In
ogni caso mi accorsi che in Regione esisteva una
"struttura" parallela e che, grazie al
controllo dei sindacati sui concorsi e gli avanzamenti
di carriera la CGIL e la cellula dell'ex-Pci
dettavano legge. Il dirigente a capo della struttura
era un DC ma di fatto era condizionato dai compagni.
L'assessore lo facevano o almeno volevano farlo loro. I
miei predecessori e anche i miei colleghi (persino
i leghisti) avevano trovato dei modus vivendi
con la struttura parallela rossa; io la sfidai (ero
o non ero passato dalla loro "scuola"?).
Dopo parecchio tempo (ormai la legislatura era finita) i miei trasferimenti furono bollati come "comportamento
antisindacale", ma intanto i compagni dirigenti,
finchè rimasi assessore,
stettero a capo delle nuove strutture periferiche
create con l'approvazione delle provincie di Lecco
e Lodi. Comunque il volantino della CGIL me
lo beccai. Ma basta tirare dritto.
Così ho
potuto operare un po' più liberamente, ma i lacci
e lacciuoli della burocrazia sono tanti. Ti dai
da fare per un provvedimento e poi con una circolarina
applicativa o, semplicemente, nicchiando, i burocrati
te lo svuotano. Mi impuntai per introdurre
un sistema che differenziasse il sostegno alle aziende
agricole di montagna in funzione del reale svantaggio.
E' stato tutto insabbiato. E anche la promozione
- da UOO (unità operativa organica in burocratese)
a Ufficio - della struttura che si occupava di montagna
dopo di me è "rientrata" e i funzionari
che se ne occupavano dimezzati. Mi resi conto anche
del peso acquisito dalle corporazioni. Per far digerire
alle "Associazioni allevatori" un sistema
di pagamento dei servizi di assistenza tecnica
a prestazione, e non a forfait, sudai sette camicie.
Accettarono, facendo rientrare l'opposizione dei
ras (direttori)
provinciali più riottosi, quelli con una marea di
personale a fronte di un basso numero di capi e
allevamenti, ma solo perchè il nuovo sistema garantiva
continuità di finanziamento.
Dopo qualche anno mi
accorsi che i sistemi per aggirare i controlli
si potevano trovare lo stesso. La burocrazia
regionale poi ha una contiguità fisiologica con
quella delle organizzazioni sindacali, dei vari
Consorzi
di tutela e di promozione, delle Associazioni allevatori ovvero
del "parapubblico". E siccome "can
non morde can".... inutile sperare in controlli
efficaci.
Tutti
questi enti vivono di finanziamenti pubblici (più
o meno in forza dell'esercizio delegato di funzioni
pubbliche" ma per il resto sono di diritto
privato; si muovono spegiudicatamete tra i due
piani (pubblico e privato) fino a divenire soggetti
autoreferenziali che - di fatto - espropriano la
politica del potere si esercitare le scelte che
le competono. Tra burocrazia interna e lobby esterne
ad un politico "riformatore" non rimane
molto spazio di manovra. Poi vi sono le cooperative
che continuano a chiedere soldi. Cercai di favorire
quelle meno politicizzate e più "sane".
Ho anche imparato
che, anche se sei assessore, noi puoi toccare certi
"santuari" dello spreco. Allora c'erano
6 enti regionali che si occupavano di agricoltura.
6 presidenti, 6 cda. Un sistema per sistemare sindacalisti
agricoli, politici, amici degli amici con necessità
di parcheggio ben pagato. C'era un perfetto gioco
di spartizione partitocratica: ai socialisti andava
per diritto acquisito l'ARF (azienda delle foreste)
che era una bellissima agenzia clientelare di assunzioni
(non certo come la Calabria, intendiamoci!). Come
rompere questo giochetto? Tentai una legge di riforma (Istituzione
dell'Agenzia per l'Agricoltura lombarda e la valorizzazione
delle risorse agroalimentari e forestali) ma ... figuriamoci. Indovinate un po' quanto ci
è voluto per realizzare questa riforma che avrei
voluto fare nel 1994? Ebbene non
è bastata una legislatura, si è arrivati nel 2002
a creare l'ente unico (ERSAF).
L'unica
legge da me proposta (quando ero ancora consigliere
di opposizione) e poi approvata entrai in giunta, riguardava la "trasparenza"
dell'erogazione dei contributi agricoli e per la
precisione "Norme sulla trasparenza e pubblicità
degli incentivi erogati alle imnprese agricole"
Legge Regionale 30 dicembre 1994, n. 44. Le "previsioni"
sono state largamente inapplicate finchè ci volle
tempo per i "regolamenti" e quando
furono varati con la
scusa della legge sulla privacy non se ne
fece più nulla. L'dea era pubblicare dei bei manifesti
con l'importo preso dalle varie aziende in modo
da scatenare un po' di reazione per finanziamenti
esagerati a grandi aziende (il problema riguarda
soprattutto la montagna dove pochissimi grossi imprenditori,
un po' perchè grossi, un po' perchè accreditati
politicamente, fanno il pieno lasciando le briciole
ai contadini).
Ma la burocrazia non è la sola a impantanare qualsiasi
slancio riformatore di chi entra in politca "da
fuori sistema". Quando osai da assessore
contestare il bilancio dell'ERSAL, altro ente agricolo, venni messo
in minoranza in aula perchè, all'opposizione di sinistra
che difendeva un Ente zeppo di compagni-dirigenti,
si unirono gli interessi spartitori degli "alleati
di governo". I compagni gongolavano e chiedevano
le mie dimissioni. Anche in questo caso imparai
che bastava tirare dritto. E poi infuriava tangentopoli
e c'era ben altro da pensare. Restai al mio posto.
Anche oggi penso che per scardinare il potere ben
organizzato della
dirigenza "rossa" ci vorranno 4 o 5 legislature
Formigoni (ovvio che se ci fosse più decisione ....).
Con i cacciatori
speravo di impostare un'alleanza strategica agricoltori-cacciatori
contro la parchizzazione del territorio e per un
nuovo ruralismo (non ero ancora consapevole
della dimensione ideologica di questa cosa, ma l'idea
c'era già).
In realtà i cacciatori mirano al provvedimento
che li favorisce nell'immediato (spesso divisi tra
loro) e non hanno ancora maturato una visione strategica.
In realtà anch'io non disprezzavo l'idea di costruire
un sicuro pacchetto di voti e, lo confesso, presi a
recarmi spesso a Brescia. Questo
"capitale" di consensi non è servito a nulla perchè
in vista delle elezioni per il rinnovo del Consiglio
Regionale diedi le dimissioni dal partito. Il dissenso
all'operazione che mandò al governo D'Alema l'avevo
chiaramente espresso ai segretari nazionali, provinciale
e cittadino con una lettera del 24 novembre 1994
in cui deploravole "prove tecniche di ribaltone"
già in atto a Palazzo Marino "L'esperie4nza
amministrativa maturata attraverso cinque anni di
impegno a vario livello di responsabilità mi induce
a considerare assolutamente impraticabile qualsiasi
condivisione di responsabilità di governo con il
PDS" "Ritengo come moltissimi altri militanti
che qualsiasi accordo di governo con il PSC-PDS
sia incompatibile con i principi etico-politici
che hanno portato alla formazione e quindi al successo
della Lega". Ad ribaltone avvenuto mi limitati
a partecipare solo al gruppo consigliare non intervenendo
più in alcuna riunione di partito con l'eccezione
del Congresso dove pronunciai un discorso fortemente critico della Lega in cui approvavo le posizioni
del Prof. Miglio, che si era già staccato dalla Lega
e da "padre nobile" era divenuto un reprobo. La
platea abituata a interpretare il dissenso solo
in termini di strappi ed espulsioni e poco avvezza
alla dialettica politica "fine" non si
scompose (forse nessuno si prese la briga di capire).
Il motivo dello strappo era semplice e lineare: una Lega che manda
al governo D'Alema non la potevo digerire dopo tante
battaglie personali contro la sinistra (sono stati
necessari 13 anni per riavvicinarmi temporaneamente alla Lega!). Non potevo
restare in un partito che il leader Massimo definì
una "costola della sinistra". La constatazione
che ai diessini faceva comodo il
"ribaltone" e la loro somma ipocrisia
nel dimenticare fiumi di invettive contro il
"razzismo leghista", l'"egoismo",
il "separatismo", la "rozzezza politica"
non faceva altro che confermare i miei giudizi sulla
moralità politica di una parte politica che ancora
oggi, nonostante la "questione morale"
anche in casa PD, si sente "superiore" .
Per mia fortuna, nonostante
gli appoggi delle potenti Federcaccia e Unione agricoltori
bresciane che non mi avrebbero fatto mancare I voti
necessari e le loro pressioni su Forza
Italia il partito di Berlusconi non mi ha candidato. Sono così
sfuggito al destino
del politico di professione costretto a digerire
tutto per restare attaccato alla cadrega.
>>continua>>
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