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'Consumo
consepevole'
|
(30.10.10)
La crisi dei consumi non porta con sè
un consumo più sobrio, più attento alla
salute e al portafoglio. La tendenza alla destrutturazione
dei pasti e a dedicare poco tempo alla preparazione
e al consumo del cibo premia i prodotti più 'trasformati'
Il
punto sulle tendenze dei consumi alimentari all'inizio
del ciclo stagionale della 'Festa del consumo'
Calano
i consumi di carne ma ancor più quelli
di pesce fresco; si consuma meno frutta fresca meno pane, riso,
pasta, ma più sostituti del pane e merendine.
L'aumento del biologico è inarrestabile anche
se ...
di
Michele Corti
In
questi giorni di 'passaggio' si mescolano riminiscenze
di antiche celebrazioni e nuovi riti. E' la grande
festa della fine dell'anno agrario, della vegetazione
che muore, della vita e della morte che si intecciano
(un tema particolarmente sentito nella festa del capodanno
celtico - Samonios - con profondi riflessi
in tanti elementi della cultura rurale lombarda).
Il passaggio all'inverno è però
sottolineato per chi vive 'artificialmente' in
città, tra casa, ufficio, supermercato, dalla
fine dell'ora legale e dall'esplosione delle promozioni
di prodotti stagionali nella GDO. Grandi offerte di
vini a prezzi scontati a cumuli di cartoni e montagne di carne suina fresca.
La chiamano 'Festa del maiale'. E' l'inizio del
ciclo di celebrazione del consumismo che alla fine dell'anno
calendariale avrà il suo apice. Il tutto ha un'aria
piuttosto malinconica perché è la stanca
ripetizione di formule che hanno ormai quasi mezzo secolo
e sono nate in un contesto di società industriale.
Ma senza questi riti il commercio langue.
La
'Festa del maiale'
Che
nesso ha quella che, senza molti pudori, la GDO chiama
'Festa' (ormai semanticamente degradata a
'promozione commerciale' ed applicata a qualsiasi genere
merceologico) con i riti del mondo contadino?
L'uccisione
del maiale rappresentava in effetti un rito importante.
Ciò valeva quasi ovunque
ma assumeva particolare rilevanza nell'area padana (quella
in senso stretto, di bassa pianura ai lati del Po).
Qui
il maiale, chiamato semplicemente al nimal (un
po' come nella aree dove si viveva di castagne si chiamava
il castagno arbur), aveva un ruolo particolarmente
rilevante, come rivelano i tanti modi di utilizzarne
le parti commestibili, di conservarle, di prepararle,
di consumarle.
Un
rito collettivo: legami di solidarietà e prova
di iniziazione
Scannare
il maiale era operazione complessa che richiedeva la
presenza di specialisti itineranti. In loro assenza
la qualità e la conservabilità dei prodotti
lasciavano spesso a desiderare. L'operazione richiedeva
la collaborazione
di più famiglie contadine. Non solo nella fase
di macellazione ma anche in quella di consumo: le parti
più deperibili dovevano essere 'a ruota' cedute
gratuitamente ad altre famiglie che avrebbero ricambiato.
Va precisato che il maiale di allora pesava due quintali
e mezzo.
Così il periodo di fine autunno era un periodo
di inconsueta abbondanza di carne fresca, grassi e proteine
animali. Le parti più nobili: il lardo che avrebbe
dovuto durare per tutto un anno come condimento e le carni destinate
alla conservazione costiuivano una
preziosa scorta alimentare per i mesi futuri.
La morte del maiale era
sul serio una condizione per assicurare la vita (e non solo per soddisfare
appetito e golosità); per di più
il suo cadere nel periodo di fine della vegetazione
e dell'annata agraria, dei primi freddi (che assicuravano
la conservabilità delle carni), delle nebbie
accentuavano il senso di un periodo di passaggio in
cui la morte e la vita si intrecciano e si incontrano.
Per i bambini assistere all'uccisione del maiale rappresentava
una sorte di iniziazione. Ma c'era più crudeltà
allora o oggi? Il maiale era allevato per due anni e
nell'ultimo periodo di vita era oggetto di cure attente
ed amorevoli e poteva usufruire di un'ottima razione
alimentare. Veniva ucciso perché il suo grasso
e le sue carni erano indispensabili per assicurare il
fabbisogno nutrizionale dei contadini. Teniamo presente
che i fabbisogni energetici dei nostri vecchi erano
molto più elevati: si svolgevano lavori manuali
pesanti e il riscaldamento era un lusso. Oggi la provvida
'tecnologia', per riempirci di una montagna di apparecchi
e apparecchietti elettrici (che poi si rompono e diventano
rifiuto), ci solleva dal benché minimo esercizio
manuale. Nelle case e negli uffici, specie se pubblici,
il giorno dopo lo spegnimento dei condizionatori si
accendono i termosifoni e se non ci sono 23-24°C
si si lamenta del 'freddo'.
Crudeltà
celata ma resa meno giustificabile dallo spreco
Il
nimal viveva in ambienti se non proprio confortevoli
sicuramente più quieti di quelli odierni. Il
maiale moderno deve subire una convivenza forzata in
spazi ristretti con troppi simili. Dasuinetto rischia
di essere morsicato dai piccoli ma vivaci compagni di
sventura provenienti da diverse nidiate e quindi facili
a comportamenti aggressivi con gli 'estranei'. Quando è
più grandicello deve partecipare, volente e nolente,
alla frenetica corsa al cibo negli orari di distribuzione
attraverso i sistemi automatici. Al solo scatto delle
valvole che comandano l'apertura dei condotti
i decibel della porcilaia schizzano e i suini sono presi
dall'agitazione ancor prima che la 'pappa' sgorghi dagli
erogatori. Questa vita ha termine a 6-8 mesi di vita.
Poi il trasporto alla 'catena di smontaggio'. Lo stordimento
con la corrente ad alta tesione evita all'animale l'angoscia
dello scannamento e i relativi urli disperati che caratterizzavano
il rito della macellazione contadina. Il macello è
un luogo accuratamente 'separato' e la carne arriva
al consumatore in vaschette sotto plastica che edulcorano
alquanto il carattere cruento del consumo di carne.
Se poi il consumo avviene sotto forma di piatti pronti,
precotti ecc. la coscienza è quasi del tutto
sollevata dal pensiero di consumare un pezzo che era
parte di un animale intelligente e non tanto diverso
da noi (come testimonia l'uso degli organi suini per
gli xenotrapianti).
Quello
che determina la maggiore crudeltà del consumo
delle carni suine oggi rispetto alla 'società
rurale' è il fatto che la quota di queste
carni che corrisponde ad un reale fabbisogno nutrizionale
è minima. Consumiamo proteine e grassi animali
in eccesso il che è una causa importante dei
problemi sanitari della popolazione delle società
'opulente'. Un sacco di cibo (20-30%?) finisce direttamente
nella spazzatura (vedi avanzi sui vassoi delle mense,
frigoriferi-anticamera-della-discarica ecc.).
Per smaltire le calorie in eccesso alimentiamo
l'industria della fitness, l'industria medica e del
farmaco. Si consumano pasticche per ridurre l'assorbimento
dei nutrienti e ci si fa tagliare pezzi di intestino.
Tutto PIL in più. Ma il bilancio etico
di tutto questo chi lo calcola?
E'
anche PIL in più quello prodotti dall'industria
del 'disinquinamento', quella che prospera grazie alla
produzione di fiumi di liquami zootecnici. Gli economisti
dicono che va bene così. La bioeconomia, il buon
senso e quel che rimane (dopo Cartesio e la modernità)
della compassione per gli esseri senzienti dicono
che non va bene.
Il
senso di una ritrovata stagionalità
Oggi
i maiali si macellano tutto l'anno e i consumi
di carne suina sono elevatissimi. Il consumo procapite
nazionale apparente è di 40 kg all'anno, in linea
con la media europea, superato solo da gli 'storici'
divoratori di carne suina. C'è bisogno di spingerlo?
No di certo. L'INRAN (vedi
articolo)
raccomanda pochi pasti di carni
alla settimana e, soprattutto, pochi pasti di salumi -
ricchi di nitrati - al mese (non si dovrebbero superare
50 g di insaccati alla settimana per prevenire il cancro
al colon). Recentemente il Ministrero dell'istruzione ha diramato delle
circolari per raccomandare che tali indicazioni siano
tenute in conto nelle mense scolastiche.
Un senso, però,
il rito dei piatti a base di carne suina l'avrebbero
ancora. Dicevamo che per il consumo fresco si usavano
i tagli poveri più deperibili o ricchi di cartilagini
destinando le carni magre alla conservazione.
Emblematici i piatti a base di ceci e fave e maiale
in occasione del 2 novembre (scisger e tempia
a Milano per esempio) considerato che questi legumi
dall'antichità rappresentano un simbolo di legame
tra i vivi e i morti associati a riti funebri. In un'industria
del maiale, in cui parti della carcassa un tempo pregiate diventano
un 'rifiuto', il recupero di tradizioni di valorizzazione
di ogni parte del maiale (ma non solo del maiale) diventa
un elemento di 'consumo sostenibile'.
E'
un fatto importante perché proprio il consumo
di carne suina si presta ad illustrare come, nonostante
la crisi, il consumatore si orienti sempre più
sulle carni trasformate, su prodotti a 'pronto uso'
ed ad elevato contenuto di servizio. E' una tendenza
che penalizza la produzione zootecnica che diventa sempre
più marginale in termini di valore aggiunto e
che è costretta a fornire un prodotto sempre
più standardizzato, finendo per diventare un
ingranaggio dell'industria, per puntare tutto sulla
quantità e sull'intensificazione produttiva a
tutto danno della qualità e dell'ambiente. Fino
a scadere nella condizioni imposte dai contratti di
produzione: ti ritiriamo noi tutto (l'industria)
ma devi produrre CIO' che diciamo noi, COME diciamo
noi e la 'genetica', i mangimi, i farmaci, i veterinari,
il software li devi prendere da noi. L'imprenditore
agricolo-zootecnico tanto superiore al contadino-pezzente
è degradato a 'operaio di lusso' (gira in
Mercedes ma ...)
Una
ridistribuzione dei consumi che indica come la svolta
verso il consumo consapevole sia lontana
Ad
agosto gli indici dei consumi alimentari (in termini
di quantità) dei primi otto mesi dell'anno hanno segnato un +0,4% rispetto
al corrispondente periodo del 2009. Ma all'interno di
questo modesto aumento ci sono comparti in crescita
e comparti in flessione. La carne suina fresca cala
dello 0,6% e calano anche (di un più lieve 0,3%)
i salumi Dop
mentequelli NO Dop (da suini esteri ancora più
industrializzati) aumentano dell'1,2%.
Non
è solo la tendenza al risparmio indotto dalla
crisi che spiega queste tendenza. E'
evidente che la carne fresca è più conveniente (
i tagli 'poveri' poi te li tirano dietro a prezzi stracciati).
E' pura demagogia affermare che c'è una larga
fascia
di popolazione alla fame. E' più realistico
sostenere che le fasce più deboli si orientano
su prodotti non di marca, sui prodotti No Dop, vanno
al discount. Ma ci vanno per acquistare salumi preaffettati in atmosfera
modificata che, confrontati alla carne fresca (e agli
stessi affettati 'freschi' al banco) sono estremamente più
'lussuosi'. Guardate i prezzi dei tagli 'poveri' di
maiale, di pollo, di tacchino e scoprirete che sono
irrisori. Il divario tra tagli facili da cucinare (non
sempre più interessanti dal punto di vista nutrizionale)
e quelli 'difficili' o semplicemente 'lunghi' da cucinare
continua ad allargarsi perché è la domanda
di servizio che cresce. La domanda di 'risparmio di
tempo'. Cresce per motivi strutturali:
famiglie sempre più piccole, giovani e anziani
(ma anche divorziati, separati, single) che vivono soli
che non hanno tempo di cucinare o hanno perso la voglia di
farlo. Ma anche che passano ore a telefonare, chattare,
su facebook, a guardare la TV (compensazione della solitudine
ma anche 'droga' che stacca dalle realtà e fa
perdere la voglia di fare, di usare le mani, la creatività).
Vediamo
altri dati
Nel
campo dei prodotti animali si conferma il declino
della carne bovina (-4,9%) e un modesto incremento di
quelle avicole (più economcihe, ma anche più'dietetiche'
e facili da preparare).
Tabella-
raffronto dei consumi (in quantità) tra i primi
otto mesi del 2010 e i corrispondenti mesi del 2009
(dati ISMEA)
Vini e spumanti
|
-3,50
|
Latte e derivati
|
+0,9
|
Vino
|
- 1,8
|
Latte fresco
|
+3,2
|
Spumanti
|
-19,6
|
Latte UHT
|
+0,7
|
Oli
|
+1,7
|
Formaggi
|
-0,4
|
Olio extravergine
|
+ 2,3
|
Formaggi Dop
|
-0,1
|
Olio oliva
|
-1,3
|
Parmigiano R.
|
-5,6
|
Ortofrutta
|
-0,10
|
Grana padano
|
+2,9
|
Frutta fresca
|
-0,5
|
Burro
|
+0,5
|
Ortaggi e legumi freschi
|
-1,2
|
Yogurt
|
3,2
|
Ortaggi IV gamma
|
+9,6
|
Ittici
|
-1,1
|
Ortaggi V gamma
|
+0,3
|
Ittici freschi
|
-4,9
|
Ortaggi e leg. surgelati
|
+0,2
|
Ittici conservati
|
+0,6
|
Ortaggi e leg. in scatola
|
+0,1
|
Carni
|
- 1,2
|
Derivati cereali
|
+0,3
|
Bovine
|
-4,9
|
Pasta
|
-2,8
|
Avicole
|
0,8
|
Riso
|
-1,0
|
Suina
|
-0,6
|
Pane
|
-2,4
|
Salumi
|
+1,2
|
Sostituti pane
|
+3,7
|
Salumi Dop
|
-0,3
|
Snacks/Dolciumi
|
+2,4
|
Uova
|
+1,5
|
Aumenta
il consumo di uova (qui per un fattore economico ma
forse anche di facilità d'uso). Quest'ultima
non è certo una tendenza salutistica considerato
che il consumo di uova è già elevato (quante
finiscono nelle pasta, nei dolci?) e che
sono una ben nota fonte di ... colesterolo. Poco salutistiche
anche le tendenze alla diminuzione del consumo di frutta
fresca (-0,5%) e di verdura fresca (-1,2%); quest'ultimo,
però, è compensato dall'enorme aumento della IV
gamma (verdura fresca lavata, tagliata e impacchettata).
Anche in questo caso la scelta è a orientarsi
verso un prodotto più costoso (e anche meno serbevole
e quindi con proprietà nutrizionali compromesse).
Il portafoglio e la solita pigrizia e scarsità
vera o presunta di 'tempo' suggeriscono di limitare il già
limitato consumo del pesce fresco (sarebbe interessante
conoscere come si ripartiscono le diverse categorie
di pescato) e privilegiare il ... tonno in scatola
(oggetto di massicce promozioni per tutto il periodo
estivo).
Crescono
le 'merendine', cibo per eccellenza manipolato e industriale
E' il settore 'derivati dei cereali', però, dove
emerge chiaramente che il consumatore tende a risparmiare
su cibi sani per regalare questi risparmi all'impero
alimentare. Un riorientamento che penalizza oltre ai
legumi (già considerati insieme agli ortaggi
freschi) anche i 'pilastri' della dieta mediterranea:
pane e pasta scarificati a vantaggio delle merendine, degli
snacks e dei sostituti del pane. Tutti prodotti che
l'impero alimentare infarcisce di sottoprodotti delle
industrie mondiali del latte, del mais e della
soia che non troverebbero altri sbocchi (es. classico lo
sciroppo di fruttosio da mais OGM nelle bevande, le
lecitine dalla soia - sempre OGM - e ogni sorta
di derivati del latte infilati ovunque). Così
nella dieta finiscono i peggiori grassi vegetali,
i grassi idrogenati, gli additivi di ogni tipo. Senza
contare che il prodotto confezionato, manipolato moltiplica
gli sprechi energetici e gli altri impatti dovuti alla
crescita esponenziale degli imballaggi.
Lattiero-caseari:
aumenta la quantità ma c'è poca attenzione
alla qualità
Anche
il campo lattiero-caserario non è confortante:
cresce il latte fresco (più di quello UHT per
fortuna) e
lo yogurt, prodotti di facile consumo, adatti - come
gli snacks e le merendine - ad assecondare la tendenza
alla
destrutturazione dei pasti (ad ogni ora, senza regole,
in solitudine, senza smettere di lavorare, per impulso).
Calano i formaggi (anche quelli freschi). La 'tenuta'
delle DOP nasconde il successo del Grana Padano (che fa
riflettere sullo
scandalo degli aiuti concessi anel 2009 per il ritiro
di 100.000 forne dal mercato). Il Grana Padano
vede anche crescere
in modo sostenuto i prezzi mentre il Reggiano,
che recupera anch'esso sul prezzo, procede sulla china
del declino dei consumi (non
parliamo del Pecorino romano). Il fatto che il Padano
contenga un additivo (il lisozima: proteina del tuorlo
d'uovo ad azione antibatterica) evidentemente non turba
i consumatori che confermano di essere poco attenti
a dettagli cruciali (il lisozima evita i pericoli di
gonfiori tardivi a causa dei Clostridi consentendo l'uso
dell'insilato di mais che implica super-concimazioni
azotate, enormi consumi di acqua di irrigazione
e tutte le conseguenze di una monocoltura 'spinta' i
termini di virulenza di malerbe, parassiti, patogeni).
Olio
d'oliva extravergine in crescita. Ma è per lo
più spagnolo o greco o nordafricano
Una
nota positiva viene dall'aumento dei consumi di olio
extra-vergine. Anche in questo caso, però,
non siamo in presenza di una consapevolezza salutistica
o per un prodotto della 'dieta mediterranea' magari
a km 0. E' stata la politica di bassi prezzi della GDO
che ha spinto in su i consumi. Ma per lo più
si vende olio spagnolo 'italiano' solo in apparenza
dal momento che i principali e maggiormente noti marchi
sono stati tutti acquisiti dagli spagnoli.
La
continua crescita del bio è consolante (ma solo
in parte)
Qualcuno
forse poteva pensare che una crisi tanto forte da ridurre
i consumi alimentari inducesse a comportamenti
più sobri, a una maggiore attenzione critica
verso l'offerta di cibo 'industriale'. Non calano le
calorie né le proteine e i grassi animali. Non
cresce il consumo di pesce, frutta e verdura freschi.
In
questo panorama abbastanza sconsolante un'altra indagine
ISMEA ci dice che gli acquisti di prodotti biologici sono cresciuti.
Ottima notizia si direbbe. Però
- ci risiamo - la crescita riguarda principalmente il
prodotto confezionato (+10,2%) con in testa
gli
snacks (+19%).
Un
fatto che fa riflettere anche sulla sempre maggior somiglianza
dell'offerta bio con quella convenzionale del business
alimentare. Per l'ortofrutta fresca e sfusa l'aumento si è limitato ad un 3% circa. Evidentemente
c'è molto lavorare nel campo dell'educazione
ad un consumo salutare e sostenibile.
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