La
mozione 'pro Bitto storico' del Consiglio dei Governatori
di Slow Food riuniti a Benevento il 21 novembre PDF
La
mozione 'pro Bitto storico' del Consiglio dei Comunale
di Gerola alta del 27 novembre PDF
Sopra:
l'esterno del Centro del Bitto di Gerola alta 'listato
a lutto' per l'imposizione di oscurare il nome del Bitto
(foto: Vincenzo Lo Scalzo)
Sopra:
momenti dell'incontro svoltosi al Centro del Bitto di
Gerola alta. Da sn: Corti, Acquistapace, Ciaopparelli
e Sardo (foto: Vincenzo Lo Scalzo)
L'
Homo selvadego così come raffigurato nella 'camera picta'
di Sacco in Valgerola. Il cartiglio recita: 'e mi
sonto un homo selvadego a chi me ofende ge fo pagura'
Una
causa con un ottimo 'nume tutelare': L'Homo selvadego
Fu
lui secondo la mitologia alpina ad insegnare i segreti
della caseificazione. Questa raffigurazione fa parte
della simbologia e dell'identità locale valgerolese
specie da quando la 'camera picta' di Sacco (un villaggio
della Valgerola in Comune di Cosio Valtellino), che
conserva l'affersco del Selvadego, venne recuperata
e trasformata in Museo.
Roby
Ronza, che ne promosse la realizzazione, e che
oggi è delegato del Presidente Formigoni per gli affari
internazionali, da tempo auspica che il Bitto storico venga
contraddistinto con il logo dell'Homo selvadego. L'attitudine
pacifica ma pronta alla reazione e alla difesa dell'
Homo selvadego ('a chi me ofende che fo pagura' recita
il cartiglio) appare un ideale contrassegno sia per
il Bitto storico che, nell'immediato, per il Comitato
in sua difesa che si sta costituendo.
Vale
la pena ricordare che, oltre a Roby Ronza (esponente
del governo lombardo), si sono espressi pro Bitto storico:
Giulio De Capiani (presidente in carica del consiglio
regionale), Ettore Albertoni (past-president)
e il consigliere regionale Edgardo Arosio.
L'immagine
dei 'ribelli del Bitto' quali gruppo isolato cui si
contrappone il fronte compatto della politica e delle
istituzioni è quanto mai lontana dalla verità.
Il
sancta santorum del Tempio del Bitto dove si
costudiscono le forme di lungo invecchiamento. Espropriare
un capolavoro caseario, un bene storuico-culturale come
questo del nome con cui è conosciuto da almeno 5 secoli
è espressione di profonda ignoranza e arroganza, il
peggio della degenerazione politico-burocratica.
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(29.11.09) Si
è svolto il 28 novembre l'incontro pubblico a Gerola
con i produttori e i sostenitori del Bitto storico
Bitto
storico: produttori, territorio e supporter decisi
a far valere i diritti storici e naturali di questo
tesoro gastronomico e culturale a non cedere
alla prevaricazione politico-burocratica si punta ad informare e coinvolgere
la società civile e a chiedere alle istituzioni locali di
prendere una chiara posizione sulla vicenda
Il 28 novembre
si sono dati appuntamento a Gerola alta i sostenitori
del Bitto storico ed anche persone e rappresentanti
di enti che, pur non schierandosi apertamente per la
causa, volevano comunque essere informati di quanto
sta succedendo dai diretti interessati. I presenti
hanno potuto così avere notizie fresche e molti elementi
di approfondimento (di solito non presentati dai media).
Da Fabio Aquistapace, Sindaco di Gerola, Piero
Sardo, presidente della fondazione Slow Food per la
biodiversità, Paolo Ciapparelli, 'storico' presidente
dell'Associazione produttori Valli del Bitto e da Michele
Corti, studioso del 'sistema Bitto' vuoi nei suoi
aspetti storico-culturali che attuali.
Una
comunità raccolta intorno ad un formaggio-simbolo riconosciuto
come risorsa economica ma anche culturale ed identitaria
Va
ricordato per chi non conosce i vari elementi della
vicenda che il Comune di Gerola è legato al Bitto storico
in quanto proprietario del Centro del Bitto stesso,
in quanto legale responsabile e promotore dell'Ecomuseo
(di cui il Centro del Bitto rappresenta il cuore), in
quanto proprietario degli alpeggi storici. Per Gerola
alta il Bitto storico ha rappresentato in passato
una risorsa economica fondamentale; in tempi recenti,
con la fama aquisita da celeberrimo formaggio anche
grazie a Slow Food, è tornato di nuovo ad esserlo. E'
un volano prezioso non solo per il turismo e l'economia,
ma anche per la stessa 'sopravvivenza' culturale della
comunità. Intorno al Bitto ruotano molti degli eventi
più significativi che vedono impegnato il Gruppo tradizionale,
la Pro loco e varie associazioni. Non meraviglia quindi
che, come comunicato dal Sindaco, il Consiglio Comunale
abbia votato all'unanimità un ordine del giorno molto
'combattivo' che riconosce come la storia, la tradizione
e la cultura della comunità siano legate alla produzione
del Bitto storico. Il CC di Gerola stigmatizza
i vari 'passaggi' che, dalla creazione della Dop nel
1995 ai fatti degli ultimi giorni (multe salate contro
il Centro del Bitto e ratifica europea del
disciplinare del 'nuovo' Bitto con i mangimi e
i fermenti), hanno portato confusione e ambiguità tra
i consumatori senza che vi fossero vantaggi per
le Valli del Bitto. Su questa base il CC impegna Sindaco
e Giunta ad intraprendere le azioni politiche e legasi
del caso in qualsiasi sede ritenuta idonea e a coinvolgere
le istituzioni e la società civile nelle azioni
a tutela del Bitto storico.
Il
consiglio dei governatori di Slow Food schierato con
il Bitto storico
Piero
Sardo ha dichiarato che Slow Food ha deciso di appoggiare
tutte le iniziative che il gruppo dei produttori storici
intenderà mettere in campo per far fronte alle sanzioni
pecuniarie imposte dal Ministero per presunta usurpazione
(sic) della denominazione 'Bitto'. Ciò avverrà
anche organizzando momenti d sensibilizzazione, mobilitazione
e raccolta firme. Nel documento approvato dal Consiglio
dei governatori di Slow Food il 21 novembre si legge:
questa
è una battaglia che non riguarda solo il Bitto storico,
ma più
in
generale la tendenza delle istituzioni, nazionali ed
europee, a favorire pesanti modifiche dei disciplinari
che snaturano il carattere storico e tradizionale dei
prodotti DOP e IGP, a vantaggio esclusivo delle lobbies
industriali e non dei consumatori, ignorando completamente
le giuste rimostranze dei piccoli produttori che ostinatamente
continuano a proporre prodotti onesti, tipici e tradizionali.
I
produttori ribelli sottoposti a 'pressioni'
Paolo
Ciapparelli ha riassunto le circostanze che hanno portato
alla crisi attuale, frutto della non volontà delle istituzioni
di affrontare la questione o del loro pregiudiziale
schierarsi da una delle parti in causa, quella dei 'grossi',
della qyuantità, della burocrazia. Ha poi ricordato
come i produttori siano compatti e decisi ad andare
avanti sulla strada intrapresa con il fondamentale aiuto
di Slow Food. Quello che molti non hanno ancora capito
ha richiamato Ciapparelli è che 'il mondo non finisce
a Colico' e che mentre a livello locale si insiste
a voler schiacciare i produttori storici, a livello
internazionale il Bitto storico è oggetto di grande
ammirazione e apprezzamento, con immenso vantaggio per
quella Valtellina 'ufficiale' che, in modo miope, considera
la fronda dei produttori delle Valli del Bitto come
un fastidio da rimuovere.
A
proposito di 'pressioni' Ciapparelli ha ricordato come
quando chi guidava l'Amministrazione di Albaredo
(nell'altra valle del Bitto) decise di saltare il fosso e
abbandonare l'Associazione Produttori Valli del Bitto
per appoggiare il Consorzio, i due alpeggiatori di Albaredo
che avevano in affitto gli alpeggi comunali dovettero
uscire subito dall'Associazione. Bene sapere che quel
Sindaco è oggi 'coordinatore' del 'multiconsorzio Valtellina
c'è più gusto' che oltre ai formaggi Dop gestisce la
promozione istituzionale dei vini Doc e Docd e
la Igp Bresaola. Ciapparelli ha anche aggiunto che ai 'suoi'
produttori che in inverno vendono il latte alle
grosse latterie del fondovalle è stato detto che se
insistono a fare i 'ribelli' 'andassero' a consegnare
il loro latte al Ciapparelli (per capire il senso dell'invito
- c'è in realtà un'altra parola che andrebbe usata -
va precisato che Ciapparelli, con i suoi soci imprenditori,
raccolti nella valli del Bitto trading, al solo fine
per sostenere con un prezzo etico la produzione
del Bitto storico, è stagionatore e non ha un caseificio).
Il
presidente della Camera di Commercio conferma il falso
storico
Il
non facile compito di rappresentare le istituzioni nella
'gabbia dei leoni' è stato assunto da Emanuele Bertolini,
Presidente della Camera di Commercio di Sondrio. Bertolini
non si è sottratto al confronto (gli va dato atto) anche
se la lettera da lui redatta in freddo stile istituzionalese,
e presentata nel corso dell'assemblea, non
contiene alcun elemento di apertura al dialogo.
Incidentalmente osserviamo che la lettera è stata sottoscritta
dal Presidente della Provincia.
In
definitiva si ribadisce che il 'Bitto è uno' .
Questo refrain del Bitto 'uno e indivisibile'
(ma chi è Allah? la Repubblica francese?) si sente ripetere
spesso da parte dell'establisment valligiano (di
'destra' come di 'sinistra', sì perché entrambi i fronti
sono 'trasversali' alla luce della vecchia topografia
politica). Non a caso l'abbiamo sentito ripetere
anche dalla Sindaca 'democratica' di Morbegno in occasione
del sit-in organizzato per protestare contro le sanzioni
al Bitto storico in occasione del concerto di Van de
Sfroos.
Ma la
polizia del gusto, le grida e le sanzioni non possono
imporre la qualità unica. Ci vorrebbe la tortura e l'inquisizione
per convincere Paolo Marchi ad abiurare
l'eresia e sostenere che 'c'è solo un Bitto, quello
del Consorzio ed è eccellente'. Tanto dogmatismo ed
atrroganza forse nascondono gli 'scheletri nell'armadio'
di una Dop nata male, forzando la realtà e convincendo
i vari attori a 'non fare troppe storie'.
A
Bertolini il Prof. Michele Corti ha ricordato come la
richiesta della Dop nel 1991 fosse basata su indicazioni
false che smentivano studi, indagini, relazioni di carattere
istituzionale ed anche ufficiale prodotte almeno sino
a tutti gli anni '80 e che tendevano in modo inequivocabile
a identificare l'area di produzione del Bitto con le
Valli del Bitto e quelle limitrofe. Le conto-repliche
di Bertolini, che ha citato le azioni promosse all'inizio
degli anni '90 per 'esportare' il modo di fabbicazione
del Bitto in altre zone della Provincia e la citazione
di pubblicazioni degli anni '70 che 'auspicavano' l'allargamento
della produzione del Bitto, non hanno fatto altro che confermare
che le 'pezze d'appoggio' alla tesi del Bitto prodotto
in tutta la provincia di Sondrio erano inesistenti.
Per di più vari intervenuti, anche dal pubblico,
hanno ricordato come le istituzioni locali si fossero
impegnate a non 'sollevare obiezioni' (in mdo un po'
omertoso) di fronte ad un discutibile disciplinare di
produzione e ad una ancora più discutibile 'area di
produzione' stabilita a tavolino senza fondamento storico.
Essi si sarebbero turati il naso ma ad una conduizione:
il riconoscimento della sottodenominazione geografica.
Tradire il proprio territorio lo stavano facendo ma
da bravi democristiani volevano metterci la clausola
per pararsi il didietro (non si sa mai) di fronte alla
gente. Il Prof. Michele Corti ha sottolineato
come nel caso del Bitto, a differenza di altre produzioni
Dop (per le quali non esistevano in precedenza) indicazioni
ufficiali, il 'giochino' dell'allargamento poggiava
su premesse illegittime dal momento che proprio la Camera
di Commercio riconosceva e marchiava quale Bitto solo
la produzione degli alpeggi della Comunità Montana di
Morbegno e di pochi comuni di quella di Sondrio. Un
bel pasticcio.
Ministero
e Bruxelles sono passacarte. La responsabilità è tutta
in sede locale.
Nel
dibattito è emerso anche come il marchietto delle Valli
del Bitto 'concesso' dal Consorzio all'Associazione
Produttori Valli del Bitto per distinguere la produzione
storica non venne furbescamente mai ratificato al
Ministero. Così quest'ultimo a ciel sereno, di fronte
alle contestazioni dei produttori storici in occasione
del disciplinare che stravolgeva nel 2005 il modo
di produzione del Bitto, li diffidò dall'utilizzarlo
ulteriormente. A varie riprese lo stesso Ministero ribadì
poi che non era possibile ammettere sottodenominazioni.
Bugie dalla gambe corte dal momento che la Mozzarella
di Bufala Campana, che è coeva del Bitto (disciplinare
approvato nel 1996), si fregia di 3 sottodenominazioni
(che ora il Consorzio con richiesta di modifica del
2002 vuole abolire sull'onda dell'aumento della produzione
e della standardizzazione del prodotto). Tutti sanno
poi che il Trentin grana null'altro è che una sottodenominazione
geografica del Grana padano.
E'
logico dedurre, però, che al Ministero non importasse
nulla di Dop grandi o piccole (nel corso degli anni
hanno approvato le micro, le maxi, le medi) o di sottodenominazioni
o di aree ristette o allargate. E' stata l'ignavia degli
amministratori di allora (per i quali gli interessi
di partito e di corrente facevano ampio aggio sull'interesse
del territorio) a costruire una Dop su premesse sbagliate
dando vita ad un contezioso che solo i più ottimisti
tra gli 'pseudo-legalitari' possono illudersi di risolvere
a colpi di sanzioni e di 'linea dura'. L'approvazione
definitiva da parte della Commissione Europea in tempi
record delle modifiche al disciplinare dimostra solo
che il 'caso Bitto' scotta e si vorrebbe chiuderlo al
più presto. La Commissione non si è neppure degnata
di rispondere alle obiezioni che sono state rivolte
al disciplinare. Forse perchè era difficile rispondere.
Come rispondere alla considerazione che lo studio finanziato
dalla Regione per inviduare i fermenti 'autoctoni'
è stato avviato nel 2009? Quali fermenti 'autoctoni'
si stanno usando dal 2005 (senza contare che sanno tutti
che molti produttori del Consorzio usavano quelli
industriali anche quando non erano ammessi dal disciplinare,
senza contare le camionate di mangime utilizzate anche
quando non era - sulla carta - concesso ecc.).
Il
Bitto storico non può perdere. Il gusto (per fortuna)
non si può 'multare' o mettere fuorilegge
Vorremmo
chiudere citando le osservazioniconclusive di una
recente opera accademica in materia di consumo alimentare
e di gusto. E' un'opera che ha il merito
di portare nel dibattito in corso in Italia sulla sociologia
dei consumi anche i contenuti più avanzati del ruralismo
accademico europeo (con le scuole inglesi ed olandesi
di rural sociolgy in prima fila) e la sottolineatura
del rapporto tra 'stili di vita' e 'pratiche di consumo'
e 'strutture di produzione'. Inutile dire che queste
considerazioni si adattano perfettamente alla interpretazione
del 'caso Bitto' rafforzando la già diffusa convinzione
circa il suo carattere di 'caso esemplare'.
Per
educare il gusto è necessario imparare ad aver fiducia
nei propri sensi e riuscire così a integrare la dimensione
del piacere con quella del sapere. Il fine è quello
di poter discernere tra quei prodotti che inducono un
benessere immediato ma non appagante, lasciando in uno
stato di perenne insoddisfazione e quelli, invece, la
cui scelta produce un benessere più profondo e duraturo
nel tempo. Questi ultimi non possono essere sostituiti
o surrogati con facilità perché evocano un territorio,
la sua identità e la storia, spesso secolare, del rapporto
tra l'uomo e quella terra, quel paesaggio, quel clima.
I prodotti d'eccellenza, traendo la propria identità
dalla ricchezza e autenticità delle proprie radici,
producono un'esperienza della 'qualità' che diventa
momento decisivo nell'educazione del gusto inducendo
chi la prova a ricercarla. Una governance
della qualità implica, dunque, da parte dei produttori,
dei consumatori e degli altri attori della 'catena alimentare',
una maggiore attenzione al gusto dei prodotti che rivelano
conoscenze tacite, processi sapienti, ritmi lenti della
natura di cui va preteso il rispetto. (E.
Battaglini, Il gusto riflessivo come ponte
teorico tra produzione e consumo alimentare, in:
E.Battaglini (a cura di), Il gusto riflessivo. Verso
una sociologia della produzione e del consumo alimentare,
Bonanno Editore, 2007, Acireale-Roma, pp. 287-313).
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