D. Barbaglia, R. Cresta, C.
Conti, Alpi, alpigiani e formaggi dal Mottarone
alla Formazza Alberti libraio editore, Verbania,
2009, pp.456, 600 fotografie, diverse cartine, ISBN
978-88-7245-230-1, € 50
(la prima edizione era in vendita
a 30€ poichè aveva potuto usufruire del contributo della
Regione Piemonte e delle Comunità Montane e dei
Parchi Alpe Veglia-Devero e Val Grande)
Archivio
del 'Museo dell'Alpeggio'
Archivio
del 'Museo dell'Alpeggio'
Archivio
del 'Museo dell'Alpeggio'. Da notare la totale 'pulizia'
dei pascoli, del tutto sgombri da cespugli e alberi
La vita sui piccoli alpeggi è per
molti versi ancora uguale a quella che si svolgeva prima
dei grandi sconvolgimenti della società rurale (immagine
tratta dal volume di D. Barbaglia, R. Cresta, C.
Conti, Alpi, alpigiani e formaggi dal Mottarone
alla Formazza Alberti libraio editore, Verbania,
2009)
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(10.10.09)
Gli alpeggi del VCO al centro di importanti inziative: il Museo
dell'alpeggio (inaugurato nel 2008) e una esaustiva
pubblicazione-guida edita quest'anno
Gli
alpeggi del Verbano Cusio Ossola destano un grande interesse.
Ma i problemi sono tanti.
Lo scorso anno in alta Val Formazza
sono stati inaugurati il Museo dell'Alpeggio (nell'ambito
dell'Alpe Devero, compresa nel Parco Alpe Veglia-Devero)
e l'itinerario degli 'alpeggi senza confine' che unisce
la Val Formazza con la Val Bedretto (nel Canton Ticino).
Quest'anno, in primavera, è uscito
il volume 'Alpi, alpigiani e formaggi dal Mottarone
alla Formazza (vedi scheda a fianco). Stampato in 1.500
copie il volume è andato presto esaurito, tanto che
si è dovuto procedere ad un una seconda edizione. Numerose
sono state le serate di presentazione del volume organizzate
sia prima della stagione d'alpeggio che al suo termine
(ancora il 9 ottobre il libro è stato presentato presso
la sede della Comunità Montana Monte Rosa a Vanzone
S.Carlo).
154 alpeggi (ma erano molti di
più)
Il patrimonio di alpeggi del VCO
è ancora consistente. Si tratta di un patrimonio molto
diversificato. Comprende le 'alpi' del Mottarone e,
più in generale, della fascia prealpina, che sono collocati
a basse altitudini (e spesso utilizzati come maggenghi
- in primavera e in autunno - o anche tutto l'anno)
così come gli alpeggi a quasi 2.300 m dell'alta Val
Formazza. Gli autori del volume li
hanno visitati tutti e hanno avuto modo di intervistare
i caricatori e i casari nel corso di due stagioni
(2007 e 2008). Le informazioni raccolte rappresentano
al tempo stesso un censimento e un prezioso supporto
per coloro che intendono compiere escursioni. Vengono
infatti indicati il carico di bestiame, le condizioni
dei fabbricati e della viabilità ma anche le modalità
di accesso e le mete escursionisctiche raggiungibili
dall'alpe. Si da conto delle modalità di mungitura e
del tipo di produzione casearia oltre che di informazioni
pratiche (indirizzi e recapiti telefonici) che consentono
di contattare i caricatori.
'Esclusivamente per soddisfare
il consumo famigliare'
L'interesse degli estimatori di formaggi
provenienti da altre provincie e regioni è catturato
dal Bettelmatt, che si produce in 7 alpeggi riconosciuti
dalla Comunità Montana Antigorio, Divedro e Formazza
(che ha depositato il marchio relativo presso la Camera
di Commercio). Il Bettelmett appartiene alla categoria
del formaggio Ossolano d'alpeggio che, pur potendosi
produrre su tutti gli alpeggi dell'Ossola, rappresenta
pur sempre un prodotto di nicchia (con una produzione
di 4.000 forme da 5-7 kg). In Ossola, ma anche nelle
altre aree della provincia si producono anche formaggi di capra
e, più frequentemente, formaggi misti (di latte vaccino
e caprino). Sono parecchi, infatti, gli alpeggi dove
sono caricate e munte le capre secondo una tradizione
radicata soprattutto in Valle Strona e in Val Vigezzo
ma - qua e là - anche in altre vallare ossolane. Con
il latte di capra in alcuni alpeggi si produce anche
una pregiata mascarpa (ricotta) affumicata.
Purtroppo una larga parte delle produzioni
d'alpeggio è 'sommersa'. Solo 32 caseifici d'alpeggio
sono 'in regola' con le norme igienico-sanitarie (di
cui 13 con bollo Ce). Negli altri, a parte quelli caricati
con animali asciutti e/o da carne, vengono ottenuti
quantitativi più o meno significativi di prodotti caseari
utilizzati per autoconsumo e vendita diretta. Nel volume
sugli alpeggi del VCO, anche a fronte di carichi
di bestiame di una certa importanza e della precisazione
che gli animali vengono munti, si indica - al fine di
non creare problemi con l'autorità sanitaria - che 'il
latte prodotto serve esclusivamente per soddisfare il
consumo famigliare', oltre che per l'alimentazione di
vitelli, capretti e maiali (secondo il caso).
Si tratta di un fenomeno legato a
una serie di difficoltà: problematico adeguamento di vecchie
strutture di ridotte dimensioni, onere degli investimenti
per i piccoli proprietari privati, sussistenza
o meno di un interesse dei comuni proprietari allo sviluppo
degli alpeggi e degli allevatori locali al loro utilizzo,
assenza di viabilità di servizio, età avanzata dei caricatori.
La conseguenza è che produzioni potenzialmente di pregio,
caratterizzate da una interessante differenziazione
da valle a valle, non possono essere oggetto di promozione,
non possono neppure essere citate. Non è certo
un incentivo alla frequentazione turistica degli alpeggi
e alla promozione dell'alpeggio nel quadro del 'marketing
territoriale'.
'Aiuare i giovani
Il problema merita di esere affrontato
specie dove gli alpeggi sono ancora dotati di buoni
pascoli e dove i caricatori sono giovani e ancora
pieni di energie e di entusiasmo. Nonostante siano parecchi
i conduttori anziani il panorama degli alpeggi
del VCO mette in risalto una significativa presenza
di giovani che spesso 'tornano all'alpe' dopo che la 'generazione
di mezzo' li aveva in buona misura trascurati. Questi
giovani, che spesso non possono usufruire di quel passaggio
di consegne generazionale che assicura la trasmissione
dei saperi 'impliciti (così importanti nell'ambiente
mutevole dell'alpeggio) vanno a maggior ragione sostenuti
ed incoraggiati.
Oggi vi è la disponibilità dei servizi
con l'elicottero, la possibilità di autoprodurre energia
(con il fotovoltaico e sfruttando l'energia idraulica),
vi sono caseifici mobili 'a norma', apparati di mungitura
mobili. Tutta una serie di innovazioni che possono risolvere
i problemi del lavoro in alpeggio e della
disponibilità di condizioni igieniche di mungitura e
di trasformazione del latte. Oltre al reperimento di
risorse da parte degli enti risulta ancora più importante
accompagnare questi giovani nella redazione di progetti
adeguati dal punto di vista tecnico e amministrativo.
Si dovrebbe mettere a loro disposizione del personale
qualificato in grado di redigere piani di miglioramento
e di supportare i caricatori nelle incombenze burocratiche.
Non vanno trascurate le iniziative di professionalizzazione
(non tanto corsi formali quanto partecipazione a visite
tecniche presso altre realtà alpine che hanno adottato
soluzioni innovative e formazione 'su misura' presso
le aziende. L'alpeggio di professionalità ne richiede
tanta e tante!
L'equivoco della wilderness
Il rilancio degli alpeggi è legato
comunque all'affermazione di una cultura (a livello
locale e non) del riconoscimento del valore dell'alpeggio
quale risorsa in grado di rispondere ad esigenze
ecologiche e sociali quanto mai attuali. Va superata
la cultura della nostalgia e dello sguardo rivolto al
passato, inteso come qualcosa di definitivamente
tramontato. Dal passato, con intelligenza, possiamo
trarre importanti insegnamenti per il futuro, specie
in un periodo di crisi in cui i paradigmi del produttivismo,
della quantità, del consumismo, della standardizzazione
sono messi in discussione. L'alpeggio insegna
a produrre in sintonia con la natura senza violentarla
come fa l'agricoltura industriale che vuole adattare
la natura alle esigenze della produzione e non viceversa.
Ad utilizzare al meglio l'energia rinnovabile: quella
del sole.
Ma è necessario superare anche
gli equivoci pseudoambienalisti. Ci si compiace troppo,
proprio nel VCO, della presenza della 'più grande area
wilderness europea', ovvero del Parco Nazionale della
Val Grande.
Una vera e propria falsità perché
in Val Grande c'erano decine di alpeggi. Per la verità
qualche tentativo di rivitalizzazione è in atto ma l'incapacità
di rimettersi in sintonia con la cultura dell'alpeggio,
di ascoltare i caricatori di oggi e quelli in pensione,
ha portato a ristrutturare alpeggi che poi non si sono
rivelati 'appetibili' per i caricatori (con spese
di centinaia di migliaia di € e a fronte della forte
domanda di interventi in molte altre realtà caricate).
Tra la cultura dei Parchi e quella
degli alpeggi vi è ancora una forte distanza. Il Parco
Alpe-Veglia Devero organizza da diversi anni eventi
a tema 'pastorale' ma non si può fare a meno di osservare
che nella sua comunicazione gli aspetti 'naturalistici'
continuano a ricevere molta più attenzione degli alpeggi
(nonostante che il Museo dell'Alpeggio e l'itinerario
'Alpeggi senza confini' rientrino nell'ambito del Parco).
Anche fuori dalla Val Grande la rapida
'rinaturalizzazione' degli alpeggi viene vista come
occasione per estendere le aree wilderness lasciando
in ombra la perdita di biodiversità e di diversità bioculturale
che è associata a queste trasformazioni, che cancellano
i segni della presenza umana e riducono la varietà
degli habitat per le stesse specie selvatiche.
L'alpeggio come risorsa
L' atteggiamento da tenere nei
confronti degli alpeggi deve, in definitiva, distanziarsi
completamente dal preconcetto della 'realtà marginale'
da tenere in vita con la bombola dell'ossigeno quale
cartolina d'altri tempi e presepe. Gli alpeggi sono
una risorsa per l'economia locale rappresentando una
componente fondamentale di un autentico turismo 'sostenibile'
(o 'ecoculturale') e dell'economia basata sulla gastronomia
territoriale. La somma delle utilità
sociali (non traducibili in valori di nercato) legate
alla presenza di attività umane rispettose dell'ambiente
nelle 'terre alte' basterebbe comunque da sola
a giustificare un piano di interventi coordinati a favore
degli alpeggi fatto non solo e non tanto di elargizioni
finanziarie quanto di impegno continuativo di risorse
umane e basato su una vera attenzione e capacità
di ascolto di questa realtà.
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