Nel
1968 frequentavo la terza media in un istituto statale
(Luigi Majno) a fianco del Liceo classico Berchet.
L'eco del '68 nel vicino liceo arriva anche a noi
ragazzini della "media". I muri si riempirono
di scritte inneggianti al Che e leggevo i volantini
delle "Guardie rosse" liceali. Anche alla
media si organizzarono "proto-contestazioni"
contro la "preside fascista". Ramanzine
e sette in condotta. Nell'autunno '69, a 13
anni, entrai nel "mitico" Liceo della contestazione
e non vidi l'ora di partecipare a scioperi e manifestazioni
(oltre alle suggestioni ricevute dalla vicinanza
del Liceo faceva il suo effetto anche l'indottrinamento
marxista ricevuto dagli insegnanti delle media).
Allora non si recitava uno stanco copione come gli
studenti anti-Gelmini di oggi. Quello scorcio di
68 è durato il breve volgere dell'autunno. In piazza
si scandivano gli slogan in francese del "maggio"
e si inneggiava al Che (che pensavo fosse realmente
ancora vivo). L'inverno è venuto subito, e che tetraggine!
Il Movimento Studentesco di Capanna (farebbe bene
a fare un po' di "autocritica" e a smettere
di celebrare il "suo" 68), Toscano, Cafiero
(docente di filosofia e capo dei katanghesi, alias
sprangatori), Martucci, Alberganti (partigiano dell'ala
"dura" militarista) ecc., virò subito in direzione
dell'ortodossia marx-leninista nella versione più
orrenda: quella stalinista.
Però la "causa rivoluzionaria" imponeva
di turarsi il naso e mi andava bene lo stesso. Del
resto la "concorrenza", ovvero i "gruppuscoli"
operaisti (Potop, Lotta continua - al Berchet il
capetto era Gad Lerner) e trotskisti (Avanguardia
operaia) era persino peggio. Così dal '70 al '73
mi sono (coscientemente) autoinflitto una
overdose di riunioni, assemblee, cortei (quasi tutti
i sabati più le date liturgiche del 25
aprile, 1° maggio, 12 dicembre), "mobilitazioni
antifasciste", volantinaggi davanti alle fabbriche
(con gli operai che - molto giustamente - non ci
"cagavano").
Nel
Movimento Studentesco "della Statale"
prendeva sempre più spazio il servizio d'ordine
e un vero e proprio culto della violenza fine a
se stessa (fino al feticismo della chiave inglese
che, da simbolo del lavoro "metalmeccanico"
divenne l'emblema dell' "antifascismo militante").
Ricordo che, a parte i "fasci", che
non avevano "agibilità politica", anche
quelli dell'Undicesima Ora (poi CL), nonostante
Don Gius insegnasse al Berchet, rischiavano
le botte ogni volta che osavano parlare in assemblea
(e pensare che, mentre i beceri stalinisti leggevano
il "libretto rosso" del "Grande timoniere",
Jaka Book pubblicava fior di autori marxterzomondisti).
Anche i "revisionisti" della FGCI
subivano ostilità e sbeffeggi.
La
rottura con il MS avvenne nel '73 in occasione dell'ennesimo
scontro a sprangate tra "stalinisti" e
"trotskisti" in Piazza Fontana. Andava bene
sprangare i "fasci" (allora la pensavo
così) ma tra "compagni" .... Un po' di
creanza ,suvvia, le "contraddizioni interne
al popolo" è meglio risolverle con altre forme
di dialettica, non a sprangate. Ero ingenuo. Non
avevo ancora realizzato che i comunisti
le "contraddizioni interne al popolo"
le hanno risolte con i Gulag, le "purghe",
le forche, i carri armati. Da bravo studentello
diligente in materia di marxismo (i tre libri del
Capitali me li sono sciroppati a 15 anni), che a
17 anni di autori marxisti, marxiani (vetero
e neo) ne aveva già macinati parecchi, ritenni che
una "casa politica" confacente alla
bisogna fosse "Il Manifesto". Molto fumo
rivoluzionario, ma - almeno - alle parole non seguivano
i fatti e,i fatti, in quegli anni erano sempre
più brutti. In quel '73-'74 (ultimo anno di Liceo)
si era affacciata l'Autonomia Operaia; un ragazzetto
strafottente di quel gruppo al Berchet era un certo
Marco Barbone che divenne tristemente noto ai tempi
del terrorismo. All'Università l'impegno è
proseguito ma in maniera meno ossessiva (il Manifesto,
per fortuna, non richiedeva un impegno di militanza
totalizzante). Sciolto il Manifesto vi fu la confluenza
nel PDUP (Partito di unità proletaria). Sono stato
responsabile della "cellula" universitaria
ma con entusiasmo sempre minore quanto più
l'originario Manifesto si annacquava con la conflenza
di quei "gruppazzi" che oramai detestavo.
Siccome da pduppino non rifiutavo di dialogare a
priori con i "revisionisti" (FGCI)
dai "compagni" del CUB (Avanguardia Operaia)
ero trattato da "destro" e con molta ostilità.
Il capo del CUB era tale "Gioele", ovvero
Giovanni Di Domenico, condannato a 15 anni per
l'efferato omicidio di Sergio Ramelli, poi
condonati a 7 (dicono che le toghe rosse sono
invenzione di Berlusconi...). Seppi parecchi
anni dopo che il PDUP campava con il sostegno
di quelli che i raffinati intellettuali del
Manifesto, sin dallo strappo dal PCI nel 1969,
avevano identificato come gli "imperialisti"
di Mosca. Nel 1976-77 durante il servizio di leva
ultimi sprazzi di militanza di estrema sinistra
nel "movimento democratico dei soldati"
(onda lunga del '68 in fase di esaurimento).
Il
movimento del '77, l'emergere del terrorismo la
confluenza di tutte le fallimentari esperienze di
ultrasinistra in Democrazia Proletaria (ma come
non vi sprangavate tra voi...), la P38, rappresentarono
altrettanti elementi per il distacco da quel mondo
politico (quanto alle BR pensai invece ancora per
un pezzo che fossero "provocatori" al
soldo della Cia). Dopo il servizio militare ci fu
una partecipazione ad una manifestazione contro
i Pershing II, i missili americani (erano
manifestazioni pagate dal KGB) e poi ... sinistra
addio. Tra l'altro c'era da studiare sul serio,
adesso.
>>continua>>
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