I pannelli fotovoltaici possono
senz’altro produrre più energia, potendo ricoprire il terreno su molti strati,
ma non assorbono CO2 ed hanno un forte
impatto sui suoli, la biodiversità e il paesaggio. La
loro dislocazione ottimale è nelle aree urbanizzate, dove vi sono ampie
superfici ricopribili ed è massima la domanda di energia.
Riavvicinare
produzione e consumo di energia
L’identità
tra luogo di produzione e di consumo è un quarto elemento essenziale delle
rinnovabili. Le lunghe reti di trasmissione e distribuzione dell’energia,
imposte nei fossili dalla necessità di trasferire l’energia dai giacimenti (o
dalle centrali nucleari) ai punti di utilizzo, mal si conciliano con le rinnovabili.
L’alta entropia e il carattere diffuso di queste possono ammettere al più reti
di portata regionale, limitando così al minimo i costi di realizzazione e
gestione delle reti (la trasmissione e distribuzione dell’energia incidono
attualmente per il 60-80% sui costi dell’elettricità). Gran parte della
produzione e del consumo dovrà avvenire in sede locale ed ogni consumatore si
produrrà sostanzialmente la propria energia. Coloro che propongono la creazione
di grandi centrali, sul modello fossile, stanno dentro le stesse logiche di chi
pensa al fotovoltaico nei campi e ai parchi eolici sui passi alpini. Non hanno,
cioè, consapevolezza delle prerogative termodinamiche delle rinnovabili o, più
probabilmente, difendono interessi privati, in questo caso delle grandi aziende
energetiche che gestiscono il gigantesco affare della distribuzione.
Auspicabili
sono quindi tutti quei provvedimento tesi a contrastare le speculazioni e
ricondurre gli investimenti nel campo delle rinnovabili dentro lo scenario della
riduzione dei consumi materiali e del ritorno ai territori.
|
|