L'A
lpe Macagn in Valsesia
Le
pelure del Macagn (a destra il Macagn d'alpeggio)
Una
produttrice di Macagn
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(23.03.10) Meno
nota della vicenda del Bitto quella del Macagn, prodotto
nelle valli biellesi e nella Valsesia, è altrettanto
istruttiva. Insegna che, con una resistenza
attiva, gli interessi della montagna e dei piccoli produttori
possono essere difesi
Macagn
e Maccagno: 'piccole' (apparentemente) differenze
che nascondono strategie antitetiche
di
Michele Corti
La
richiesta di DOP per il Maccagno, inoltrata nel 2002
alla regione Piemonte, è stata stoppata dai produttori
e amministratori della montagna che si sono opposti
con forza (caso raro) all'utilizzo della denominazione
storica per la produzione di pianura
La vicenda
del Macagn/Maccagno è per certi versi altrettanto
esemplare di quella del Bitto. Il
Macagn trae il suo nome da un alpeggio rinomato della
Valsesia a 2.188 m (un po' come il Bettelmatt). Precise informazioni
ottocentesche riferiscono, però, che la produzione
(da innumerevoli generazioni) era realizzata nella
maggior parte degli alpeggi appartenenti alla Valsesia e al Biellese montano centrale ed orientale.
La reputazione del Macagn, come in tanti altri casi
ha fatto scattare i soliti meccanismi: utilizziamo una
denominazione storica, associata ad una reputazione
di particolare qualità e applichiamola alla produzione
di tutta la provincia (compresa la pianura). Ovviamente
'ritoccando' le regole di produzione e non menzionando
l'alimentazione delle mucche (di modo da far rientrare
le stalle intensive della pianura e i caseifici che
ritirano e lavorano il loro latte) E così è stato
fatto. La richiesta di Dop per il 'Maccagno',
fatta pervenire all'ufficio competente della Regione
Piemonte, venne pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 33 del 14 / 08 / 2002.
In
questo caso, però, i produttori della montagna, sostenuti
da diverse amministarzioni comunali e dalle comunità
montane (in prima fila l'ex Comunità Montana Valle
di Mosso) non sono stati a guardare e hanno a loro
volta presentato nel 2003 una richiesta di riconoscimento
della Dop 'Macagn Valli Biellesi e Valsesia'
(, la riappropriazione della denominazione in lingua
piemontese, è tesa a sottolineare simbolicamente led
orgogliosamente un sistema produttivo e culturale con
forti legami storico-territoriali).
Di
fronte a questa seconda richiesta si è determinata
una situazione diimbarazzo per le 'istituzioni competenti' che
non consente l'avanzamento di nessuna delle due pratiche.
Nel luglio 2007, con il fine di conciliare le posizioni,
si svolse un incontro presso la Provincia di Biella
sollecitato dalla Regione Piemonte e teso a trovare
la strada per 'unificare' il disciplinare. Il recoconto
su 'Il biellese' (20.07.2007) di Emanuela Colmenet
fotografava bene la situazione che si determinò in quella
circostanza:
Nelle sale della Provincia, mercoledì si sono incontrate — forse è meglio dire scontrate — due filosofie contrapposte: l'una, quella regionale e provinciale, che vuole un riconoscimento del formaggio biellese, ovunque esso sia prodotto; l'altra che propugna la difesa strenua della montagna e di chi ci lavora, di quei pochi che ancora hanno il coraggio e la vo glia di salire in alpeggio, di rimanere per mesi lontano da casa, di caseificare due volte al giorno il latte appena munto, di provvedere alla gestione ordinaria del territorio ripulendo riali, bonificando terreni devastati dai cinghiali, sistemando stradine oggi ridotte a poco più che mulattiere.
Due filosofie contrapposte: l'una sicuramente più pragmatica, che punta ad una procedura 'quasi certa', cheabbia il pregio di unificare tutte le richieste presentate negli ultimi anni per ottenere dall'Unione europea il
tanto ambito riconoscimento; l'altra forse più idealista, che crede solo il formaggio di montagna degno di diventare uno dei gioielli da incastonare in quel prezioso ornamento che è costituito dalle produzioni italiane di eccellenza.
Posizioni
difficilmente conciliabili. L' ex-assessore Giuseppe
Graziola sosteneva apertamente la posizione
della pianura:
'ritengo la posizione della Comunità montana Valle di Mosso e del gruppo di allevatori incomprensibile;
nel loro disciplinare forzano a tal punto i concetti che loro stessi non riescono a seguirlo',
'Come fanno a chiedere la dop per pochi quintali di formaggio all'anno? Se un consumatore pur biellese oggi volesse comprare il Macagn dove lo va a cercare? Non producono a sufficienza per commercializzare'
Notiamo
che le argomentazioni sono sempre le stesse usate per
giustificare Dop allargate e disciplinari 'facilitati'.
Le risposte non sono difficili.
Quella
al quesito 'dove lo si va a cercare?' la si trova
facilmente nel sito del Macagn:
http://www.macagn.com/scripts/dove_search.php
Quanto
alla questione più sostanziale, quella della 'unione
che fa la forza' e della 'occasione perduta per il territorio',
la risposta dei produttori della montagna è molto chiara:
con le regole 'allentate' il vostro 'Maccagno' è ben
diverso da quello storico e si avvicina alla generica
'Toma piemontese Dop', quella svilita a prodotto da
GDO per accontentare i grandi caseifici. C'è già
una Dop, usate quella o altrimenti tenetevi i nomi registrati
dai caseifici in quando singole imprese!
E'
quello che sostiene Giacomo Bergamo,
tecnico agricolo della Comunità Montana vera 'anima'
della 'resistenza casearia' intorno al Macagn (assumendo
un ruolo analogo a quello di figure come Paolo Ciapparelli,
per il Bitto storico, e di Laura Zanetti per l'Originale
malghe del Lagorai). Bergamo, a margine dell'incontro-scontro
del luglio 2007, osservava anche: '
Non è stato affrontato il nocciolo della questione e cioè il discorso sui disciplinari. Quale disciplinare vogliamo adottare? Quello che da più di due secoli seguono i produttori di formaggio nei nostri alpeggi o vogliamo inventarne un altro? L'assessore Taricco ha dato incarico di elaborare un disciplinare di sintesi, ma noi siamo delusi perché avremmo preferito una discussione seria. Non vogliamo che anche il Maccagno faccia la fine della Toma piemontese o di altre dop, vedendo svilito un prodotto che è unico, di grande qualità nel suo genere e lavorato secondo una tradizione ben precisa'.
Situazione
di stallo
Nel
frattempo, nel 2008, è cambiata l'amministrazione provinciale
e Graziola si è ritrovato consigliere di opposizone.
Il nuovo assessore, Guido Dellarovere si
dichiara intenzionato ad arrivare ad una soluzione (e
possibilmente alla Dop) entro il suo mandato. Rispetto
al predecessore, apertamente schierato contro la montagna,
Dellarovere appare più possibilista. Anche da
Torino vi sarebbero segnali di una maggiore presa in
considerazione delle ragioni del Macagn e della montagna.
Una evoluzione che fa pandant con le aperture
per ora ufficiose della Regione Lombardia al Bitto storico
e che indicherebeb che anche nelle istituzioni l'esigenza
di non 'sacrificare' le eccellenze casearie all'altare
delle Dop si sta faticosamente facendo strada vincendo
le resistenze della burocrazia e delle lobby che rappresentano
gli interessi costituiti più organizzati e più
forti, ma non sempre coincidenti con l'interesse diffuso
dei territori.
Va
anche segnalato che, nel frattempo, vi
è stato anche l'accorpamento delle Comunità Montana
e la Valle Mosso, grande sostenitrice del Macagn, ora
è inserita nella Comunità Montana Valle Sessera, Mosso
e Prealpi biellesi (restano 'autonome' la valle Cervo,
al centro, e la Valle Elvo a Est).
Ma
quali sono le differenze?
Dice
Bergamo: 'entriamo nel merito dei disciplinari'. Vediamo
allora le diffefrenze nel concreto. La prima, fondamentale,
riguarda i tempi di lavorazione e il raffreddamento.
Per produrre il Macagn il latte viene lavorato
appena munto, ossia immediatamente immesso in caldaie di rame. Non è ammesso
l'uso del latte di due mungiture. Il Maccagno, invece,
prevede la refrigerazione, un piccolo particolare
che consente di raccogliere il latte al mattino insieme
a quello della sera e di ... trasportarlo con autocisterne
a casifici con decine di conferenti. Ma anche le altre
prescrizioni del disciplinare del Macagn sono fondamentali:
è vietata l'aggiunta di alcun additivo o di fermenti
(nel Maccagno no si dice nulla e chi tace acconsente);
è vietato l'uso di insilati e di OGM (nel Maccagno idem
come sopra). Il Macagn, inoltre, viene affinato
nei tradizionali Crotin con il pavimento di terra
battuta. Tutto quello che nel Macagn c'è e nel Maccagno
non c'è è funzionale a consentire la produzione del
prodotto dalla denominazione contesa anche in pianura
(da dove arriverebbe il 95% della produzione se venisse
imposta la soluzione 'Maccagno Dop'). Tanto per non
dire che si può produrre in tutta la provincia sono
stati lasciati fuori 4 comuni (contornati in rosso nella
mappa sotto riportata). Il Macagn, inceve si può produrre
solo nelal zona di montagna, esclusa la parte orientale
dove storicamente si è semèpre lavorato latte scremato
(anche in questo particolare echeggiano le vicende del
Bitto...).
Macagn
e biodiversità
Il
Macagn, è fiducioso nel futuro. A differenza di caseifici
di pianura e assessori che rincorrono la Dop come un
miraggio, crede di poter fare affidamento sulla propria
qualità e sulla crescente consapevolezza
del consumatore. Del reato ha già incassato il riconoscimento
di Slow Food. Il Presidio, per la verità è limitato
al solo formaggio d'alpeggio che viene distinto con
una dicitura chiara e ben visibile e che non può rischiare
di essere male interpretata. Il Macagn d'alpeggio
presenta nella pelure una fascia rossa nella parte esterna della velina, con la dicitura 'FORMAGGIO D'ALPE', ma
anche la dicitura (in rosso) 'd'alpeggio' all'interno del logo.
Un sistema 'ridondante' ma che evidenzia come non si
voglia giocare, come nel caso di altri prodotti sull'equivoco
con il rischio concreto di confondere e ingannare il
consumatore. Da noi intervistato Bergamo si è detto
d'accordo con la proposta di un marchio univoco a livello
nazionale che distingua tutti i formaggi d'alpeggio.
Bergamo
ci ha anche confermato (ma con lui ne avevamo discusso
in più occasioni) la volontà di sostituire la Brown
Swiss con la Bruna originale. Oggi il Macagn
prevede la possibilità di utilizzare il latte della
razza autoctona Pezzata Rossa di Oropa (P.R.O.)
e quello delle Bruna Italiana (B.I.) (in
realtà Brown Swiss derivata Usa) nonché quello degli
incroci tra queste due razze e le loro miscele. Nel
caso il latte provenga esclusivamente da P.R.O o B.I.
l'indicazione della razza viene aggiunta in etichetta.
La necessità di utilizzare una razza come la Bruna
originale (che poi non è altro che la vecchia Bruna
Alpina) deriva dal fatto che la P.R.O. presenta sì eccezionali
doti di rusticità e attitudine al pascolamento ma anche
produzioni molto basse, circa la metà di altre razze
autoctone come la Grigia Alpina o la Rendena (ovvero 20-25
q.li per lattazione). Non è ovviamente un caso che in
Valtellina, area storica della Bruna, i ribelli del
Bitto stiano pensando la stessa cosa. E' certo che
la reintroduzione della 'originale' in due realtà significative
come la bassa Valtellina e la Valsesia/Valli biellesi
aprirebbe la porta ad un più vasto rilancio che segnerebbe
un momento significativo del riconoscimento della differenziazione
tra i sistemi zoocaseari della montagna e quelli della
pianura, dei fondovalle, delle zone pedemontane tesi
a omologarsi alla pianura. Una differenziazione di alimentazione,
tipi genetici, tecniche di caseificazione che renderebbe
tutto più chiaro e distinguibile, anche per il consumatore.
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