Ha sorpreso molti la violenza delle
proteste contadine al piano del governo che intende "tagliare" animali
e aziende per limitare l'impatto delle emissioni azotate degli
allevamenti sull aree protette. Per prima cosa viene da chiedersi come
mai un governo si muova solo ora, quando la UE gli impone di
rispettare le "aree Natura" 2000 dopo che per anni l'Olanda era
stata messa sotto accusa sia per il mancato rispetto delle norme
sull'azoto che sul fosforo. I danni di bilancio fortemente eccedentario
di azoto e fosforo dell'agrozootecnia olandese sono noti da decenni. Ma
le regole che dovevano limitarlo, basate su correzioni tecnologiche del
sistema, non sono state sufficienti. Nel frattempo l'Olanda ha
continuato ad aumentare l'export di carne e latticini: l'assurdità di
un piccolo paese con una grande urbanizzazione e con terreni molto
fragili (molti sono sabbiosi, limosi, con falda superficiale) che è al
primo posto in Europa per esportazione di carne. Sono state le
"regole europee" , scritte sin da quando vi era il MEC e l'Olanda
dettava legge, che hanno favorito la superproduzione dei Paesi Bassi
che è ottenuta con grandi input di mangimi (le materie prime arrivano a
Rotterdam a costi ridotti rispetto al resto di Europa) e di
fertilizzanti (350 kg di N/ha, primato europeo), aggiunti a
un'abbondante produzione di liquame anche per concimare i prati.
Ipocrita l'Europa, ipocrita il governo olandese. I contadini sono
stati indirizzati dal mercato, dalle loro organizzazioni, dalla ricerca
applicata e consulenza tecnica. Ora pagano solo loro con una
"sforbiciata" che punta a ridurre animali e allevamenti, con pesanti
nuovi adempimenti per "modernizzare" le stalle. E, giustamente, si
ribellano. Il sospetto è che il "giro di vite" alla zootecnia arrivi
quando la grande finanza sta puntando sul finto latte e la finta carne.
L'Olanda è il primo esportatore di carne in Europa (60% del valore
della produzione è legato all'export di carne bovina, suina ed avicola)
8,8 miliardi di € . Il comparto lattiero vale 7,8 miliardi di
esportazioni (2/3 del prodotto è esportato). Un sistema efficiente
basato sulla forza commerciale del paese, sui suoi porti, su una rete
di trasporti che è la più densa d'Europa e collega l'Olanda ai paesi
vicini (Belgio e Germania principalmente) che inonda con i suoi
prodotti zootecnici. Aggiungasi i primati nella genetica animale, nella
produzione di attrezzature zootecniche, la presenza dei migliori centri
di ricerca in campo agrario d'Europa.
Le leggi dell'economia (in barba alle sacrosate considerazioni amientali), e non
pochi "aiutini" da parte dell'Europa (che ha messo in piedi un sistema
di regole modellato sull'agroindustria olandese, un paese dove
funzionano solo tre gigantesche latterie cooperative), hanno determinato
l'ipertrofia della zootecnia olandese. Tra i paesi della UE, l'Olanda è quella con la
maggiore densità zootecnica (3,5 UBA/ha con ua media europea di 0,8).
Quando gli aninal-amientalisti annuncianno triofanti che l'Olanda vuole tagliare il 30%
della zootecnia si guardano bene dal segnalare che il caso olandes. Sino a trent'anni fa, in ogni caso,
tutto andava (apparentemente) bene, delle conseguenze ambientali non ci si preoccupava.
Ai tempi della fissazione delle quote latte l'Olanda si aggiudicò una
quota superiore a quello che produceva. Alla rimozione delle quote
latte, la zootecnia olandese ha conosciuto un ulteriore balzo di
produzione e nel 2006 è riuscita ad ottenere una deroga alla Direttiva
Nitrati per continuare a superare i limiti di 180 kg di N/ha sui
terreni non vulnerabili (derogato a 250 kg). La produzione di latte
olandese è di 13 t /ha (quasi il doppio di quella tedesca). Nel 2016 la
UE aveva bocciato il piano olandese di riduzione del fosforo che
prevedeva un sistema di "permessi di emissione".
La crisi attuale non rappresenta certo un fulmine a ciel sereno. E'
bene infatti ricordare che l’Olanda aveva già intrapreso una riduzione
delle emissioni di NH3 ponendosi come obiettivo, per il 2005 il taglio del
70% rispetto ai livelli del 1980. Il grosso della riduzione, come
vedremo oltre, è avvenuto grazie all'interramento dei liquami (viola
nell'istogramma sopra). Il contributo delle emissioni totali di
ammoniaca legato allo spandimento è sceso dal 65% al 40%. Molto più
limitata la riduzione delle perdite dai ricoveri (blu in basso
nell'istogramma) che oggi contano al 50% che sono il principale bersaglio delle misure contestate. Nel 2019, una sentenza del
Consiglio di Stato aveva sostenuto che la strategia del governo olandese per la riduzione dell'azoto in eccesso
che consentiva delle misure di "compensazione" (l'allevatore olandese
poteva adeguare solo una parte dei ricoveri
esistenti e compensare la mancata riduzione dell'ammoniaca
applicando le BAT - le migliori tecniche disponibili - ad altri
fabbricati), violava le direttive dell'Ue sulla protezione degli
habitat
vulnerabili.
Un po' strana questa crociata
contro le mucche in nome delle aree Natura 2000
Quello che lascia perplessi è
che, a fronte di un problema che è fortemente discusso da decenni, non
si sia operato in tempo per consentire un adeguamento non traumatico
alla necessità di contenimento delle emissioni e non si vogliano percorrere strade alternative (che pure esistono come vedremo oltre). Le emissioni azotate
danneggiano in ogni caso anche le aree "non protette" (attraverso i danni delle
piogge acide ai materiali e la formazione del PM2,5). La correlazione tra incidenza
di Covid19 grado di ospedalizzazione e cattiva qualità dell'aria
è stata messa in evidenza da uno studio olandese, vedi: M.A Cole,
C. Ozgen, E. , Air Pollution
Exposure and Covid-19 in Dutch Municipalities, in "Environ Resour Econ (Dordr)"
(2020) 76, n. 4, pp 581-610. Sono peraltro ben note le correlazioni tra
polveri sottili e vari tipi di patologie e, ciò che conta, la
diminuzione della durata della vita in salute nelle aree più inquinate dell'Olanda e della pianura padana ( -2 anni di vita sana). Nel 2017 la UE ha
ratificato la convenzione di Goteborg (che risale nella versione
originale al 1999). La convenzione mira a contrastare sul piano degli
effetti a distanza le emissioni inquinanti in atmosfera imponendo
massimi di emissione per ciascun stato. Sulla qualità dell'aria la UE
aveva già adottato le direttive 2008/50/CE e 2004/107/CE. Di fronte
all'insieme delle normative che dovrebbero favorire il miglioramento
della qualità dell'aria non si può non rilevare come esse risultino
largamente disattese, e non solo in Olanda (l'Italia, nonostante
le salate multe comminate per violazione delle direttive consente
l'autorizzazione di nuove fonti inquinanti anche nel bacino padano che
è, con l'Olanda, l'area più inquinata d'Europa). Appare quindi
singolare che la crisi olandese sia precipitata in modo drammatico solo a fronte
dell'esigenza
di proteggere dall'eutrofizzazione e dall'acidificazione del terreno le
aree natura 2000.
L'ammoniaca è indubbiamente legata
alla presenza massiccia di insediamenti zootecnici
Come si può osservare dalla figura sotto, la distribuzione della
concentrazione di ammoniaca nell'aria (e le conseguenti deposizioni a
terra) sono tutt'altro che uniformemente distribuite. Non solo in
Olanda si concentra un patrimonio zootecnico considerevole ma esso si
distribuisce male. Gli impatti sono legati alla concentrazione degli
allevamenti perché per la maggior parte localizzati e quelli delle aziende
di un territorio si cumulano. Tante piccole aziende distriuite darebbero impatti limitati.Il
problema non riguarda solo
l'Olanda basti pensare che il 46% del latte italiano si produce in
Lombardia.
Sopra:
concentrazione di ammoniaca nell'aria. La maggior parte delle emissioni
ricade in un raggio di qualche centinaio di m, ma vi sono anche delle
componenti di trasporto a lunga distanza (con ricadute a centinaia di
km).
Nella figura sopra la
distribuzione delle deposizioni di azoto al suolo. Una mole di azoto
equivale a 28 g, quindi 1000 m = 28 kg. 3500 m = quasi 100 kg di azoto,
una concimazione che consente una buona produzione di frumento tenero.
Grave è anche la situazione per il fosforo che, come è noto, provoca
eutrofizzazione.
La zootecnia olandese
contribuisce per il 41% alle emissioni di ammoniaca. Il piano di
riduzione prevede tagli massimi del 95% nelle aree con maggiori
emissioni. Una cura da cavallo. Per garantire che le emissioni agricole
vengano ridotte di almeno 10.000 tonnellate entro il 2030, il governo
olandese ha stabilito norme più rigorose per quanto riguarda l'uso di
fertilizzanti ("Besluit gebruik meststoffen") e stabulazione ("Besluit
emissiearme huisvesting"). Si pensa che gli agricoltori senza
prospettive di ricambio aziendale o con impossibilità di espansione, di
fronte al costo del rifacimento o adeguamento dei fabbricati gettino la
spugna. Se non lo faranno entreranno in azione misure coercitive. E si
prospetta un conflitto sociale acuto.
Il problema
a monte è il bilancio dell'azoto
Focalizzarsi solo sulle
emissioni di ammoniaca (dalle stalle, dalle vasche dei liquami, in fase
di spandimento) è riduttivo. Il problema è il bilancio dell'azoto,
ovvero quanto entra nel sistema (azienda, insieme territoriale di
aziende) e quanto esce. In un sistema in equilibrio le emissioni
inquinanti sono minime. Solo l'isteria pseudoambientalista può far
credere che l'agricoltura animale sia inquinante in sé (ovviamente agli
interessi della finanza, al WEF, torna comodo così). Oltre
all'ammoniaca che si perde nell'aria vi sono altre "uscite" di azoto
che causano impatti ambientali: i nitrati, innanzitutto, che inquinano
le falde e rendono l'acqua non potabile, l'ossido di diazoto, potente
gas serra. In realtà il bilancio non si ferma ai cancelli dell'azienda.
L'azoto esportato come carne e latticini che fine fa? E' consumato
dalle persone. Ma dal momento che oggi consumiamo molto di più di
quello che ci serve per il nostro mantenimento, eliminiamo una grande
quantità di azoto con le nostre deiezioni. E' azoto (vale anche per il
fosforo) che non sparisce ma viene immesso nell'ambiente. Se
consumassimo quello che ci serve avremmo un bilancio azotato pari a
zero. Un tempo il ciclo era chiuso: feci e urine umane erano raccolte e
riutilizzate come fertilizzante. Oggi i depuratori sprecano
(utilizzando, oltretutto, energia) l'azoto degli scarichi civili
immettendolo in atmosfera; poi le industrie dei fertilizzanti, con un
enorme consumo di energia, devono riprenderlo dall'atmosfera per
sintetizzare l'ammoniaca. Il tutto in chiave economica crea ricchezza,
contribuisce al PIL, in chiave di economia ambientale rappresenta uno
spreco folle di energia.
Da cosa è rotto l'equilibrio
rispetto al passato, quando non c'era alcun eccesso di azoto?
Dall'acquisto di fertilizzanti
azotati e di mangimi e nuclei proteici dall'esterno dell'azienda per
"spingere" la produzione, per alimentare molti più animali rispetto a
quelli che il fondo consentirebbe di mantenere. Dalla circolarità si è
passati a un sistema "aperto". Ma al grande flusso in entrata e in
uscita sono associate grandi perdite. Dal punto di vista
economico, quando l'energia fossile costava poco, il sistema spinto
era, a suo modo, efficiente. Che importava se un sacco di azoto finiva
in
atmosfera come NH3 e N2O e altrettanto come NO3 nelle falde acquifere?
Costava poco, in termini monetari, reintegrare con i concimi chimici, i
mangimi proteici, i nuclei, la soia tutte le perdite di un sistema
colabrodo. Si riusciva a produrre molto più latte per unità di
superficie e per unità di lavoro; tutti incitavano l'allevatore a
farlo. Così la produzione è aumentata e il prezzo del latte è
crollato. Di conseguenza le stalle si sono dovute ingrandire, le vacche
hanno dovuto produrre più latte per ottenere lo stesso reddito di
prima. L'industria ha potuto disporre di materie prime a prezzo
vile in modo che tutta la catena a valle si è potuta spartire valore
aggiunto. Anche il consumatore ha guadagnato, ma solo in apparenza,
perché soddisfatti i consumi alimentari a basso costo, l'industria gli
ha offerto prodotti "firmati", novità tecnologiche e gadget vari,
sempre nuovi e più o meno utili che, alla loro apparizione, vengono
fatti pagare salati consentendo alti profitti. Alla fine anche al
consumatore restano tante cose inutili e di rapida obsolescenza e
le tasche vuote. Tutta quella proteina animale a basso costo si
traduceva anche in danni alla salute dei consumatori e spese mediche a
carico degli stessi e dello stato. Un bilancio catastrofico ma non
registrato da nessuna parte.
Dal punto di vista dell'economia della materia (che alla lunga poi va
incidere anche sull'economia del PIL) le cose sono ben diverse. Il
latte, in Olanda, si produceva nel 1950 con un'efficienza dell'uso
dell'azoto del 46% (da confrontare con il 100% dell'efficienza del
sistema precedente all'introduzione dei concimi chimici, dove gli input
erano pari a zero e quindi il poco che si produceva era con
un'efficienza del 100%). Va tenuto conto che un sistema pre-industriale
può comunque esportare i suoi prodotti fuori dell'azienda perché vi sono
comunque degli input naturali gratuiti dall'esterno (oltre al riciclo
dell'azoto apportato con il letame e i residui colturali): la
fissazione dell'azoto atmosferico da parte di organismi azotofissatori
(simbiontici o meno), l'azoto deposto dall'atmosfera (per effetto dei
temporali, anche se - una volta - erano pochi kg/anno/ha). Negli
anni '80
la situazione era arrivata a un punto di massima gravità: l'uso allegro
dei concentrati, dei concimi chimici, lo spandimento in superficie dei
reflui zootecnici aveva determinato un surplus di azoto per ettaro
pazzesco.
Tagliare aziende, imporre
costosi adeguamenti tecnologici o ... fare alla contadina?
Nel 1991 è entrato in vigore
in Olanda un divieto di spargimento superficiale del letame, rendendo
obbligatorio l'inserimento del letame nel terreno direttamente o subito
dopo l'applicazione. Questa misura non è stata priva di effetti dal
momento che, tra il 1980 e il 1995Negli stessi anni è diventato
obbligatorio coprire con teli o altro le vasche di stoccaggio del
liquame. Dal 2013 le aziende devono limitare le emissioni di ammoniaca
dai ricoveri per gli animali significa che i fabbricati devono
rispettare i limiti di emissioni prescritti dalla RAV (Regeling
Ammoniak
en Veehouderij, the Ammonia and Husbandry Regulation). Il dibattito
sulle misure per ridurre le emissioni azotate (e di fosforo) delle
aziende zootecniche ha prodotto in Olanda una profonda riflessione sui
sistemi produttivi che ha portato il sociologo rurale Jan Dowe Van der
Ploeg a studiare i differenti stili produttivi delle aziende
zootecniche da latte olandesi e le loro prestazioni economiche e
ambientali. Le aziende che non hanno seguito il paradigma della
modernizzazione (subalterna) adottando le attrezzature e i metodi
più aggiornati (e costosi) messi a disposizione dalle industrie,
incarnano lo stile di produzione "economico". Sono le aziende che
utilizzano macchine usate, sono rimaste legate a una importante quota
di reimpieghi aziendali e a fattori di produzione tradizionali come le
razze bovine autoctone. Uno studio, riferito al 1998, che confrontava
un'azienda "economica" con 80 aziende convenzionali diede i seguenti
risultati:
La
tabella sopra riportata è tratta da: J.D Van Der Ploeg (2000) Revitalizing
Agriculture: Farming Economically as Starting Ground for Rural
Development in
"Sociologia ruralis", 40, n. 4, pp. 497-511
Notiamo
innanzitutto che non basta definire il grado di intensificazione
produttiva in base al parametro animali/superficie (Uba/ha). Da questo
riguardo le aziende erano uguali. Quello che differenziava
l'azienda Hoeksma era l'allevamento
della frisona originale, quella che era ben conosciuta anche nella
pianura padana (dove qualche soggetto era ancora presente nelle stalle
30-40 anni fa). Era la "Olandese" o "Pezzata nera", una vacca molto più
"raccolta"
rispetto alla Holstein, bassotta, larga, a "duplice
attitudine". Eppure, in un'azienda
famigliare essa può dare un reddito maggiore di una vacca Holstein .
Oggi non pochi sono disposti ad accettarlo ma vent'anni fa questa
conclusione era un'eresia.
La minor produttività
in
termini di
produzione lattea nell'azienda Hoesksma era compensata
da alcune entrate addizionali che
nelle aziende
convenzionali sono molto basse. La minor specializzazione della Frisona
originale rispetto alla Holstein si traduce in una migliore qualità del
latte (titoli di grasso e proteine), fertilità e in una
migliore conformazione (e resa al macello) con il risultato che la
produzione
della carne è maggiore e anche il suo prezzo. Nell’azienda c’era anche
tempo per
dedicarsi a dei lavori artigianali ed essa partecipa a diversi
programmi
agroambientali. Ciò che fa la differenza sono anche le minori spese,
non solo per i mangimi ma anche per il veterinario e per i farmaci.
Nell'azienda della famiglia Hoesksma, come si nota nella
Tabella, le spese veterinarie erano contenute
a quasi della metà. Essa, inoltre, acquistava meno concimi chimici,
mangimi e foraggi e faceva molto
meno ricorso al lavoro salariato. L'azienda manteneva il carattere
contadino e famigliare intraprendente e conservatore al tempo
stesso (l'essenza della saggezza contadina), capace anche di mantenere
l'estetica tradizionale e gradevole delle aziende contadine (un
valore che si considera poco ma che influenza la produzione di
esternalità, basti pensare al contributo al paesaggio e
all'attrattività turistica di molte stalle del fondovalle valtellinese
- capannoni prefabbricati in cemento armato uguali a quelli industriali
- con le stalle tirolesi). L'azienda Hoeksma era anche capace, però, di
avvantaggiarsi di quelle misure agroambientali che, ai tempi, i farmer
"produttivisti" snobbavano (anche in Italia). Nel mentre le
emissioni di fosforo erano ridotte della metà e quelle azotate di più
di un terzo, dal punto di vista economico il compenso lavoro famigliare
dell’azienda “economica” risultava nettamente superiore nonostante la
maggior intensità
di lavoro.
Successivi studi condotti in
Olanda confrontando diverse strategie di riduzione delle emissioni
azotate hanno fornito indicazioni controverse. Non è semplice valutare
le interazioni tra sistemi di spandimento, qualità del liquame, tipo di
suolo e vi è, inoltre, il fattore di lungo periodo (l'aumento di
fertilità) che viene sottovalutato in esperimenti di breve durata che
tengono conto di parcelle sperimentali e non del sistema aziendale nel
suo complesso. Il risultato è che il mainstream a livello di ricerca
applicata, consulenza, regolamentazione continua a spingere per
soluzioni tecnologiche che comportano investimenti in attrezzature e
fabbricati (chissà come mai?) piuttosto che mettere in discussione il
sistema high input - high output (elevate produzioni ottenute
con elevati livelli di mezzi tecnici acquistati sul mercato). Anche
oggi si discute di ridurre il numero di capi e di aziende, non di
ridurre l'intensificazione produttiva. Eppure, come abbiamo discusso
qui su Ruralpini di recente (
vai
all'articolo)
, con
l'aumento dei costi dell'energia, dei fertilizzanti, dei mangimi, i
rapporti economici sono destinati a cambiare radicalmente.
L'azienda
si trova ancora più ingessata invece di poter affrontare i problemi
economici ed ecologici con flessibilità e autonomia
Le soluzioni che rendono
l'azienda più autonoma, meno esposta alle fluttuazioni del mercato dei
mezzi tecnici, meno dipendente da forme di assistenza e manutenzione
specialistica (imposte dalle attrezzature sofisticate), da schemi
rigidi che comportano soluzioni obbligate una volta che ci si colloca
su un determinato livello di intensificazione produttiva (razza
allevata - razione alimentare - tipologia di fabbricati - ordinamento
colturale - tipo di attrezzature - uso o meno del pascolo -
foraggiamento verde). Le normative anti-inquinamento tendono a
ingessare ancora di più questi modelli imponendo, per legge, alcune
soluzioni tecniche che vincolano anche le altre componenti del sistema
aziendale. Jan Dowe Van der Ploeg (foto sotto) nei suoi lavori ha
contestato come il regime socio-tecnico dominante impedisca di
valorizzare le capacità sottili dell'agricoltore di adattare i suoi
sistemi aziendali al tipo di terreno, alla storia pregressa
dell'azienda, alle risorse specifiche dell'azienda e del territorio,
alle stesse condizioni sociali ed economiche locali.
Al di là della necessità di ridurre la fertilizzazione con concimi
chimici (imposta dalle normative) la via alternativa per ridurre costi
e
inquinamento è rappresentata da un nuovo approccio alla produzione di
foraggio e al razionamento della vacca da latte. Gli agronomi e gli
alimentaristi hanno sempre insistito, facendo forza sulla pratica
contadina, sul taglio precoce del foraggio al fine di
massimizzare il contenuto in proteina digeribile. Ma per ridurre
l'escrezione azotata è indispensabile abbassare le proteine nel
foraggio, nella razione, nelle deiezioni. Si deve quindi ottenere più
sostanza secca senza paura di aumentare la fibra nella razione
sfruttando al meglio la capacità ruminale. Solo così il rapporto tra il
Carbonio e l'Azoto nei reflui zootecnici tenderà a migliorare. I
reflui "migliorati" non solo presentano minor contenuto di azoto ma
anche una maggior quota di azoto organico che è meno suscettibile a
essere perso per volatilizzazione e lisciviazione nelle acque restando
disponibile più a lungo nel terreno pr le piante (e quindi per
l'alimentazione del bestiame). Un liquame con miglior rapporto C/N
favorisce l'aumento di sostanza organica nel terreno con tutti gli
effetti positivi che comporta, effetti che comportano migliore capacità
di ritenzione idrica, migliore sviluppo dell'apparato radicale delle
piante, migliore assorbimento da parte delle radici e maggiore
produzione di foraggio. Il punto debole della protesta degli allevatori
olandesi è che difendono uno status quo che li vede in una posizione
debole e che accettano inn larga misura che il sistema non possa essere
modificato.
Un "vero" caseificio senza mucche
Mentre in Olanda esplode la protesta degli allevatori, a Kalundborg,
nella vicina Danimarca, la start up israeliana Remilk, sta creando su 70 mila mq
una fabbrica di latte artificiale ottenuto da lieviti geneticamente
modificati. Che non producono latte, ci mancherebbe, ma delle proteine
simili a quelle del latte. Ovviamente tutto il resto (zuccheri, grassi,
vitamine, minerali) deve essere aggiunto. Un alimento sintetico che,
come tutti gli alimenti sintetici, ha dei costi energetici molto
elevati
e che, ovviamente non avrà mai le proprietà nutrizionali del latte
ricco di componenti bioattivi in larga misura ancora sconosciuti. Solo
le ben orchestrate campagne di criminalizzazione della zootecnia quale
massima responsabile delle catastrofi ambientali e le altrettanto en
orchestrate campagne animaliste che prendono di mira situazioni limite,
possono convincere conn l'aiuto dei media menzogneri (espressione di quelli stessi
interessi finanziari che stanno scommettendo sul cibo artificiale
prodotto nelle fabbriche). Che dietro le start-up ci siano i colossi
americani di internet è noto. Il modo grossolano con il quale la
lobby del cibo artificiale manovra l'opinione, più o meno organizzata,
vegana e animal-ambientalista lo illustra un articolo "scientifico" che
propone come soluzione al problema delle emissioni dei gas serra
nientemeno che l'annullamento di ogni attività di allevamento animale a
fini agroalimentari. L'articolo è uscito il 1 febbraio 2022 sulla
rivista Plos Climate e ha per
titolo Rapid global phaseout of
animal agriculture has the potential to stabilize greenhouse gas levels
for 30 years and offset 68 percent of CO2 emissions this century
(La rapida eliminazione globale dell'agricoltura animale ha il
potenziale per stabilizzare i livelli di gas serra per 30 anni e
compensare il 68% delle emissioni di CO2 di questo secolo). Gli autori
sono Michael B. Eisen, Patrick O. Brown. Patrick Brown è il fondatore e
CEO di Impossible Foods, un'azienda che sviluppa alternative agli
animali nella produzione alimentare (nota per l'hamburgher
impossibile). Michael Eisen è un consulente di Impossible Foods. Entrambi sono
azionisti della società e quindi trarranno vantaggio finanziario dalla
riduzione dell'agricoltura animale. La rivista Plos climate è edita dalla Alliance of Bioversity International and
International Center for Tropical Agriculture, Colombia,
un'organizzazione globale di ricerca per lo sviluppo che fornisce prove
scientifiche, pratiche di gestione e opzioni politiche per utilizzare e
salvaguardare la biodiversità. Sponsorizzata dall'Unione Europea, dalla
Cina, dalla Fao, dalla Banca Mondiale da un sacco di istituzioni
politiche e di ricerca, dalla Dupont, Syngenta, Bill Gates, Pepsico,
Walmart. Plos climate non
applica l'Impact factor (valutazione delle riviste sulla base delle
citazioni a certificazione - sia pure imperfetta - dell'influenza dei loro contenuti ) che
valuta il rango delle riviste scientifiche e, come si vede, dichiara il
conflitto di interesse ma non ne tiene conto. Il risultato è che la
campagna vegan-animal-ambientalista potrà sostenere che l'abolizione di
ogni allevamento animale da reddito in tutto il mondo è una delle
"soluzioni" ai problemi del pianeta. E' allora è casuale la
coincidenza tra la linea dura di Rutte sull'ammoniaca da
allevamenti in Olanda e il battage a favore del business del finto
latte? Crediamo proprio di no. E se l'Olanda è il caso limite c'è da
ritenere che la guerra agli allevatori, prima costretti ad applicare
sistemi che hanno favorito l'industria e il commercio e ora accusati,
sparando nel mucchio, di ogni delitto ecologico.