(30.07.10) Era l'attività zoocasearia
la principale 'industria' della maggior parte dei comuni
della montagna lariana. Ora l'alpeggio può tornare ad avere
significato non solo storico-culturale e paesistico
ma anche economico
Gli
alpeggi del Bregagno: un grande patrimonio ignorato
Ma dall'alpe
Nesdale arriva un segnale di rilancio
Il 25 luglio in coincidenza
con la tradizionale festa di Sant Amáa (sotto la Grona)
si è svolta anche una cerimonia piena di significato in occasione
dell'apertura della prima forma di formaggio all'alpe
Nesdale. Il rilancio dell'alpe
reso possibile da una pista di servizio che potrebbe
collegare anche altri alpeggi.
foto
e testo di Michele Corti
Il
Signore fece salire il suo popolo sulle alture della
terra e lo nutrì
(Dt
32, 10c-14).
Dal
Lagorai (Valsugana, TN) al Bregagno (Lario). Due comprensori
di alpeggio molto diversi ma anche con problemi molto
simili. Un confronto stimolante al massimo. Trasferirsi
fisicamente da uno all'altro in una sola giornata, però,
non solo è faticoso ma rischia di far risucchiare esperienze
preziose, autentiche, in un vortice frenetico. Quella
frenesia che toglie realtà e spessore alle nostre vite
e contro la quale la vita d'alpeggio e l'accostarsi
ad essa propugnamo come antidoto. La stagione d'alpeggio
di esaurisce in 2-3 mesi ed è logico che il calendario
degli eventi sia tambureggiante. Così quando l'amico
Mario Colombo mi ha telefonato dieci giorni prima per
dirmi che all'alpe Nesdale il 25 luglio ci sarebbe stato
un evento importante: il taglio della prima forma dopo
anni di abbandono, non ho saputo dire di no. Pur sapendo
che per quel week-end avevo un impegno in Trentino.
Fortunatalente
l'evento principale che ho descritto in: Malga
Montalon
era
'calendarizzato' per il sabato e il progranna della
domenica era un po' 'satellite'. Non potevo non partecipare
ad un evento su un aalp che conosco bene, il
cui abbandono negli ultimi anni mi aveva molto rattristato
(non ci sono più stato dal 2005, ma chiedevo notizie).
Un
alpe le cui foto 'di repertorio' (sopra) mostro sempre
a lezione come esempio di alpeggio 'di versante' che
sorge su una 'piazza' (ripiano a lieve pendenza), e dove
i fabbricati si affacciano su una corte chiusa (foto sotto), evoluzione di quello che era anticamente
un semplice bárek (recinto di muriccia a secco).
Per approfondire:
Digressione
1 - Un sistema di alpeggi un tempo 'forte' e che conserva
grandi potenzialità
Ritorno
a Nesdáa
A
Nesdáa sono
salito più volte, per lo più dalla Val Sanagra, salendo
in auto sino all'Alpe Leveja. Da lì sono 300 m si salità,
per lo più all'ombra del bosco, prima un tetro bosco
artificiale deperente e rinsecchito, poi un bel bosco
naturale con tanto di abete bianco, parte del bosco
di Varöö che occupupa il versante a Nord
della Grona. Volevo fare così anche domenica scorsa
ma le code sul Lago (tra Moltrasio e Argegno) hanno
molto rallentato un viaggio che dalla Valsugana
a Como (via statale Briantea, di norma congestionata)
era stato scorrevole.
Così,
per non rischiare di arrivare ad evento finito, ho accettato
di farmi venire a prendere da un dipendente del comune
con un Defender risceso, dopo altri 'servizi' di trasporto,
alla sbarra che limita l'accesso alla
pista forestale in località Monti di Gallio a 1.100 m. Il fatto che la robusta sbarra
fosse chiusa a chiave e che non abbia potuto salire
con il mio mezzo (Jimny) nemmeno nel giorno della Festa
smentisce le critiche ambiental-qualunquistiche contro
la pista realizzata a servizio degli alpeggi (ci torneremo).
Il
paesaggio dei muunt da dove parte la pista è
quello della eloquente foto sopra: una neoformazione
di betulle, felce acquiline e ginestre. Non si vede
un filo d'erba. Ideale per prendere fuoco. Solo gli
ambientalisti da salotto possono compiacersi di un simile
paesaggio che non è per nulla 'naturale' ma frutto di
un abbandono totale e repentino delle attività di cura silvopastorale.
In queste 'neoformazioni' non si riesce a camminare,
la fauna è rarefatta. Dal punto di vista estetico sono
penalizzate dalla precoce maturazione della felce acquilina
(ad agosto già rugginosa) e dai cicli vitali della ginestra
che, periodicamente, probabilmente anche a causa di
malattie fungine, si presenta rinsecchita, coi fusti
grigiastri e contorti in pienma stagione vegetativa.
Nonostante
l'ora tarda (sono passate le 13 e 30) non posso rinunciare
a qualche scatto all'Alpe Rescascía del comune di S.Siro.
I fabbricati appaiono in buone condizioni (foto
sopra). La casera (foto sotto) è costituita da un fabbricato
indipendente su due livelli. Però il dipendente del
comune di Plesio che mi fa da autista riferisce che
'ci sono problemi con l'Asl per la messa a norma'. Chissà
cosa vogliono?
La
sústra di Rescascía (foto 'di repertorio' sotto) è
del tipo con la volta a sesto acuto. Le dimensioni del
ricovero (e della 'malga' che vi trovava un
tempo ricetto) sono ragguardevoli. Già ai tempi della mia foto
'di repertorio' (2002) la sústra era 'abitata' solo
da un malinconico cavallo che se ne stava all'ombra
del manufatto.
Lasciata
l'alpe la mia 'guida' mi fa notare la vecchia mudata
(una stazione 'alta') ormai del tutto diroccata
(foto sotto). E' con grande rincrescimento che mi fa
anche osservare il rinselvatichimento della vegetazione 'guardi che degrado, è pieno di
droos' (rododendro). Come si vede la pendenza,
però, non è certo proibitiva per il pascolo; in più
'è pieno d'acqua'. Sono numerose le sorgenti come testimoniano
anche le prese degli acquedotti. Una montatgna ricchissima
di acqua. Ci sono bei fabbricati, ampi pascoli, ora
una pista percorribile dai fuoristrada, un panorama
mozzafiato sul lago e tanta acqua. Ma perché mai un alpeggio così deve
restare abbandonato? C'è proprio qualcosa di distorto
nei meccanismi (mercantili, burocratici, culturali).
La
pista sale con pendenza ababstanza regolare ma tale da precludere
la percorrenza di normali automobili. Taglia il fianco
della montagna senza tornanti (solo un curvone che ha
dato fastidio ad un architetto svizzero) . Non ci sono 'opere d'arte',
muri di contenimento, 'pugni nell'occhio'. L'orrenda
cicatrice lamentata da suscettibili pseudo-ambientalisti
si rimarginerà presto e resterà una 'strada bianca'
ben inserita nel paesaggio. Il calibro della carreggiata
'di 4,5' secondo i 'paladini dell'ambiente' è
in realtà di poco superiore ai 3 m per il fisiologico
restringimento dovuto al normale micro-smottamento della scarpata
a monte (non ancora consolidata e reinerbitasi). Poi l'escavatore
dovrà pure passare? O pensano queste anime belle che le strade le facciano
ancora i 'badilanti'?
Quello che non è tollerabile è
che si ignori che la viabilità agropastorale risponde
ad una legge regionale ben precisa e da un obbligatorio
regolamento comunale che non può prevedere 'scappatoie'.
Per questi signori le piste di collegamento con gli
alpeggi non vanno fatte perché 'poi le leggi vengono
aggirate, non siamo come in Svizzera'. Intanto,
come dicevo, all'inizio della pista vi è una robusta
sbarra. Vigilino su eventuali abusi i signori ambientalisti.
Chiedano che si faccia rispettare la legge forestale
che proibisce il transito delle moto sui pascoli e sulle
piste forestali. Purtroppo poi la 'tolleranza' verso gli
abusi (foto sotto), abusi che nulla hanno a che fare
con il fisiologico utilizzo della vasp (viabilità agro-silvo-pastorale)
presta il fianco a critiche qualunquistiche.
Se
vuoi approfondire:
Digressione
2. La 'selvaggia Val Sanagra' e la 'sacrilega' pista
di collegamento degli alpeggi
Clima
di festa
Nel
clima di festa a Sant Amáa (con la gente che ha piantato
la tenda per vedere l'alba da qui ed essere già sul
posto) le moto proprio stonavano. Ma procediamo con
lo svolgimento della giornata.
Arrivati
all'oratorio montano dedicato al santo martire (che,
sia pure per poco, sorge in comune di Plesio) la festa
era già finita e si stavano sparecchiando le tavolate
(foto sopra). Peccato. Però, io ero qui per il taglio
della prima forma a Nesdale e quello è previsto per il momeriggio, c'è ancora tempo. Tanto che da Sant Amáa all'alpe
decido di andarci a piedi con gli amici (c'è Mario
Colombo e Francesco Curti già sindaco di Cusino che
mi aveva fatto conoscere l'alpe Rozzo). Vi
è ancora molta gente, però, radunata intorno al piccolo
edificio sacro (foto sotto).
Due
parole sul santo. Altrove è più conosciuto come Mamete/Mamette
(nella vicina Val Solda e poi giù in Brianza e nel milanese),
fuori Lombardia anche con molti altri nomi. L'aspetto
della chiesina ve lo mostro nella foto sotto ('di repertorio').
L'oratorio
montano sorge a 1.617 m alla base del costone del Bregagno
(che resta alle sue spalle) e guarda la
cima rocciosa della Grona. Mamete, secondo l'agiografia,
nacque nel III secolo a Cesarea di Cappadocia - attuale
Turchia - in una prigione dove la madre era stata
rinchiusa e martirizzata (persecuzioni di Valeriano).
Morta la madre si rifugiò sui monti e veniva allattato
dalle bestie selvatiche (secondo altre versioni si lasciavano
mungere); quindi fece il pastore e finì anch'egli martirizzato.
Molto venerato nell'ambito della chiesa bizantina in
occidente ha assunto un ruolo di santo 'specializzato',
santo pastore, legato alla lattogenia, ai monti e protettore degli
animali. Invocato dalle balie per avere latte ma anche
dai pastori. Nelle leggende locali (ma simili a quelle
di altre vallate) Mamete faceva parte dei 'santi eremiti'
del Lario, personaggi spesso del tutto leggenari come S. Jorio
(trasposizione di Jupiter che in precedenza era nume
tutelare
del passo). Un tempo i montanari pensavano realmente
che fosse vissuto qui un eremita che insegnava il vangelo
agli animali feroci e li faceva convivere con le sue
pecore. Simile è la leggenda di San Glisente in Valle
Camonica che ammansiva l'orso in procinto di divorare la
pecora che gli forniva il latte.
Oggi i verdi si credono
più potenti di questi santi eremiti e vorrebbero far
convivere orsi lupi e linci con le pecore. Che presunzione!
Notiamo che sia Glisente che Amáa hanno semplicemente
fornito una patina di cristianizzazione ad antichissimi culti
pastorali, alle divinità protettive che si sono succedute
nelle varie epoche, a luoghi sacri che vedevano riunite
le tribù di diverse vallate. Sant Amáa è sicuramente
in posizione strategica presso l'omonima bocchetta che
divide il crestone del Bregagno da quello della Grona
e che mette in comunicazione la val Senagra con la costiera
(S. Siro) e con la valletta di Plesio che scende a Menaggio.
Qui passa anche la Linea Orobica che separa la roccia
cristallina da quella calcarea ei si vedono
di infilata da una parte il Lario con i suoi due rami
(di Lecco e di Como), dall'altra il Ceresio (foto sotto).
Ovvio
che in questo sito ricco di 'energie' si saranno svolti
riti sacri.
Il
tratto che separa la chiesetta dall'Alpe Nesdáa è di
poco superiore al chilometro e non c'è dislivello. Quindi
la camminata è rilassante. Durante
il percorso ci si imbatte in due fontane: una recente
(riporto la foto del 2002), l'altra 'storica'. La prima
presenta spigoli molto vivi e un ampia platea in calcestruzzo
con opportuna pendenza per evitare il ristagno idrico.
Ad occhio attento nella foto non sfugge il tracciato già
allora esistente che collegava Sant Amáa con Nesdáa
e che con i lavori terminati lo scorso anno è stato collegato
finalmente 'a valle'.
La
fontana 'storica' consiste invece in un imponente manufatto
(foto sotto). Realizzata in lastre di pietra naturale
che consente l'abbeverata contemporanea di 25 capi,
ciascuno con la sua 'posta'. La lunghezza della fontana
fornisce con immediata evidenza l'idea di quanto fossero numerose in
passato le 'malghe' di bovini qui caricate.
Gli
Atti della Commissione di Inchiesta sui pascoli alpini
della Società Agraria di Lombardia, Vol. III,
I pascoli alpini della provincia di Como, Milano,
Premiata Tipografia Agraria, 1912 (p. 153) ci informano
che esattamente un secolo fa all'Alpe Nesdale erano
caricate 100 vacche lattifere più 120 bovini asciutti
per un totale di 160 'paghe'. Vi erano anche 27 capre.
Parlando con la gente del posto, forse enfatizzando
un po', dicono che 'erano caricati fino a 300 capi'.
Le
coperture in lamiera sono nuove e a caratteri cubitali
è stato scritto il nome dell'alpe che, in questo modo,
si annuncia anche a chi non la conosce. Mi pare una
buona idea, un modo orgoglioso di proclamare
l'identità di un sito e la sua funzione. Nella foto sotto si vede
l'insieme dei fabbricati disposti intorno alla
'corte' chiusa da un muro sul lato a valle. Non si può
fare a meno di pensare ai modelli di cascina delle pianura
anche se sappiamo che l'origine è diversa. Gli aalp,
con i loro bárek preistorici, sono molto
più antichi delle cascine a corte che derivano da tipologie
medioevali (fortificate).
Non
è facile riprendere la scritta con il panorama della
Val Senagra e del Ceresio come vorrei , ciò per via
del riflesso della copertura di lamiera. Mi devo accontentare
della inquadratura della foto sotto dove, quantomeno,
si vede la cima della Grona.
Dentro
la 'corte' è già radunata una piccola folla. Gente venuta
su quasi tutta a piedi, per lo più da Breglia (la frazione
più in quota di Plesio) passando per il Rifugio Menaggio.
Sono stati montati due gazebi: uno per la cerimonia,
l'altro per la vendita del primo formaggio fresco (prodotto
dopo anni di inattività dell'alpe) e del miele di rododendro
(anche le api alpeggiano come le mucche).
La
cerimonia religiosa è stata officiata da Don Daniele Crosta. Nella foto sotto vediamo la preparazione per la benedizione.
La
cerimonia religiosa è consistita in una 'benedizione
ai campi , ai prati ai pascoli' . E' prevista la lettura
di un passo della scrittura e qualche parola per aiutare
i presenti a comprendere il significato religioso del
rito. Nel 'benedizionale del rito romano'
promulgato da Giovanni Paolo II http://www.liturgia.maranatha.it/Benedizionale/p2/35page.htm leggiamo
che tale forma di benedizione:
' [...] si può usare nei momenti più significativi della vita della comunità rurale; così il lavoro dell'uomo viene santificato dalla preghiera e la benedizione del Signore accompagna l'alternarsi delle stagioni e le attività ad esse corrispondenti.'
t
Sotto Don
Daniele mentre menedice i pascoli (che
si stendono sotto l'alpe); poi si è girato verso l'alto
(dove pascolava la 'malga') e ha benedetto gli animali,
infine si è voltato alla dua destra (dove c'è la casera
con la cantina e i locali di abitazione) e ha benedetto
i fabbricati. In questo rito non è difficile scorgere
un elemento di continuità che rimanda a un passato recente
e remoto in cui l'alpeggio era elemento fondante dell'economia
locale ma anche un patrimonio 'sacro' (l'espressione
l'ho sentita sulla bocca di alpigiani , e non in senso metaforico). Sacro,
simbolico, identitario è sicuramente un patrimonio importante.
Ancora oggi.
L'officiante ha scelto la lettura dei 'gigli del campo'.
Tra quelle adatte per l'occasione a me pare molto bella
quella tratta dal Deuteronomio: Il
Signore fece salire il suo popolo sulle alture della
terra e lo nutrì con i prodotti della campagna (Dt
32, 10c-14).
Il
Signore educò il suo popolo, ne ebbe cura, lo allevò,
lo custodì come la pupilla del suo occhio. Come un'aquila
che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati,
egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue
ali. Il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui
alcun dio straniero. Lo fece salire sulle alture
della terra e lo nutrì con i prodotti della
campagna, gli fece succhiare miele dalla rupe e olio
dai ciottoli della roccia; crema di mucca e latte di
pecora insieme con grasso di agnelli, arieti di Basan
e capri, fior di farina di frumento e sangue di uva,
che bevevi spumeggiante.
Trovo
particolarmente appropriata l'idea di un popolo che
il Signore fa salire sulle alture e lì trova nutrimento.
Mi pare quanto mai appropriata in un'epoca in qui il
nesso tra la terra e il nutrimento si è smarrito. La
gente che, per nutrirsi, deve fare solo la fatica di
riempire
un carrello del supermercato, aprire una confezione
e far andare il microonde pensa che il cibo venga dalle
fabbriche, che la terra (e il mare) non siano più necessari.
Per quanto manipolato il cibo richiedere sempre la terra.
Terra, sottratta alle foreste pluviali o semi-tropicali,
terra che perde la sua fertilità a causa dell'agricoltura
intensiva che 'regge' ai rapporti mercantili del mercato
globale ma a prezzo di gravi impatti ecologici. L'agricoltura
intensiva eutrofizza, salinizza, sterilizza, avvelena,
erode la terra fertile. Nel mentre quella estensiva,
che non richiede energia fossile, che utilizza la luce
solare, che non maltratta gli animali, che non usa pesticidi
regredisce, è 'marginalizzata'. Solo i cretini possono
gioire per la rivincita della natura' di fronte al
paesaggio montano abbandonato. Il cibo che non si produce
più qui è rimpiazzato da quello prodotto inquinando
terra e acque, consumando la terra.
Nel mentre si svolge la cerimonia
la piccola folla segue con attenzione (foto sopra).
Dopo
la cerimonia religiosa è seguita quella laica con gli
interventi del sindaco Fabio Conti, e dell'assessore
provinciale alla cultura Mario Colombo, di Ivan Albini (
il giovane caricatore dell'alpe) e del sottoscritto
(in qualità di 'amico ed esperto degli alpeggi'). Mi
è toccato, ma non c'era certo bisogno di farsi pregare, di
sottolineare l'importanza culturale, identitaria, turistica,
casearia, economica di questi alpeggi. Splendidi ma
penalizzati dal
fatto che il Lario vive di transfrontalierato e di turismo
lacustre e ha dimenticato che per secoli muunt
e aalp erano il fulcro di un'economia rurale che
coinvolgeva la maggior parte dehli abitanti (integrata
da viticoltura, commercio, emigrazione, trasporti e pesca).
Sotto
vediamo Fabio Conti (a sinistra) giustamente soddisfatto ed orgoglioso per il
rilancio dell'Alpe Nesdale da lui tenacemente perseguito, e
Mario Colombo (a destra) che
con la sua presenza e con il suo intervento ha sottolineato come gli alpeggi
rappresentino beni storico-culturali da preservare e
valorizzare .
E'
venuto poi il momento clou dell'evento: il taglio della
prima forma. A qualcuno la forma apparirà straordinariamente
simile a quelle del Bitto. E ha ragione (un po' di pazienza
e ci arriviamo). Fabio è assistito nell'operazione da
Ivan Albini, 24 anni giovane titolare dell'azienda agricola
a lui intestata e caricatore (va detto che IVan può
contare sulla presenza e l'esperienza del padre Giovanni,
che conosceremo tra poco).
Dalla
dimensione e dal colore la forma qui sopra pare proprio
una di Bitto. Somiglianza casuale? Assolutamente no.
La già citata Inchiesta sui pascoli alpini della provincia
di Como, edita nel 1912, ci dice (p. 309) riferendosi
alla Valle del Liro:
'[...]
in alcune alpi [della valle del Liro] poi si fabbrica formaggio grasso tipo
Bitto, mentre il latte di capra si unisce in parte a
latte bovino, e in parte al siero, per ottenere una
buona ricotta. Anche nella alpi della Valle Albano si
fabbrica formaggio grasso del tipo Bitto, che trova
buono smercio nel mercato di Dongo'.
Notiamo
che nell'analoga 'Inchiesta sui pascoli alpini della
Valtellina' si parla di formaggio Bitto solo con
riferimento a quello egli alpeggi delle valli del Bitto,
mentre per tutte le altre zone (comprese le valli adiacenti
come la val Lesina e la val Tartano) si fa riferimento sempre
e solo al 'tipo Bitto' identificando quindi il Bitto
con un'origine geografica precisa. Il 'tipo Bitto' lariano
era quindi prodotto con la stessa tecnica del Bitto
prodotto negli alpeggi delle valli orobiche occidentali valtellinesi
(cui vanno aggiunti, sempre nelle Orobie quelli del lecchese
adiacenti ad esse, della val Brembana e, infine - sul
versante retico valtellinese - la val Masino). L'area
degli alpeggi del Bitto 'comasco' è in realtà contigua
(separata solo dal lago) a quella degli alpeggi
lecchesi e valsassinesi dell'estrema propaggine occidentale
delle Alpi Orobie. Una circostanza alla quale forse
sinora non ha prestato attenzione nessuno.
Tornando
alla nostra alpe Nesdale va precisato che l'Inchiesta
riferiva che in val Sanagra si
facesse 'tipo Bitto' ma il fatto che i caricatori degli
alpeggi più estesi venissero 'da fuori', ovvero dalla
limitrofa Valle Albano (nei cui alpeggi si produceva
il 'tipo Bitto') fa ritenere che, molto probabilmente,
anche qui si facesse 'tipo Bitto'. E' significativo
che ancora oggi i caricatori attuali siano di Garzeno
in Valle Albano. Del resto posso testimoniare
per esperienza diretta che sugli alpeggi della costiera
del Bregagno (di Musso, Pianello e Cremia), purtroppo
'dimenticati' dall'inchiesta di un secolo fa, i
caricatori di Garzeno e dei comuni rivieraschi (almeno
sino a qualche fa), producevano formaggio grasso aggiungendo
anche il 20 e più % di latte di capra.
Si
deve ritenere che nella fitta 'corona' di alpeggi intorno
al Bregagno, almeno nei più estesi e più di alta quota, il
formaggio grasso 'tipo Bitto' rappresenti la vera produzione
tradizionale. Da secoli. E' abbastanza curioso pertanto
che nella maggior parte della provincia di Sondrio si
faccia Bitto (da soli quindici anni ovvero, dopo, l'ottenimento
della Dop) e che qui - dove si fa un prodotto molto simile
al 'vero' Bitto -
si debba burocraticamente definire il prodotto 'Lariano
grasso d'alpe'. Quest'ultima denominazione per nulla
accattivante è, oltretutto, estesa a tutti gli
alpeggi della provincia di Como e non tiene in alcun
modo in considerazione il fatto che
solo intorno al Bregagno, nel resto della Valle Albano
e in alcuni alpeggi della valle del Liro (più a nord)
fosse radicata questa prestigiosa tradizione produttiva. A testimonianza della
stretta parentela tra il formaggio del Bregagno e il
Bitto (quello 'storico') parlano anche gli attrezzi
e le tecniche ancora oggi usate qui sul
Bregagno, tecniche e attrezzature che sono spesso
più aderenti alla tradizione del 'Bitto storico' che
quelle impiegate per il Bitto Dop standardizzato ed
esteso a tutta la provincia di Sondrio. La forma della
caldéra innanzitutto è la stessa (foto sopra). Poi
non si può fare a meno di osservare che qui si usi la
'lira' come un tempo (un attrezzo che richiede più tempo
per la rottura della cagliata). Nella foto notiamo anche
la rudèla (per tenere in agitazione il latte)
e lo scalèt (telaio in legno appoggiato sopra
la caldére dove appoggiare il cul (filtro per
il latte). Anche lo scuèt (per la pulizia della
caldaia è identico a quello delle valli del Bitto).
Identiche
sono le temperature di 'cottura' della cagliata. Giovanni
Albini mi spiega che oggi si lavora a 48-49°C ma che
quando era Ballarona 'dove l'erba era più forte'
si superavano i 50°C. L'Alpe Ballarona si trova a quasi 1.800 m con pascoli, che arrivano alla vetta del Bregagno. Oggi
è diroccata.
Uguali sono i sistemi di pressatura
(vedi foto sotto).
Una
delle poche differenze tra Bregagno e Bitto è data dallo scalzo che qui è
diritto (nel Bitto è concavo). Una 'modernizzazione'
che qui si è introdotta (e che il Bitto storico,
ma solo quello, ancor oggi
rifiuta) è la salatura con salamoia. Richiede meno tempo
ed è più pratica ma, a parte la penetrazione meno uniforme
e graduale del sale, c'è un inconveniente che non possiamo
non
notare. Giovanni, come tutti i casari-malghesi di vecchio
stampo si lamenta che 'l'ASL ha costretto a rovinare
la cantina'. Si lamenta per l'intonaco cementizio impermebilizzante,
per la ridotta circolazione dell'aria dovura alla chiusura
degli sfiati indispensabili. Ma poi aumenta l'umidità
con le saline (vedi foto sotto).
Fa
comunque piacere vedere la cantina, un po' piccola per
la verità, già piena di forme.
In
mezzo campeggia la 'forma del comune' con applicata
una 'pelure' recante lo stemma di Plesio (sotto). Un
po' di simbolismo ci sta proprio bene.
C''è una cosa sopra le altre che mi
fa ritenere questo
formaggio molto più 'Bitto' di tanti Bitto Dop (del
consorzio): il
latte di capra. Garzeno è paese di capre ancor più che
di bovini e le capre non mancano mai negli alpeggi
caricati dalla gente di Garzeno. E non è finita. Come
il Bitto storico è legato alla capra Orobica, il Bitto
'comasco', il nostro Bregagno, è legato alla capra Lariana.
Giovanni Albini aggiunge: 'Mio figlio Ivan sta togliendo
le Verzaschesi per tornare alle Lariane' (che vediamo
nella foto sotto avvicinarsi ai fabbricati per farsi mungere).
Una
differenza tra le tradizioni delle Valli del Bitto e
quelle degli alpeggi del Bregnagno (ma la conoscevamo
già) si riscontra nella preparzazione della mascarpa
(mascherpa nelle valli del Bitto). Negli alpeggi
del Bitto storico la mascherpa viene fatta spurgare
in secchielli di doghe di legno traforati (garòt) vedi
Come
nasce la maschèrpa d'alpeggio
delle Valli del Bitto .
Qui, invece, la si scola nei teli (foto sotto). Poi la
si vende fresca a privati (compaesani per lo più) che si preparano
a casa il zígher. Oggi anche a Garzeno (patria
riconosciuta del zígher) si tende, per
farsi capire, ahi la 'globalizzazione regionale' a chiamarlo zincarlin.
Una omologazione linguistica da evitare.
Sono infatti
preparazioni abbastanza diverse. Il zígher è
collocato in una marna (cassa di legno di larice)
dove, coperto da uno strato continuo di pepe macinato
grosso (per evitare la deposizione delle uova da parte
dei mosconi), matura per dei mesi e può essere consumato
anche la primavera successiva. Il zincarlin,
invece, ha froma propria (di panettoncino).
Giovanni
Albini (foto sotto) racconta un po' la sua storia molto
legata e segnata dalla vita d'alpeggio. Non mi cita
tutti gli alpeggi che ha caricato o dove è stato in
precedenza da pastorello agli ordini del nonno e dello
zio (devono essere stati tanti nella sua vita e forse
nessuno più di lui oggi conosce gli alpeggi del Bregagno).
Cita Marnotto (nel comune di Garzeno, al di là
della forcella tra il Bregagno e il M.te Marnotto che
separa dalla val Sanagra dove ci troviamo). 'Questo
è stato il primo alpeggio dove dice: ' sono stato
da padrone, prima ero sotto il nonno e lo zio'. Si intuisce
che la 'scuola di vita' per i nipotini-pastorelli fosse
dura. Nella nostra conversazione poi entrano la già
citata alpe Ballarona (ora solo ruderi), qui in alta
val Sanagra, e l'alpe del Rozzo (in val Cavargna ma
molto vicina) che è stata l'ultima caricata prima di
venire qui a Nesdale. Discorrendo dell'oggi, dell'azienda
di famiglia (ora intestata al figlio), Giovanni è
il primo ad ammettere di trovarsi in una condizione
privilegiata ormai molto rara: 'siamo una famiglia grande
e siamo in tanti a lavorare; mentre qualcuno è su in
alpeggio gli altri restano a casa'. Grazie a questa
disponibilità di manodopera famigliare gli Albini
hanno 80 bovini più le capre, i maiali ecc., gestiscono
bene la vendita dei prodotti, gli sfalci ecc. In
questo modo riescono anche a caricare l'alpe con il
loro bestiame, senza dover dipendere dal
bestiame affidato dai, sempre più scarsi, piccoli allevatori.
Un passo ulteriore sarebbe rappresentato dall'attività
agrituristica. Qui a Nesdale vi è già disponibilità
di alloggi (il progetto di ristrutturazione del comune
ha previsto questa possibilità).
Strutture
appositamente dedicate all'ospitalità vi sarebbero
già (almeno sulla carta) anche all'Alpe del Rozzo
(Cusino) e all'Alpe Palù (Cremia). Senza grandi investimenti
ma solo valorizzando l'esistente (per il quale
sono stati investiti fondi pubblici non trascurabili)
gli alpeggi del Bregagno possono facilmente essere attrezzati
per divenire un 'circuito' fruibile, sia per escursioni
ad anello che per quelle collegate agli itinerari
a lunga percorrenza della 'via lariana', delle
'quattro valli', dell' 'alta via del Lario'. Ma anche
per offrire 'vacanze in alpeggio' di qualche giorno
o una settimana caratterizzate dalla 'partecipazione'
alla vita d'alpeggio con risvolti didattici ed educativi
(sia per ragazzi che per adulti). Aggiungasi il ruolo
degli alpeggi, di alpeggi 'vivi' beninteso, come punti
d'appoggio per l'equiturismo o il trekking con gli asini.
Tutte
belle idee ma difficili da far quagiáa. Il ruolo
delle amministrazioni (qui c'è un comune attento ma
gli altri?), la necessità di formazione per gli alpeggiatori
(ma non quella che li distoglie dalla tradizione in
nome dell'igienismo industrialista), la disponibilità
di supporti (promozione alle produzioni di eccellenza
ma anche del turismo, comunicazione), le strutture fimalizzate
a questo potenziamento ponderato e coordinato dell'attività
di alpeggio (strade, acquedotti, autoproduzione di energia
... ma le risorse scarseggiano). Sono tutte cose che
si fa fatica a raccordare tra loro. Si può però
provare a mettere insieme una massa critica di
'attori' locali che spingano in questa direzione. E
vedere quale interesse ha suscitato il taglio della
prima forma a Nesdáa è di buon auspicio. Intanto
io mi aspetto che l'anno prossimo si possa degustare
a Nesdáa il Bregagno dell'anno prima (e
magari arrivare poi alle stagionature di 2-3 anni).
Dopotutto non è Bitto? (sì c'è un po' di provocazione,
ma non solo).
Digressione
1 - Un sistema di alpeggi che in passato era 'forte'
ma che conserva grandi potenzialità
A
stimolare l'interesse per la partecipazione all'evento
non è stato solo l'interesse per la sola Alpe Nesdáa (suona molto meglio non tradotto)
ma per l'intero 'sistema' di alpeggi che forma una corona
intorno alla mole del monte Bregagno, una massa montuosa
imponente che 'sorge' direttamente dal Lario e lo sovrasta.
Non a caso tra tutte le montagna lariane quella che
ha ricevuto l'oronimo con la radice celtica Brig
(montagna, altura) è questa. La montagna lariana
per eccellenza si direbbe. Suggestiva non per la bellezza
della cima ma proprio per quella massa che
torreggia e che strapiomba lago con un'ampia costiera,
punteggiata da una fittissima trama di antropizzazione
costituita dai muunt (gli insediamenti temporanei
privaverili-autunnali) e delle sottostanti frazioni
che, a loro volta, sorgono sopra i centri rivieraschi.
Il Bregagno non ha una vetta 'ardita' e non raggiunge
grandi altitudini (supera di poco 2.100 m). Proprio
in forza delle sue caratteristiche, però, il Bregagno
è una montagna di pascoli che arrivano sino alla vetta
(solo il versante S-SO presenta salti di roccia). Pascoli
estesi e di alta quota (quindi con foraggio di migliore
qualità) con gli alpeggi più alti a 1.800 m (Marnottino,
Palù, Ballarona). E' senza dubbio il comprensorio alpivo
più pregiato della montagna comasca, un comprensorio
che interessa diversi comuni: Garzeno e Dongo in
valle Albano, Musso, Pianello del Lario, Cremia e S.
Siro sulla costiera del Bregagno, Plesio e Grandola
in val Sanagra, Cusino in val Cavargna. Molti gli alpeggi
e gli 'alpetti' che, anche in passato, erano spesso
utilizzati quali stazioni (mudate) di un
unico alpe: A Garzeno l'alpeggio più importante era
Marnotto con le stazioni di Preguardata, Marnottino
e Caden. Sempre a Garzeno troviamo la piccola alpe Paravina
che, insieme a Quaglio, Ciroglia, Croce, Pontolo e Alcimme
(tutte di proprietà del comune di Garzeno anche se su
territorio di Dongo, Musso e Pianello) forma/formava
un unico insieme. Vi sono/erano poi l'alpe Scirui
(Pianello), Palù e Sumero (Cremia), Rescascía (S.Siro),
Nesdale, Ballarona, Varò, Varolino, Pisnera (Plesio),
Erba, Leveja, Poltrini (Grandola e uniti), Rozzo
e Aigua (Cusino).
In
linea d'aria vicinissimo ad importanti località a valle
questo comprensorio è andato in crisi non solo per le
difficoltà della zootecnia locale ma anche per la mancanza
di collegamenti tra gli alpeggi e le località a valle
spesso separate da notevoli dislivelli altimetrici.
L'unico alpe raggiunto da una pista di servizio sino
allo scorso anno era l'alpe del Rozzo. La notizia che
Rescascía e Nesdale sono state collegate è di quelle
che risvegliano di colpo un interesse sopito (è da tempo
che penso a un progetto di valorizzazione di questo
comprensorio, inserito anche in ipotesi progettuali
per ora non arrivate in porto).
Digressione
2. La 'selvaggia Val Sanagra' e la 'sacrilega' pista
di collegamento degli alpeggi
L'alpeggio
con i suoi pascoli è da millenni un paesaggio produttivo,
un paesaggio culturale. Un modello di produzione ecologica.
Non potendo nutrirsi delle erbe che crescono in montagna,
non potendo coltivare quassù l'uomo neolotico ha imparato
a imitare, con le proprie greggi e le proprie mandrie,
le migrazioni stagionali degli erbivori selvatici. L'animale
va custodito, abbeverato, ricoverato, protetto, va condotto
a pascersi sulle praterie alpine. Ricambierà l'uomo
con la crema e il latte (e i formaggi e le ricotte).
Così la montagna apparentemente inospitale nutre l'uomo.
Chi gioisce dell'abbandono della montagna, della 'rivincita
della natura' è un vero cretino perché la produzione
realizzata qui in montagna senza pesticidi, nel rispetto
dell'etologia e del benessere degli animali, fornendo
prodotti sani è rimpiazzata da produzioni industriali,
ottenute con mangimi prodotti con soia transgenica
seminata dove era la pampa e la savana e cereali
(coltivati con largo uso di concimi chimici e pesticidi
e sottratti all'alimentazione umana). Il pensiero torna
alla pista contestata dagli ambientalisti da salotto
che rivendicano i diritti della wilderness (anche in
nome del PLIS Val 'Sanagra' che porta con sè, come tutte
le 'aree protette', l'idolatria di una natura
selvaggia immaginata). Ma lo sanno quanti alpeggi c'erano
nella Val Sanagra che si stende sotto di noi? C'era
l'alpe Erba, l'alpe Leveja, l'alpe Pisnera, l'alpe Bellarona,
l'alpe Varò, l'alpe Varolino, l'alpe Poltrini d'Erba
e Poltrini di Leveja. Oltre a Nesdale è attiva solo
l'alpe Erba con un'attività agrituristica. Le altre
sono state cancellate dai rimboschimenti artificiali
con l'abete rosso. Leveja e Pisnera sono state completamente
rimboschite.
Ora gli alpini che gestiscono come rifugio
l'alpe Leveja hanno ottenuto di tagliare qualche pianta
tanto per dare un po' di luce e avere un po' di panorama.
Ma alle spalle dei fabbricati, e da qui a Pisnera è
tutto un disgustoso rimboschimento artificiale. Visto
dall'alto è verde ma da 'dentro' è un paesaggio spettrale,
senza un filo d'erba (per l'assenza di luce e la fortissima
acidità dello strato di aghi indecomposti), uno pseudo-bosco
(senza rinnovamento naturale non si può parlare di bosco)
che potrà riprendere a vivere solo grazie alla morte
degli alberi (già tutti secchi tranne le cime che prendono
luce). Speriamo che il bostrico dia una mano.
Ma
torniamo alle piste contestate. Gli alpeggi del Bregagno
sono andati in crisi per vari motivi ma forse quello
decisivo è stato rappresentato dalla difficoltà di accesso
e dei trasporti. Da
questo punto di vista il prolungamento della pista da
Rescascía a Sumero (con Palù) rappresenterebbe un grosso
impulso alla rivitalizzazione del comprensorio. Un malinteso
ambientalismo frena questi interventi e ha anche ha
anche impedito (per la presenza del PLIS Val Sanagra
oltre che per 'sgarbi' tra amministrazioni comunali)
che la pista che ora arriva a Nesdale fosse prolungata
attraverso l'alta val Sanagra sino a Rozzo (come previsto).
L'opera,
oltre che rappresentare un più comodo collegamento anche
per Rozzo, e mettere in collegamento gli alpeggi tra
loro consentirebbe anche (utilizzando con facilità il
carro di mungitura mobile) di valorizzare meglio e recuperare
parte dei pascoli della stessa alpe Nesdale (oltre che
di Rozzo).
Fa
specie che ci si appelli al rispetto della montagna
praticato in Svizzera o in Trentino dove tutti gli alpeggi
(almeno dove è tecnicamente possibili) dispongono di
viabilità di accesso. Nessuno chiede di costruire strade
dove esistono ostacoli naturali tali da determinare
costi di realizzazione e impati ambientali ingiustificati.
Nè si chiede di costruire piste per raggiungere alpetti
di pochi ettari, senza strutture edilizie, acqua ecc.
Ma se l'alpeggio ha requisiti di vitalità:
Il
collegamento con gli alpeggi deve essere assicurato
ovunque possibile mediante la realizzazione di piste
con limitata ampiezza di carreggiata, transitabili da
mezzi agricoli e autovetture a trazione integrale e
il transito limitato al servizio dell’alpeggio e di
mezzi di servizio.
La
preposizione sopra riportata è contenuta nel Codice
dell'alpeggio proposto da Amamont (associazione
amici degli alpeggi e della montagna) associazione che
annovera tra i propri soci ed esponenti alpeggiatori
che tutt'oggi utilizzano il cavallo, l'asino, il
mulo, la propria schiena per i trasporti da e per
gli alpeggi.
La
vecchia teleferica al servizio dell'Alpe Nesdale. Oggi
le norme di sicurezza impongono costosi interventi e
manutenzioni
Teleferiche,
quadrupedi, elicotteri sono necessari quando non è possibile
ragionevolmente realizzare un tracciato stradale. Ma
dove, come negli alpeggi del Bregagno con un'unica opera
è possibile raggiungere facilmente più alpeggi
di ampia estensione l'opposizione risponde solo ad una
ideologia che dimentica che la millenni questo è un
paesaggio coltivato che i pascoli sono un paesaggio
rurale non wilderness e che una 'strada bianca' percorsa
solo da mezzi agricoli e di servizio si inserisce
armonicamente in questo paesaggio (del tutto fuori luogo
è l'evocazione di strade asfaltate e turbe
motorizzateda parte dei 'paladini dell'ambiente').
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