Intervento
di Mariano Allocco
Uno degli ultimi artigiani della Valle Maira mi ha sintetizzato in modo stupendo quanto è successo sui monti e lo ha fatto senza tanti giri di parole. “ Non molto tempo fa quassù eravamo capaci a fare di tutto, dagli attrezzi per lavorare, alla tela per vestirsi e alle scarpe, dalle case al pane e al companatico e senza dover chiedere a nessuno come e con cosa fare. Da fuori arrivava il sale e il tabacco e basta, mentre ora non siamo più in grado di fare nulla e dipendiamo in tutto e per tutto da altri. Se questo è il progresso bel profitto che ne abbiamo avuto, così non può durare”. Già, ma così non può durare ne in montagna né altrove! Sulle Alpi si è man mano abbandonato il settore primario, poi il secondario e senza questi neppure il terziario reggerà alla lunga.
Primario: tradizionalmente la produzione della terra,
che sui monti può avere specializzazioni importanti, vedi settore bio,
caccia, pesca, estrazioni, boschi, acqua nei quattro utilizzi, potabile, irriguo,
industriale e energetico ….
Secondario: lavorazione dei prodotti del primario,
manifatturiero, artigianato, industriale. Il secondario, quello legato alla produzione, è stata la colonna portante
per secoli dall’economia alpina e le montagne hanno dato un contributo
sostanziale al processo di industrializzazione della pianura padana.
Terziario: trasporti, comunicazioni, servizi commerciali, enogastronomia, turismo, ospitalità, informatica, ricerca e sviluppo, formazione e terziario avanzato o quaternario come si inizia a dire, servizi di consulenza e di elaborazione dell'informazione.
Detto questo, è mia convinzione che vivere sulle Alpi vuol dire ripensare e riprogettare una economia che riparta dalle sue tre colonne portanti e il collante di questo progetto può essere il grande patrimonio culturale alpino e l’approccio comunitario alla gestione del bene comune. Per cultura intendo non solo l’insieme immateriale di costumi, credenze, comportamenti, valori, ideali, sono “cultura” anche gli aspetti visibili e materiali, il panorama alpino, gli interventi sul territorio, l’architettura, gli utensili della vita quotidiana, le attività produttive.
Cultura è sapere, ma è anche “saper fare” inteso come
l’insieme delle conoscenze relative ai bisogni e ai comportamenti materiali
dell’uomo, un bagaglio che sta abbandonando l’orizzonte del possibile e del necessario per le nuove generazioni. Sulle Alpi si è mantenuta una
stupenda “diversità genetica culturale”, passatemi il termine, che altrove è man mano evaporata in un
processo di normalizzazione e di appiattimento. Normalizzazione che ha
funzionato altrove, ma che quassù non ha ancora attecchito del tutto e rimane, anche se in tracce residuali, una coscienza del
concetto di “bene comune”. Con la cultura si è anche mangiato sui monti, lo si può ancora fare ora, nelle
valli del cuneese quanto succede a Coumboscuro è esemplare, scuola, museo,
centro culturale vivace, un attivo luogo di aggregazione transalpina che ora si sta aprendo al resto delle Alpi e alla Catalogna.
Espaci Occitan, associazione di istituzioni locali, potrebbe essere un luogo di aggregazione importante per idee e progetti in un momento in cui sul piano istituzionale si sta perdendo efficacia e capacità operativa. Accordi internazionali tra Alpi e Pirenei che si riferivano a comuni radici culturali hanno permesso di accedere in modo vincente a finanziamenti strutturali per realizzare i progetti della Val Maira, una opportunità tuttora a disposizione. Per incamminarci su questa strada occorre una strategia chiara e un programma di interventi sul piano tattico, programmatico e operativo. Non è un obiettivo improbabile, impossibile o accademico: un esempio della percorribilità di questo approccio è quanto sta realizzandosi in val Varaita e che vede impegnate istituzioni locali, mondo accademico e popolazione locale. Partendo dal primario, acqua, pascoli, boschi e animali, utilizzando un motore endogeno, come lo si è chiamato e che è la produzione di energia idroelettrica e da biomasse, si attiva il secondario e il terziario.
Non si chiedono finanziamenti, ma i permessi e le
autorizzazioni che sono necessarie per realizzare quanto si è pensato. A breve
l’apertura del macello di valle, della prima centralina idroelettrica e l’innesco
della filiera legno, il tutto però è nato da un approccio comunitario che
deriva dalla storia e dalla vita della valle, arriva in buona sostanza dalla
cultura dei luoghi e delle genti che li vivono. Il progetto è stato pensato e
proposto da gente della valle, le istituzioni sono arrivate dopo e stanno
accompagnando il progetto sul piano attuativo. Un progetto che fin da subito avevo definito rivoluzionario,
perché si basa sulla affermazione di una libertà che ha permesso di vivere sui
monti dal tardo antico.
E qui un accenno all’impianto istituzionale, argomento caldo
e di attualità: esso è strumento e non fine, è un tassello organizzativo che
risponde a un disegno di una strategia e non viceversa. Il disegno di una
organizzazione ha come presupposto che siano noti strategia, tattica,
obiettivi, pianificazione e programmazione, non li precede mai e non li
sostituisce, l’organizzazione fa parte delle tattiche operative, non può essere
strategia, non lo è mai.
Se la concessione di “libertà e buone vianze” è stato il modo con cui Principi illuminati in secoli che a torto si continua a chiamare “secoli bui”, hanno permesso di popolare le Alpi, spieghiamo che tornare a quell’approccio è nell’interesse di tutti. Avere sulle Alpi popolazioni che bastano a se stesse, e possono tornare a farlo, non può che essere un obiettivo di valenza europea.
Per vivere il monte non serve un fiume di contributi, sappiamo come camminare con le nostre gambe, sappiamo pensare e realizzare, chiediamo allora, motivando la richiesta, la libertà di poter tornare a occuparci noi dei nostri problemi. Guardate però che su questa strada non si può procedere in modo ingenuo, occorrono idee chiare e la forza per portarle avanti, una forza che si può a mio avviso recuperare aggregando le intelligenze presenti nelle valli, per poi percorrere le strade che la democrazia mette a disposizione, quelle della politica.
Questo è lo spirito con cui ci si è mossi col Patto delle
Alpi Piemontesi e in primavera a Sondrio se ne discute con le altre regioni alpine,
l’obiettivo è quello di far cadere l’aggettivo “piemontesi” dare al nostro agire un orizzonte che vada oltre i tratti recenti ch hanno disegnato sulle Alpi confini improbabili.
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