(29.05.10) Torniamo
sull'increscioso problema degli annutoli e vitelli maschi
soppressi alla nasciata per 'valore di mercato negativo'
La sorte dei bufalini
di Giuseppe
Pallante
Specialista
di Diritto e legislazione veterinaria, Istituto Italiano
di Bioetica
La lettera pubblicata su Professione Veterinaria 13/2010 e
a firma del signor Enrico Miolli sul destino degli annutoli di bufalo di sesso
maschio e la risposta con il conseguente invito del presidente Carlo Scotti a
riflettere sulla questione e non a subirla passivamente, ci permette di fornire
una doverosa precisazione su quali strumenti abbiamo già oggi, e che possiamo
mettere in campo come professione all’interno della questione.
Premetto
che vivo e pratico in Trentino, e quindi non posso conoscere in modo diretto la
questione e sono sicuro i colleghi del territorio interessato potranno al
meglio integrare la mia riflessione.
Entrando
nel merito a prescindere dalle personali posizioni di natura etica e dal
profilo deontologico cui ci richiama la professione che richiederebbero altro
taglio e genere di riflessione al presente contributo, e tralasciando anche gli
aspetti normativi di pertinenza specifica del Codice di Procedura Penale, ma
limitandosi già alla sola procedura di applicazione della Anagrafe Bovina è
possibile fornire un contributo di natura giuridica alla questione quale
deterrente alla mattanza.
Il
punto di riferimento attuale resta il Decreto Ministeriale del 31 Gennaio 2002,
che detta disposizione in materia di funzionamento dell’anagrafe bovina.
A
sua volta lo stesso richiama in modo esplicito il regolamento CE 1760/2000 del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 Luglio dello stesso anno e il Decreto
del Presidente della Repubblica del 19 Ottobre 2000 n. 437.
Prendendo
in esame l’articolato del decreto in questione già all’art. 1, comma e,
ci viene detto che per animale si deve intendere un animale della specie
bovina, comprese la specie Bison Bison e Bubalus bubalus .
Il
comma e quindi entra nel merito della specie, quella bufalina, di
fatto quale soggetto cui si è sottoposti ad applicare il presente atto di
Legge.
Di
seguito all’art. 2 ci si imbatte subito nelle principali finalità dell’Anagrafe
Bovina, che per il legislatore sono due; infatti leggiamo al punto 1 comma
a “… la tutela della salute
pubblica e del patrimonio zootecnico”. Quindi
non solo la specie Bufalo, come abbiamo visto in precedenza, viene tutelata, ma
l’intero patrimonio zootecnico di siffatta specie, risulta essere soggetto di
tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
Come?
Attraverso
un sistema di identificazione dei singoli animali e conseguente registrazione
sia nei registri tenuti in azienda che attraverso la registrazione presso la
Banca Dati informatizzata.
Quindi
sempre nell’art.2 ci viene detto su cosa si basa il Sistema Anagrafe:
a) sulle dichiarazioni del detentore degli animali
b) sulla registrazione in tempo reale e comunque nei
tempi previsti dalla normativa comunitaria
I
responsabili del funzionamento del sistema (punto 3 dell’art.2) sono una serie di soggetti tra cui i
detentori, i titolari e i Servizi Veterinari delle Aziende Unità Sanitarie
Locali.
Passando
all’ art.5 viene esplicitamente detto che il titolare dell’azienda deve
comunicare al servizio veterinario competente ogni variazione…entro sette
giorni (!) dall’evento e come tale registrato presso il registro
aziendale (art.5 , comma 5) .
All’art.7
inoltre viene detto che il detentore entro 20 giorni dalla nascita deve
applicare la marca auricolare (art.7 comma 4) e ribadisce che la
notifica alla Banca Dati Nazionale deve essere effettuata entro sette giorni
dalla nascita.
Quindi
al comma 9 dello stesso articolo vengono ripresi i compiti e le
responsabilità del detentore tra cui al punto e “comunica la morte di
un animale….entro 7 giorni”, punto f “comunica entro 48 ore lo smarrimento o il
furto degli animali” .
Questo
brevissimo richiamo normativo è essenziale nel comprendere quindi che se
ipotizziamo si è in presenza di una stalla ad esempio di 40 capi in lattazione
verosimilmente il risultato atteso deve risultare grosso modo di quaranta
nascite all’anno.
Del
totale dell’effettivo è presumibile inoltre che la metà sia di sesso maschile e
che gli stessi siano soppressi alla nascita, così come lascia intendere la
lettera del signor Miolli.
Dai
procedimenti di controllo attuati dalle autorità competenti (Servizi
Veterinari) non può non saltare agli occhi una incongruenza tra il totale dei
capi adulti presenti in lattazione e il numero delle nascite nell’anno
dichiarate nel registro aziendale.
In
conclusione la mancata iscrizione all’Anagrafe Bovina, e quindi la mancata
congruenza dell’informazione riscontrabile di circa la metà dei capi attesi,
pone il sanitario dinanzi almeno a tre ipotetiche questioni:
a) una elevata mortalità al parto o subito dopo
espletato lo stesso o comunque entro i primi sette giorni
b) una compravendita illegale con potenziale immissione
di carne prive di etichettatura (filiera alimentare) sul mercato
c)
soppressione
provocata (in questo caso è possibile definirla eutanasia?)
Nella
veridicità della prima ipotesi l’azienda in questione resta comunque da
monitorare da parte dei Servizi Veterinari dell’Azienda Sanitaria, non fosse
altro per individuare quali possono essere le cause di una mortalità che
investe annualmente metà del patrimonio zootecnico (art.2, comma 1, punto a,
tutela del patrimonio zootecnico attraverso la costituzione e funzionalità
della rete di epidemiosorveglianza) e che comunque investe di
responsabilità il detentore per la mancata dichiarazione del capo morto che va
comunque comunicato entro sette giorni (art.7, comma 9) .
La seconda ipotesi apre direttamente a reati da Codice
di Procedura Penale e quindi ne tralascio la trattazione.
La
terza ipotesi, la più verosimile e che sta giustamente a cuore al signor
Miolli, va inquadrata pertanto comunque nell’obbligo di comunicazione di morte
entro i sette giorni e nella legittimità del dare la morte.
In
questo caso la sorte dei piccoli di sesso maschile della specie bufalina
comunque andrebbe contestualizzata in una scelta di tipo eutanasico e non certo
attraverso altre soluzioni che prevedono
l’applicazione del Codice di Procedura Penale (Art. 544-bis.
- (Uccisione di animali: Chiunque,
per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la
reclusione da tre mesi a diciotto mesi) .
Ma a questo punto la stessa eutanasia come scelta ultima
senza comprovato motivo sembrerebbe una ipotesi non percorribile da parte dello
stesso sanitario che inevitabilmente
incorrerebbe nello stesso tipo di reato di procedura penale.
Infatti
va ricordato come la scelta dell’eutanasia nelle specie da reddito resta
praticabile solo in deroga all’uso di
medicinali eutanasici autorizzati per cani e gatti ed altri animali di piccola
taglia secondo le modalità previste dall'articolo 11 del Decreto Legislativo
193 del 6 aprile 2006 e successive modifiche al solo scopo di tutelare il
benessere animale (es. vacche a terra) , ed il caso in esame evidentemente non
risulta coerente con quanto previsto dalla Legge.
In
conclusione è da credere che la norma in vigore è già in sé uno strumento
deterrente nei casi denunciati dalla lettera. È
evidente che ciò non nega le tragiche realtà descritte ma che le stesse restano
da perseguire attraverso Organi e procedure ben più complesse di quanto il
sanitario possa rispondere.
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