(07.07.10) Ma
nessuno aveva informato il ministro che da venerdì
2 luglio era scoppiato lo scandalo della mozzarella
blu di 'puro latte trentino'?
Galan
(e il becero nazionalismo alimentare) beffati al Brennero
dallo scandalo mozzarelle blu trentine
di
Michele Corti
La
surreale vicenda di un ministro che partecipa alle proteste
della Coldiretti contro le mozzarelle tedesche nel mentre,
in Trentino, dopo la scoperta di alcune mozzarelle
blu 'autoctone', era in corso il ritiro dagli scaffali
di 400.000 confezioni . Forse un'occasione
per aprire gli occhi sulla realtà e le contraddizioni
della zootecnia e del caseificio trentini (e non solo).
E sull'ambiguità del Made in Italy alimentare.
Chissà
che risate in Germania. Un ministro che sale al Brennero
per partecipare alle proteste della Coldiretti mentre
poche decine di km a valle si consuma la tradicommedia
delle mozzarelle blu trentine. Tragicommedia non
solo per la coincidenza con la liturgia del Brennero (alla
'non passa lo straniero') che la Coldiretti alleste regolarmente
da decenni (tanto per far vedere ai suoi associati che
'fa qualcosa') ma anche per le dichiarazioni del mega
direttore del 'Polo bianco' lattiero-caseario trentino.
Paoli, in merito alla vicenda delle mozzarelle blu
prodotte dal Caseificio di Fiavé ha infatti
dichiarato serafico che 'è colpa del caldo'.
Giustificazione ridicola se solo si pensa che quando
è scoppiato lo scandalo delle teutoniche
mozzarelle blu era ancora primavera (e faceva freddo).
Il tutto aggravato dal fatto che le mozzarelle di Fiavè
sono distribuite anche in Germania.
La
liturgia del Brennero. Un modo per distogliere i produttori
dai problemi 'interni'
Ma
la beffa è ancora più atroce (nei confronti
di Galan e dei paladini del 'made in Italy) se si considera
che Paoli si è affrettato a difendere la 'sua'
mozzarella sulla base del fatto che il latte 'proviene
esclusivamente da stalle trentine'.
Il
sottolineare questo aspetto non può che avere
un effetto boomerang contro i sistema lattiero-caseario
provinciale.
Ricordate
la campagna pro latte e formaggi trentini?
Mettendo
in relazione la mozzarella blu di Fiavè con il
latte trentino De Paoli annulla gli effetti (se mai
vi sono stati) della costosa campagna di comunicazione
avviata nell'estate scorsa e finalizzata a convincere
i trentini a bere il 'loro' latte e a consumare i 'loro'
formaggi? E
pensare che lo stesso super-presidente Dellai si era
impegnato in questa campagna che trasferiva
in modo ipocrita al consumatore trentino la responsabilità
di una crisi della zootecnia frutto delle politiche
della Provincia autonoma a favore delle grandi
stalle intensive e dei grandi caseifici. E di prodotti
massificati e senz'anima.
Il poster stile
Oliviero Toscani che invitava a non 'rimpiangere il latte versato'
e quindi a consumare latte e formaggi trentini
La
mozzarella blu non ha fatto altro che affossare un appello
al consumatore per il 'buy local' poco credibile e tardivo.
Un appello arrivato dopo che per decenni si è
impostata una politica zoocasearia industrialista basata
sul dogma delle economie di scala e sulla concentrazione
dell'offerta per 'sfondare' sul mercato nazionale. Oltretutto
è poco coerente appellarsi al 'consumo locale'
e richiamare l'identità territoriale quando
tutta l'economia zootecnica e casearia trentina è basata
sul Grana padano (sottodenominazione Trentingrana)
destinato al mercato extra-provinciale. Un prodotto
'copiato' in quel di Mantova e non proprio espressione
di alpinità e trentinità. Del resto anche
la rimanente produzione casearia trentina, tolta qualche
sparura produzione 'autoctona' come il Puzzone
di Moena, è rappresentato da Asiago, Fontal,
Stracchino, Scamorza, tutti prodotti tipici, sì
ma di ... altre regioni.
Qual'è
il limite del copyright caseario? Della 'copiatura'
indebita?
Ci
si indigna se si fa la mozzarella in Germania ma che
dire della Provola o del Fontal (formaggio 'tipo' Fontina)
prodotti in Trentino? L'identità territoriale
casearia può essere fatta coincidere con le frontiere
degli stati? Non facciamo ridere. Con la tradizione
casearia trentina la mozzarella non ha nulla a che fare,
questo è certo. Risponde solo ad esigenze industriali.
Esigenze che sono le stesse che spingono i caseifici
tedeschi a produrla. La Mozzarella di
Fiavè è un prodotto 'di massa'
destinato alla grande distribuzione, dove è esitato
spesso in 'promozione', e alle pizzerie (esiste
anche la confezione maxi). E' l'emblema in negativo
di una strategia di inseguimento delle grandi realtà
lattiero-casearie padane ed europee.
La
mozzarella di Fiavè emblema delle contraddizioni
del sistema zoocaseario trentino
Dovrebbe
scandalizzare meno che la mozzarella 'di massa' venga
prodotta in realtà che dispongono di latte a
costi bassi e che 'mixano', in relazione agli
andamenti dei mercati, latti 'nostrani' e latti del
'mercato aperto'. In definitiva è meno scandaloso
che la mozzarella venga prodotta in Padania (dove si
usa latte 'locale' ma anche dell'Est) o in Germania piuttosto
che a Fiavè, in mezzo alle montagne.
Il
latte raccolto dal Caseificio di Fiavé non può
avere costi molto bassi. In primo luogo perché
i costi di trasporto sono elevati (Fiavé è
lontana da grandi arterie di comunicazione e collegata
da strade di montagna piuttosto tortuose).
Fino
a pochi anni fa mamma provincia integrava il costo del
trasporto del latte, ora non più. Ma anche i
costi di produzione del latte delle stalle che conferiscono
a Fiavé sono nettamente più alti di quelli
della pianura padana (per non parlare della Polonia).
Nonostante che per la mozzarella e i 'freschi' si utilizzi
latte di vacche 'spinte', alimentate con insilato di
mais e mangimi (il latte migliore, prodotto senza insilati,
va a Trentingrana) i costi di alimentazione sono sempre
ben diversi da quelli delle stalle padane con una razione
alimentare simile.
Innanzitutto
non serve essere agronomi per capire che a 700 m (altitudine
dell'altipiano di Lomaso-Fiavè) il mais produce
molto meno (è pianta che ha bisogno di elevate
temperature). Poi un po' di fieno va comunque somministrato
alle vacche e se i prati scarseggiano (come in quasi
tutte le stalle trentine di una certa dimensione)
deve essere acquistato fuori regione, spesso in centro-Italia.
Un bel viaggetto e dei bei costi di trasporto. Il risultato
è che la qualità del latte non è
certo superiore a quella delle stalle lombarde che,
quantomeno, sono in grado di coprire maggiormente il
fabbisogno alimentare con la propria produzione foraggera.
Morale costi elevati, qualità del latte modesta. In
definitiva latte 'da mozzarella' ma a costi non competitivi.
Qualcosa non va.
Se
poi si aggiungono i riconosciuti 'problemi gestionali'
del caseificio...
Equivoci
del Made in Italy
Esaminati
questi aspetti, relativi alla materia prima della
mozzarella trentina, con quale coraggio si può
sostenere la superiorità della mozzarella 'di
massa' provinciale, regionale o nazionale? Aveva senso
approfittare della 'mozzarella blu' per rilanciare una
campagna di nazionalismo alimentare? La cruda realtà
si è incaricata di sbugiardare coloro che
hanno lanciato la crociata contro la mozzarella
tedesca: si sono ritrovati tra i piedi la 'mozzarella
blu' trentina!
Un
fatto che dovrebbe far riflettere sulla pochezza del 'nazionalismo
alimentare'. Ma anche senza mozzarelle blu chi può
sostenere che il latte delle 'fabbrichette' del
latte trentine o delle 'fabbricone' padane (che arrivano
a 1.000 e persino 2.000 vacche frisone) sia migliore
di quello delle aziende contadine bavaresi con 40 Pezzate
Rosse che producono la metà e che sono largamente
alimentate con il pascolo?
Siamo
poi sicuri che Made in Italy voglia dire 'materia
prima italiana'? Come per la 'moda', dove di 'italiano'
spesso ci sono solo la griffe, anche per i formaggi
gli industriali (con in prima fila il loro leader, Auricchio)
sostengono che quello che conta non è la materia
prima ma l'expertising. Del resto Auricchio di Made
in Italy se ne intende avendo anche ricevuto il relativo
Oscar.
Che
senso ha combattere per la protezione del Made in Italy
quando si conosce bene questa posizione dell'industria?
E' disposta l'industria italiana ad accettare
l'etichettatura del prodotto con la provenienza della
materia prima? A rinunciare alle 'autotaroccature'?
Al
produttore alpino (o di altre zone 'svantaggiate' non
serve il Made in Italy'
Ai
piccoli produttori di latte e di formaggi di montagna
le Dop non sono state d'aiuto; sono servite ad allargare
le aree di produzione, ad 'annacquare' i disciplinari.
Sono servite all'industria. Lo stesso vale per il Made
in Italy, una volta protetto e istituzionalizzato. Al
di là delle ambiguità e del carattere
strumentale della 'battaglia' in favore del Made in
Italy una cosa è certa: il produttore di latte
alpino (e i piccoli produttori in generale) non risolveranno
i loro problemi con il 'Made in Italy'.
Ciò
parrebbe contraddire l'impegno del sistema cooperativo
(cha, dal Trentino al Veneto alla Valtellina) punta
sui mercati 'emergenti' (vedasi le spedizioni
a Dubai dei trentini). Ma siamo sicuri che tutto
ciò non rischi di essere un diversivo (e un mezzo
per 'mungere' altre risorse pubbliche)?
L'esigenza
di 'ampliere i mercati' deriva dal fatto che i prodotti
dei grandi caseifici cooperativi delle Alpi si solo
allineati al gusto del consumatore 'medio' (prodotti
a non lunga stagionatura, di gusto dolce ecc.) tanto
da rendersi indistinguibili (non si dice 'ha un gusto
'piatto', 'anonimo', 'banale'?) da analoghe produzioni
ancor più 'di massa' (e a prezzi inferiori).
E' il risultato della cieca fiducia nelle strategie
di marketing degli anni '80, quando il mercato, e il
consumatore, erano ben diversi. Ma chi ha il coraggio
ora di rimettere in discussione i complessi e costosi
organismi produttivi e organizzativi messi in piedi?
Di certo non il management e le sovrastrutture cooperative.
Il
risultato è che i caseifici alpini sono costretti
a vendere 'fuori', sul mercato regionale o nazionale,mentre
l'enorme mercato turistico che, sia pure con fluttuazioni
stagionali, è a 'portata di mano', è largamente
'coperto' da formaggi industriali importati da fuori.
E' poco sfruttato anche il traino turistico che
consentirebbe un consumo 'fuori zona' (ma attraverso
canali qualificati quali rivendite specializzate, enoteche,
ristorazione di un certo tipo) dei prodotti che il turista
ha avuto modo di conoscere e apprezzare sul posto. In
luogo di una produzione centralizzata e massificata,
che ha mostrato il limite delle economie di scala e
il peso delle rigidità gestionali, andrebbe incentivato
il ritorno ai caseifici aziendali o di piccola dimensione.
Che non sono costretti a produrre mozzarella (bianca
o blu che sia).
|