(28.04.10) Le misure del PSR della regione Emilia-Romagna sembrano
fatte apposta per impedire l'insediamento in montagna
di 'nuovi contadini' ovvero giovani che vogliono
realizzare progetti basati sul capitale umano e la
qualità
Una regione alla retroguardia:
l'Emilia Romagna è ferma al passato e impedisce
che in montagna si insedino forze nuove con idee nuove
di Michele Corti
Se si esamina
il PSR della regione E.R. si osserva che il sostegno
è concentrato alle aziende di montagna con soli
bovini da latte e con oltre 40 capi. Sono tagliati
fuori i giovani che vogliono avviare nuovi allevamenti
'minori' ovicaprini applicando parametri punitivi per
questi allevamenti che non hanno riscontro con tutte
le regioni confinanti
Sembra
incredibile
ma è proprio vero: la regione Emilia Romagna
dove ha lavorato a lungo Jan
Douwe van der Ploeg ( l'autore
della 'bibbia dei nuovi contadini' - vedi la recensione
su ruralpini) è quella che favorisce
meno l'insediamento di giovani desiderosi di avviare
un'attività agricola in montagna. Ce ne siamo
meravigliati anche noi quando dei nostri amici, che
hanno di recente acquistato un casale con un'ampia superficie
di terreno nell'appennino parmense, ci hanno chiamato
per illustrarci i loro problemi.
Va
chiarito che non si tratta di 'milanesi' snob che intendono
fare i 'neo-rurali' del week-end nell'accezione residenzial-bucolica.
Si tratta, al contrario, di una coppia fresca di
matrimonio forte di lauree e un dottorato di ricerca
in agraria e di anni di esperienze lavorative nel
settore.
E
che ora intende trasferirsi in montagna per viverci e
sviluppare un progetto di agriturismo e agrididattica
basato non su qualche gallina e qualche filare di lamponi,
ma su un vero allevamento di capra da latte con una
sessantina di capi con trasformazione aziendale e vendita
diretta dei latticini.
Di
padre in figlio
Ci
scrivono scoraggiati i nostri amici:
'il premio di primo insediamento è in pratica destinato
unicamente solo ai figli di agricoltori che prendono il posto del padre...
L'ingresso di nuove forze è osteggiato da regole e parametri assurdi che
impongono, per esempio, che al momento dell'insediamento l'azienda richieda già
un volume di lavoro di 0,7 ULU (pari a 157 giornate di lavoro per ditte
individuali o a 230 per società con 2 soci, come la nostra)'.
Si
vede che non si vuole in alcun modo premiare i giovani
che si insediano in aziende dove essendo cessate le
coltivazioni da tempo vi sono ampi terreni incolti che
non possono essere rimessi in produzione da un giorno
all'altro. Ma quale giovane ha i capitali per acquistare
aziende già avviate in perfetto funzionamento?
Le
capre e le pecore non hanno ancora pari dignità
in l'Emilia Romagna
Se
sul premio di insediamento sono arrivate le prime cocenti
delusioni, altre sono seguite sulla misura 121 del PSR
che stabilisce le priorità degli interventi di
miglioramento materiale (contributi per i ricoveri per
gli animali, fienili ecc.). Scrivono i nostri
amici:
'in zona montana svantaggiata non ritengono ammissibile alcun tipo di
investimento sulla zootecnia minore (ovi-caprini carne o latte, ad esclusione
della pecora di Corniglio)... Mentre viene considerata prioritaria la
costruzione di nuove stalle da vacche (minimo 40 capi) destinate alla produzione
di latticini e formaggi freschi'.
Quanta
ottusità in un colpo solo! E' da decenni che
dalla Provenza all'Appennino emiliano le capre da latte
sono protagoniste di non episodici fenomeni di ri-colonizzazione
di lembi di montagna alpina e appenninica abbandonati.
Non è difficile capire che chi si insedia ex-novo,
specie se giovane e non provvisto di grandi capitali
deve puntare su un tipo di allevamento labour-intensive
dove il capitale umano e la manualità vengono
valorizzate in prodotti artigianali di qualità
che il mercato ha da tempo dimostrato di apprezzare
e di premiare.
La
cultura che ha informato la mis. 121 è quella
superata del produttivismo del 'è la quantità
che fa il reddito', che penalizza la qualificazione
personale, la creatività, l'innovazione.
Traspare
poi una visione ristretta e superara delle problematiche
casearie. Non si riesce a guardare al di là del
proprio naso ... ovvero del Parmigiano. OK non finanziare
l'ampiamento di stalle che puntano a fare latte e ingolfare
la filiera del Parmigiano ma non si capisce perché
un caseificio artigianale non possa esprimere le
proprie capacità, innovazioni, creatività
tecnologica e commerciale con gli erborinati, con certi
tipi di stagionati (non esiste solo il Parmigiano ...).
Assurda poi la penalizzazione degli allevamenti caprini
e ovini da latte esclusi dall'accesso prioritario ai
contributi (che poi significa esclusi tout court considerando
che le risorse non bastano mai a coprire le domande).
Si salva solo la pecora Cornigliese, una razza
in via di estinzione ridotta al lumicino con poche decine
di capi. Che sforzo!
Contro
gli ovicaprini c'è proprio un accanimento pregiudiziale
Che
la regione Emilia Romagna non abbia in simpatia gli
ovicaprini lo si deduce anche da altri provvedimenti
amministrativi della Direzione Generale. Il direttore generale agricoltura della Regione ER (determinazione
n. 2845del 17/03/2008) ha fissato un fabbisogno di manodopera di n.1 (uno)
giornate all'anno per capra allevata. Ci scrive l'amico:
'Se volessi accedere al premio di
primo insediamento e il mio
progetto prevedesse l'allevamento di capre allevate al pascolo, dovrei partire
(prima ancora di accedere al premio) con 230 animali!'
Assurdità
palese che mette in evidenza come a Bologna siano fermi
alla considerazine dell'allevamento della capra quale
'vacca del povero', quale utilizzatrice di pascoli magri
'marginali' allevata in condizioni estensive. Ma dove
la montagna è caratterizzata dalla vecchia maglia
poderale più che una gestione pastorale, possibile
nelle fasce più elevate del territorio, è
auspicabile una gestione 'integrata' (allevamento
semi-estensivo, foraggicoltura, trasfromazione del latte,
attività agrituristiche e agrieducative).
Puntando
sulla qualità e la vendita diretta vi sono piccole
aziende che riescono a vivere dignitosamente con 30-40
capre. Ma la mungitura a mano, le lavorazioni artigianali,
la cura attenta del prodotto e la sua commercializzazione
assorbono molta manodopera.
Da
questo punto di vista la 'berlusconiana' Regione Lombardia
si dimostra (in confronto degli agro-tecnocrati emiliani)
un mostro di attenzione alle piccole aziende e di ... 'contadinismo'.
In Lombardia,
infatti,
il D.d.u.o. 15339 del 6/12/2008 fissa da 3 a 10 il numero di giornate/capra a
seconda del tipo di mungitura (se si munge a mano vale il parametro più
alto e quindi con 23 capre si raggiunge l'Unità
di lavoro). In questo modo non si penalizza la
piccola azienda e non si incentiva una meccanizzazione
costosa e inutile (per il contadino si intende, non
per le industrie e i commercianti).
Penalizzazioni
a cascata
Ovviamente
i parametri emiliani penalizzano - in confronto
con la Lombardia - non solo l'accesso al premio di insediamento
ma anche la possibilità di avviare l'attività
agrituristica. Ciò dal momento che le attività
turistiche (ristorazione, alloggi, didattica ecc.) devono
essere complementari e bilanciate in temini di quantità
di lavoro con quelle di coltivazione e allevamento.
Questo
è tanto più vero se si considera che il
Lombardia alle 3/10 giornate di lavoro annue per capra
allevata (governo, mungitura, alimentazione ecc.) se
ne aggiungono altre 138 (parametro applicato anche
per piccoli caseifici) per
la caseificazione. Un fatto che la Regione E.R. ha semplicemente dimenticato di
prevedere considerando evidentemente che il solo modo di allevare la capra sia
quello estensivo.
Motivi
di riflessione per quanti ritengono l'Emilia-Romagna
campione di sensibilità socio-ambientale e, nella
fattispecie, rurale.
Ma
c'è un'altra riflessione. APA, Assonapa, Organizzazioni
professionali cosa ci stanno a fare ? Forse pensano
ad altro, rispetto a difendere i produttori.
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