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Ruralpini   Capra Orobica di Valgerola: ventennale

 

  

 

 

 

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Tesi di laurea e pubblicazioni sulla capra Orobica di Valgerola e sulla capra Verzaschese alla fine degli anni '80

(1986) Ortelli B. - Parametri produttivi e biometrici della popolazione caprina delle prealpi Orobi­che - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, a.a. 1986-87.

(1987) Francisci A. Ricerca sui caratteri produttivi della capra "Orobica" nel contesto dell'allevamento caprino in provincia di Como - Tesi di Laurea. Università degli Studi di Milano, a.a. 1986-87.

(1988) Gallarati Scotti G.C., Corti M., Sessa P.  Ricerche biometriche sulla capra di razza verzaschese. Atti 8° Convegno Nazionale SIPAOC Viterbo, 285-296.

(1988) Corti M., Gallarati Scotti, G.C., Sessa P. indagini sulle caratteristiche quanti-qualitative della produzione lattea di capre di razza verzaschese. Atti 8° Convegno Nazionale SIPAOC Viterbo, 353-364.

(1989) Gallarati Scotti G., Corti M. Le razze caprine autoctone dell'area alpina lombarda e ticinese. Atti XXIV Simposio Internazionale di Zootecnia, Milano, 117-130.

(1989) Tartarini A., Corti M., Indagine sulla diffusione e sul sistema di allevamento della Capra Orobica di Val Gerola nelle province di Sondrio, Como e Bergamo (relazione a cura delle APA di Como e Sondrio ai fini della procedura di riconoscimento della razza).

(1990) Corti. M. Observation Upon Graziong Activity Of Valgerola Goats On Alpine Pasture. Proc. Summer Meeting 1990 Society for Veterinary Ethology, Montecatini Terme, 92 (abstract).

 

(04.03.10) Con il riconoscimento della razza caprina Orobica di Valgerola ebbe il via una stagione di grande interesse per le capre autoctone dell'Arco Alpino. L'importanza di un bilancio a distanza di vent'anni  

 

Vent'anni di razza

 

Orobica di Valgerola

 

 

Con questo articolo iniziamo una inchiesta sulla razza caprina Orobica di Valgerola a 20 anni dalla sua 'nascita' ufficiale. Partendo dalle iniziative e dal 'clima' che hanno condotto alla sua ufficializzazione nel 1992 per arrivare ai problemi di oggi.

 

 

Per fare un bilancio della realtà dell'allevamento delle razze caprine autoctone dell'Arco Alpino è necesario partire dalla capra Orobica di Valgerola. Il suo riconoscimento quale razza ufficiale (inserita nel 1992 nel Libro Genealogico delle razze caprine italiane) ha rappresentato una pietra miliare su un percorso che ha poi condotto al riconoscimento di parecchie altre popolazioni disseminate in Lombardia, Piemonte Valle d'Aosta e Trentino (Bionda dell'Adamello, Frisa Valtellinese, Verzaschese, Vallesana, Alpina comune, Sempione, Lariana, Passiria, Valdostana, Pezzata mochena). Tutte queste 'popolazioni' sono però state inserite nel Registro Anagrafico delle popolazioni caprine a limitata diffusione. Istituiti nel 1997 (sulla base della  Legge 15 gennaio 1991, n. 30  (Disciplina della riproduzione animale) i Registri Anagrafici rappresentano uno strumento più snello del Libro Genealogico, finalizzato alla conservazione di popolazione di ridotta consistenza senza velleità di 'selezione' per il 'miglioramento genetico' (come invece presuppongono i Libri Genealogici). La capra Orobica di Valgerola sulla spinta di un legittimo desiderio di 'riscatto'  si sottopose al percorso non facile di entrata nel Libro Genealogico. Uno sforzo che conseguì un grande risultato sociozootecnico: il raggiungimento di uno status giuridico, di una 'pari dignità' con le razze da tempo costituitesi.  Fu un passaggio obbligato per innescare il processo di rivalutazione dei tipi genetici 'autoctoni' o 'locali'. Possiamo dire che l'Orobica di Valgerola ottenne un risultato non solo per sé ma anche per le tante altre capre 'locali' che erano, tanto sprezzantemente quanto erroneamente, definite 'meticce' (in realtà il vizio nel è del tutto estinto).  Il valore del 'caso Orobica' va ricondotto anche ad un aspetto che ai non addetti ai lavori otrebbe sfuggire. L'Orobica ha alcuni caratteri costanti (lunghezza del pelo, conformazione delle corna), ma presenta un'ampia varietà di colori. La variabilità del colore del mantello è uno dei caratteri che balzano più all'occhio, e che la maggior parte delle razze ufficiali hanno provveduto a standardizzare accuratamente, ma con il riconoscento dell'Orobica si è riusciti a far valere il  principio, (già introdotto con la  Sarda) che una razza legata ad un territorio può presentare una varietà di caratteri esteriori dal momento che è il frutto di una selezione 'semi-naturale' e non dell'arbitrio di alcuni 'fondatori' di razze che decidevano - in sede di nascita delle razze - quale era il colore 'giusto' eliminando dalle popolazioni tutti i soggetti con altre colorazioni.

Il riconoscimento delle varie popolazioni caprine alpine  rappresentò una condizione per riqualificare e ridare dignità ai sistemi di produzione 'tradizionali' che la fiammata modernista degli anni '70 aveva condannato alla emarginazione, una emarginazione che - prima che economica - era culturale e sociale. Forse solo oggi possiamo apprezzare il valore sociale dei risultati che furono allora conseguiti.

 

Gruppo di capre di Valgerola dell'allevatore Plinio Zugnoni di Pianteda (bassa Valtellina). Siamo nel 1988 e la foto (M. Corti) è stata scattata in occasione della campagna di rilievi biometrici sulla popolazione 'Orobica' finalizzati alla definizione dello standard di razza. Frutto di cure di allevamento appassionate e di attenta selezione morfologica queste bestie altere ed eleganti sembano voler smentire la qualifica di 'meticce' affibbiata in passato alle capre locali

 

Vent'anni fa il clima era molto diverso

 

La condizione in cui hanno  versato i tipi genetici autoctoni fino agli anni '80-'90 non è facilmente immaginabile dai giovani di oggi. Tutti gli animali di tipi genetici autoctoni erano definiti dagli 'addetti ai lavori' (veterinari, zootecnici)  come 'meticci'. I 'tecnici' (e con loro gli allevatori che si sentivano partecipi della visione produttivista allora incontrastata) associavano dignità 'razziale' solo alle grandi razze specializzate, nazionali ed internazionali,  superproduttive. Una realtà paradossale perché, in molti casi , le razze famose a livello nazionale o internazionale sono razze 'sintetiche'  ottenute con incroci (a volte dichiarati a volte tenuti nascosti). Le popolazioni locali, invece - definite anche 'ecologiche' o 'primarie' - sono il risultato di un lungo processo di co-evoluzione (adattamento all'ambiente ecoculturale) e - per quanto valga il concetto di 'purezza di origine' - sono più 'pure' delle razze standardizzate. Basti pensare all'origine del cavallo P.S.I. (Purosangue Inglese), nel quale sono confluire razze locali inglesi, italiane, araba, berbera, 'orientali', ecc. per capire l'assurdità dell'uso dei termini 'puro' o 'meticcio'.

Ottenute con l'incrocio ma anche la riproduzione in consanguineità e una feroce selezione per i caratteri funzionali (latte, velocità, resa in carne ecc.) le razze standardizzate sono divenute 'pure' nel senso che gli individui tendono ad assomigliarsi sempre di più (fino a divenire 'fotocopie' gli uni degli altri).

Così come erano disprezzati i tipi genetici autoctoni erano allora disprezzati i saperi impiciti e contestuali (la saggezza popolare, il saper fare pratico) e le pratiche produttive tradizionali. Si schifavano certi prodotti 'nostrani' che oggi sono diventati delle icone.

L'imperativo era quello della  'modernizzazione', 'standardizzazione', con l'implicita assunzione che tutto ciò che era 'tradizionale' fosse, insufficiente, irrazionale, 'sporco'. Le analisi energetiche dei sistemi integrati di produzione agricola che dimostrano l'efficienza superiore dei sistemi tradizionali rispetto a quelli industriali, sono venute molto dopo. La stessa 'sostenibilità' (oggi un passpartout) fu parola sconosciuta sino ai primi anni '90 (anche se era stata usata sin dal 1987 nel rapporto Bruntland). Ancor più di là da venire era la consapevolezza che le razze e le popolazioni autoctone rappresentano una preziosa risorsa di diversità culturale oltre che biologica (del resto la Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale dell' UNESCO, che è solo 2001). Si veniva dagli anni '70 e '80 in cui l'imperativo era quello di sopprimere la diversità genetica e culturale e le Regioni si affannavano a concedere contribuiti (sino al 50% della spesa) per sostituire i greggi di capre e pecore 'meticce' (leggi autoctone) con le razze (estere o nazionali) iscritte ai Libri Genealogici.

 

Risalire la china

 

Va riconosciuto che un nuovo modo di rapportarsi al problema della biodiversità e delle 'risorse locali' ha visto protagonista il mondo accademico e scientifico. La consapevolezza dell'importanza della conservazione e della tutela della biodiversità associata alle razze e popolazione autoctone di animali domestici era sorta in Italia fin dagli anni '70. In questo campo le ricerche da parte delle istituzioni universitarie, del CNR e del Ministero dell'agricoltura sono state avviate con buon anticipo rispetto all' 'onda lunga' dell'interesse internazionale  per queste problematiche e la messe di lavori è stata considerevole. Vi era, e vi è, la consapezolezza che l'Italia, con la sua grande variabilità agroecosistemica e culturale rappresenti un 'giacimento' importante di biodiversità agricola, vegetale ed animale. Tra il 1976 e 1981, il CNR programmava un Piano Finalizzato intitolato 'Difesa delle risorse genetiche delle popolazioni animali'. Nell'ambito di questo piano venne pubblicato un Atlante Etnografico delle popolazioni animali allevate in Italia (CNR, 1983). Nell’Atlante, sono riportati dati sulla consistenza delle popolazioni, descritte le principali caratteristiche morfologiche, produttive e riproduttive delle stesse e forniti elementi per una valutazione delle possibilità di impiego e valorizzazione in particolari condizioni di allevamento. Vi troviamo schede su 51 tipi genetici ovini, 22 tipi genetici caprini e 28 bovini. Nel 1982 nel frattempo era stato creato l'Istituto per la Difesa e la Valorizzazione del Germoplasma Animale del CNR.  Lo slancio iniziale è poi in buona misura scemato. Sintomatica la vicenda  del Centro per la salvaguardia del germoplasma animale di Circello (BN); istituito nel 1994 il Centro ha raccolto  parecchi esemplari di razze in via di estinzione che sono poi stati dispersi.

 

Formidabili quegli anni

 

L'inizio degli anni '90, quando la capra Orobica di Valgerola passa dallo status di 'popolazione meticcia' a quello di 'razza', succedono - e forse non è una coincidenza - una serie di cose molto importanti. E' del 1991 la Legge  n. 30 sulla riproduzione animale che, recependo una direttica comunitaria, prevede la istituzione dei Registri Anagrafici, strumento indispendabile per far passare le piccole popolazioni locali dallo status di 'mericce' a quello dei 'popolazioni a limitata diffusione' (spesso a rischio di estinzione) e perciò preziose. E' del 1992 il Reg. Cee 2078 che stabiliva dei premi in denaro per l'allevamento delle razze a rischio di estinzione. Questa normativa, recepita in modo più o meno solerte dalla Regioni, ha rappresentato una molla potente per il riconoscimento delle popolazioni autoctone (con qualche distorsione che vedremo). Il 1992 è anche l'anno della Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità che sancisce come l'agrobiodiversità sia parte integrante della biodiversità (prima non era pacifico e dalle parti dei talebani della wilderness ideologica - compresi settori del WWF - vi era chi si opponeva a considerare biologica la diversità di piante e animali coltivati).

 

 

Capre Orobiche di Valgerola (varietà Nigra) all'Alpe Trona soliva (estate 2008, foto M. Corti)

 

Lo stimolo della Svizzera

  

L'interesse per la capra Orobica in realtà è emerso grazie allo stimolo fornito da una esperienza pilota di allevamento caprino in un altro settore della montagna alpina lombarda: le valli del Luinese, in provincia di Varese. Qui alcuni allevatori del posto e alcuni 'neo-caprai' di origine cittadina (insediatisi nella Val Veddasca all'inizio degli anni '70 nel clima post  '68) decisero di impostare progetti di vita basati sull'allevamento della capra. L'allevamento caprino che in quelle valli era stato fiorente (specie a Curiglia con Monteviasco) si trovava in una condizione di forte regressione ('destrutturazione'). In parole povere era divenuto difficile reperire becchi in grado di assicurare  una valida progenie, in grado di compensare le spese e le fatiche dell'allevamento. Venne deciso di puntare sulla razza caprina Nera di Verzasca allevata nel limitrofo Canton Ticino (la parte più alta della stessa Val Veddasca, con l'abitato di Indémini, è svizzera). La Verzasca era stata standardizzata sin dal 1906, con tanto di Libro Genalogico nazionale svizzero sull'onda dello spirito di emulazione nei confronti della Svizzera 'interna' (così definita nella Lombardia elvetica, alias Svizzera italiana). Qui, primi al mondo, alla fine del XIX secolo gli allevatori di diversi cantoni di lingua tedesca avevano creato  Libri Genealogici delle razze caprine (sul modello egemone affermatosi sin dal XVIII secolo in Inghilterra). Tra le razze di origine svizzera tutti conoscono la Saanen e la Toggemburg ma ve ne sono diverse altre. Nella montagna varesina la Verzaschese ha trovato un ambiente favorevole tanto da porsi all'attenzione dei tecnici e degli studiosi quale modello di allevamento semi-estensivo (o semi-intensivo che dir si voglia).

Da qui una serie di indagini sulla razza ( Gallarati Scotti G.C., Corti M., Sessa P.  (1988) Ricerche biometriche sulla capra di razza verzaschese. Atti 8° Convegno Nazionale SIPAOC Viterbo, 285-296;  Corti M., Gallarati Scotti, G.C., Sessa P. (1988) Indagini sulle caratteristiche quanti-qualitative della produzione lattea di capre di razza verzaschese. Atti 8° Convegno Nazionale SIPAOC Viterbo, 353-364). Nel mentre si conducevano queste indagini nel Luinese in provincia di Como erano stati svolti dei lavori di tesi su quella che venne inizialmente denominata con asettico riferimento geografico ' popolazione caprina delle prealpi Orobiche' (Ortelli B. - Parametri produttivi e biometrici della popolazione caprina delle prealpi Orobiche - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, a.a. 1986-87) e poi capra 'Orobica' (Francisci A. Ricerca sui caratteri produttivi della capra 'Orobica' nel contesto dell'allevamento caprino in provincia di Como - Tesi di Laurea. Università degli Studi di Milano, a.a. 1986-87). La tesi della Dott.ssa Francisci ebbe un ruolo non secondario nell'accendere l'interesse per la capra 'Orobica'. Dalle rilevazioni eseguite sulla produzione lattea si era intravista una produttività piuttosto elevata (poi smentita dai primi controlli ufficiali nel 1989 e 1990). Da qui la considerazione: 'Se la Verzaschese, apparentemente meno produttiva e comunque altrettanto 'rustica' e 'nostrana'  ha in Svizzera lo status di razza perché non cercare di ottenerlo anche per l' 'Orobica'?. Il nome 'Orobica' appare nel 1987. Fu il Prof. Gallarati Scotti a 'inventarlo' sulla base della considerazione che la capra denominata 'di Valgerola', descritta nel citato  Atlante etnografico delle  ovine e caprine allevate in Italia, (Cnr, 1983), occupava in realtà un areale più vasto rispetto a quanto riportato nell'Atlante che indicava erroneamente una diffusione limitata alla Valgerola. Se fosse stato chiarito dall'inizio che, pur originando dalla Valgerola, la capra in questione era allevata anche in provincia di Bergamo e di Como (attuale provincia di Lecco) il nome originale 'di Valgerola' sarebbe rimasto indiscusso. Una volta affermatosi la denominazione 'Orobica' è rimasta anche di fronte alla conferma che, per il rifornimento dei becchi, la Valgerola ha continuato a rimanere un punto di riferimento indiscusso. Così in fase di istruzione della pratica per il riconoscimento della razza si decise, per disinnescare i conflitti campanilistici, di chiamarla 'Orobica o di Valgerola'.

 

 

Gruppo di capre inequivocabilmente di Valgerola che fa il suo ingresso a Milano da Porta Orientale, dove ora sorgano i 'Caselli di Porta Venezia', condotte da un capraio ambulante (che vendeva per le strade il latte appena munto sul posto). La stampa è del 1806. Negli stessi anni diversi documenti degli archivi di Milano e Bergamo testimoniano che  dall'alta Valle Brembana (Branzi e Carona) si recavano a Milano diversi caprai 

 

Le motivazioni dell' 'operazione capra Orobica'

 

Le motivazioni che legittimavano la richiesta di riconoscimento della capra Orobica di Valgerola quale razza ufficiale vennero espresse in occasione del XXIV Simposio Internazionale di Zootecnia, tenutosi a MIlano il 20 aprile 1988 dal prof. Giancarlo Gallarati Scotti. Le riferiamo citanndo la publicazione contenuta negli Atti (Gallarati Scotti G., Corti M. - 1989 - Le razze caprine autoctone dell'area alpina lombarda e ticinese. Atti XXIV Simposio Internazionale di Zootecnia, Milano, 117-130).

La problematica della conservazione dei patrimoni genetici delle razze autoctone delle varie specie di animali domestici, attualmente insidiate dalla crescente concorrenza delle razze specializzate ubiquitarie, ha assunto in questi ultimi anni un notevole rilievo non solo in Italia, ma in parecchi paesi europei. A tutt'oggi comunque, mentre parecchio è stato fatto per la specie bovina e per quella ovina a livello organizzativo (A.I.A., A.P.A., ASSO.NA.PA.), spesso anche in termini di incentivazione finanziaria, per la specie caprina l'attenzione e la valo­rizzazione delle razze autoctone è stata finora limitata nel nostro Paese alle regioni meridionali e insulari, lasciando completamente scoperto, tra l'altro, l'arco alpino che pure è un'area di predilezione per l'allevamento caprino.

Sembra opportuno a questo punto avanzare alcune osservazioni generali che possono giustificare questa situazione:

1) la legislazione restrittiva nei riguardi dei caprini, applicata rigidamente dal 1923 fino alla fine degli anni '40, in funzione della salvaguardia del patrimonio forestale, decimò la consistenza dei caprini specialmente nelle zone alpine;

2) la ripresa dell'allevamento caprino, più intensa negli ultimi due decenni specialmente nel nord e nel centro Italia, particolarmente vivace nella fascia pedemontana alpina lombarda, ha riguardato in larga misura un nuovo tipo di allevamento estraneo alle tradizioni locali; si tratta dell'allevamento intensivo e semiintensivo valido tecnicamente ed economicamente che utilizza, giustamente, razze specializzate (Camosciate delle Alpi e Saanen);

3) la diffusione incontrollata ed a volte discutibile di queste razze ubiquitarie, ma anche di tipi genetici locali di diversa origine, ha determinato in vaste aree montane (specialmente nelle province di Bergamo e di Brescia, ma anche in parte di quelle di Como e di Sondrio) uno stato di grande eterogeneità etnica proprio negli allevamenti tradizionali semi-estensivi;

4) si sono tuttavia mantenute nell'area alpina lombarda delle ampie zone in cui prevalgono nettamente popolazioni caprine sicuramente autoctone di buona consistenza e con caratteristiche ben definite. Ci si riferisce in particolare alle province di Sondrio e di Como

La salvaguardia delle risorse genetiche delle popolazioni autoctone caprine è d'altra parte da ritenere particolarmente importante in funzione dell'utilizzo delle risorse foraggere erbacee, arbustive ed arboree di vaste zone marginali, attualmente non più utilizzabili economicamente per il pascolo bovino o per lo sfruttamento forestale. Se infatti da un lato queste razze locali rappresentano delle forme di adattamento ottimali a condizioni ambientali particolari e spesso sfavorevoli, dall'altro la loro conservazione può in molti casi consentire la permanenza del presidio umano in zone disagiate.

Sulle basi di queste considerazioni è stata avvertita in primo luogo l'esigenza di caratterizzare sul piano morfologico, tramite rilevazioni biometriche, i più importanti tipi genetici dell'area alpina e prealpina lombarda, tra i quali si distingueva per le sue peculiari caratteristiche la capra Orobica di Val Gerola.

 

Come si vede, sia pure nella sottolineatura del solo aspetto socio-ambientale (sotto forma di richiamo al paradigma della 'marginalità') l'aspetto essenziale del significato della conservazione dei tipi genetici autoctoni (l'adattamento all'ambiente) era già allora ben presente.

 

L'indagine sulla diffusione e il sistema di allevamento

 

L'avvio delle pratiche per l'inserimento nel Libro Geneaologico della razza Orobica di Valgerola avviene contestualmente. Già nel 1988-89 era stata condotta da Gallarati Scotti e Corti (con l'aiuto dello studente Carlo Gianoncelli) una campagna di rilievi biometrici presso alcuni allevamenti valtellinesi ad integrazione dei dati raccolti da Ortelli (tesi cit.). Nel 1989 vennero avviati i controlli funzionali sulla produzione di latte e la sua composizione in grasso e proteine. L'iscrizione ai Libri Genealogici di una razza da latte (tutte le capre da latte europee sono da latte) comporta infatti una preliminare verifica del livello produttivo al fine di fissare dei parametri minimi per l'iscrizione dei singoli soggetti. In una razza a limitata diffusione che deve operare attentamente al fine di evitare la consanguineità (vederemo come a fronte di una buona numerosità di capi in generale nell'Orobica vi siano problemi legati al limitato numero di becchi e al loro scarso turn-over) tali previsioni potrebbero apparire un controsenso. Il fatto è che il Libri Genealogici sono stati istituiti per 'selezionare', aumentare la produzione o incrementare altri caratteri, e non hanno lo scopo di conservare numericamente una popolazione, di mantenerla 'biodiversa'. Allora, però, non c'era l'alternativa del Registo Anagrafico che  presuppone vincoli rigidi sulle performances produttive (sono semmai facoltativi). Assumere pari dignità allora significava 'fare finta' di essere una razza 'seria'. L'alternativa era secca. Sulla scarsa, se non nulla, utilità dei controlli funzionali nelle piccole razze 'rustiche'  (a fronte degli elevati costi connessi)  torneremo nelle prossime 'puntate'. La produzione delle capre adulte risultò nei primi due anni di controllo 'propedeutici' al riconoscimento di quasi 300 kg (nella lattazione 'convenzionale' di 210 giorni) con il 3,0% di grasso e il 2,7% di proteine.

Più interessante l'indagine sui sistemi di allevamento condotta da Attilio Tartarini e Michele Corti che interessò ben 116 allevamenti (57 in provincia di Sondrio, 51 in provincia di Como, ora Lecco) e 8 in provincia di Bergamo). Ne uscì un quadro dettagliato del sistema di allevamento. Il dato confortante fu che il 79,3% dei capi corrispondevano allo standard provvisorio definito per la razza. La presenza di capi di razza Saanen e Camosciata delle Alpi negli allevamenti indagati era limitata al 5%. Già allora emersero però alcuni limiti sull'approvvigionamento, la scelta e l'utilizzo ei becchi e sull'importanza predominante assegnata ad alcuni caratteri esteriori emblematici (lunghezza e colore del pelame, lunghezza e conformazione delle corna) anche a scapito di caratteri a valenza funzionale. Pur nell'ambito di un sistema tradizionale, legato alla pratica dell'alpeggio, il 65% del latte risultava trasformato (39% in formaggio d'alpe misto). Un dato legato in modo stretto all'importanza della produzione del Bitto 'storico' che prevede l'utilizzo del 10-20% del latte di capra, ma anche alla tradizione di produzione di caprini a coagulazione acida e di formaggelle di puro latte di capra.

Rispetto al sistema 'tradizionale' si staccavano due tipologie: una super-estensiva, presente solo negli allevamenti bergamaschi e basata sulla pratica dell'asciutta precoce (le capre sono 'mollate' incustodide sui monti per tutta l'estate e l'autunno), l'altra 'innovativa', basata sulla produzione per tutto il periodo estivo di soli caprini e formaggelle di capra sia presso le sedi permanenti aziendali che in alpeggi senza vacche da latte. Questa la realtà che si presentava vent'anni fa. (fine della prima parte)

Figura 1 - calendario di utilizzo del latte delle capre Orobiche di Valgerola nel 1989 (dati su 116 allevamenti con 1686 capre)(da A. Tartarini e M. Corti, 1989)

 

Tipologia

Gruppo

 Numero capre

Numero Aziende

1

Allattamento naturale e asciutta precoce

Regredito

180

10

2

Limitata produzione di caprini e asciutta precoce

Regredito

54

4

3

Latte ai vitelli

In regressione

65

5

4

Produzione di soli formaggi misti in alpeggio*

Tradizionale estensivo

344

32

5

Latte ai vitelli, poi formaggi misti in alpeggio*

Tradizionale in

estensivizzazione

126

12

6

Latte ai vitelli + caprini

poi formaggi misti in alpeggio*

Tradizionale in

estensivizzazione

14

2

7

Formaggelle e poi formaggi

misti in alpeggio*

Tradizionale

56

5

8

Formaggelle + caprini e poi

formaggi misti in alpe*

Tradizionale

63

8

9

Caprini e formaggelle,

formaggelle poi misti in alpe*

Tradizionale

26

2

10

Caprini, poi misti in alpe*

Tradizionale

483

26

11

Caprini + formaggelle poi, in alpe

misti* + caprini + formaggelle

Trad. suscettibile

intensivizzazione

27

1

12

Caprini + formaggelle poi, in alpe

misti* + formaggelle

Trad. suscettibile

intensivizzazione

27

1

13

Caprini poi, in alpe caprini + misti*

Trad. suscettibile

intensivizzazione

43

2

14

Mascherpe poi, in alpe misti`

Tradizionale

8

1

15

aprini

In via di innovaz.

132

9

16

Caprini e formaggelle fino in ottobre

svezzamento artificiale

Innovativo

38

2

* comprese mascherpe (ricotte)

 

 

 

 

 

 

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