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(26.03.10) L'alto
Lario occidentale (Tre Pievi) è un territorio
con una grande tradizione di formaggi grassi d'alpe
(misti), di originali caprini presamico-lattici, di
zigher (da non confondendere con il zincarlin),
di semüda. Valorizziamo questo patrimonio
prima che scompaia o sia banalizzato da repliche industriali
I
caprini di Garzeno 'scoperti' da Veronelli (1968)
attendono
ancora una valorizzazione
di Michele Corti *
Poche
realtà sono così ricche di tradizioni
ruralpine come la montagna lariana occidentale. A poche
centinaia di metri in linea d'aria dai centri del turismo
rivierasco sopravvive una realtà tenacemente
rurale difficile da trovare altrove. Che ha gelosamante
custodito tradizioni casearie originali. A fianco di aziende
con capre e caseificazione 'alla francese' rimangono
diverse realtà attaccate alle tradizione, dove
si fa il caprino all'antica, e il zigher.
*
con la collaborazione di Pierfranco Mastalli
Garzeno,
un paesone sito in Valle Albano (una valle profonda
che sbocca a Dongo sul Lago di Como), è citato
con grande entusiasmo da Luigi Veronelli nel volume
sulla Lombardia della sua 'Guida all'Italia piacevole'
(Garzanti, Milano, 1968): 'Negli alpeggi comunali si
producono formaggi grassi e magri sia bovini sia caprini,
tali - e soprattutto i caprini - che, fossero
in Francia, avrebbero fama, e commercio, mondiali.'
(p. 142).
Mi
permetto di aggiungere che - se solo fossimo in
altre regioni o magari solo in altre provincie - con
questo riconoscimento offerto da Veronelli - qualche
assessore (della provincia, della comunità montana)
ne avrebbe certo approfittato per 'lanciare'
la produzione locale. Invece niente. Aggiungiamo anche
che nessuno si è accorto dei formaggi
grassi d'alpeggio citati da Veronelli ancorchè
rari e vittime della crisi degli alpeggi e del disinteresse
nei loro confronti (vedi la vicenda dell'Alpe Madri
in comune di Dosso Liro denunciata di recente da Ruralpini
- Un
alpeggio conteso ). Prodotti con percentuali
di latte di capra che (almeno sino a pochissimo anni
fa) arrivavano al 25-30% e potevano (possono)
competere con molti 'Bitti'. C'era (c'è) anche
pronta la denominazione: 'Basciarino' dal nome
di casere di stagionatura in Valle del Liro (a 1370
m, in comune di Consiglio di Rumo) dove confluiva per
la stagionatura - scendendo un po' di quota - il
formaggio di diversi alpeggi. Erano reputate casere
particolarmente idonee alla stagionatura di formaggi
pregiati (fonte Arrigo Serpieri in: Società agraria
di Lombardia, 1912. Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini. Vol
III, I pascoli alpini della provincia di Como
Milano, Premiata Tipografia
Agraria). Qui era un punto strategico anche di passaggi di ogni tipo verso la val
Morobbia (Giubiasco e Bellinzona) e la val Traversagna (Roveredo).
A
dispetto di questi 'blasoni' tutta la produzione d'alpe comasca è genericamente denominata
Lariano d'alpe grasso o semigrasso. Un nome che non fa impazzire
('Lariano' rimanda al lago e va bene per i missultitt,
'grasso', invece, per chi non sa che c'è
grasso e grasso, e che quello del formaggio d'alpe è
protettivo, è un invito ad astenersi dal consumo). Anche
in Valtellina c'era il Grasso d'alpe Valtellina ed
è finita come sappiamo, ovvero che che si
sono presi la denominazione Bitto (che 'tira' molto
di più). Purtroppo la tradizione del 'Grasso'
sta sparendo nell'alto Lario. Quello più famoso
era prodotto all'Alpe Possolo, proprio sotto il Passo
di S.Jorio. Con la morte del Gelmo (Matteri), l'ultimo
dei grandi caricatori della valle, e il subentro di
nuovi conduttori si è passati, per esigenze di
semplificazione del lavoro ad una sola lavorazione giornaliera
(e quindi si produce dell'ottimo semigrasso, affinato
come un tempo a Basciarino), ma non più il 'Grasso'.
Il
Zìgher (matrice
linguistica e casearia del Zincarlin)
Così
come la Maschèrpa stagionata (ricotta
grassa) del Bitto è giustamente considerata
pregiata così andrebbe valorizzato il Zìgher
(detto anche Zingherlìn).
Come la Mascherpa del Bitto il Zìgher
è ottenuto da un siero molto ricco (di grasso
e proteine) cui, per sovramercato, si aggiunge, al fine
di migliorare resa e la qualità della pasta,
un bel secchio di latte di capra intero. Il Zìgher
si ottiene dalla Masc-carpa (sfumature linguistiche)
fresca ponendo la pasta ben spurgata in casse di
legno di larice (a forma di parallelepipedo) chiamate
marne (ma a volte anche si sasso e di marmo,
proveniente dalle vecchie cave di Musso). Una marna contiene molti kg di
Zìgher e per non rischiare che il moscone
romopa le uova nel paniere (ovvero ci depositi le sue)
si copre lo strato superficiale con un bello strato
di pepe macinato grosso. Conservate al fresco le casse
di Zìgher mantengono il loro contenuto
sino alla primavera successiva. Quello che ha di interessante
il Zìgher è che il nome è
spia di una lontana ascendenza. Zieger (pronuncia Zìgher) è
il termine utilizzato dal tedesco moderno per denominare la ricotta;
ma è un termine pervenuto nella
lingua standard dalle parlate tedesco-alpine che, a
loro volta, l'avrebbero preso dal gallico antico (*dwi gro-s da
cui *dwi -gra del tardo gallico dove *dwi ha significato di due
e la radice ger
quello di 'cuocere', 'bollire'). Derivazione diretta dal gallico o mediata dal
tedesco? Non si sa, ma certo è che nelle aree
lombardo-alpine (transizione con il romancio) e
ladine la voce è presente. E qui siamo in un'area
linguistica e culturale conservativa anche se non nel
cuore delle Alpi.
Da
Zìgher, attraverso
una serie di corruzioni, si è arrivati al Zincarlin
(Zingher → Zingherlin
→ Zingarlén → Zincherlin → Zincarlin → Zancarlin → Sancarlin → Sancarlign → Cingherlin). Da Zigra (la
voce più collegata al gallico) deriva
Zìgar (Canton Ticino, ma
anche Valfurva, in alta Valtellina). Quello
che qui ci interessa è notare che Zìgher
e Zìgar sono 'capostipiti' e quindi spie
di lontana origine.
Permanenze
culturali preziose
In
ogni caso, prescindendo da aspetti etnolinguistici,
la particolare conservazione di stili di vita rurali
e di tecniche di cultura materiale nell'alto Lario occidentale
è, a mio parere, da mettere in relazione
con due aspetti: 1) l'assenza di un fondovalle (come
in Valtellina) che ha impedito lo sviluppo di aziende
zootecniche 'moderne' (le poche sono nel piccolo delta
pianeggiante di Gravedona e Consiglio di Rumo - le
poncie - o, più a Nord, alla foce
della Mera al confine con la Valtellina); 2) la diffusa
presenza di contadini/contadine-part time legata al precoce
sviluppo industriale ottocentesco della siderurgia a
Dongo e, in tempi recenti, al polo occupazionale
dell''Ospedale di Gravedona. Considerata come 'presepio
residuale' la ruralità alto lariana non è
solo 'marginalità' e 'residualità' 'triste';
anzi diventa oggi un valore da riscoprire e valorizzare.
I sociologi europei (quelli italiani di ruralità
si interessano ben poco) hanno da tempo distinto tra
'residualità' e 'persistenza culturale' assegnando
a quest'ultima un ruolo positivo e attivo nella nuova
dimensione dell'agricoltura multifunzionale che recupera
il rapporto con il rurale (per stavolta vi risparmio
le citazioni).
Pochissime
aree delle Alpi possono offrire al turismo rurale culturale
l'immersione in situazioni 'autentiche' come questa
(una considerazione sulla quale mi sono trovato
in perfetta assonanza con l'antropologa
Michela
Zucca).
Peccato che a livello locale non molti l'abbiano capito.
Io, comunque, resto affascinato da queste valli e confido
di riuscire a promuovere delle iniziative per farle
conoscere meglio e di più (senza esagerare con
il turismo perché distruggerebbe quello che si
è conservato proprio grazie ad una realtà
sottotraccia, snobbata dai grandi flussi che - con la
parziale eccezione dei germanici - prendono in
considerazione solo i centri rivieraschi).
Ma
veniamo ai caprini, quelli di puro latte di capra
La
tradizionale forte presenza di allevamenti caprini in
tutta la zona, ma in particolare a Livo e Garzeno (paesi
dove le capre hanno spesso superato il migliaio) fa
si che, tradizionalmente si producano formaggini/formaggette
di puro latte di capra anche in alpeggio. Nelle foto
in basso si può osservare un gregge multicolore
di capre Lariane (oggi, purtroppo, quasi
sostituite dalla Nera di Verzasca, le vedete nelle foto
sotto che danno l'idea di un mondo pastorale ancora
- in parte - vivo). Tali greggi, radunati in alpeggio,
raggiungevano facilmente i 200 e più capi.
Così, oltre alla produzione primaverile realizzata
nei muunt (gruppi di piccole cascine private ad
altitudini intermedie tra il villaggio e l'alpeggio)
ci sono anche i formaggini di capra d'alpeggio. Quelli
che tanto hanno entusiasmato Veronelli. Si tratta di
formaggini presamico-lattici (con coagulazione di qualche
ora molto più lunga della mezz'ora canonica)
che possono anche superare i 200 g di peso e subire
una discreta stagionatura. La crosta può essere
ricoperta di Oidium e presentarsi naturalmente fiorita;
il sottocrosta può presentarsi tendenzialmente
fondente. Lo scalzo è piuttosto basso (a differenza
dei caprini presamici della Valle Intelvi nel basso
Lario). E' fantastico osservare come cambia il 'caprino'
da Lario orientale a Lario occidentale e anche, sia
pure entro la categoria 'presamica', tra alto e basso
Lario occidentale. Anche se in contrazione la tradizione
della produzione di questi formaggi di puro latte di
capra è ancora viva e potrebbe essere rilanciata
mediante opportuna e meritata valorizzazione (invece
si tendono a sostenere i soliti caprini lattici alla
francese lodando chi li produce tenendo le capre in
stalla con mangimi - tolto il Gamba Claudio che
a Germasino è uno dei pochi che con la Camosciata
fa il pascolo guidato)
Non
si può fare a meno di notare che la varietà
di produzioni di formaggini caprini 'tradizionali' della
Lombardia è grande ancora poco conosciuta. Veronelli
citava oltre ai caprini di Garzeno anche quelli
della Val Savione (Valcamonica) e di Caslino (ed Erba).
Da pochi anni sia i primi (Fatulì della
Val Saviore) che i secondi (Caprino di Caslino) hanno
ottenuto un certo riconoscimento (il primo è
anche presidio Slow Food). Nel frattempo è stato
'riscoperto' anche il frumagit di Curiglia nell'alto
varesotto (ce ne siamo già occupati su Ruralpini -
link
all'articolo).
C'è poi l'Agrìn delle Orobie. E,
a saperli cercare, sicuramente diversi altri. Insomma
Lombardia terra di caprini. Da sempre. Come il Piemonte,
come la Francia.
Si
tratta di recuperare il tanto tempo perduto. Tanto,
se si pensa che dalle 'scoperte' di Veronelli sono passati
32 anni. Nei quali si è fatto ben poco. Intanto
gli alpeggi restano spesso deserti e i casari smettono
e non hanno qualcuno cui 'passare' la tradizione. L'autore
del formaggino che ho ritratto qui sotto (anno
2002) era l' Albini Livio di Garzeno. Allora era
all'Alpe Croce (di cui ho riportato delle foto). Poi
ha dovuto cambiare e cercare l'aalp fino in Valsassina;
poi si è ammalato e ha perso la vista. Era specialista
anche di Zìgher. Una menzione che gli
è dovuta. Anche l'Alpe Sumero (foto con il gregge
di capre) non ha conosciuto una sorte felice. La Pozzi
Cecilia che lo caricava non l'ha più avuta in
affitto dal comune di Cremia e ho poi avuto i suoi problemi.
Sono mondi fragili dove problemi familiari, legali o di
salute di singoli protagonisti mettono in crisi tutto
un sistema di produzione e la sua continuità.
Sono mondi dove non basta conoscere gli aspetti tecnici
ma bisogna penetrare empaticamente nella loro dimensione antropologica
per comprenderli e poter operare per valorizzarne culture
e produzioni. Con il rispetto che gli è dovuto.
Formaggino
caprino di Garzeno (M. Corti)
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Aspetto
della cagliata dei formaggini in un'alpe
lariana
(archivio M. Corti)
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Monticazione
dell'Alpe Croce (M. Corti)
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Alpe
Croce con splendida vista lago (M. Corti)
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Alpe
Sumero (Cremia) sotto il Bregagno: uscita
del gregge
dal
bàrek (dove si munge su sedili
di pietra fissi). Le lamiere tolte da
coperture di tetti integrano la recinzione
in pietra a secco. Si notano soggetti
neri (Verzasca) (M.Corti)
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Alpe
Sumero (Cremia) : il gregge di capre
Lariane (ceppo di Alpina comune) si
avvia al pascolo serale alle falde del
Monte Bregagno che torregga sul Lago
di Como (evidente la radice celtica
Brig/Breg)(M. Corti)
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