(08.01.10) Un
nuovo scandalo colpisce la Bresaola Valtellina IGP.
Questa volta salta fuori l'uso di manodopera schiavizzata
e l'uso disinvolto delle 'cooperative' per aggirare
le norme sul lavoro
Quando
un prodotto è 'globale' non può essere nè 'buono',
nè 'pulito' nè 'giusto'
La notizià è stata data
dal Corrierone e da Libero il giorno 2: pakistani schiavizzati
da un connazionale sarebbero impiegati nei bresaolifici
del Tiranese. Ma nei giorni successivi, sull'onda dell'emozione
suscitata da questo nuovo scandalo che coivolge la Bresaola
industriale i sindacati e sollevano un più generale
problema di cooperative che aggirano le norme sul lavoro
però, aggiungono, 'ci sono anche le ditte
corrette'.
'Schiavizzati
per produrre Bresaola'. Titolo shock quello del Corriere.
Faceva comunque pensare a qualcosa di indiretto a qualche
sordida storia di quelle che conosciamo sul Brasile
(da dove viene la carne di Zebù congelata utilizzata
per produrre il 'prodotto tipico' di punta della Valtellina).
Invece no. La stampa nazionale e provinciale
nei giorni scorsi ha riferito che la Procura di Milano
starebbe per rinviare a giudizio un imprenditore pakistano
da tempo stabilitosi a Tirano per sospetta riduzione
in schiavitù di 19 connazionali. Luigi Ferrarella nell'articolo
del Corriere della Sera riferiva che:
Quale legale rappresentante e titolare della «Savan» a Tirano, il 41enne pakistano Nawaz Muhammad, da anni affermato imprenditore in provincia di Sondrio e amico di ministri del suo Paese come pure di parlamentari britannici, è accusato dal pm Claudio Gittardi (che per competenza ha ereditato parte dell' inchiesta del pm sondriese Elvira Antonelli) di «aver ridotto 19 pakistani in stato di soggezione continuativa, costringendoli a prestazioni lavorative presso varie imprese italiane della zona di Tirano che ne comportavano lo sfruttamento» sino a settembre 2008.
Le
condizioni di lavoro e di vita degli schiavi sono state
ricostruite dalla GdF di Tirano e, sempre dall'articolo
del Corrierone, sono state così descitte:
Uno straniero, in questo caso del Pakistan, spesso clandestino ma a volte anche regolare. Assunto in nero oppure fatto figurare socio della cooperativa ma «con retribuzioni in molti casi non corrisposte per più mensilità o corrisposte in misura ridotta e dilazionata con minimi acconti». Braccia pagate «5 euro orari per i lavoratori clandestini e 6 euro per i regolari», a fronte di «sino a 14 ore al giorno». Bocche non sfamate dalla «scarsità del cibo procurato ai lavoratori», per di più nell' obbligo di consumarlo senza farsi mai vedere all' esterno, badando bene a restar sempre fantasmi, e dunque per esempio d' inverno a mangiare in stanzini all' interno delle docce su cartoni a mo' di tavole. Corpi ammassati, di notte, in 19 nello stesso alloggio di proprietà dell' imprenditore pakistano, a «220 euro al mese», somma «incongrua in relazione alle precarie pessime condizioni igieniche e edilizie dell' immobile». Identità sotto ricatto costante, sottoposte a un vero e proprio «decalogo» di ordini da rispettare, pena «la decurtazione dalla retribuzione di somme di denaro a titolo di multa per presunte violazioni delle regole di comportamento imposte dall' imputato all' interno dell' abitazione».
Il
meccanismo che legava le ditte della Bresaola a Nawaz
Muhammad era tale per cui le società di quest'ultimo
ricevevano servizi (la manodopera in 'affitto') potevano
anche non sapere delle condizioni che legavano
la manodopera al presunto schiavista; pertanto non
si profila una loro responsabilità se non per aspetti
tributari.
'Ci
sono anche le aziende corrette' (!?)
Di
fronte al nuovo scandalo che coinvolge alcune ditte
del sistema Bresaola Valtellina le rappresentanze sindacali
dell'azienda leader del settore e le federazioni dell'alimentare
CGIL e CISL di Sondrio in un comunicato invitano a non
mettere tutto il comparto sul banco degli imputati,
giusto. Ma quello che affermano solleva un più generale
problema di 'uso improprio delle cooperative':
'Va però specificato che se è vero che alcune aziende utilizzano impropriamente personale di cooperative e sulle stesse si intende aprire un contenzioso, è altrettanto vero che vi sono importanti aziende come la Rigamonti, da sempre rispettosa dei contratti nazionali'.
Un
settore può dirsi 'specchiato' e può essere 'assolto'
quando c'è 'qualcuno in regola'? Per andare a testa
alta e respingere ogni accusa dovrebbe avvenire il
contrario: le poche mele marce dovrebbero essere isolate.
E' inevitabile tornare con la memoria all'ultimo scandalo
che ha coinvolto la Bresaola industriale (vedi link
sulla colonna a sinistra). Allora due aziende vennero
coinvolte nell'utilizzo di carne avariata di provenienza
Uruguayana. Ma le 'mele marce', aziende che hanno dimostrato
una somma scorrettezza, l'una ricongelando e rispedendo
all'importatore la carne avariata, la seconda utilizzandola
per confezionare bresaola, sono state espulse dal Consorzio?
Non si sono mai saputi nemmeno i nomi.
Diventa
lecito dedurre che un comparto altamente globalizzato
come quello della Bresaola industriale sia intrinsecamante
esposto ad essere poco 'buono', poco 'pulito', poco
'giusto'.
E'
noto che esso utilizza una materia prima di dubbia qualità
(la carne di Zebù è dura), ottenuta grazie a quella
estensione di pascoli che è avvenuta e avviene a danno
degli ecosistemi delle savane e foreste semiaride subtropicali
e in condizioni sociali inique (allontanamento
di contadini, utilizzo di manodopera schiavizzata).
Ora scopriamo che c'è una triangolazione: dal subcontinente
indiano non sono solo emigrati in Brasile gli Zebù,
ma ora arriva anche in Valtellina la manodopera impiegata
per trasformare la materia prima sudamericana.
Che
dietro il 'cibo globale' disponibile a basso prezzo
nella GDO dei paesi 'ricchi' ci sia lo sfruttamento
dell'ambiente e dell'uomo lo sapevamo. Però preferiamo
pensare che la colpa sia delle 'multinazionali'. Non
è così.
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