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Inforegioni/ Olivicoltura alpina: è boom 

 

  

 

 

 

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(18.02.01) Confinata sino a non molti anni fa sul Garda e, in tono minore, sul Sebino, il Lario, e alcune nicchie del triveneto, l'olivicoltura prealpina e alpina sta interessando diverse nuove aree in tutte le regioni. Alla Valtellina il primato degli oliveti più nordici (in Italia).

Sotto le vette innevate delle Alpi sempre più olivi

L'espansione dell'olivicoltura (sia a livello amatoriale che imprenditoriale) interessa ormai tutte o quasi le province dell'Arco Alpino. Un movimento sostenuto dal prestigio che un olio extra-vergine di alta qualità conferisce ad aziende e ai 'panieri territoriali' ma che, al di là di qualche snobismo, è contraddistinto dalla voglia di recuperare terreni già intensamente coltivati e lasciati ai rovi, di creare piccole filiere di qualità e di 'socializzazione rurale'. Un movimento ruralpino insomma.

 

La gara all'oliveto più a Nord, che ha visto contendersi la 'palma' tra Trentino e Lombardia, è ormai superata.  L'oliveto più settentrionale al mondo non è nemmeno in Germania (dove sono in atto alcuni impianti) ma  si trova nel Galles settentrionale, sulle coste a Nord dell'isola di Anglesey dove, grazie ad un progetto Leader sul cambiamento climatico, qualche anno fa, nel 2007, è stato impiantato il primo oliveto destinato alla produzione commerciale del Regno Unito. Una scommessa sul cambiamento climatico in atto messa in atto dopo un'accurato studio del microclima. Prima che si possa parlare di regolare e continuativa maturazione delle olive e di produzione di olio, però, ce ne corre...

In ogni caso, se facciamo fatica ad adattarci all'idea dell'olio extra-vergine gallese (siamo alla latitudine di Liverpool per intenderci) o germanico non è stato neppure stato facile accogliere l'idea dell'espansione dell'olivicoltura alpina in Valtellina, in Valle d'Aosta, in alcune plaghe del Piemonte. Molti sono ancora scettici e considerano l'interesse intorno all'olivo una 'moda'.

Non aiuta ll vezzo  dei nouveau riche che piantumano nei giardino della villa vetusti alberi secolari trafugati dalla Puglia (c'è un racket) per farli intristire in un clima non acconcio. Una moda botanica che si innesta su quel 'filone' deleterio che un secolo fa vedeva furoreggiare i palmizi brianzoli. Però sui laghi, in alcune plaghe collinari, persino sulle sponde solatie delle valli alpine, le condizioni per far crescere l'olivo ci sono. Terreni sciolti, riparo da venti freddi, buona luminosità, 'volano' termico delle masse d'acqua lacustri. Non sono pochi i microclimi adatti a Sud delle Alpi.

La produttività nelle nuove zone di reintroduzione dell'olivo è comunque molto bassa (5-10 kg per pianta), un fattore legato alla forte presenza di piante di giovane età (ci vogliono almeno 10 anni se non di più per raggiungere una buona produzione) ma anche ai fattori climatici limitanti. Basse sono anche le rese in olio (12-13%), un fattore legato, però, anche alla ricerca di una elevata qualità ottenuta applicando regole molto severe nella raccolta.

 

Nuovi frantoi e nuovi impianti

 

La diffusione dell'olivicoltura in nuovi ambiti territoriali è testimoniata dalla apertura di nuovi frantoi. Nel 2008 è stato inaugurato il frantoio di Vialfrè, in provincia di Torino, che opera la molitura di olive piemontesi e valdostane. Anche queste regioni (le uniche che mancavano all'appello) sono diventate regioni oleicole. Il panorama è in movimento anche in Veneto e FVG (dove la zona triestina rappresenta un territorio molto vocato, con la Dop Tergeste che affianca quelle 'Garda' e ' Laghi Lombardi' Sebino e Lario). Di seguito ci occuperemo delle nuove zone di coltivazione dell'olivo in area lombarda.

Sul Lario, da qualche anno, è entrato in funzione a Bellano (LC) un frantoio 'professionale' realizzato per volontà della Comunità Montana della Valsassina presso l'Az. Agr. Poppo che si è aggiunto allo storico frantoio Vanini di Lenno (sulla sponda comasca). Possono conferire tutti i produttiori delle provincie di Lecco, Como e Sondrio. Le regole di conferimento sono severe: niente sacchi, solo cassette finestrate. Il frantoio offre il servizio di imbottigliamento. Il costo della molitura nel 2009 è stato fissato in € 20/quintale. Dal frantoio, l’olio viene ritirato sfuso dai produttori che lo auto consumano, mentre per quelli che lo commercializzano l'olio esce già in bottiglia, grazie al servizio di imbottigliamento offerto dal frantoio. L’olio DOP viene venduto a 28 € al litro in bottiglie da 0,5 l e 0,75. Molto interessanti anche le confezioni da 0,1 l. proposte per la ristorazione locale.

A Bellano, che si trova sulla sponda orientale lecchese, vengono molite olive per circa 1.000 q.li ma il trend è in aumento. Questo frantoio ha contribuito a stimolare la crescita dell'olivicoltura sulla sponda orientale del Lario. In provincia di Lecco troviamo, non a caso, anche un comune con il nome di Oliveto Lario, che conta diverse migliaia di piante d’olivo.

Sul Lario opera ormai da un trentennio l’Associazione Interprovinciale dei Produttori Olivicoli Lombardi (A.I.P.O.L - www.centrovitivinicoloprovinciale.it/aipol  e-mail: aipol@libero.it ) che fornisce assistenza tecnica specializzata ai propri associati, attualmente 150 aziende che coltivano circa 15.000 olivi. L’associazione collabora fattivamente anche con il Consorzio di tutela della Denominazione d’origine Protetta (D.O.P.) Laghi Lombardi, che garantisce la provenienza locale e l’alta qualità dell’olio prodotto sulle sponde del lago di Como, grazie ad un rigido disciplinare di produzione.  Attualmente sono 12 le aziende che producono olio certificato DOP Laghi lombardi, con la sottodenominazione Lario.

A Perledo, paese a monte di Bellano, e 'cuore' dell'olivicoltura lariana orientale, dal 1998 è attiva l'associazione  Oliper, che oggi comprende produttori di tutto il bacino lariano (www.oliper.net) e che si propone di 'promuovere la coltura e la cultura dell'olivo organizzando attività tecniche e culturali'. Ne è entusiasta presidente Luigi Conca che ci racconta come siano molti i soci che stanno piantando nuovi olivi; spiega anche come, recuperando vecchi terreni rimboschiti, si trovano vecchie piante (ormai morte) certamente secolari.  Sul Lario (come ovunque) i produttori e gli appassionati estimatori dell'olio si fanno un punto d'orgoglio nel dimostrare che gli oliveti, anche quando scomparsi, hanno un blasone storico. Nel caso del Lario è il poeta Claudiano, del IV secolo d.c., che descrive le sponde lariane come circondate da dense fasce di oliveti (Plinio nativo di queste sponde, invece, stranamente non ne parla). Sul Lario come sul Ceresio e il Benaco vi è una ricca documentazione a partire dall'epoca longobarda che ci informa di una diffusa coltura olivicola (finalizzata non tanto all'uso alimentare quanto all'uso illuminante per le lampade votive).

In ogni caso, a conferma di una tradizione colturale radicata, nella zona di Perledo - oltre alle cultivar 'canoniche' previste dalla Dop (Frantoio, Casaliva e Leccino) - sono presenti varie cultuivar autoctone tra cui la Bolgegna (ammesse nella misura max del 20%).   A Bellano conferiscono 9 aziende agricole inserite nella Dop Laghi Lombardi-Lario, insieme a decine e decine di piccoli produttori 'amatoriali'. Uno dei produttori Dop opera a Galbiate sul Lago di Annone e rappresenta il primo olio Brianzolo (ma con l'estensione dell'area Dop potrebbero aumentare). Va precisato che oltre alla Comunità Montana della Valsassina anche quella del Lario Orientale (ora fusa con quella della Val San Martino) è da tempo impegnata a sostegno dell'olivicoltura. Fuori dalle zone 'nuove' va invece ricordata l'opera dell'esperto olivicolo Giandomenico Borelli che ha seguito a far tempo da oltre 4 lustri il rilancio dell'olivicoltura nella Comunità Montana dell'Alto Lario Ocidentale e poi in tutto il bacino lariano e anche oltre.

 

Valtellina nuova frontiera

 

Ma è verso Nord che ci sono le novità più interessanti, con la confluenza verso il frantoio di Bellano di parecchi piccoli produttori Valtellinesi. Alcuni non sono poi così piccoli avendo già - i più grossi - 400 piante in produzione. In totale le piante valtellinesi sono già 5.000 distribuite sul versante retico (esposto a Sud) dalla Costiera dei Cek - di fonte a Morbegno - e, verso Est, sino a Teglio. L'olivicoltura valtellinese (ma forse non si può ancora chiamarla così) è un po' uno specchio della neo-olivicoltura alpina: c'è chi (professionisti, imprenditori) ostenta il proprio oliveto come elemento di prestigio e si fa un vanto di poter regalare a Natale il proprio olio, ma c'è anche una dimensione 'comunitaria' nello spirito dell'agricoltura 'civica' diffusa oltreoceano. Questa componente del 'movimento olivicolo' è rappresentata dall'esperienza dell'associazione More maiorum (dal latino: secondo il costume dei 'vecchi' http://www.moremaiorum.org/) fondata nel 2005 e operante in quel di Berbenno con lo scopo di ripristinare il territorio, ormai abbandonato recuperando i vecchi vigneti, divenuti nel frattempo boschi, non solo rispolverando l'antica vocazione con la coltivazione del Nebbiolo di montagna (Ciavenasca)  ma anche piantando gli olivi sugli antichi terrazzi vitati  e sperimentando - con l'applicazione del metodi di agricoltura biodinamica - anche piccole coltivazioni erbacee come segale, saraceno, orzo, mais, lenticchie, ceci. In ogni caso sono già una trentina i produttori tra piccoli e piccolissimi che dalla Valtellina portano le loro olive sul Lago di Como al frantoio di Bellano. Anche la Valtellina vanta precedenti storici. L'olivicoltura è stata presente nel medioevo in corrispondenza dell'optimum climatico (sino al XIV-XV secolo).

 

Parchi civici dell'olivo, sentieri, musei: l'olivo è motore di cultura

 

Spostiamoci ora su altri laghi lombardi: il Ceresio, quello di Varese e quello Maggiore. Ovunque fervono iniziative. A Gandria sul Ceresio, in comune di Lugano, esiste un interessante esempio di 'multifunzionalità'. L'oliveto ha finalità paesaggistiche, educative, culturali, turistiche. I rinvenimenti archeologici (vecchie anfore olearie), i documenti medioevali  e la presenza di antiche piante testimoniano la realtù antica e costante nel tempo dell'olivicoltura in questo lembo di Lombardia elvetica che rappersenta, per ora, un caso unico in Svizzera. Il Parco dell'olivo e il Sentiero dell'olivo si snoda tra Castagnola (oggi un quartiere all'estremità Est della città) e Gandria attraversando una zona dove esistono i resti di antichi oliveti e dove sono state realizzati i nuovi impianti. Il percorso è arricchito da 18 tavole che informano sulla storia, la botanica e la coltivazione dell’olivo, nonché sui suoi prodotti (olive, olio). Il sentiero dell’olivo è stato progettato dall’associazione 'Amici dell’Olivo' in collaborazione con il Fondo SNAG (per il sito naturalistico e archeologico di Gandria www.sirssu.ch/fsnag ), che fa parte della Fondazione della Svizzera italiana per la ricerca scientifica e gli studi universitari. Anche in Svizzera, però, alcuni produttori (tra cui noti imprenditori vitivinicoli dell'importante area di vigneti del Mendrisiotto) stanno iniziando a sviluppare una produzione commerciale. Per ora a scopi prevalentemente promozionali (legati alla produzione enoica) ...ma intanto.

Da Mendrisio a Varese (un tragitto molto breve per la verità). In comune di Varese gli olivi sono attestati da secoli ma erano andati quasi scomparendo. Da qualche anno un gruppo di agricoltori part-time o 'amatoriali' ha iniziato a tornare ad abbellire le terrazze degradanti verso il lago con gli oliveti. Sono ormai 2.000 le piante a Varese ed è nato anche L'olio di Varese che, in realtà, si chiama 'di Sant'Imerio'.

 

L'olivo è motore di solidarietà e socialità

 

Il perché è interessante ed emblematico. Don Pietro Giola, parroco di Bosto, piantò in auspicio di pace una piantina presso la chiesa di Sant'Imerio quando imperversava la guerra in Bosnia. La pianta, insieme a molte altre, ha fruttificato e ogni anno si celebra in occasione della festività di Sant'Imerio il 29 gennaio la 'Festa dell'olio e della solidarietà'. Ill ricavato della vendita delle bottiglie è destinato ad opere di beneficienza. Le olive selezionate con cura e portate al frantoio Vanini di Lenno (CO) provengono da ogni parte della provincia: da Varese e Casbeno prevalentemente, ma anche da Castronno, Arcisate, Ferrera, Bobbiate, Cassano Magnano, Busto Arsizio, e inoltre da Legnano e Busto Garolfo in provincia di Milano. La produzione, però, di anno in anno (con le inevitabili fluttuazioni) tende a crescere e i produttori si sono costituiti in Associazione produttori olio di Sant'Imerio; fermamente intenzionati a mantenere la tradizione della vendita per beneficienza, pensano, però, di commercializzare il surplus. Intanto il Comune di Varese ha in cantiere la realizzazione di un Parco civico dell'olivo, un area a verde pubblico che verrà sistemata ad oliveto con la possibilità per i cittadino di raccogliere le drupe e, per le scolaresche, di svolgere attività didattiche sul tema. Terminiamo la nostra escursione olivicola sul lago Maggiore, quello dove la presenza dell'ulivo nel paesaggio è ancora marginale. Anche qui però, come ci raccontano le numerose opere ottocentesche di descrizione del Verbano (allora primaria destinazione turistica internazionale) pur non essendoci grandi oliveti il paesaggio, su entrambe le sponde, era contrassegnato da una fitta presenza della pianta. Frà Paolo Morigia nel 1603, nel suo 'Historia e della nobiltà et degne qualità del Lago Maggiore' illustrando la zona di Verbania ed in particolare il Monterosso, collina che sovrasta l’attuale città, lo descrive come '… vestito e rivestito di viti, lauri, ed olivi…'. Anche qui non sono mancati pionieri (o 'profeti') dell'olivo che hanno provveduto a ripristinare una piccola ma significativa presenza della coltivazione. Tra questi corre l'obbligo segnalare Angelo Sommaruga che, proprio sulla collina sopra Verbania, ha impiantato un uliveto con 200 piante. Ma non è il solo. Sommaruga spiega che c'è una 'fascia di nessuno' tra l'ambito urbanizzato e il bosco dove, in assenza di 'gestione verde' piante come la robinia tendono ad invadere i terreni e a banalizzare il paesaggio. Così come altrove sul Lario e in Valtellina la sistemazione a oliveto, sulla spinta di motivazioni anche extra-economiche, può 'salvare' le vecchie terrazze e i terreni minacciati da rovi e robinie. Un modo non solo per curare l'aspetto estetico del paesaggio ma anche per favorire la regimazione delle acque e la stabilità dei versanti degradanti sul lago. Si realizza anche qui una piccola produzione di 'olio extravergine del Verbano', nelle sue brave bottigliette. L'offerta, come prevedibile, non riesce a stare dietro alla domanda che coincide in prevalenza con la ristorazione di fascia elevata.

 

Abbinamenti gastronomici e rinascita rurale

 

Qualcuno si sarà chiesto perché tanto interesse per l'olivo e l'olio da parte di chi è notoriamente appassionato di formaggi e animali lattiferi (in primis caprini). La prima ragione può essere cercata nell'importanza dell'utilizzo di un ottimo olio extra-vergine di oliva per condire i formaggi caprini.

Provate un olio qualsiasi su un caprino artigianale e l'ammazzate.

Queste 'fisime' di abbinamenti non sono un'invenzione 'moderna': la conservazione sott'olio dei caprini e il loro consumo con olio, pepe, sale, erbe rappresenta una tradizione radicata che semba 'moda' ma è solo un ritorno. Nella zona lariana e dell'alta Brianza erano disponibili localmente entrambi i prodotti e il 'matrimonio' è frutto di un lungo collaudo. La seconda ragione è legata alla prima: la rinascita rurale non può essere ottenuta con le monocolture ma con le policolture integrate il più possibile con gli allevamenti (la pecora che diserba gli oliveti - ovviamente con piante ben sviluppate era comune sulle 'fasce' liguri). Gli abbinamenti a tavola tra i vari prodotti consentono di valorizzare reciprocamente le produzioni del territorio, di arricchire l'offerta dei panieri locali aumentandone il pregio e i prezzi spuntati dai produttori che così possono operare anche se scale ridotte, in contesti poco meccanizzabili, su pendii e terrazzamenti.  Da qui una ruralità vitale che produce paesaggio e dinamiche(proposte culturali, turistiche, gastronomiche. Che contribuisce all'attrattività turistica e ... il ciclo virtuso è innescato.

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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