Quadro
normativo
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D.Lgs. n° 173 del 30/04/1998 “Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell’articolo 55, commi 14 e 15, della L. 27 dicembre 1997, n. 449″, Art. n° 8 – Comma n° 1, pubblicato sulla G.U.R.I. n° 129 del 05/06/1998
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D.M. n° 350 del 08/09/1999 “Regolamento recante norme per l’individuazione dei prodotti tradizionali di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173″, pubblicato sulla G.U.R.I. n° 240 del 12/10/1999
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Circ. MIPAF n° 10/63885 del 21/12/1999 “Criteri e modalità per la predisposizione degli elenchi delle regioni e delle province autonome dei prodotti agroalimentari tradizionali – D.M. 8 settembre 1999, n. 350″
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Circ. Sanità n° 11/99 del 1999
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Circ. MIPAF n° 2 del 24/01/2000 “Criteri e modalità per la predisposizione degli elenchi delle regioni e delle province autonome dei prodotti agroalimentari tradizionali – D.M. 8 settembre 1999, n. 350. D.M. 18/07/2000 Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali”, pubblicata sulla G.U.R.I. n° 194 del 21/08/2000, Supplemento Ordinario n° 130
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D.M. del 25/07/2000 “Definizione delle deroghe relative ai prodotti tradizionali in attuazione del comma 2 dell’art. 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173″, pubblicato sulla G.U.R.I. n° 184 del 08/08/2000
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D.M. del 28/03/2001 “Costituzione del Comitato per la valorizzazione del patrimonio alimentare italiano”, pubblicato sulla G.U.R.I. n° 99 del 30/04/2001rio n° 146
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(I PAT
(prodotti agroalimentari tradizionali), pensati per valorizzare le produzioni
di nicchia, rappresentano oggi un'arma spuntata, anche per una
proliferazione sulla base di criteri poco rigorosi degli elenchi regionali
Un progetto pilota per qualificare i PAT
Nell'attesa
(messianica?) del 'marchio leggero' a livello europeo il Piemonte tenta la
strada della certificazione dei PAT nell'ambito di un marchio di qualità
regionale
di Michele Corti
Qualcosa bisognava pur fare per riscattare i PAT da quella
condizione di limbo in cui sono relegati. I PAT sono stati pensati a
livello nazionale per fornire una forma di ufficializzazione a quelle
produzioni di nicchia che interessano
aree molto limitate, presentano offerta stagionale e dispersa, non hanno
caratteristiche tali da alimentare circuiti distributivi.
Il
valore di queste produzioni, però, è dato dal loro rappresentare dei savoir
faire, che rischiano di
andare perduti; sono beni culturali a tutti gli effetti e base di quelle
filiere agri-culturali che possono garantire una valorizzazione multifunzionale
e autosostenibile dei territori 'svantaggiati' o 'marginali' (per usare
orribili espressioni convenzionali). Aggiungiamo che a parecchi PAT sono associate
varietà di piante coltivate e tipi genetici animali autoctoni e a rischio di
estinzione. I PAT, però, godono di un incerto statuto:
le procedure sono demandate alle regioni, che compilano ciascuna un proprio
elenco, gli elenchi sono poi trasmessi al MIPAAF.
Considerate
le ampie competenze delle regioni italiane in materia agricola e la natura
strettamente locale di tali produzioni (lontane anni luce dalle logiche
agroindustriali) può apparire del tutto coerente ed adeguato il loro
riconoscimento entro la sfera regionale. Il fatto, però, è che la mancata (o
parziale) assunzione del 'sistema PAT' da parte del livello ministeriale
corrisponde ad una volontà di mantenere sottotraccia i PAT stessi nel timore di
andare a 'pestare i piedi' al sistema dei marchi di qualità 'di serie A',
quelli garantiti dalla UE (DOP, IGP, STG e Agricoltura biologica).
La Dop si è rivelata
per alcuni prodotti un'arma a doppio taglio
Frutto di una storica
battaglia condotta in sede comunitaria dalla Francia (con l'Italia accodata) le
DOP, che parevano rappresentare un fattore chiave competitivo per l'agricoltura
italiana (con il 23% di registrazioni) sono diventate con il tempo un sistema
rigido che in paesi come l'Italia caratterizzati da una grandissima varietà di
produzioni tradizionali e da una struttura dell'offerta frammentata irrigidisce
le strategie di valorizzazione dei prodotti di nicchia e delle aree 'deboli. La
UE, per tutelare le DOP e IGP, basate sulla tutela di una definizione
territoriale, esercita un'arcigna vigilanza circa l'uso di marchi
collettivi riferiti ad una qualsivoglia entità territoriale.
Le DOP diventano così un
boomerang per i sistemi agroalimentari artigianali su piccola scala che,
fortunatamente, caratterizzano ancora il panorama italiano e che rappresentano
un giacimento gastronomico inestimabile. Pur incidendo poco sul fatturato
agroalimentare il settore delle produzioni di nicchia tradizionali rappresenta
una risorsa strategica sul piano
di economia turistica che farà sempre più affidamento alla dimensione
gastronomica (basti pensare che nel 2006 la spesa media del turista è stata di 92
euro/presenza, ma che essa sale a
143 se si fa riferimento alla nicchia del turismo enogastronomico e
scende a soli 68 euro per il
turismo balneare).
Non occorre tornare in
questa sede sulle note polemiche circa l'effetto delle DOP in termini di spinta
alla standardizzazione e
alla industrializzazone delle
produzioni che hanno spesso comportato non solo un 'esproprio
patrimoniale' ai danni di piccoli produttori e delle aree di montagna (che
questi prodotti avevano 'inventato') ma anche il venir meno dell'appeal di destinazioni turistiche che avevano
nel prodotto 'raro' l'unico attrattore (pensiamo al Culatello che richiedeva un
pellegrinaggio a Zibello e che ora si trova nei panini degli Autogrill).
Consapevoli di ciò che comporta il riconoscimento della DOP parecchie
produzioni evitano di rincorrerlo, proprio per non cadere in una condizione in
cui il 'pallino' finisca per sfuggire di mano a vantaggio degli industriali e
della pianura.
Quanto alla STG (specialità
tradizionale garantita) essa riguarda i processi di trasformazione senza alcun
legame con il territorio. Una STG può essere prodotta ovunque (sempre per il
principio di non 'confondere' il consumatore) che deve rivolgere un'attenzione
privilegiata alle DOP e IGP. In Italia c'è solo la Mozzarella STG e
sono state proposte STG come il 'Gallo ruspante', la 'Pizza napoletana',
'L'Antico (!?) cioccolato artigianale'. Il gioco (oneri di certificazione,
burocrazia) non vale la candela (un prodotto 'garantito' che può essere
replicato ovunque, basta seguire alcuni metodi). Ne discende che il sistema dei
marchi agroalimentare UE va corretto, integrato da qualcosa che non c'è ancora
o da qualcosa che c'è e può essere rivalutato: i PAT per l'appunto.
I limiti palesi dei PAT (la corsa a chi ha la lista più lunga)
PAT nascono (ex art. 8,
comma 1 del D.lgs n.173 del 1998) con intenzioni ibride e con il limite,
come visto, di 'non dare troppo nell'occhio' nei confronti di Bruxelles.
Restano quindi sottotraccia anche perché, in molti casi, l'obiettivo era quello
minimale di salvare certe
pratiche tradizionali alimentari dalla scure europea delle 'normative
igienico-sanitarie' fornendo
degli appigli cui aggrapparsi per non mettere fuori legge materiali e tecniche
tradizionali. I limiti
entro cui sono nati i PAT sono poi venuti a galla ben presto una volta che le
regioni sono andate compilando e aggiornando gli 'elenchi'. Gli stessi
principi di riconoscimento dei PAT è stato largamente disatteso da parte di
regioni interessate a competere banalmente tra loro per l'elenco più lungo.
Ricordiamo che i PAT devono essere ottenuti con metodi di lavorazione,
conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il
territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non
inferiore ai venticinque anni.
Di fatto - a parte qualche bizzarria - sono entrati negli elenchi prodotti
tradizionali ... di altre regioni (tipo la Scamorza trentina) o prodotti
industriali con tanto di marchio aziendale registrato e nome di fantasia. Non
parliamo poi di prodotti inseriti con lo stesso nome ma che in territori
diversi della stessa regione hanno caratteristiche anche molto differenti, o di
prodotti con nomi diversi ma in realtà identici. Vi sono poi 'famiglie' di
prodotti che rendono palese l'intento di 'fornire l'appiglio per le deroghe' e
non di identificare, tutelare, valorizzare specifiche nicchie produttive (vedi
la generica 'ricotta artigianale'in Lombardia, o l'altrettanto generico il
'caprino presamico', in Lombardia e Piemonte ecc. ecc.). L'approccio a dir poco
superficiale ai PAT ha condotto a inserire in elenco prodotti descritti molto
sommariamente con evidenti disparità di criteri sia tra regione e regione che
nell'ambito della stessa regione in corrispondenza delle numerose 'revisioni'
cui l'elenco è stato ovunque sottoposto. Una base fragile per qualsiasi
strategia di tutela e valorizzazione.
I PAT tassello del sistema di qualità agroalimentare piemontese
Consapevole
che il sistema DOP/IGP non è in grado di coprire una parte importante del
patrimonio di produzioni agroalimentari di qualità, specie quelle legate a
territori 'deboli', la
Regione Piemonte ha lanciato (gennaio 2010) un progetto di
qualità (Piemonte
agriqualità) che comprende oltre a DOP, DOC, DOCG, IGP,
Agricoltura biologica anche
i prodotti delle Terre Alte,
dei Parchi,
dell'agricoltura
integrata (sulla
quale potrebbero esserci delle riserve dubbi dato il loro carattere
di eterna transizione verso il bio) e, infine, i PAT.
I
PAT rappresentano una realtà diffusa (sono quasi 400 in
Piemonte!) e, se gestiti in modo più incisivo rispetto al passato, un modello
di qualità applicabile alla generalità dei sistemi territoriali agroalimentari
che di distaccano dalle filiere industriali ma che hanno difficile
accesso a sistemi di certificazione quali quelli previsti per DOP e Agricoltura
biologica. Il progetto di 'qualificazione' dei PAT è stato lanciato in sintonia
con un programma di seria revisione dell'elenco (in Piemonte l'ultima è del
2002) e prevede il coinvolgimento di diversi attori. Con la Regione in funzione
di coordinamento e di finanziamento ma senza volontà di prevaricare i livelli
provinciali. Nella scelta dei prodotti 'eligibili' per il progetto pilota (saranno inseriti 2
PAT per ciascuna delle 8 provincie della Regione) sono
coinvolte le Camere di Commercio e le Provincie (enti cui è
demandato il compito della consultazione dei soggetti portatori di interesse in
materia). Dal punto di vista del supporto tecnico è previsto il ruolo dell’Istituto lattiero caseario e delle tecnologie
agroalimentari di Moretta e del Consorzio di ricerca, sperimentazione
e divulgazione per l'ortofrutticoltura piemontese. Al sistema camerale competerà anche la
gestione degli aspetti certificativi. La scommessa consiste nella
sperimentazione di un sistema di certificazione più snello e , soprattutto,
meno costoso rispetto a quello della DOP. Nell'ambito del progetto
pilota i costi saranno tutti a carico della Regione ma, se il sistema
dovesse generalizzarsi ed entrare a regime i costi resterebbero in carico ai
produttori.
Il progetto è in fase di avvio
I prodotti saranno
scelti entro il mese di marzo sulla base di criteri attinenti un assortimento
per categoria, le potenzialità, la rappresentatività territoriale. Per
arrivare ad accedere alla certificazione, e quindi al marchio regionale, sarà
necessario redigere dei disciplinari veri e propri e di protocolli di
controllo. Il tutto sarà oggetto di comunicazione al Mipaaf. Una volta
attivato il sistema esso consentirà ai prodotti di inserirsi in un sistema di
qualità nazionale ed è prevista anche la registrazione dei marchi in sede
europea. E' una traiettoria che, negli auspici, potrà consentire di
attribuire ai PAT una pari
dignità - almeno per alcuni aspetti - con i sistemi di qualità riconosciti
a livello EU: DOP, IGP, STG, AGRICOLTURA BIOLOGICA. E' anche un possibile
percorso per arrivare ad un marchio nazionale. Il tutto non è scevro di insidie
perché, a differenza delle DOP e IGP, questi marchi non possono aspirare ad
alcuna tutela dell'area di produzione ma solo dei metodi. Di qui la necessità
di vincolare i metodi di produzione a elementi che reintroducano dalla finestra
la logica di delimitazione geografica scacciata dalla porta: q il legame con
una determinata razza autoctona, particolari ingredienti, strumenti, materiali,
strutture difficilmente reperibili altrove, un profilo organolettico ben
caratterizzato legato a fattori territoriali precisi e non facilmente
riproducibili. La 'scommessa' è duplice: riuscire ad approntare un sistema di
certificazione snello e poco costose, caratterizzare le produzioni in modo tale
che i disciplinari depositati con possano essere utilizzati per riprodurre
altrove i PAT.
Obbietivo strategico
Non
sfugge la finalità strategica della non semplice operazione. Essa dovrebbe
consentire di ridurre il fossato, che si è sempre più andato
approfondendo, tra produzioni 'riconosciute' e quelle prive di status
'europeo' ma fondamentali per assicurare sostenibilità economica ai sistemi di
agricoltura 'marginali'. Con gli anni sono aumentate di numero e di
importanza le misure dei Piani di sviluppo rurale comportanti un accesso
esclusivo o privilegiato dei prodotti DOP, IGP, da Agricoltura biologica.
Tenuto conto delle difficoltà di accesso alla DOP delle produzioni di nicchia e
della innegabile deriva produttivistica delle DOP stesse a sfavore delle
produzioni 'rurali' l'attribuzione ai PAT di una parte delle prerogative delle
DOP appare come operazione non solo di eqità ma anche necessaria affinché le
risorse per lo sviluppo rurale non
sia in gran parte riassorbita dal sostegno alle filiere agroindustriali. Da qui
l'interesse per il progetto piemontese che potrebbe rappresentare uno stimolo
ad analoghe iniziatve anche nelle altre regioni e forse aprire la strada, 'dal
basso' al sospirato 'marchio leggero'.
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