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Inforegioni/Bufanini e vitelli soppressi alla nascita

 

  

 

 

 

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La sorte dei bufalini

 

di Giuseppe Pallante

 

Specialista di Diritto e legislazione veterinaria, Istituto Italiano di Bioetica

 

La lettera pubblicata su Professione Veterinaria 13/2010 e a firma del signor Enrico Miolli sul destino degli annutoli di bufalo di sesso maschio e la risposta con il conseguente invito del presidente Carlo Scotti a riflettere sulla questione e non a subirla passivamente, ci permette di fornire una doverosa precisazione su quali strumenti abbiamo già oggi, e che possiamo mettere in campo come professione all’interno della questione.

 

Premetto che vivo e pratico in Trentino, e quindi non posso conoscere in modo diretto la questione e sono sicuro i colleghi del territorio interessato potranno al meglio integrare la mia riflessione.

Entrando nel merito a prescindere dalle personali posizioni di natura etica e dal profilo deontologico cui ci richiama la professione che richiederebbero altro taglio e genere di riflessione al presente contributo, e tralasciando anche gli aspetti normativi di pertinenza specifica del Codice di Procedura Penale, ma limitandosi già alla sola procedura di applicazione della Anagrafe Bovina è possibile fornire un contributo di natura giuridica alla questione quale deterrente alla mattanza.

Il punto di riferimento attuale resta il Decreto Ministeriale del 31 Gennaio 2002, che detta disposizione in materia di funzionamento dell’anagrafe bovina.

A sua volta lo stesso richiama in modo esplicito il regolamento CE 1760/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 Luglio dello stesso anno e il Decreto del Presidente della Repubblica del 19 Ottobre 2000 n. 437.

 

Prendendo in esame l’articolato del decreto in questione già all’art. 1, comma e, ci viene detto che per animale si deve intendere un animale della specie bovina, comprese la specie Bison Bison e Bubalus bubalus  .

Il comma e quindi entra nel merito della specie, quella bufalina, di fatto quale soggetto cui si è sottoposti ad applicare il presente atto di Legge.

Di seguito all’art. 2 ci si imbatte subito nelle principali finalità dell’Anagrafe Bovina, che per il legislatore sono due; infatti leggiamo al punto 1 comma a  “… la tutela della salute pubblica e del patrimonio zootecnico”. Quindi non solo la specie Bufalo, come abbiamo visto in precedenza, viene tutelata, ma l’intero patrimonio zootecnico di siffatta specie, risulta essere soggetto di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.

 

Come? Attraverso un sistema di identificazione dei singoli animali e conseguente registrazione sia nei registri tenuti in azienda che attraverso la registrazione presso la Banca Dati informatizzata.

Quindi sempre nell’art.2 ci viene detto su cosa si basa il Sistema Anagrafe:

a)     sulle dichiarazioni del detentore degli animali

b)     sulla registrazione in tempo reale e comunque nei tempi previsti dalla normativa comunitaria

I responsabili del funzionamento del sistema (punto 3 dell’art.2)  sono una serie di soggetti tra cui i detentori, i titolari e i Servizi Veterinari delle Aziende Unità Sanitarie Locali.

Passando all’ art.5 viene esplicitamente detto che il titolare dell’azienda deve comunicare al servizio veterinario competente ogni variazione…entro sette giorni (!) dall’evento e come tale registrato presso il registro aziendale (art.5 , comma 5) .

All’art.7 inoltre viene detto che il detentore entro 20 giorni dalla nascita deve applicare la marca auricolare (art.7 comma 4) e ribadisce che la notifica alla Banca Dati Nazionale deve essere effettuata entro sette giorni dalla nascita.

Quindi al comma 9 dello stesso articolo vengono ripresi i compiti e le responsabilità del detentore tra cui al punto ecomunica la morte di un animale….entro 7 giorni”, punto f  comunica entro 48 ore lo smarrimento o il furto degli animali  .

 

Questo brevissimo richiamo normativo è essenziale nel comprendere quindi che se ipotizziamo si è in presenza di una stalla ad esempio di 40 capi in lattazione verosimilmente il risultato atteso deve risultare grosso modo di quaranta nascite all’anno.

Del totale dell’effettivo è presumibile inoltre che la metà sia di sesso maschile e che gli stessi siano soppressi alla nascita, così come lascia intendere la lettera del signor  Miolli.

Dai procedimenti di controllo attuati dalle autorità competenti (Servizi Veterinari) non può non saltare agli occhi una incongruenza tra il totale dei capi adulti presenti in lattazione e il numero delle nascite nell’anno dichiarate nel registro aziendale.

 

In conclusione la mancata iscrizione all’Anagrafe Bovina, e quindi la mancata congruenza dell’informazione riscontrabile di circa la metà dei capi attesi, pone il sanitario dinanzi almeno a tre ipotetiche questioni:

a)    una elevata mortalità al parto o subito dopo espletato lo stesso o comunque entro i primi sette giorni 

b)    una compravendita illegale con potenziale immissione di carne prive di etichettatura (filiera alimentare) sul mercato

c)      soppressione provocata (in questo caso è possibile definirla eutanasia?)

Nella veridicità della prima ipotesi l’azienda in questione resta comunque da monitorare da parte dei Servizi Veterinari dell’Azienda Sanitaria, non fosse altro per individuare quali possono essere le cause di una mortalità che investe annualmente metà del patrimonio zootecnico (art.2, comma 1, punto a, tutela del patrimonio zootecnico attraverso la costituzione e funzionalità della rete di epidemiosorveglianza) e che comunque investe di responsabilità il detentore per la mancata dichiarazione del capo morto che va comunque comunicato entro sette giorni (art.7,  comma 9) .

 La seconda  ipotesi apre direttamente a reati da Codice di Procedura Penale e quindi ne tralascio la trattazione.

La terza ipotesi, la più verosimile e che sta giustamente a cuore al signor Miolli, va inquadrata pertanto comunque nell’obbligo di comunicazione di morte entro i sette giorni e nella legittimità del dare la morte. 

In questo caso la sorte dei piccoli di sesso maschile della specie bufalina comunque andrebbe contestualizzata in una scelta di tipo eutanasico e non certo attraverso altre  soluzioni che prevedono l’applicazione del Codice di Procedura Penale  (Art. 544-bis. - (Uccisione di animali:  Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi) .

Ma a questo punto la stessa eutanasia come scelta ultima senza comprovato motivo sembrerebbe una ipotesi non percorribile da parte dello stesso sanitario che inevitabilmente  incorrerebbe nello stesso tipo di reato di procedura penale.

Infatti va ricordato come la scelta dell’eutanasia nelle specie da reddito resta praticabile solo in deroga all’uso di medicinali eutanasici autorizzati per cani e gatti ed altri animali di piccola taglia secondo le modalità previste dall'articolo 11 del Decreto Legislativo 193 del 6 aprile 2006 e successive modifiche al solo scopo di tutelare il benessere animale (es. vacche a terra) , ed il caso in esame evidentemente non risulta coerente con quanto previsto dalla Legge.

 

In conclusione è da credere che la norma in vigore è già in sé uno strumento deterrente nei casi denunciati dalla lettera. È evidente che ciò non nega le tragiche realtà descritte ma che le stesse restano da perseguire attraverso Organi e procedure ben più complesse di quanto il sanitario possa rispondere.

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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