(10.03.10) Boschi: tra l'incudine delle 'filiere energetiche' e il martello della 'non gestione'
(13.01.10) Biodiversità, boschi, energie rinnovabili. Tagliare non è peccato
leggi tutto
(21.09.09) Rumiz su
'La Repubblica' equipara l'avanzata del bosco sulle Alpi a una pestilenza
leggi
tutto
(05.09.09)
Lombardia. Nel ginepraio burocratico della normativa
forestale prevale sempre la cultura anacronistica della 'protezione del
cespuglio' leggi tutto
|
(16.03.10)
L'esame degli strumenti normativi in materia forestale
delle regioni alpine ordinarie rivela qualche timida
apertura legata alla presa d'atto della nuova realtà
di boschi che avanzano e soffocano la presenza antropica
in montagna
Le 'sacre piante'.
Il mondo rurale montano paga la combinazione di residui
di forestalismo buro-
poliziesco e di visioni ambientaliste urbane
Le
norme forestali si evolvono ma troppo lentamente e l'adeguamento
alla realtà è ostacolato da norme quadro nazionali
anacronistiche e da una ideologia forestalistica
dura a morire
Non è la prima volta che facciamo
osservare come le normative forestali (vigenti, non 'storiche') continuano a
rispondere all'esigenza di tutelare i boschi e di favorirne l'espansione.
Una ispirazione antistorica che
applicata nella realtà rurale e montana si traduce in una precisa, sia pure non
dichiarata, scelta antisociale, antirurale. Una
scelta politica, ovvero non neutra. Fortunatamente non siamo i soli a
sostenerlo; siamo in compagnia di Giorgio Conti dell'Università di Venezia e dello
scrittoree giornalista Paolo Rumiz (La grande ombra verde. Il richiamo
della foresta)
Gli interessi dominanti nella
società impongono spesso le loro scelte attraverso la tecnoburocrazia, le
corporazioni, gli esperti piuttosto che attraverso una dialettica
politica trasparente. Ma il carattere politico di scelte in
materie apparentemente 'tecniche' non è per questo diminuito.
Vale per la materia bosco ciò che
abbiamo già osservato per la materia faunistica 'La
politica della reintroduzione dei grandi carnivori sulle Alpi e su altri
massicci europei è un esempio di esproprio della politica'). Detto questo è
bene anche non fare di tutta un erba un fascio e analizzare cosa di nuovo si
trova nelle recenti normazioni della materia forestale delle regioni.
Analizziamo le recenti e
recentissime norme forestali regionali
Escludendo le provincie autonome che, beate loro, hanno
una reale potestà legislativa ed escludendo la Regione Veneto dove
solo da poche settimane è stato depositato un progetto di legge della Giunta
per rinnovare una legge forestale ferma al 1978, rimangono Piemonte e Lombardia.
La legge vigente di riferimento della Regione Lombardia è la 31 del 2008 (Testo
unico in materia di agricoltura e foreste) con il regolamento attuativo n. 1
del 19 gennaio 2010. In Regione Piemonte
la nuova normativa è rappresentata dalla legge regionale n. 4 del 10
febbraio 2009 (Gestione e promozione economica delle foreste) e dal
relativo regolamento n. 4 del 15 febbraio 2010 (approvato con decreto del
presidente della giunta regionale).
La portata delle
innovazioni è nettamente maggiore nel caso della Regione Piemonte. In
Lombardia la 'vecchia' legge forestale risaliva solo al 2004 e le modifiche non
sono state sostanziali.
Nell'esame prenderemo
in considerazione solo alcuni aspetti cruciali dal punt di vista della capacità
delle comunità rurali montane di 'respingere' l'assedio della foresta: 1)
trasformazione delle superfici a bosco; 2) pascolo in bosco; 3) sanzioni.
Vale la pena, però, fare un accenno ai principi dichiarati.
I principi
La
Regione Lombardia enuncia principi tanto generali e
omnicomprensivi da risultare in contraddizione tra loro.
Le norme forestali sono finalizzate [...]
alla conservazione, all'incremento e alla gestione razionale del patrimonio forestale e pascolivo, nonché allo sviluppo delle attività economiche che riguardano direttamente e indirettamente le superfici forestali.'
(L.R. 31/2008, Art. 40, comma 1). Come è
possibile conservare e incrementare al tempo stesso
le foreste e i pascoli? Le foreste hanno 'mangiato',
riprendendosele, dopo decenni o secoli, enormi superfici
a pascolo. E il bello è che stanno continuando a farlo.
Al comma 2. segue una dichiarazione di principio che
fa tutti contenti:
La Regione riconosce il rilevante apporto del settore agro-silvo-pastorale per la crescita economica e sociale, lo sviluppo del turismo e di altre attività ricreative, la fissazione di gas ad effetto serra, la produzione di beni e di servizi ecocompatibili, la protezione degli ecosistemi, la conservazione della biodiversità, la difesa idrogeologica, la salvaguardia del paesaggio e delle tradizioni culturali.
In
bilico tra una visione integrata della complessiva realtà
agro-silvo-pastorale e il classico forestalismo 'a compartimenti
stagni' al comma 4 si enuncia che la Regione [...] promuove e incentiva la gestione razionale e sostenibile delle risorse forestali attraverso lo sviluppo delle attività selvicolturali
[...]. Non viene recepito il principio che la gestione
della risorsa bosco può essere assicurata anche attraverso
l'attività pastorale. In passato era la multifunzionalità
(esemplificata dai pascoli arborati e dal pascolamento
degli arbusteti), poi la modernità e la società industriale
hanno imposto il monofunzionalismo (agricolturalismo
da una parte forestalismo dall'altra). Oggi si dichiara
di tornare ad ispirarsi alla multifunzionalità, ma poi...
Il successivo esame delle norme sul 'pascolo in
bosco' confermerà la mancata assunzione di una
visione realmente multifunzionale.
L'esposizione
dei principi viene completata dal comma 5 che indica
come obbiettivo prioritario della Regione (nelle aree montane e collinari):
' il potenziamento, la manutenzione, il miglioramento e il presidio delle aree agro-silvo-pastorali'
. Formulazione sommamente ambigua perché, come già ricordato,
il 'silvo' ha mangiato l' 'agro' e il 'pastorale' ed
è ipocrita ignorare che l'equilibrio si è sbilanciato
a danno dell'agropastorale e di un 'silvano' non
coltivato, abbandonato a sé stesso e oggetto di una
mistificatoria 'rinaturalizzazione'. Manca il coraggio
di affermare che il presidio da difendere è quello delle
tradizionali attività antropiche e degli insediamenti
umani e non di indifferenziate 'aree agro-silvo-pastorali'.
La
Regione Piemonte, che pure è di altro colore politico
(e dalla quale ci si sarebbe dovuti aspettare più compiacenza
per i 'verdi') si è dimostrata, invece, più innovativa
e coraggiosa della Regione Lombardia (a riprova che
la topografia politica 'tradizionale' non conta
più in vasti domini della politica reale).
Anche
la Regione Piemonte (L.R. 4/2009) assegna una pluralità
di funzioni alle foreste riconosciute: ' [...]
bene a carattere ambientale, culturale, economico e paesaggistico di irrinunciabile valore collettivo da utilizzare e preservare a vantaggio delle generazioni future
(comma 1 art. 1) e [...] quale risorsa di materie prime ed energie rinnovabili, per il loro apporto al benessere degli individui, per la protezione del territorio, della vita umana e delle opere dell'uomo dalle calamità naturali e per la tutela della biodiversità'.
A questa formulazione si richiama l'art. 17 che introduce
un elemento nuovo quale principio informativo dell'intervento
regionale in materia forestale: ' la Regione promuove interventi diretti allo sviluppo e al
miglioramento del patrimonio forestale pubblico e privato, alla prevenzione e
al contrasto dei fenomeni di abbandono, di degrado e di dissesto'. Non
c'è più più solo 'dissesto', concetto introdotto
sin dalla legislazione del XIX secolo per imporre pesanti
vincoli forestali alle attività agropastorali, c'è il
riconoscimento che l'abbandono non rappresenta un fenomeno
positivo (come ritenuto dai 'verdi') e, anzi, va contrastato
attraverso una gestione attiva.
Definizione di bosco,
trasformazione del bosco
Ai
sensi della citata legge forestale della Regione Lombardia
sono considerati bosco (art. 2):
a) le formazioni vegetali, a
qualsiasi stadio di sviluppo, di origine naturale o artificiale, nonché i
terreni su cui esse sorgono, caratterizzate simultaneamente dalla presenza di
vegetazione arborea o arbustiva, dalla copertura del suolo, esercitata dalla
chioma della componente arborea o arbustiva, pari o superiore al venti per
cento, nonché da superficie pari o superiore a 2.000 metri quadrati e larghezza
non inferiore a 25 metri;
b) i rimboschimenti e gli imboschimenti; c) le aree già boscate prive di copertura arborea o arbustiva a causa di
trasformazioni del bosco non autorizzate.
Trattasi di definizione chesegue
quanto previsto dalla normativa quadro statale (commi 1, 3 e 6, del
decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 ). La Regione Piemonte all'art. 3
della sua legge forestale cita direttamente la norma
statale senza nepure riportare la definizione. Non bisogna
essere specialisti per capire che classificare 'bosco'
un terreno coperto per il 20% da vegetazione arbustiva
'a qualsiasi stadio di vegetazione' corrisponde a porre
sotto tutela ciò che solo con il tempo sarà bosco, ovvero
favorrirne l'avanzamento. E' una norma che mira
ad espandere il bosco ed era giustificata in altre epoche
storiche. La Regione Piemonte, però, limita questa previsione
stabilendo che (comma 4 dell'art. 3): 'La
colonizzazione spontanea di specie arboree o arbustive su terreni
precedentemente non boscati dà origine a bosco quando il processo è in atto da
almeno dieci anni'. Un proprietario pubblico o privato ha tempo dieci
anni per 'salvare' il prato o il pascolo. Per la
Regione Lombardia gli anni in questione sono solo cinque (comma
5. art.2). Una bella differenza. Ma cosa succede quando
passano i 5 o 10 anni?
Da
questo punto di vista, fatto salvo il principio generale
che 'Gli interventi di trasformazione del bosco
sono vietati' (art. 43) la Regione Lombardia prevede la possibilità di autorizzazioni, rilasciate dalle province, dalle
comunità montane e dagli enti gestori di parchi e riserve regionali, per il
territorio di rispettiva competenza 'compatibilmente con la conservazione della
biodiversità, con la stabilità dei terreni, con il regime delle acque, con la
difesa dalle valanghe e dalla caduta dei massi, con la tutela del paesaggio,
con l'azione frangivento e di igiene ambientale locale'. In montagna e in collina
le autorizzazioni sono concesse a fronte di compensazioni
(miglioramento della viabilità forestale, riqualificazione
dei boschi esistenti). Se gli interventi sono finalizzati
alla realizzazione di viabilità forestale, opere di
ingenieria naturalistica, conservazione della
biodiversità o del paesaggio e presentati da aziende agricole e forestali, finalizzati all'esercizio
dell'attività primaria in montagna e in collina, vi è l'esenzione dalle
compensazioni. Finalmente delle norme che vengono
incontro alle esigenze della vita rurale in montagna
si direbbe. La realtà è un'altra.
Le
autorizzazioni sono subordinate a delle sostanziali
limitazioni. La trasformazione può essere autorizzata
dai PIF (piani di indirizzo forestale) degli enti delegati
(provincie, comunità montane, parchi) che (art. 43,
comma 4): delimitano le aree in cui la trasformazione può essere
autorizzata; definiscono modalità e limiti, anche quantitativi, per le
autorizzazioni alla trasformazione del bosc. Di più:
In mancanza o alla scadenza dei piani di indirizzo
forestale, è vietata la trasformazione dei boschi d'alto fusto non autorizzata
dalla provincia territorialmente competente; l'autorizzazione può essere
concessa, dopo aver valutato le possibili alternative, esclusivamente per: a) opere di pubblica utilità;
b) viabilità agro-silvo-pastorale; c) allacciamenti tecnologici e viari agli edifici esistenti;
d) ampliamenti o costruzione di pertinenze di edifici esistenti;
e) manutenzione, ristrutturazione, restauro e risanamento conservativo di
edifici esistenti purché non comportino incremento di volumetria e siano
censiti dall'agenzia del territorio.
Considerata
la scarsa propensione di Provincie e Comunità Montane
(figuriamoci quella dei Parchi) a prevedere le trasfomazioni
e la complessità delle pratiche autorizzative la possibilità
di invertire il processo di espansione dei boschi è
più teorica che pratica. Qui ci sarebbe da aprire una
parentesi sul potere discrezionale dei tecnici che redigono
i piani ma meglio tornarci un'alttra volta.
Simili
le previsioni della Regione Piemonte che però non
prevede un diverso regime per la montagna pur esonerando
dalle compensazioni gli interventi eseguiti ai fini
del miglioramento della biodiversità e del paesaggio
e del ripristino delle coltivazioni tipiche (si
nota l'attenzione per i vignaioli).
Pascolo in bosco
La
nuova legge forestale della Regione all' art. 57 prevede
la possibilità di pascolo in bosco entro limiti molto
ristretti:
[...] E` vietato il pascolo nei boschi in rinnovazione, nelle fustaie disetanee o irregolari, nei boschi di neoformazione sino allo stadio di perticaia e in quelli percorsi dal fuoco da meno di dieci anni; in detti soprassuoli è altresì vietato far transitare o comunque immettere animali al di fuori della viabilità presente.
[...]
Il pascolo delle capre all’interno dei boschi è vietato, salvo specifica previsione dei piani di indirizzo forestale o autorizzazione rilasciata dall’ente forestale ai sensi dell’articolo 51, comma 4, della l.r. 31/2008, comunque nel rispetto del divieto di cui al comma 2 del presente articolo
Su
questo punto la legge della Regione Piemonte è molto
più avanzata. All' art. 56 oltre a consentire
il pascolo
nei boschi coetanei, quando la rinnovazione abbia raggiunto un diametro medio maggiore
di 10 centimetri, lo ammette anche '
nell’ambito dei sistemi silvo-pastorali, purchè vengano preservate le aree in
rinnovazione, all’interno delle seguenti categorie
forestali: 1)
lariceti; 2)
boscaglie d’invasione; 3)
arbusteti montani e subalpini; 4)
castagneti da frutto; 5)
querceti di roverella'. In più in deroga a quanto sopra il pascolo in bosco è consentito
sulle superfici specificamente individuate
nei piani forestali aziendali o nei piani pastorali aziendali a tal fine approvati dalla struttura
regionale competente in materia forestale. Peccato che, in ossequio ai vecchi
pregiudizi, 'in tutti i boschi è vietato il pascolo
caprino ad eccezione di una fascia della profondità
di 10 metri lungo la viabilità'.
Il
demandare a piani aziendali l'individuazione caso per
caso e nella concerta realtà territoriale la possibilità
dell'esercizio del pascolo in bosco e il riconoscere
che alcune tipologie forestali e, soprattutto, le boscaglie
d'invasione sono compatibili con il pascolo (come si
è praticato storicamente da millenni) rappresenta un
aiuto concreto ai ruralpini che intendono continuare
a presidiare la montagna combattendo ad armi un po'
meno impari di prima con il bosco che avanza.
Sanzioni
Da due secoli a
questa parte lo Stato ha spesso per il montanaro il volto della Polizia
Forestale, pronta a irrogare sanzioni per la violazione dei tanti divieti. Le
nuove norme forestali non cancellano questo retaggio. Intanto notiamo nella
legge della Regione Lombardia (art. 61) che le funzioni di vigilanza e di
accertamento delle violazioni relative all'attuazione del presente titolo sono
esercitateoltre che dal corpo forestale regionale, dal corpo forestale dello
Stato, dalle guardie dei parchi regionali, dalle guardie boschive comunali,
dagli agenti della polizia locale anche alle guardie ecologiche volontarie
(previa frequantazione di 'corsi'). E' una previsione vissuta come
vessatoria dai montanari che non accettano che alla tradizionale Polizia si
affianchi un personale poco preparato e spesso motivato ideologicamente.
Se si avanzasse la
proposta di Guardie contadine o rurali cosa direbbero i 'benpensanti'?
Che si introduce una 'polizia di parte'. E le Guardie ecologiche cosa sono?
Solo che vige tutt'oggi il dominio coloniale della citta sulla montagna e
valgono due pesi e due misure. Ma vediamo le sanzioni, con qualche esempio.
Per ogni trasfromazione non autorizzata del 'bosco' (definito come sopra,
ricordiamocelo!) si applica una sanzione da euro 105,57 a
euro 316,71 per ogni 10 metri quadrati o frazione di superficie (simile in
Piemonte). In caso di danneggiamenti taglio o sradicamento di piante la regione Piemonte
prevede una sanzione da due a
dieci volte il valore delle piante. La Regione Lombardia,
invece, nel caso di danni a singole piante manifesta un
vecchio spirito poliziesco. Riportiamo sotto il prontuario delle sanzioni.
Sanzioni per il danneggiamento di
singole piante, di cui all'articolo 23, commi 5 e 6
|
|
Classi diametriche (in cm a 1,30
m di altezza)
|
GRUPPO
BOTANICO
|
Piccole
|
Medie
|
Grandi
|
Eccezionali
|
20-25-30-35-40
|
45-50-55-60-65
|
70-75-80-85-90-95
|
100 e oltre
|
Gimnosperme a
crescita lenta: Pinus
cemrbra, Pinus uncinata, Taxus baccata
|
€
175,00
|
€
375,00
|
€
625,00
|
€
1.000,00
|
Altre Pinacee, Cupressaee
|
€ 125,00
|
€ 275,00
|
€ 4,50,00
|
€ 700,00
|
Acer, Castanea, Fagus, Fraxinus,
Juglans, Plntamus,
Prunus avium, Quercus, Tilia, Ulmus
|
€
200,00
|
€
400,00
|
€
675,00
|
€
1.100,00
|
Almus, Benda,
Carpinus, Celtis, Crataegus, Ilea, Morus, 0stiva, altri
Prumus, Populus, Robinia, Salix Sorbus e altre Angiosperme
autoctone
|
€
125,00
|
€
325,00
|
€
575,00
|
€
975,00
|
Acer negundo, Ailantus altissima, Prunus serotina e altre
specie esotiche non contemplate oppure inserite
nell'elenco di specie vietate
di cui all'articolo 11, comma 5, lettera e)
|
€
11,50
|
€
23,00
|
€
34,50
|
€
46,00
|
Il taglio di piante
infestanti ed esotiche di valore nullo dovrebbe essere premiato non sanzionato.
Concludiamo
con delle considerazioni: un tempo venivano concessi premi a chi uccideva i
lupi, per esempio gli Statuti civili del Contado di Bormio, vigenti fino al
1797, recitano al capitolo 216:
Cattura di lupi Item si stabilisce: chiunque catturi, in tutto il
territorio di Bormio, lupi grandi e piccoli dovrà ricevere dal Comune quaranta
soldi per ogni lupo grosso e cinque per ogni piccolo, purché tali lupi vengano
consegnati agli ufficiali. La pelle di essi resterà a chi li ha catturati, le
pelli invece dei lupi cervieri [linci?]
andranno al Comune. Si aggiunge dai signori a richiesta dei rappresentanti del
Comune che invece di quaranta soldi la ricompensa sarà di quattro lire.
Oggi chi uccide un lupo
rischia la galera. Le cose cambiano ma perché cambiano solo in certe direzioni? Oggi le piante sono
sin troppe e si dovrebbe premiare chi le distrugge. Perché la pecora sbranata
dal lupo viene pagata a prezzo di mercato (tot a peso carne) e l'offesa
alla 'sacra pianta' riceve una sanzione per senza rapporto con il valore
di mercato.
Perché si offende lo
Stato, una struttura di potere in cui la 'tutela' del lupo e della pianta
- e il potere sanzionatorio ad esse associato - sono connaturate al potere
dello Stato stesso e della città sulla campagna, sulla montagna, lo sanciscono,
lo ribadiscono, lo mantengono e lo rafforzano. Il montanaro, la pecora, il
pascolo scontano la debolezza della montagna nella struttura di potere della
società. Ma la consapevolezza di questa struttura di
potere colma già in parte il gap.
|
|