Il castrato bergamasco è un prodotto unico, che ha goduto di
notevole fama a cavallo tra Ottocento e Novecento, non solo in
Italia ma anche all’estero. I soliti esterofili. In passato la razza
Bergamasca era nota proprio per la produzione di castrati che
venivano venduti ad incettatori francesi.
Il Rota (G Rota, La pecora bergamasca e l’industria armentizia,
Udine 1910) scriveva: "I principali alberghi di Parigi segnano nei
loro menus come piatto raccomandabilissimo la vivanda o meglio Les
cotolettes de mouton bergamasque". La stessa cosa si può
leggere in test di zootecnia francesi della fine dell'800. Si
riferiva che il castrato bergamasco era molto apprezzato e che che
le cotolettes de mouton bergamasque si trovavano nei migliori
ristoranti. Questa tradizione venne meno con il declino delle
esportazioni verso la Francia a seguito dell’introduzione di dazi di
confine che costringevano al passaggio attraverso la Svizzera tanto
che Mario Coeta (M. Coeta,La pecora bergamasca, 1921, Tesi di
laurea.) sosteneva che "prima della guerra si esportavano anche in
Francia".
In realtà una corrente di esportazione non è cessata neppure in
seguito. La famosa Guida Gastronomica del TCI (1931),
riferisce che:
L’allevamento del bestiame è fiorentissimo in tutta la
provincia [di Bergamo], ricca come essa è di magnifici pascoli,
specialmente montani; abbondano quindi le ottime carni da macello
bovine ed ovine, fra le quali hanno molta rinomanza quelle della
pecora gigante bergamasca che figurano altresì nei menus
dei grandi ristoranti svizzeri e francesi (gigot [cosciotto] de
mouton bergamascque)(Touring Club Italiano, Guida
Gastronomica d’Italia, Milano, 1931).
Legato a condizioni socioeconomiche che si sono modificate nel
tempo, il castrato, carne tradizionalmente apprezzata nel mondo
rurale (che l’ha abbandonata con l’arrivo della “modernità”,
per uniformarsi culturalmente alla predilezione cittadina per lo
smunto vitello), ebbe un boom tra gli ultimi decenni dell’Ottocento
e i primi del Novecento (sia per la crescita della domanda interna
che estera).
Già a fine Ottocento, la diffusione dell’industria tessile, e
l’aumento delle importazioni di lana fine dall’estero, incisero
negativamente sulla richiesta di lana nostrana. I pastori, già oltre
un secolo fa – pur restando importante il valore della lana (oggi
azzerato), dovettero puntare maggiormente sulla carne trovando
riscontro in un mercato di consumo che, dopo una fase di grande
restrizione dei consumi popolari tra Sette e Ottocento, si stava
allargando. La pecora gigante bergamasca vide così consolidata la
sua importanza e si allargò l’area del suo allevamento a spese di
razze con minor attitudine alla produzione di carne (un fenomeno
che, qualche decennio fa, ha portato alla "bergamaschizzazione" del
patrimonio ovino del Veneto, Trentino-Südtirol, Friuli e alla forte
influenza bergamasca in alcune regioni appenniniche.
Ancora in tempi recenti, la parrese Anna Carissoni (Pastori.
Studi, documenti, testimonianze sulla pastorizia bergamasca,
Edizioni Villadiseriane, Villa di Serio, Bg, 1985, p. 115) riferisce
di aver trovato in un ristorante parigino quel piatto. La richiesta
di castrati bergamaschi, che nella seconda metà del Novecento si era
spostata verso il Sud Italia, già da qualche decennio si è
concentrata in Romagna (Lugo) e nella vicina Argenta (provincia di
Ferrara).
Oggi in Romagna esiste un marchio di qualità regionale
dell'Agnellone e Castrato Romagnolo (ma il castrato è
tradizionalmente di razza bergamasca che ha mantenuto un mercato
storico di sbocco a Lugo). Una tradizione che nasce dalla cessione
di agnelli (come corrispettivo per la pastura) da parte dei pastori
bergamaschi che frequentavano le pianure emiliane (quante famiglie
con cognome Bergamini tra Modena e Ferrara!). Gli agnelli che
venivano castrati e ingrassati in loco. Non a caso l'Artusi,
fiorentino di adozione ma originario di Forlimpopoli, inserì tre
ricette di castrato nel suo famoso testo di cucina. In realtà anche
in Lombardia la tradizione del castrato non sì è mai estinta. Un
consumo marginale di castrato si è mantenuto specie in alcune zone
più interessate alla presenza della pastorizia transumante e alcuni
tra i ristoratori più attenti alla “filologia gastronomica” non
l'hanno mai dimenticato e oggi l’hanno riscoperto (tra la bergamasca
e la val Camonica).
La grande qualità dei castrati bergamaschi è stata messa in evidenza
sin dagli anni '40 dal Salerno (A. Salerno, La pecora
bergamasca e la sua attitudine alla produzione di carne,
Allevamenti, 1947, -1-, 15; -2- 37-38; -3- 66-67). Nei castrati di
prima (con peso vivo alla macellazione di 63,0) l'autore citato
riscontrava rese del 45,0 %. con un buon rapporto tra carne ed osso
(80% carne, 20% osso) e un altrettanto buon rapporto tra 1°, 2° e 3°
taglio (rispettivamente 43, 29 e 28%). In realtà i pesi alla
macellazione sono superiori (70-80 kg) e la resa supera il 50%
secondo i pastori, (50% secondo il già citato Coeta, che indica una
resa allo spolpo dei quarti pari al 74-76%).
Agnelloni e castrati: entrambe eccellenze
Va chiarito che anche l'agnellone bergamasco è anch'esso un ovino
"maxi" raggiungendo e superando i 50 kg di peso vivo. Non è un
prodotto storico, ma è anch’esso di qualità eccellente. In passato
la produzione dell'agnello (va precisato i pastori chiamano agnèl
quello che non ha ancora compiuto l'anno) era limitata, poi per via
dell'evoluzione del mercato è diventata quasi esclusiva. Ancora
all'inizio degli anni '90, il 16% dei greggi transumanti
lombardi produceva solo castrati (tutti greggi di pastori
bergamaschi), il 60% presentava una produzione mista (agnello e
castrato), il 22% produceva solo agnelli (quasi esclusivamente pastori
bresciani)(Rizzi R., Bolla P., Caroli A., Tremolada F., Messa G.L. Produzione
di carne ovine nei greggi vaganti della Lombardia. Atti
Convegno Nazionale Parliamo di carni complementari (ovine,
caprine, di ungulati, equine), Fossano, Ottobre 1993. pp
217-221.
La produzione di agnello(ne) si è poi imposta come un prodotto in
larga misura "nuovo" destinato al mercato dei consumatori di
religione islamica che prediligono - specie per il consumo rituale
della festa del sacrificio - soggetti di buono sviluppo ma integri
(quindi non sottoposti ad amputazioni di nessun tipo). Il castrato
raggiunge i 70 kg, ma a un anno di età e oltre (un tempo veniva
macellato a 18 mesi). Il vero castrato è un animale in cui è già
avvenuta l’eruzione dei primi denti da adulto (la "rotta") che nella
razza bergamasca avviene a 15 mesi di età. L'accrescimento del
castrato è molto più lento e quindi il costo del kg di carne più
elevato. Nel sistema di produzione transumante i costi sono legati
alla custodia e conduzione del gregge, ai trasporti, alle cure
sanitarie. Mantenere per ulteriori sei mesi nel gregge un capo
aumenta quindi notevolmente i costi anche perché il castrato
necessita di più pascolo di un agnellone. Dal punto di vista
qualitativo la carne di castrato, come tutte le carni mature è
superiore dal punto di vista della tessitura e del sapore. Richiede
ovviamente una conveniente frollatura specie se deve essere cucinata
in umido. Da una decina di anni diversi chef bergamaschi e bresciani
(il pastoralismo transumante e la pecora bergamasca – appunto in
vista del 2023 - sono un elemento che unisce Bergamo e Brescia),
hanno sperimentato con successo l’utilizzo della carne di castrato
(e di agnellone) bergamasco per svariate preparazioni. La paventata
durezza e "selvaticità" appaiono, invece, come pregiudizi. La
succulenza è eccezionale e viene esaltata con adeguate cotture (i
pastori la cuociono sul fuoco con maestria ottenendo risultati
difficilmente raggiungibili in cucina).
La bergna
La bergna, parola arcaica entrata nel gaì, la
lingua segreta dei pastori transumanti, rappresenta una forma di
conservazione delle carni. Nata sugli alpeggi dove il sole e l’aria
facilitavano l’essicazione. Nel mondo "pittoresco" dei pastori
bergamaschi che si recavano con grandi greggi in Svizzera (per gli
scrittori svizzeri di influenza rousseauiana, che ne restavano
affascinati) la preparazione della carne delle pecore morte in
alpeggio era uno degli elementi caratteristici. A metà dellOttocento
non era ancora in voga nei ristoranti di lusso svizzeri il castrato
bergamasco e la carne della pecora bergamasca era giudicata in
confronto a quella delle razze locali "grossolana". Probabilmente il
confronto era fatto con agnelli e con metodi di cottura inadatti. "La
chair du mouton [bergamasque] est dure et peu savoureuse, mais
très-grasse"(la carne ovina bergamasca è dura e poco saporita
ma molto grassa), scriveva Friedrick von Tschudi, ma aggiungeva una
bella descrizione della preparazione della bergna:
Quand une bête vient à périr sur la montagne, on
la désosse, on la sale, on l'étend au moyen de petites baguettes
et on la fait sécher sur des perches ou sur le toit du chalet.
Souvent on voit de 20 à 30 pièces suspendues de cette façon
contre les murs. Cette décoration habituelle n'offre pas un
spectacle bien agréable; mais au moins elle ne sent pas mauvais,
car l'air des hautes Alpes ne favorise ni la décomposition, ni
la formation des vers. Cette viande ainsi séchée en plein air
trouve un grand débit en Italie où on la paie 24 creutzers la
livre (Quando un animale muore sulla montagna, viene
disossato, salato, steso con bastoncini e fatto essiccare su pali
o sul tetto della baita. Spesso si osservano da 20 a 30 pezzi
appesi in questo modo contro le pareti. Questa consueta
decorazione non offre uno spettacolo molto piacevole; ma almeno
non ha un cattivo odore, perché l'aria delle alte Alpi non
favorisce la decomposizione o la formazione di vermi. Questa
carne, essiccata all'aria, è ricercatissima in Italia dove veniva
pagata 24 creutzer al chilo.(F von Tschudi, Le monde des
Alpes ou description pittoresque des montagnes de la Suisse et
particulièrement des animaux qui les peuplent, Genève,
J.-G. Fick, 1858, p. 362).
Maliziosamente, l’autore chiosava poi che le pecore che morivano
"per incidente" erano forse troppo numerose, cosa di cui i capi
pastore, proprietari dei greggi non mancavano di lamentarsi. Nella
capanna dei pastori non mancava carne fresca in pentola e altra ad
affumicare: "Ces bonnes gens ont toujours de la viande fraiche de
mouton dans leur marmite ou en fumaison, et les propriétaires des
troupeaux se plaignent, non sans fonde"(Queste brave persone hanno
sempre la carne fresca nella pentola o nel fumo, e i proprietari dei
greggi si lamentano, non senza ragione). (ivi, p. 367). Da una fonte
di primo Ottocento (1808), alla quale attinge un articolo della
rivista del club alpino della Suisse romande del 1875, apprendiamo
che la bergna, non era il chewingum dei pastori (quando è molto
secca), ma un prodotto pregiato che veniva portato in Italia a fine
alpeggio. Non solo, ma gli stessi macellai engadinesi impararono a
utilizzare al meglio le pecore locali per “copiare” la preparazione
dei pastori e poi vendere la bergna in Italia a buon
prezzo. "Cette viande se vend si bien en Italie, que nos
spéculateurs n'ont pas honte d'acheter pour le préparer de cette
manière et l'exporter le bétail mort de l'Engadine"(Questa
carne si vende così bene in Italia, che i nostri speculatori non si
vergognano di comprare gli ovini morti dell'Engadina per prepararla
in questo modo e per esportarla. ( L'Écho des Alpes.
Genève, A. Jullien 1875, p. 26).
Tanti prodotti
L’intraprendenza dei macellai engadinesi rappresenta un
bell’esempio. Per fortuna esempi di intraprendenza non mancano
neppure al giorno d’oggi e li troviamo anche in provincia di
Bergamo. Se, per molto tempo, la carne della pecora gigante
bergamasca è stata snobbata a partire dagli stessi bergamaschi doc,
oggi le cose stanno cambiando. Da qualche anno aziende come Agricola
Maroni di Ranzanico e Massimo
Balduzzi di Clusone hanno intrapreso una giusta opera
di valorizzazione della carne ovina bergamasca, proponendola fresca
e sotto forma di preparazioni tradizionali (violini, salsicce,
salami, prosciutti) e innovative o assunte da altre tradizioni
(arrosticini). Il successo è lusinghiero, sia in forma di vendita
diretta che di forniture ai ristoranti. Bergamo, oltre a capitale
dei formaggi, è la capitale della carne ovina del Nord Italia, con
una razza tra le migliori al mondo. In altre mani questi patrimoni
gastronomici avrebbero già messo in moto chissà cosa. Bergamo è
comunque diventata Creative city Unesco for gastronomy (grazie ai
formaggi delle Cheese valleys). È tempo di pensare a quella
straordinaria razza, con una straordinaria carne, che è la gigante
bergamasca.
(12/11/2020) Non sappiamo ancora quando si potrà commemorare
Tino Ziliani, che ci ha lasciati a febbraio. In questa incertezza
anticipiamo delle note di ricordo in attesa di poter raccogliere
in modo compiut quelle testimonianze di amici, parenti, pastori
indispensabili per tracciare una biografia degna del personaggio.
Ci piace ricordare la sua vita di pastore che ha preso avvio
dall'esperienza in Svizzera sulle orme dei pastori bergamaschi che
si erano costruiti, in secoli di transumanza una grande
reputazione nel paese elvetico.
(07/10/2020) L'attualità delle polemiche si cani da difesa delle
greggi porta a scoprire un episodio di de secoli fa. Avvenuto in
Engadina, quando gli altri pascoli, al limite delle nevi perenni,
erano monopolizzati dai rudi pastori bergamaschi che, per
difendersi dai lupi avevano cani che potevano essere pericolosi
anche per le persone. E infatti...
(19/10/2020) Il Festival del pastoralismo di Bergamo sta
progettando un importante evento di promozione delle produzioni
ovine bergamasche. In vista di questo appuntamenti vale la pena
riprendere il tema della storia della più importante e diffusa
razza ovina dell'arco alpino (non solo italiano).
(23/10/2019) Perché la pecora bergamasca è diventata la più
importante e diffusa sulle Alpi?
Le pecore alpine si mungono?
Perché in un gregge non manca mai la pecora nera?
La mostra risponde a queste e ad altre domande e racconta fatti e
curiosità poco conosciuti sul mondo della "pecora alpina". La
pecora bergamasca rappresenta il prototipo delle pecore di tipo
alpino. Non solo è oggi la più diffusa, ma è anche quella
che ha influenzato maggiormente nei secoli le altre popolazioni
ovine alpine tanto da renderle ad essa sempre più simili.
Un'influenza che si è esercitata non solo in Italia ma anche in
Austria, Svizzera, Baviera, Slovenia.
(23/12/2017) In val Gandino (val Seriana) c'è una filiera
costituita da attori in stretto contatto tra loro, che va dai
pastori che forniscono la lana grezza agli stilisti, passando
per chi la lana la lava, la carda, la fila, la tesse, la tinge,
la sottopone a trattamenti di finissaggio. Un caso unico in
Italia. Su queste basi è nato il progetto Valgandino. Una
scommessa che riposa sulla storia: se nei secoli il lanifico
valligiano ha subito pesanti crisi per poi ripartire, se qui non
è mai finito è forse possibile avviare qui un nuovo ciclo, in un
momento storico in cui l'evoluzione economica planetaria non
appare più a senso unico, nuove/vecchie risorse possono
essere messe in campo e la tecnologia si sviluppa in modo
imprevedibile.