(05.08.10) I
formaggini (furmagitt) di Montevecchia erano
tra i formaggi più famosi della Lombardia ed
erano prodotti con latte ovino, della pecora Brianzola.
L'Associazione Pecora Brianzola intente rilanciare
questa produzione storica
La pecora Brianzola vuole essere
multifunzionale e riscoprire la
vocazione lattifera
Nel
settore della produzione ovina la multifunzionalità
e la differenziazione produttiva possono consentire
il rilancio dell'allevamento in aree dove era scomparso.
Comprese quelle densamente popolate della fascia pedemontana
alpina dove è in fase di rilancio la viticoltura
ma possono inserirsi molto bene anche le capre
da latte e le pecore a duplice attitudine
testo
e foto di
Michele Corti
Tra
un alpeggio e l'altro questa volta ci occupiamo di una
realtà collinare, alle estreme propaggini del
sistema alpino. Siamo nella Brianza lecchese, nel Parco
di Montevecchia e della valle del Curone. Il Parco
è costituito da due piccole valli: quella del
Curone per l'appunto e quella del torrente Molgoretta
detta anche Valle Santa Croce (comune di Missaglia).
Una valletta aperta a Sud sull'alta pianura lombarda.
Siamo ad altitudini comprese tra 300 e 500 m., quel
tanto che è stato sufficiente (insieme alla istituzione
del Parco) a tenere lontana l'urbanizzazione (nell'immagine
sotto la freccia indica una macchia di verde scuro,
che rappresenta la copertura forestale immersa nel grigio-rosa
del territorio ad edificazione intensiva).
La
localizzazione della Valle della Molgoretta.Oltre ai
limiti delle provincie di Como e di Lecco sono indicati
(pallini gialli numerati) i 'mercati agricoli' di queste
provincie (elaborazione M. Corti)
La
copertura boschiva è intercalata, nell'ambito
di alcune zone del Parco con prati permanenti e vigneti,
quasi tutti di impianto recente. Il 'quasi' è
importante perché la collina di Montevecchia
è famosa per aver rappresentato per lungo tempo
l'unica superstite realtà viticola della
Brianza dopo che nel la diffusa viticoltura brianzola
fu colpita da una grave invasione della filossera
da cui non si risollevò più. In
precedenza il paesaggio brianzolo era caratterizzato
dalla presenza dei 'ronchi' (terrazzamenti) intensamente
coltivati a vite (nel tempo soppiantata dalla gelsicoltura
finalizzata all'allevamento del baco da seta). Oggi
nella zona di Montevecchia e dintorni vi sono una cinquantina
di ettari con diverse aziende a Montevecchia, Perego
e Missaglia. Vi è anche l'IGT 'terre lariane'.
Sono aziende che in alcuni casi coniugano l'attività
vitivinicola con l'agriturismo valorizzando la vocazione
turistica della zona, una classica meta di escursioni
giornaliere per brianzoli, monzesi, ma anche milanesi
in un angolo di Brianza dove si riesce a dimenticare
di essere immersi nella 'conurbazione' MI-VA-LC.
In
questo clima di 'rinascita rurale' del territorio si
è inserita la pecora Brianzola. Qui, e lo capiremo
tra breve, la Brianzola ci sta particolarmente bene
e può svolgere una parte no secondaria nel processo
di valorizzazione agricola e turistica (e ambientale)
del Parco.
La
pecora Brianzola: dal faticoso recupero della razza
alle nuove prospettive
La
pecora Brianzola come tante razze non specializzate
ha rischiato l'estinzione. Oggi, però, l'agricoltura
torna il larga misura alla despecializzazione e razze
con più attitudini produttive possono risultare
più competitive. In questo contesto la pecora
Brianzola si sta facendo apprezzare non solo per l'agnello
pesante ma anche per i salami crudi e per i prosciutti e
non mancano tentativi di valorizzazione della lana.
(vedi l'articolo: Una pecora multifunzionale: la Brianzola
).
L'idea di tornare ad utilizzare la Brianzola per la
produzione di latte non è nuova (era già
caldeggata dal Dr. Formigoni, direttore dell'Ispettorato
Agrario di Como sin dagli anni '40). Da tempo se ne
discute all'interno dell'Associazione
della pecora Brianzola
e
chi scrive ha reiteratamente proposto di avviare un
progetto sul tema. Quando, una decina di giorni,
fa Pasquale Redaelli (il presidente dell'Associazione)
mi ha comunicato che un giovane allevatore aveva abbracciato
l'idea di avviare una prova di produzione di latte con
le Brianzole ho accolto con grande piacere la notizia.
A maggior ragione perché l'allevamento in questione
è situato a Missaglia nel Parco della valle del
Curone. A un tiro di schioppo da Montevecchia (si capirà
tra poco il perché di questo entusiasmo).
La
localizzazione della cascina Bellesina nella valle della
Molgoretta
L'azienda
che alleva le Brianzole a Missaglia è l' Az.
agr. Cascina Bellesina sita nella sopra citata valle
della Molgoretta. In una zona con abbondanza di prati
stabili.
La
cascina Bellesina
La
piccola valle presenta i versanti quasi completamente
coperti da vegetazione boschiva anche se in passato
erano quasi interamente interessati dai 'ronchi', le
terrazze vitate. Negli ultimi anni anche qui sono stati
reimpiantati alcuni piccoli vigneti. Il paesaggio è
molto gradevole in ragione dell'alternanza di fasce
boscate e di prati.
L'azienda
Cascina Bellesina ha per titolare Marco Frison un giovane
di 28 anni. L'azienda si occupa principalmente di arboricoltura
(potature, abbattimenti, trattamenti fitosanotari ecc.), di
forestazione e ripristino ambientale (recupero castagneti,
terreni incolti) e di vendita di legna da ardere. Da
dieci anni, però, Marco tiene le Brianzole, una
passione degli anni verdi che non accenna a scemare.
Marco
con le sue Brianzole
Le
pecore dispongono di superfici recintate sia nei
pressi della cascina che a breve distanza nell'ambito
della velletta. L'azienda dispone di quasi 5 ettari
di cui la metà di proprietà ed la produzione
di fieno è attualmente eccedentaria rispetto
al fabbisogno dlele pecore (c'è anche un cavallo).
I prati migliori sono segati da un'azienda di vacche
da latte dei dintorni 'sono arrivati prima loro ...'
ma comunque Marco è molto soddisfatto delle superfici
che ha potuto mettere insieme oltre a quelle di proprietà.
Pasquale
Redaelli e Marco con le Brianzole di quest'ultimo
Il
problema è dove mettere il fieno ... 'Adesso
devo sistemare i balloni dappertutto' dice Marco che
ci mostra dove ha stoccato la produzione di questa
estate (foto sotto).
Il
'tunnel'-fienile
Ogni
spazio è buono per sistemare il fieno a tetto
Tra
i vari spazi dove sono attualmente stipati i balloni
vi è anche la stalletta della foto sotto che
dovrebbe essere destinata alle pecore in mungitura.
Uno
spazio di recente costruzione destinato alle pecore
in lattazione
Il
progetto di Marco risulta particolarmente interessante
perché sfrutta a pieno le potenzialità
di 'multifunzionalismo' del piccolo territorio. Le pecore,
oltre ad essere impiegate per il recupero di superfici
incolte, sono anche state 'assunte' come manutentrici
del campo pratica golf. Nella foto sotto si può
osservare l'ottimo lavoro delle pecore che contribuisce
a limitare molto i tagli. Il campo golf è anche
uliveto e le pecore lo tengono ben rasato (tre piccioni
con una fava)(qualche cicatrice sui fusti indica un
po' di danni da scortecciamento, ma è roba pregressa).
Sotto
gli ulivi alcune mangiatoie per 'integrare' la dieta
delle pecore con un po' di mais
Un
lavoro perfetto. Qui però non ci sono buche ma
solo dei 'catini' dove tirare le palline; non dovendo
la pallna rotolare sul green quest'ultimo può
essere tenuto abbastanza 'rustico' e il 'lavoro' delle
pecore è più che idoneo
Il
paesaggio del campo pratica affiancato dal cupo rimboschimento
di conifere esotiche e, sullo sfondo, i ridenti vigneti
dell'Azienda vitivinicola Valle Santa Croce
Le
pecore utilizzano anche il bosco dove, in autunno, possono
trovare abbondanti ghiande e castagne (foto sotto)
Ben
poco, invece, offrono i tetri rimboschimenti artificiali
con le orride conifere esotiche (Pinus excelsa)
che hanno occupato i 'ronchi' (foto sotto). Frutto del
'forestalismo scientifico'. Il valore del legname in
piedi è negativo; bisogna pagare per far tagliare
ed esboscare.
Ma
qualcosa anche qui le pecore riescono a trovare, contribuendo
per quanto possibile alla 'pulizia' di queste formazioni
che bosco non sono in quanto nessuna rinnovazione naturale
è presente. La parte basse dei fusti è
'pulita' dall'edera che è ad essi avvinghiata
e che, specie in tardo autunno-inverno, è molto
appetita dalle pecore. nella foto sotto si vede bene
come, sino ad una certa altezza, i fusti sono 'puliti'.
Il poco di luce che filtra, unita all'azione delle pecore,
consente anche lo sviluppo di un po' di tappeto erbaceo.
Qui
sotto, invece, vediamo un terreno liberato dai rovi
(Marco ha utilizzato una trincia portata da un escavatore)
che è in fase di sistemazione con la posa dei
pali che serviranno a reggere le recinzioni.
Le
pecore non in lattazione potranno essere mantenute su
questi terreni (una volta effettuate le semine) dove
esistono anche dei ricoveri rudimentali (del tutto idonei
per mantenere 'a tetto' le pecore quando serve)(foto
sotto).
L'allevamento
delle pecore appare finalizzato a trovare un utilizzo
produttivo per le superfici ripristinate. Sotto vediamo
altri 'ronchi' liberati dai rovi con la recinzione
in fase di allestimento.
Montevecchia:
vino e... furmagitt (ma quali sono quelli 'autentici')?
Pecora
Brianzola come 'manutentrice' e coadiuvante del ripristino
ambientale dunque ma anche al tempo stesso come volano
del turismo enogastronomico. Un'azione duplice e preziosa.
Dicevamo che da tempo l'Associazione della pecora
Brianzola si sta impegnando per la valorizzazione
della carne, non solo con l'agnello pesante Brianzolo
(presente nel menù dell'agriturismo dell'Az.
Agr. vitivinicola La Costa di Perego)
ma anche con i prosciutti e i salami crudi. Ma la pecora
Brianzola ha un ulteriore asso nella manica: rinnovare
la produzione dei formaggini (robiolini) di Montevecchia
'storici'.
I
furmagitt/robiolini di Montevecchia
(chissà perché citati sempre al plurale)
rappresentano un mito caseario, citati anche in diversi
passi letterari. Già il grande storico
lombardo Cesare Cantù
li citava nella sua Grande illustrazione del Lombardo
Veneto del 1858. A proposito di Montevecchia
riferiva che : "la pendice è ubertosa di
vini, di frutti, massime fichi, rinomati a Milano
quanto i robiolini che qui si fanno." Ma
in precedenza erano già stati citati dal Rampoldi
(G.B. Rampoldi, Corografia dell'Italia, Vol II, Milano,
per Antonio Fontana, 1833, p. 829): "Le viti che si coltivano sopra i deliziosi suoi fianchi producono pregiati vini; gli armenti che hanno pascolo alla sua cima danno saporitissimi casci, noti col nome di Robiolini".
Da allora l'accoppiata vino-robiolini diventa un topos.
Questi furmagitt/robiolini rappresentano
un interessante 'spia' dell'evoluzione della storia
casearia (e dei sistemi zootecnici). Un'evoluzione che
ci porta indietro ... alla nostra pecora Brianzola.
Erano tradizionalmente confezionati con
latte ovino, poi è seguita l'era del latte vaccino
o vaccino + ovino o vaccino + caprino finché,
in tempi recenti, si è imposto - almeno
quale tipologia più qualificata ed 'autentica'
(o presunta tale) - il 'formaggino di Montevecchia'
di puro latte di capra detto anche 'Caprino
di Montevecchia' (vedi l'Atlante
dei Parchi ). Tale identificazione ha
dei precedenti nell'Atlante dei prodotti tipici:
i formaggi, a cura dell'Insor, (Franco Angeli,
Milano, 1992) e nell'Atlante dei Formaggi di
Giorgio Ottogalli (Hoepli, Milano, 2001) . Le fonti
che identificano i furmagitt con i 'caprini'
le stesse citano anche una 'Robiola di Montevecchia'.
Quest'ultima viene indicata (citiamo l'Atlante
Insor) come "prodotta con latte vaccino o misto
ovino" ma viene assimilata a quelle della
Valsassina (per via del color salmone della crosta
dovuto alla patina batterica che si sviluppa in
condizioni di forte umidità). Tale 'Robiola'
poteva essere di forma "quadrata, rettangolare
o circolare" e del peso di 0,3-0,5 kg. Non pare
quindi avere molto a che vedere con i 'Robilini'.
Un
testo più datato: il Nuovo dizionario di merceologia
e chimica applicata, Volume 4, di G. Vittorio Villavecchia
e G. Eigenmann , Hoepli, Milano, 1974, (p. 1544) riporta
tra le tipologie dei formaggi a pasta molle: "i
Robiolini di Montevecchia. Si preparano con latte
di vacca solo o talora misto a quello di capra o di
pecora". Che tra formaggini e robiolini non ci
sia differenza lo conferma la citazione da parte di
questi autori di due altre categorie: "i Formaggini
di Lombardia, simili ai precedenti, ma preparati
con latte di vacca" e i: "Formaggini di
Lecco, fabbricati con latte vaccino e di capra".
Se si aggiunge che tra l'area piemontese e lombarda
i termini 'formaggini', 'tomini', 'robiolini' si sovrappongono
largamente e che, a volte è definito
'formaggino' (o 'formaggina') un prodotto di forma
quadrata e 'robiola' (o 'robiolina') uno di forma tonda,
ma che altre volte ... avviene l'opposto ci
rendiamo conto che va dipanata parecchia confusione.
Meglio
quindi fare un passo indietro nel tempo e risalire alla
seconda metà del XIX secolo. L'Inchiesta agraria
Jacini, come spesso accade, ci fornisce utili indicazioni.
Fortunatamente la 'relazione sul Circondario di
Lecco' redatta dal Cav. Ing. G. Brini, è ricca
di dettagli sugli aspetti zootecnici e caseari delle
nostre colline. Vediamo cosa dice:
"Il
latte delle pecore, il cui prodotto si calcola in ragione
di ettolitri 2,50 annui cadauna, mentre non si mungono
che durante quattro mesi all'anno, con una media giornaliera
di litri 2,25, è ricco di materia caseosa e prestasi
alla fabbricazione di speciali latticini che foggiansi
a guisa di piccoli cilindri detti formaggini, che sono
molto pregiati in commercio. Di pari merito
[rispetto a quello di pecora quindi], è iI latte,
caprino che, segnatamente nella Valsassina, impiegasi
come il pecorino a fabbricar formaggini nel modo
seguente: Nel latte appena munto si mesce il necessario
presame preparato coi ventricoli di capretti o di vitelli
macerati nell'aceto, e se ne attende la cagliata,
che si rompe e si frammischia finché sia ben
segregata dal siero. Allora si ripone in formelle
di legno, ove si lascia a sgocciolare fino a che abbia,
raggiunto una certa consistenza. Quindi i formaggini
si salano generosamente e se voglionsi ottenere di sapore
forte, vi si aggiunga anche una piccola dose di pepe".
Giunta per l'inchiesta agraria e sulle condizioni
della classe agricola, Atti, Vol. VI, Roma, Forzani,
1883. Il Circondario di Lecco, Vol VI, Tomo I,
Fasc. II, p. 335.
Pecore
in collina, capre in montagna
Da
queste osservazioni emerge che: vi era una tipologia
unica di formaggini che potevano essere ottenuti con
il latte di capra o con quello di pecora. La tecnica
era quella della cagliata presamica. In montagna si
usava latte di capra, in collina quello di pecora. In
montagna la capra era stata tollerata dalle autorità
perché erano disponibili pascoli magri,
sassosi, con arbusti spinosi dove solo le capre, spesso
riunite in greggi 'comunali' guidati da un pastore, potevano
trovare nutrimento (e dove non potevano provocare
danni forestali). In collina, invece, la presenza
dei vigneti e di altre coltivazioni aveva da secoli
determinato il bando delle capre e i contadini avevano
dovuto adattarsi ad allevare soltanto la pecora. Del
resto quest'ultima forniva qualcosa di molto prezioso:
la lana. Molto prezioso era anche il concime. In poche
parole la pecora era una specie animale che si adattava
alla perfezione in un ambiente di 'coltura mista' su
piccola scala massimizzando una vocazione multifunzionale.
Il
senso del progetto e le modalità della sua realizzazione
Tornare
al formaggino presamico di latte di pecora non rappresenta solo
una operazione 'archeologica'. Se i formaggi di Montevecchia
hanno acquisito la loro fama si deve alle caratteristiche
che per secoli li hanno caratterizzati e che, non vi
sono molti dubbi in proposito, erano legate al latte
ovino. Che in collina la pecora fosse la 'vacca
del povero' vi sono pochi dubbi. In una zona di vigneti
la capra non era ben vista. Era poi l'animale più
'multifunzionale'. Esattamente come oggi.
Quindi
operazione attuale ed economicamente interessante (considerato
che lo 'sbocco' di mercato è garantito, che già
oggi i caseifici della zona dichiarano che utilizzerebbero
volentieri il latte ovino a km zero e che agriturismi
e ristoratori non si lascerebbero certo sfuggire l'occasione
di valorizzare il formaggino 'storico' di Montevecchia.
Per
di più un piccolo gregge di pecore può
essere mantenuto in aziende che non hanno grandi disponibilità
di produzione foraggera (dove sono in collina e nelle
aree semi-urbanizzate queste estensioni?). Ancora: è
compatibile con la pluriattività e, come nel
caso dell'Azienda Cascina Bellesina, con l'uso di superifici
'marginali', boscate, recuperate. Non si parla di grossi
greggi e di grosse produzioni ma della possibilità
di dar vita ad un certo numero di allevamenti da latte
oltre che da carne.
Sia
Marco che l'Associazione credono in questo progetto.
L'Associazione
rappresenta in questo contesto una risorsa strategica.
E' un'associazione coesa che non conosce le gelosie
e le rivalità di tante realtà di associazionismo
agricolo (sia 'imprenditoriale' che 'rurale'). Per far
rinascere la razza (che era ridotta al lumicino) gli
allevatori hanno dovuto basarsi su una forte cooperazione
e solidarietà reciproca (e la lezione è
stata assimilata).
Essi
sono disponibili a fornire a Marco un certo numero di
agnelle non partorite da destinare alla prova. Si tratta
di verificare l'attitudine alla mungitura meccanica,
la quantità e la qualità (composizione,
varianti proteiche) del latte prodotto, la persistenza della
lattazione, l'aumento della produzione con l'ordine
di parto. Restano solo da definire alcuni dettagli relativi
allo svezzamento degli agnelli, ai numeri dei capi da
mettere in mungitura, alla durata del progetto. Però
le premesse sono molto interessanti .
|