La crisi e le Alpi: alle radici del rapporto
dell'uomo con la realtà
di Dario Benetti
Tempi dicrisi, tempi di riflessione sullo sviluppo
Fu l'eco
della prima crisi energetica, quella dei primi anni settanta del secolo scorso
(a seguito della guerra del Kippur), a porre le basi per le iniziali
riflessioni sullo sviluppo delle Alpi e sul loro rapporto con l'Europa. Proprio in quegli anni cominciava a scricchiolare la
sicurezza del limite indefinito dello sviluppo. Le prime domeniche senza
traffico (1972) ponevano inconsueti interrogativi sul futuro della terra e le
basi per la nascita dei primi movimenti ecologisti. Nel 1981 il primo
appuntamento a Sondrio sulle Alpi fu quello di "Prospettive di vita
nell'arco alpino" (atti, casa editrice Jaca Book, Milano 1982). Da esso nacquero i Quaderni Valtellinesi"
e si costituì una trama di rapporti culturali tra diverse aree alpine che
sfociò in un altro convegno nel 1986:"La montagna, un protagonista nell'Italia degli anni ‘90" al termine del qualevari rappresentanti delle popolazioni alpine sottoscrissero un documento che è
oggi una pietra miliare della cultura alpina: "La carta di Sondrio".
(atti, casa editrice Jaca Book, Milano 1987). Sempre in quegli anni (1987)
Piero Bassetti organizzò una serie di appuntamenti sul tema "Le Alpi e
l'Europa" che portarono ad una serie di saggi che, ancora oggi,
costituiscono un riferimento ineludibile per lo studio dell'arco alpino.
Furono i
convegni di quegli anni a riportare l'attenzione su alcuni aspetti fino ad
allora trascurati: l'importanza della tradizione, delle "radici", la
ricchezza delle culture locali italiane, una nuova visone dell'identità culturale, non più vista come un problema etnico ma come
una conquista doverosa di ogni generazione. Tempi di crisi, dunque, tempi di
riflessione sullo sviluppo: è quello a cui rimanda anche ciò che sta avvenendo in questi anni di recessione. Un
recente documentario sugli scandali finanziari americani, all'origine della
tempesta economica del 2008 ha fatto il giro del mondo grazie ad internet e a
youtube. E' l'esito del brillante lavoro giornalistico di un fisico americano,
Charles Ferguson, vincitore dell'Oscar al miglior documentario nel 2011. Non
può lasciare indifferenti il fatto che questo documentario inizi raccontando i
prodromi della crisi in Europa, nella piccola Islanda: e qui tutto nasce dal
saccheggio delle risorse, dallo sfruttamento meramente quantitativo della ricchezza delle risorse naturali. Questo delicato
equilibrio tra l'uomo e il contesto territoriale ha, nelle Alpi, uno dei
laboratori più importanti.
Il paesaggio
alpino: molteplici segni e significati
Il termine
paesaggio alpino rischia di limitarsi, prima ancora di essere compreso e
approfondito nella sua complessità, ad una interpretazione oleografica ormai
storicizzata e di non superare la soglia di una comprensione pregiudiziale. Esso sopravvive in molti nell'accezione
romantica, di una visione ideale e interiore, così esasperata, da staccarlo
dalla dimensione reale e renderlo il prodotto dell'immaginazione: una cartolina
di un luogo in realtà inesistente.
A fronte del
persistere di questa immagine oleografica dobbiamo, però fare la fatica,
intellettuale e materiale, di porci di fronte alla complessità del reale, di
ciò che ci avvolge e costituisce lo spazio del nostro quotidiano: il sovrapporsi e il sedimentarsi dei segni di molte
generazioni, lasciati nei terreni, nelle case, nei versanti. Lo sviluppo e
l'urbanizzazione del secondo dopoguerra in Valtellina – come del resto in altre
aree alpine- ha evidenziato il contrasto tra società differenti, modi diversi
di insediare le valli e le montagne. Sembra che la nostra generazione sia
testimone di un cambiamento epocale. Il paesaggio alpino tradizionale così come
si è presentato al viaggiatore per secoli, si stia rapidamente sciogliendo,
come la neve al sole di primavera, sostituito, da una parte, da intere distese
dicapannoni, da aree di degrado e di abbandono e, dall'altra, da tentativi di
naturalizzazione, aree di wilderness, in cui il paesaggio si trasforma in
natura selvaggia, senza la presenza dell'uomo. E' cambiato completamente il
senso dell'abitare e del custodire la montagna, il modo di vivere e di rapportarsi col territorio. E', del resto,
questa, una delle caratteristiche del paesaggio: mantenere nel presente i segni
di epoche diverse, di diverse concezioni della vita, costituire un insieme
–come giustamente è stato definito nella convenzione europea del paesaggio del
2000- polisemico (dai molteplici significati).
In questo
articolato e intricato groviglio di segni bisogna però riconoscere come la
tonalità (così la chiamerebbe Heidegger) ancora prevalente, ovvero ciò che
caratterizza l'identità culturale alpina, sia l'eredità di circa un millennio di presenza costante e paziente di un soggetto
fondamentale, la comunità di villaggio . Questa realtà, documentata nelle
pergamene altomedievali col termine loci et fundi, composta da famiglie di
contadini-pastori, domina con continuità la scena delle nostre valli, amministrando
con relativa autonomia il territorio, con propri statuti comunali e rurali,
dagli anni precedenti il Mille fino all'avvento della Repubblica Cisalpina
(1797) e sopravvivendo, con una lunga agonia, ben oltre l'abolizione degli statuti
di valle e l'introduzione del Codice Civile napoleonico (1° aprile 1806),
almeno fino agli inizi del Novecento. Si tratta di una realtà sociale tipica di
gran parte della cultura alpina, fondata sull'uso libero di territorio (scarsa incidenza
dei vincoli feudali), con una distribuzione equa delle risorse (a volte tramite
sorteggio e forme di proprietà indivisa) e su gruppi familiari allargati (molto
diversi da quelli attuali) e con una evidente tendenza all'accanito utilizzo
del versante montano nel corso dell'anno, a tutte le quote raggiungibili.
Il paesaggio
alpino oggi ha, dunque, in sé i segni di molteplici culture e modelli di sviluppo,
alcuni incompatibili con le caratteristiche dell'identità culturale alpina:
quelli, per esempio, dello sfruttamento idroelettrico che incide in modo sensibile
sul bilancio energetico nazionale riportando pochissimi vantaggi alle popolazioni
locali, a cui si sommano ora i tentativi di sommare a ciò grandi parchi eolici e solari, spesso con progetti in aree di elevata sensibilità
naturalistica; oppure quelli che puntano ad un uso sconsiderato del territorio
con conurbazioni artigianali e commerciali lungo le grandi arterie di comunicazione dei fondovalle o alla realizzazione di
wilderness nei versanti e nelle valli un tempo abitate. Oltretutto, nonostante
si moltiplichino gli appelli a riconsiderare la ragionevolezza di modelli di
sviluppo adatti alle Alpi, fa riflettere l'attardamento del mercato immobiliare
e dei progetti finanziari sulla monocultura dello sci. Ancora oggi le
quotazioni immobiliari – rivelatrici dell'interesse commerciale- sono
sensibilmente più alte ove si praticano gli sport invernali (fino al doppio o
al triplo delle alte aree). A fronte di ciò non possiamo dimenticare anche i
segnali positivi, il moltiplicarsi di tentativi nuovi che vedono le comunità
locali come protagoniste. In questa direzione sono certo da considerare le esperienze
ecomuseali. Non si tratta di semplici musei all'aperto: come li ha definiti uno
dei primi che ne intuirono le potenzialità, il francese Hugues de Varine, essi sono un vero e proprio "specchio delle comunità
locali". Un ecomuseo presenta itinerari del passato ma anche del presente,
quello che una comunità rappresenta per il patrimonio agrario, culturale e
architettonico di ieri e quello che rappresenta oggi, con le produzioni locali,
artigianali, con le feste e i prodotti gastronomici. La legge regionale piemontese
ha fatto scuola già da diversi anni ed ora, anche la Lombardia, a partire dal
2006, ha approvato un provvedimento normativo ad hoc. L'ecomuseo valorizza una delle
caratteristiche affascinanti del paesaggio alpino: l'importanza del luogo nel
rapporto tra l'uomo e il territorio. Un problema fondamentale ed elementare a
cui le comunità alpine hanno sempre cercato di dare una risposta equilibrata,
la responsabilità di custodire e abitare la terra.
<< intervento precedente intervento successivo>>