(23.04.10) Un contributo di AmAMont (ass. transfrontaliera degli amici
degli alpeggi e della montagna)
L'importanza della
conservazione e valorizzazione degli alpeggi sottolineata
da un Codice etico
di Michele Corti
ll Codice
etico e il Protocollo tecnico per la gestione degli alpeggi costituiscono un insieme di principi il cui rispetto può consentire la
continuità dell'attività di alpeggio a favore della zootecnia alpina
sostenibile, delle
comunità locali, dei consumatori, dei tanti frequentatori della montagna
Il
Codice etico dell'alpeggio e il Protocollo tecnico proposti
da AmAMont rispettivamente ai caricatori d'alpe e ai
proprietari/enti gestori degli alpeggi/istituzioni competenti
sono stati approvati dall'assemblea dell'associazione
italo-svizzera lo scorso 17 aprile a Breno (Bs). Frutto
di una discussione lunga e meditata all'interno del
Comitato scientifico dell'associazione che ha coinvolto
anche i soci sono ora sottoposti all'attenzione di
tutti gli interessati.
Perché
un Codice etico dell'alpeggio
L'idea
del Codice nasce sin dai primordi della costituzione
di AmAMont, nel 2007. Deriva dalla considerazione
che - sulla carta - esistono già un insieme di
prescrizioni contenute nei capitolati d'affitto o
parte delle buone pratiche agronomiche (al cui rispetto
dovrebbero essere condizionata l'erogazione dei contributi
pubblici). Ma sono poco rispettate e in parte superate
e poco rispettate.
I
controlli di tipo amministrativo e burocratico sono
scarsamente efficaci. Spesso si riducono alla verifica
via satellite delle superfici per le quali sono stati
richiesti i contributi mentre i minuziosi controlli
che un tempo esercitavano il Corpo Forestale e le Guardie
campestri dei comuni rappresentano un lontano ricordo.
Molto
spesso gli enti proprietari degli alpeggi non dispongono
di competenze e personale adeguati a questi compiti
ed è spesso venuto meno anche l'interesse per
le stesse proprietà d'alpeggio.
D'altra
parte il mancato rispetto delle buone pratiche di un
tempo è spesso legato a situazioni oggettive
che prescindono dalla buona volontà dei caricatori
e un approccio puramente amministrativo, sanzionatorio, non
sortirebbe alcun risultato se non quello di scoraggiare
ulteriormente gli alpeggiatori.
Il
Codice pertanto non consiste in una serie di prescrizioni
tecniche minuziose ma nell'adesione volontaria ad una
serie di principi tra loro coerenti. Si tratta di un
impegno d'onore sottoscritto liberamente da coloro che
conducono gli alpeggi e si riconoscono essi stessi
nei principi contenuti nel Codice.
Alla
base dell'impegno vi è il riconoscimento che
l'alpeggio
rappresenta un bene prezioso frutto del sacrificio delle
generazioni passate che deve essere conservato a favore
di quelle future. Viene a questo proposito richiamata
la formula molto efficace elaborata
dalle comunità contadine del Sud America: 'la terra non ci è data in eredità dai nostri padri,
ma in prestito dai nostri figli'. I
7 punti dell'impegno riguardano gli animali (la scelta
dei tipi idonei: specie, razze), il governo del pascolo,
l'integrazione alimentare, il rispetto dei valori naturalistici
e la 'convivenza' con la fauna selvatica, le produzioni
casearie. Non si indicano parametri, ma si richiama
la necessità di rispettare dei principi.
Partire
dall'animale giusto
Alla
base di tutto vi è la necessità di tornare
all'utilizzo delle razze di montagna a duplice attitudine
abbandonando Frisona e Brown Swiss per sostituirle con
tipi come la Rendena, la Grigia, la Pezzata Rossa, la
Bruna originale. Attraverso l'incrocio o l'acquisto
di capi in purezza molti lo stanno già facendo.
L'utilizzo
di animali adatti può apparire un impegno difficile.
Si tratta di 'tornare indietro', rinunciare alle
mucche che producono 30 e più litri di latte
al giorno. L'obiezione che viene solitamente avanzata
è: 'Le razze più da montagna vanno certo
meglio in alpeggio, ma l'alpeggio dura 2½-3 mesi,
negli altri la mucca deve produrre molto per poter pagare
il fieno acquistato, i mangimi, i farmaci, il veterinario,
l'ammortamento dei macchinari e con il prezzo del latte
....'. Insistere su una zootecnia di montagna 'a misura
d'alpeggio' basata su animali in grado di utilizzare
al meglio i pascoli non è una idea bucolica,
è la condizione per garantire un futuro agli
allevamenti di montagna. Le vacche 'spinte' in alpeggio
possono danneggiare il pascolo con il loro peso, non
utilizzano i pascoli meno comodi e richiedono l'integrazione
con mangimi. Il risultato è che il potenziale
foraggero si riduce perché i pascoli meno comodi
sono invasi dai cespugli, mentre quelli 'comodi' si
deteriorano per l'eccesso di fertilizzazione (le vacche
sostano qui a lungo e 'restituiscono' al pascolo una
con le loro deiazioni una quantità di nutrienti
elevata derivante dalla quota non digerita dei mangimi
somministrati). Così non c'è futuro. Se
si utilizzano animali adatti si recuperano superfici
di pascolo, si limita la spesa per integrazione alimentare,
si ottiene un latte di maggior pregio che vale la pena
caseificare con le tecniche artigianali lente e attente
di un tempo ottenendo prodotti di eccellenza che spuntano
prezzi che ripagano le cure al pascolo, la minor produzione
unitaria, le maggiori attenzioni durante la lavorazione
del latte e durante la stagionatura del formaggio.
E
in stalla?
Si
dirà: 'Va anche bene, ma poi quando si scende
in stalla?'. La risposta la possono dare molti allevatori
che hanno fatto la scelta di ridurre la quantità
del latte prodotto optando per la caseificazione aziendale.
Da questo punto di vista non è sempre indispensabile
investire in un caseificio e in attrezzature; timidamente
qua e là riaprono le vecchie latterie di paese
che consentono a un numero limitato di aziende con varie
formule di collaborazione di caseificare insieme o separatamente
il latte.
Quanto
al mercato la straordinaria novità di questi
anni è che il rispetto di un Codice etico e l'adozione
della filosofia della qualità al posto della
quantità non si scontrano più con un mercato
sordo e anonimo ma con consumatori in carne e ossa che
entrano in contatto personale con produttori e
vedono con i loro occhi come operano. E che sono disponibili
a riconoscere un prezzo etico basato su quanto proposto
dal produttore sulla base dei suoi costi reali. Lo fanno singolarmente, o
attraverso i loro Gruppi d'acquisto entrando in schemi
di collaborazione con i produttori che vanno ben al
di là del semplice rapporto di compravendita.
A ciò si affiancano affinatori, rivenditori
specializzati, ristoratori singoli o associati che sono
disponibili anch'essi a riconoscere un premium per il
prodotto artigianale di qualità. Insomma oggi
passare dalla quantità alla qualità non
è un salto nel buio.
Se
la qualità c'è e incontra un mercato non
anomimo che sa riconoscerla il più è
fatto. Vi è poi da considerare che una produzione
ridotta significa minore dipendenza dal mercato per
il fieno e minore uso di mangimi. Gli animali sono più
longevi e si ammalano meno (meno costi di rimonta, per
veterinari e farmaci). Con vacche a duplice attitudine
si migliora la produzione di carne (che può essere
valorizzata con le vendite dirette e la lavorazione
aziendale). Aggiungiamo che animali più rustici consentono
di anticipare e posticipare la stagione d'alpeggio utilizzando
- dove le strutture sono adeguate - anche quei pascolo
meno comodi collocati ad altitudini inferiori (i 'mezzi
alpeggi' o 'maggenghi' di una volta). Così facendo
il periodo di pascolo tornerebbe a 4-4½ mesi
determinando un ulteriore risparmio di foraggio
conservato.
Impegni
reciproci
Al
caricatore viene chiesto di sottoscrivere un impegno
a rispettare buone pratiche; un impegno d'onore di cui
è egli stesso il garante (solo in caso di palesi
violazioni segnalate e constatate da AmAMont il caricatore
verrebbe depennato dall'elenco dei sottoscrittori).
Agli
impegni del Codice fanno riscontro quelli più
articolato contenuto nel Protocollo tecnico rivolto ai proprietari degli alpeggi, alle
istituzioni pubbliche deputate alla pianificazione del territorio e ai tecnici
che a vario titolo si occupano di alpicoltura. A tutti coloro, cioè,
che possono mettere il caricatore nelle condizioni di
rispettare gli impegni del Codice.
Si tratta di
una serie di prescrizioni più puntuali che questi
soggetti possono impegnarsi a rispettare aiutando concretamente
i caricatori d'alpe. Per rispettare le buone pratiche
nel governo degli animali, nella cura del pascolo, nella
caseificazione sono infatti necessarie strutture
e infrastrutture idonee (viabilità di accesso
all'alpe e interna all'alpe, acquedotti e fontane d'abbeverata,
micro-centraline per la produzione di energia idroelettrica
e pannelli fotovoltaici, locali di lavorazione del latte,
alloggi confortevoli per le persone e ricoveri per gli
animali).
Il protocollo
contiene anche indicazioni per gli enti che devono stendere
capitolati tipo per le affittanze o che sono chiamati
a predisporre le norme tecniche per l'erogazione
dei contributi all'alpeggio. Si suggerisce per esempio
di applicare un valore di UBA differenziato (es. una
vacca a duplice attitudine = 0,8 UBA, una Brown Swiss
= 1,3 UBA), si richiama la necessità di prevedere
una limitazione dell'integrazione alimentare al pascolo
di modo che essa non superi il 20% della sostanza secca
ingerita, di escludere la pastorizzazione del latte
e l'impiego di fermenti selezionali nella caseificazione
(con l'eccezione di quelli ottenuti dalla microflora
autoctona garantendone la biodiversità). Tutto
questo quadro di principi e indicazioni tecniche ha
il significato non tanto di introdurre prescrizioni
che impongano ulteriori e insostenibili impegni ai caricatori
ma di predisporre le condizioni (strutture, regole,
assistenza tecnica, migliore finalizzazione dei contributi)
che mettano in positivo i caricatori nelle condizioni
di rispettarli. Il tutto con un occhio anche a un quadro
più generale. Quando, per esempio, si chiede
agli alpeggiatori di mettere in atto delle soluzioni
per assicurare la 'convivenza' con la fauna selvatica
è evidente che, da parte delle istituzioni, ci
deve essere un impegno corrispondente a controllare
la pressione della fauna selvatica stessa, ad impedire
che le popolazioni di cervi si espandano sino ad utilizzare
una quota preponderante delle risorse foraggere, a limitare
la presenza di grandi predatori qualora il suo impatto
sull'attività di alpeggio divenga insostenibile.
Da questo punto di vista non si può non richiamare
la diversità di approccio tra la Svizzera (dove
il lupo è sottoposto ad abbattimenti selettivi
qualora provochi ingenti perdite zooteciche) e l'Italia
dove vige una 'intoccabilità' dei grandi predatori
che non ha nulla a che fare con le Direttive eurpee
e le Convenzioni internazionali.
E
ora?
Attraverso
la diffusione del Codice etico e del Protocollo tecnico
AmaMont si prefigge di aprire un dibattito tra tutti
gli attori. AmAMont è una associazione di volontariato
e per la divulgazione di queste proposte
si affida sull'attenzione e l'interesse che associazioni
e organizzazioni pubbliche e i media riserveranno loro.
Da parte di
AmAMont vi è la massima disponibilità
ad illustrare e discutere questi contributi con tutti
i soggetti interessati nell'ambito di tutte le sedi
e le occasioni che saranno ritenute opportune.
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