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 Nella comunicazione del Consorzio e delle ditte aderenti ci si rifà ad immagini di vette innevate, boschi e pascoli fioriti.

Si vende un'immagine che non c'entra nulla con il prodotto, senza contare che la politica industrialista in campo agroalimentare ha contribuito a livello locale a mettere in crisi proprio quei comparti che mantengono la montagna viva e le autentiche tradizioni di produzione e trasformazione alimentare.

 

 

(18.11.09)  L'immagine industriale della Bresaola IGP e il crescente interesse degli allevatori per le trasformazioni aziendali e le filiere corte spingono alla diffusione delle bresaole artigianali fuori dalla Valtellina

 

Ombre sul business alimentare principe della provincia di Sondrio

 

La tecnica di conservazione della carne mediante l'utilizzo del sale e dell'essicazione in ambienti naturali a giusta ventilazione e temperatura è largamente diffusa sull'arco alpino (dalla Valle d'Aosta al Friuli).  Si utilizzavano varie specie animali e i più svariati tagli di carne.  Nell'ambito di queste produzioni la Bresaola è assurta a grande popolarità, tanto che oggi sono ben 16 le imprese di medie e grandi dimensioni (compresi i big dell'industria salumiera nazionale) che aderiscono al Consorzio della Bresaola Valtellina IGP.

A queste imprese se ne aggiungono altre di dimensione più piccola (con produzioni di qualità molto variabile). Sono fuori dal Consorzio alcuni artigiani tra i più qualificati che operano in Valchiavenna. Questi ultimi rivendicano - con buon fondamento - per la propria valle il merito di aver, se non inventato, quantomeno portato a perfezionamento e notorietà questo prodotto.  

E' certo che prima della fase di industrializzazione della produzione (risalente ad una trentina di anni orsono) l'immagine della Bresaola (o Brisaola come si preferisce chiamarla a Chiavenna) era legata alla valle che porta al giogo dello Spluga e ai suoi giustamente famosi Crotti (per saperne di più si veda: G. SCARAMELLINI, E. PIFFERI, I crotti di Valchiavenna, Bergamo, 1993). I crotti sono cavità naturali formatesi sotto i massi di antiche frane da cui spira il 'sorel', una corrente d'aria a temperatura costante, fresca d'estate e tiepida d'inverno, che rende l'ambiente ideale per la maturazione del vino e la stagionatura di salumi ed insaccati. Nell'epoca in cui non esistevano locali a temperatura e umidità controllate (le 'celle') questa risorsa naturale del territorio ha giocato un ruolo chiave nella nascita della Bresaola. Nella comunicazione del Consorzio e delle major della Bresaola si preferisce ricordare che: 'La produzione di bresaola ha legato il proprio nome alla Valtellina grazie alle caratteristiche climatiche che caratterizzano questa valle alpina, ideali per il processo di stagionatura'. E' un po' come per il Bitto, il Consorzio richiama solo gli alpeggi con i loro fiorellini e l'aria pura e glissa sul fatto che il Bitto è nato per precisi motivi nelle Valli del Bitto e non ... in Valchiavenna o in alta Valtellina.  Inutile dire che il riferimento al clima non spiega perché la Bresaola non sia nata in altre valli alpine senza contare che appare un riferimento ingannevole oggi che, con l'uso di celle climatizzate, si può fare Bresaola ovunque.

 

 

L'industrializzazione

 

Il grande 'salto' della Bresaola da prodotto tradizionale reperibile solo nelle zone di produzione a prodotto di massa è stato possibile grazie al passaggio all'utilizzo (a partire dagli anni '70) di cosce congelate di origine sudamericana. In precedenza, nonostante la Rigamonti avesse iniziato una produzione semi-industriale sin dal 1959 nei laboratori di Montagna, la Bresaola era rimasta un prodotto artigianale, frutto del lavoro di tanti piccoli macellai. L'accesso all'import, alle grandi partite di carne sudamericana all'ingrosso ha consentito agli industriali di operare una forte concorrenza sul prezzo che ha spiazzato molti piccoli macellai . Solo neglio anni '90, però, si ebbe un vero e proprio boom, con l'accesso a materia prima più a buon mercato, forti investimenti pubblicitari e l'aumento della scala produttiva. In tutto ciò il ruolo della carne zebuina appare cruciale.

In occasione delle polemiche suscitate dalla introduzione di restrizioni e controlli da parte della UE alla importazione di carne brasiliana Emilio Rigamonti (amministratore delegato della Rigamonti Salumificio s.p.a.) sosteneva la qualità dello Zebù (Bos indicus, quello con la gobba per intenderci).

 

'Sono ormai decenni che acquistiamo carne brasiliana e il motivo è semplice: solo quella va bene per il nostro prodotto. Quella italiana ed europea sono troppo grasse. E poi bisogna ricordare che lo zebù è un bovino come gli altri. Ha solo quel nome strano, che richiama Belzebù... ' (La Repubblica, 31.01.2008).

 

In realtà quello che dice l' a.d. non è del tutto vero: inizialmente si utilizzava la più pregiata carne Angus argentina da pascoli temperati, poi si è passati ad utilizzare la più economica carne di Zebù (e incroci). Più economica perché ottenuta mettendo a pascolo grandei estensioni rubate alla savana e alla foresta sub-tropicale in ambienti dove le razze europee (in specie l'Angus nera e dalla zampe corte) si trovano a mal partito. Lo Zebù resiste meglio alla radiazione solare, è 'sgambato' così da non procurare ferite alla mammella delle fattrici a causa delle erbe tropicali di grande taglia e dalle rigide lamine fogliari taglienti. Resiste meglio anche alle malattie parassitarie dell'ambiente sub-tropicale e tropicale. Però la carne è dura, non ci sono santi.

Nella valutazione della qualità delle carni la percentuale di 'sangue' zebuino è molto importante e, nelle transazioni, deve essere dichiarata. Il fatto è che per diversi motivi  ( uno dei quali la maggior presenza della calpastatina, un complesso enzimatico che agisce inibendo i processi proteolitici post mortem a carico della complessa struttura delle proteine del muscolo) la carne zebuina è meno tenera, più tigliosa e solo i processi di congelamento e scongelamento e i trattamenti tecnologici in bresaolificio tendono a 'smollarla'.  La carne congelata sudamericana importata attualmente condiziona con i suoi caratteri di minore succulenza (legata all'eccessiva magrezza) e di minore tenerezza la qualità del prodotto finale come può constatare chiunque metta a paragone la bresaola industriale con quelle artigianali. Non è un mistero che tra i giudizi emessi 'a carico' della Bresaiola industriale vi sono quelli tipo 'plasticosa', 'un cartone'. Però l'industria (non solo quella della Bresaola) è abilissima nel fare di caratteristiche dei prodotti legate ai  propri vantaggi altrettante virtù.  

La carne brasiliana ha il merito di essere molto economica e di prestarsi bene alla lavorazione industriale finalizzata ad un prodotto dal profilo organolettico mediocre.

Si parla a proposito di 'qualità tecnologica', altra dalla 'qualità per il consumatore'.

Vi è un altro aspetto che va considerato oltre allo Zebù: della coscia vengono usati solo alcun tagli che per magrezza, dimensione, incidenza ridotta di scarti, tempi di lavorazione ridotti, standardizzazione ben si prestano alla lavorazione industriale. In particolare si utilizza la punta d'anca e, in minore misura, il magatello mentre lo stesso disciplinare consentirebbe l'uso di 5 tagli. Gli artigiani fedeli alla tradizione utilizzano la noce, un taglio più marezzato (diffusa presenza di un reticolo di venature di rasso) che consente di confezionare bresaole di grossa dimensione poco adatte al processo industriale (ma con ottime qualità organolettiche).

Che 'magrezza' sia sinonimo di qualità non è affatto vero. Gli industriali sanno benissimo che una carne troppo magra (che sia consumata fresca o conservata) ha cattive proprietà organolettiche. La presenza di grasso ben distribuito (venature, 'marezzatura') rende la carne più morbida e gustosa per una serie di motivi: gli acidi grassi stimolano la secrezione salivare e, di conseguenza,  facilitano la solubilizzazione di componenti della carne importanti dal punto di vista gustativo e il loro contatto con le papille della cavità orale; il grasso ha consistenza minore del 'magro' per via del basso punto di fusione di  diversi acidi grassi; nel grasso sono presenti varie sostanze liposolubili (che quindi possono essere veicolate e immagazzinate solo nel grasso) tra cui alcune con proprietà vitaminiche, antiossidanti, aromatiche. Una carne con solo il 2-3% di grasso ha proprietà organolettiche scadenti.

 

 

A Milano 'la vogliono magra' (alibi a buon mercato)

 

L'industria ha molto meno problemi di manipolazione tecnologica con una carne magra a partire da quelli di ossidazione che possono sorgere a causa di condizioni di conservazione non ideonee. L'industria, però, sostiene che è il mercato 'milanese' e 'nazionale' a volere la Bresaola magra terrorizzato dalla fobia dei grassi.  In realtà il mercato di massa della GDO chiede la Bresaola magra industriale perché non ha mai conosciuto quella artigianale. Si sfrutta la scarsa informazione del consumatore. Chiunque confronti il prodotto industriale e quello artigianale serio (magari escludendo certe Bresaole livignasche confezionate per il turista attirato dalla zona franca) non può avere dubbi. E' come confrontare una scarpa e una ciabatta.

E stiamo pur sicuri che quando ci si siede a tavola la pseudorazionalità dell'astensione dal grasso alimentare viene meno (tra l'altro il consumatore sta iniziando a capire che c'è grasso e grasso). Senza contare che con una fetta di Bresaola artigianale si ha una soddisfazione gustativa superiore a quella di diverse fette di quella industriale e che, alla fine, di grasso se ne assume di più con quest'ultima. L'industria però, come ormai abbiamo capito, tende ad ingozzarci come capponi con cibi di plastica. Per loro più ci ingozziamo e più cresce il fatturato. Intanto, però, L'INRAN (Istituto nazionale per la nutrizione) ha diffuso (6 novembre) le linee della dieta mediterranea moderna con le quali si consiglia a tutta la popolazione adulta (18-65) anni di mangiare al massimo una porzione di salumi (50-60 g) alla settimana. Se ci teniamo alla salute meglio mangiare poca carne e pochissimi salumi (che a questo punto possiamo permetterci che siano di grande qualità). Ormai è chiaro che la carne fa male (o se volete non fa bene), peggio se rossa, peggio ancora se conservata.

In ogni caso sul tema della qualità della Bresala l'ironia popolare ha diffuso in Valtellina una gustosa (è il caso di dirlo) leggenda metropolitana: il sig. Rigamonti - secondo questa 'tradizione orale' non toccherebe le bresaole della sua azienda ma se le farebbe confezionare da un suo dipendente che le produce in modo casalingo 'come una volta'. Vera o no la storia è emblematica.

 

 

Un gioiello di qualità e serietà?

 

All'inizio del 2008 la Bresaola era già entrata nell'occhio del ciclone per la già ricordata introduzione delle restrizioni alla carne brasiliana. La Ue la giudica poco sicura perché solo una piccola parte della produzione può garantire la tracciabilità. Allora tra Zaia e la Coldiretti ci fu una feroce polemica, con la CD che accusava il Ministro (molto sollecito nel chiedere alla Ue di rivedere le restrizioni alla carne brasiliana) di essere 'dalla parte degli industriali'. Zaia disse preoccupato:

 

'La bresaola è uno dei gioielli (sic) del nostro agroalimentare di qualità. Voglio esprimere ai responsabili di Bruxelles tutta la mia apprensione per il comparto. Bisogna trovare strategie che, senza alterare l'impianto complessivo della politica commerciale della Ue nel settore carni, permettano di tutelare la specificità della produzione di bresaola e i lavoratori dell'indotto.'

 

La risposta della Coldiretti era stata di irrituale durezza:

 

'è particolarmente grave che un ministro, anziché valorizzare la produzione Made in Italy di carne bovina, intervenga a favore dell'importazione di carne dal Brasile". L'Europa - chiosava la Coldiretti - aveva fatto bene a bloccare quella carne 'per evitare che nei piatti dei cittadini europei finiscano carni provenienti da zone a rischio di malattie come l'afta epizootica'.

 

Per chi ha una sensibilità ambientale e sociale andrebbe poi ricordato che lo sviluppo degli allevamenti sudamericani avviene - direttamente o indirettamente - a spese delle foreste pluviali o semitropicali e dell'agricoltura campesina. Dettagli. Fatto sta che l'impossibilità di cetrtificare la carne brasiliana ha indotto a cercare altre fonti in altri paesi: argentina, uruguay. E proprio la carne dell'Uruguay è stata protagonista di quei sequesti di carne cvongelata avariata che nella primavera di quest'anno hanno fatto tanto scalpore (salvo poi finire tutto nel dimensticatoio). Il fattaccio era consistito in una partira di carne congelata che una ditta di import di MIlano aveva consegnato ad una ditta appartenente al Consorzio. Questa si era accorta che era avariata e, invece di denunciare la cosa, l'aveva ricongelata (operazioen pericolosa e vietatissima) e rispedita al mittente. Quest'ultimo con ancor meno scrupoli l'aveva 'girata' ad un altra ditta del Consorzio che l'aveva utilizzata per confezionare Bresaole Valtellina IGP garantite (... mio nonno!). Per fortuna furono seguestrate. Una storia squallida che dimostra la serietà degli operatori della filiera della Bresaola industriale. Un incidente di percorso? nel 1994 diversi big della Bresaola industriale erano finiti dietro le sbarre per una truffa relativa a carne congelata acquistata alle aste europee (quelle che si fanno per 'smaltire' gli eccessi di produzione). Questa carne congelata - dall'ammasso - secondo le accuse - era stata poi venduta come fresca nelle macellerie.

 

 

La Bresaola industriale detta il tono della politica agroalimentare in Valtellna e Valchiavenna

 

Con queste premesse, sulla base della constatazione che la Bresaola è una realtà economica importante della Valtellina e che crea posti di lavoro, Emilio Rigamononti, a.d. dell'omonima industria, da Presidente del Consorzio è diventato anche il Presidente del Multiconsorzio 'Valtellina c'è più gusto', la 'cabina di regia' dell'agroalimentare valtellinese (direttore un noto personaggio politico). Sotto l'egida del Multiconsorzio ci sono anche i vini Doc e Docg e il Consorzio Casera e Bitto (CTCB). Inutile osservare come la migliore viticoltura eroica valtellinese e il Bitto in questo contesto svolgano la parte di quelli che devono 'sostenere l'immagine'. Vini e Bitto sono espressione autentica di un territorio di montagna, gli altri molto poco o nulla. Ribadiamo: la Bresaola si può fare ovunque con la tecnologia e il know how giusti.

Inutile aggiungere che strutture come il Multiconsorzio hanno la funzione di far convergere ancora di più le risorse sulla componente più industriale del sistema agroalimentare.

La competitività e il sistema territoriale non si fanno necessariamente con i grossi numeri e con la quantità, ma i grossi numeri hanno argomenti tali da convincere la politica; tanti piccoli artigiani del latte e della carne non contano nulla (agli occhi di una politica miope e 'permeabile' agli interessi organizzati).

 

 

La Bresaola artigianale sta per entrare in campo dall'Ossola alla Brianza, ma anche l'industria si sta muovendo

 

Oggi, la linea industrialista del Consorzio Bresaola (e dei politici locali)  si deve confrontare, almeno in prospettiva, con qualche problemino. L'immagine della Bresaola industriale è ormai un po' compromessa (e non per via di 'Belzebù' come dice Rigamonti).

Fuori della Valtellina hanno capito che c'è uno spazio di mercato per lanciare la Bresaola artigianale o quantomeno quella 'senza carne congelata sudamericana'. Lo hanno capito da tempo nel VCO (Verbano, Cusio, Ossola) dove possono vantare il blasone della tradizione Walser di carne conservata (gente che se ne intendeva visto che hanno colonizzato le parti più alte delle valli dall'Ossiola alla Valle d'Aosta). La locale Camera di Commercio sta sostenendo la promozione della Bresaola locale artigianale. Ma anche a Varese c'è chi sta lavorando per una Bresaola artigianale varesina nell'ambito del paniere agroalimentare provinciale. Ora si aggiunge una new entry abbastanza clamorosa. Tra poche settimane sarà presentata su una ribalta più che prestigiosa (il ristorante di Pierino Penati) la Bresaola di manzo kobe brianzolo. Per capire in cosa consista l'operazione 'manzo kobe Bianza' si rimanda ad un esauriente articolo di Italia a tavola (link).

Pare di percepire che a questo movimento non sia estranea la Coldiretti che con il sostegno alle Bresaole artigianali traduce in fatti la sua contestazione alle politiche troppo filo-industria dei vari 'livelli istituzionali'.

Ma ciò che più conta è che molti allevatori  hanno capito che è meglio trasformare in casa e vendere direttamente formaggi, salumi. Hanno capito che la carne può essere valorizzata in circuiti brevi dal momento che è uno dei prodotti più esposto a scandali e che crea particolari ansie nel consumatori (ormoni, residui vari ecc.). A dispetto del sistema agroindustriale, che vorrebe i produttori pedine ubbidienti chiuse nelle loro aziende a produrre materie prime di scarso valore e ad acquistare mezzi tecnici costosi, gli allevatori stanno cambiando mentalità. Basta con le razze superspecializzate da latte se poi ti devi svenare per acquistare mangimi, integratori, intrugli vari (per 'tenere su' le povere bestie spompate) e pure i foraggi (quelli locali o non sono di qualità adeguata alle esigenze delle macchine da latte o non bastano per via della praticoltura trasfromata in capannonicoltura). Basta con mungere a manetta se ti pagano il latte quello che ti pagano. Sì alle razze che valorizzano i foraggi locali e gli alpeggi e che, oltre ad una quantità ragionevole di latte di buona qualità, danno anche ottima carne da vendere fresca o, meglio ancora - considerato il prezzo di trasformazione -  convertita in prodotti come la Bresaola artigianale.

Tutto ciò lo stanno capendo anche in Valtellina ma, soprattutto, fuori dove non c'è l'handicap dell'ingombrante presenza del Consorzio e del 'sistema Bresaola IGP'.

E se il mercato invece della Bresaola di 'plastica' si mettesse a chiedere quella artigianale fatta con carne nostrana (o quantomeno europea)? Alcune aziende (anche industiali o semi-industriali che sia)  che operano fuori dalla Valtellina hanno già colto questa tendenza. Esse, non temendo  gli strali da parte del Consorzio, mettono bene in evidenza nella loro  comunicazione commerciale che: La nostra bresaola è fatta partendo da carne fresca (non congelata, non sudamericana) '. Infatti è tedesca. Ci vuole poco per influenzare il mercato (sia nel bene che nel male) e a diffondere certe percezioni sul cibo buono o cattivo. Forse i big della bresaola,  tutto il business agroalimentare valtellinese e i politici che  lo sostengono acriticamente farebbero bene a riflettere.

 

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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