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Commenti/Gli equivoci delle 'rinnovabili'

   

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Gli equivoci delle energie rinnovabili

   

Produrre energie 'rinnovabili' con grandi impianti che implicano il trasporto e la distribuzione su grandi distanze dell'energia prodotta usando le stesse reti dell'energia di origine fossile e nucleare rappersenta un grosso errore che vanifica gli elementi di sostenibilità di queste fornti 'alternative

 

di Fausto Gusmeroli

 

Il riscaldamento climatico e l’approssimarsi del cosiddetto picco di Hubbert per il petrolio, ossia il punto di massima estrazione oltre il quale le disponibilità di greggio andranno progressivamente diminuendo e i prezzi aumentando, pone all’umanità la necessità di trovare in tempi rapidi un’alternativa energetica ai combustibili fossili. Né il metano, né ancor meno il carbone sono infatti in grado di sostituire il petrolio, sia perché le loro riserve non sono così elevate, sia perché presentano gli stessi problemi di emissione di CO2 (minori nel metano, maggiori nel carbone). L’energia nucleare, pur non producendo di per sé emissioni di gas serra, non è al momento un’alternativa percorribile, per i costi, la complessità di realizzazione degli impianti, i collegamenti con l’industria bellica e, soprattutto, i problemi di smaltimento degli scarti e delle scorie radioattive che comporta. Solo nel momento in cui si riuscirà a governare il processo di fusione potrà forse proporsi come la soluzione energetica definitiva per l’umanità, ma i tempi di questo evento sembrano essere lontani.

fonte:  http://www.hubbertpeak.com/rempel/

Le 'rinnovabili': tra restituzione di responsabilità e controllo alle comunità locali e spietata speculazione

Si comprendono allora e si giustificano le crescenti attese riposte nelle fonti rinnovabili. Si tratta delle prime avvisaglie di quella che sarà una vera e propria rivoluzione, destinata in pochi decenni a cambiare la società dalle fondamenta. A differenza dei fossili, le rinnovabili sono forme di energia di alta entropia (bassa intensità) e diffuse, il cui utilizzo non può avvenire in maniera puntiforme e centralizzata, come nei giacimenti fossili, ma su spazi estesi e dislocati nei territori,  restituendo così alle comunità locali parte di quella responsabilità e autonomia sottratte dalla globalizzazione. Ciò che preme qui sottolineare non sono però gli aspetti legati ai mutamenti sociali, quanto le ambiguità che accompagnano la conversione alle rinnovabili. Tali ambiguità scaturiscono in parte da una errata comprensione delle caratteristiche intrinseche delle nuove fonti, in parte dal richiamo delle sirene del business. Le conseguenze sono le numerose realizzazioni speculative, quali l’installazione dei pannelli fotovoltaici sui terreni agricoli o delle pale eoliche sui passi alpini, di cui si è parlato qui in precedenza, assolutamente ingiustificate da una prospettiva ecologica e termodinamica, ma dalla remuneratività garantita.  Occorre quindi fare chiarezza su alcuni punti fondamentali, ad evitare che il passaggio alla società delle rinnovabili sia ostacolato o rallentato, o che si traduca in vantaggi per pochi a scapito dei molti.

Le 'rinnovabili' senza risparmio energetico non possono essere una soluzione

Un primo punto è il primato del risparmio. Non solo l’energia risparmiata è l’unica veramente pulita, ma le rinnovabili, in ragione della loro alta entropia e delle difficoltà di stoccaggio, non sembrano in grado di sostenere gli attuali consumi e ancor meno, naturalmente, quelli che l’avanzata dei paesi emergenti potrebbe determinare. La produzione di nuova energia non può dunque andare ad aggiungersi a quella già prodotta dai fossili e dal nucleare, come sta avvenendo, ma la deve solo parzialmente sostituire, altrimenti non farà altro che aumentare le emissioni di gas serra. Le possibilità di risparmio sono davvero notevoli, in tutti i campi. Valga ad esempio il dato del consumo energetico delle abitazioni in Italia, superiore in media a 200 kWh all’anno per m2 di superficie, mentre le moderne case a basso consumo scendono sotto i 30. Se si considera che l’energia consumata nell’edilizia residenziale per il riscaldamento e per l’acqua calda sanitaria rappresenta circa il 30% dei consumi energetici nazionali si ha la misura della dimensione degli sprechi e delle potenzialità del risparmio. Già questo sarebbe più che sufficiente a dimostrare l’inutilità e l’assurdità della costruzione di centrali nucleari nel nostro paese.

Ripensare i processi produttivi e l'organizzazione socio-tecnica in funzione dell'efficienza energetica

Strettamente legato al tema del risparmio vi è l’efficienza energetica dei processi produttivi. Negli ultimi decenni il sistema economico è stato orientato verso l’aumento esasperato della produttività e l’apertura al mercato globale. A farne le spese sono stati i rendimenti energetici delle filiere. Clamoroso è il caso dell’agricoltura che, nonostante sia la sola componente produttiva capace di “creare” energia attraverso la fotosintesi clorofilliana, si trova spesso ad operare con rendimenti molto bassi o addirittura negativi (più energia fossile immessa che energia fotosintetica utilizzata dal consumatore finale). I trasporti da un capo all’altro del pianeta determinano poi ulteriori sprechi: per ogni caloria fornita dall’alimento si ha un dispendio medio di ben tre calorie! Le cose non stanno meglio negli altri comparti. Uno dei casi più clamorosi è senz’altro quello della automobili, dove l’energia che serve effettivamente a spostare il passeggero si riduce ad una frazione risibile (pochi punti percentuali di quella contenuta nel carburante). Processi così dissipativi non saranno più possibili. Ogni processo dovrà essere valutato nella sua efficienza, privilegiando a parità di produzione e utilità quelli dai rendimenti migliori. Filiere oggi trascurate potranno così essere riabilitate, mentre altre oggi in auge andranno abbandonate.

Preservare il terreno coltivabile. Il fotovoltaico va meglio nelle aree urbanizzate

Alla logica dell’efficienza si riconduce anche un terzo punto nodale: l’utilizzo delle terre. Al forte incremento della popolazione mondiale dei prossimi decenni si contrappone un trend negativo nelle disponibilità alimentari, causa la perdita di superficie agraria per urbanizzazioni, desertificazione ed erosione, e il deterioramento della fertilità dei suoli per eccessivo sfruttamento. Incrementare significativamente le produttività non sarà fattibile, per invalicabili limiti naturali e i prevedibili effetti negativi del riscaldamento climatico. Non resta dunque che cercare di conservare i terreni coltivabili, vincolandoli alla produzione alimentare. L’utilizzo ai fini energetici delle colture, come la già ricordata installazione dei pannelli fotovoltaici sui terreni agricoli, sono dunque del tutto aberranti. Nel caso dei biocombustibili non reggono neppure dal punto di vista energetico il confronto con la destinazione tradizionale: la quantità di energia ricavabile dai raccolti è infatti largamente inferiore a quella estraibile con l’alimentazione. I pannelli fotovoltaici possono senz’altro produrre più energia, potendo ricoprire il terreno su molti strati, ma  non assorbono CO2 ed hanno un forte impatto sui suoli, la biodiversità e il paesaggio. La loro dislocazione ottimale è nelle aree urbanizzate, dove vi sono ampie superfici ricopribili ed è massima la domanda di energia.

Riavvicinare produzione e consumo di energia

L’identità tra luogo di produzione e di consumo è un quarto elemento essenziale delle rinnovabili. Le lunghe reti di trasmissione e distribuzione dell’energia, imposte nei fossili dalla necessità di trasferire l’energia dai giacimenti (o dalle centrali nucleari) ai punti di utilizzo, mal si conciliano con le rinnovabili. L’alta entropia e il carattere diffuso di queste possono ammettere al più reti di portata regionale, limitando così al minimo i costi di realizzazione e gestione delle reti (la trasmissione e distribuzione dell’energia incidono attualmente per il 60-80% sui costi dell’elettricità). Gran parte della produzione e del consumo dovrà avvenire in sede locale ed ogni consumatore si produrrà sostanzialmente la propria energia. Coloro che propongono la creazione di grandi centrali, sul modello fossile, stanno dentro le stesse logiche di chi pensa al fotovoltaico nei campi e ai parchi eolici sui passi alpini. Non hanno, cioè, consapevolezza delle prerogative termodinamiche delle rinnovabili o, più probabilmente, difendono interessi privati, in questo caso delle grandi aziende energetiche che gestiscono il gigantesco affare della distribuzione.

Auspicabili sono quindi tutti quei provvedimento tesi a contrastare le speculazioni e ricondurre gli investimenti nel campo delle rinnovabili dentro lo scenario della riduzione dei consumi materiali e del ritorno ai territori.

 

 

 

 

 

 

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