Dino
Mazzini invita a inviare alla sua azienda attestati
di solidarietà ed espressioni di riprovazione
per il comportamento della burocrazia
Azienda Agricola CASA CAPUZZOLA
Via Verica 135 41026 Pavullo (MO) Tel 0536.48326 ..Fax 0536.50556 e.Mail: info@casacapuzzola.it Articoli correlati
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(02.08.10) Il
29 luglio scorso una piccola azienda ovina dell'appennino
modenese, dopo quattro anni di stragi da parte dei lupi,
ha regalato le ultime pecore sopravvissute gettando
la spugna nell'indifferenza delle istituzioni e nella
compiacenza degli ambientalisti da salotto
Una
storia di inciviltà che ha protagonisti la burocrazia
e un ambientalismo prepotente e anticontadino
di
Michele Corti (foto dal sito www.casacapuzzola.it)
Quest'anno
l'azienda Casa Capuzzola di Dino Mazzini a Pavullo nel
Frignano (Appennino modenese) ha subito 9 attacchi tra
maggio e giugno. Quando i lupi sono arrivati sin sotto
casa a sbranare pecore e le agnelle l'allevatore
ha cominciato ad avere paura per la propria incolumità
Si
fa fatica a credere che la storia dell'Azienda Casa
Capuzzola sia vera. Pare una favola noir al
contrario. O meglio una favola che ristabilisce la realtà
del 'lupo cattivo' quello che la cultura contadina esprime
nelle favole, di Cappuccetto rosso, dei tre porcellini,
di mamma capra e i sette capretti, per non citare che
quelle più note e che - in forma di cartoons
- fino a pochi anni fa facevano parte della socializzazione
televisiva dei piccoli. Oggi non più sono perché
non sono più politicamente corrette a giudizio
dei verdi.
Oggi
'esperti' pagati con i denari del contribuente vanno
nelle scuole per convincere (nell'accezione di manipolazione
intenzionale) gli alunni che le favole erano false,
che il lupo è buono, che sbrana la pecorella
propria quando non ha di meglio e che mai e poi mai
può essere pericoloso per l'uomo. Sono
le stesse balle che raccontano a proposito dell'orso.
In Russia si chiama disinformatzia. E al KGB
era diventata una vera arte.
Altro
che favole! Il lupo è antropofago
Quest'anno,
a marzo, una giovane donna che faceva jogging in
Alaska è stata sbranata dai lupi (guarda
l'articolo della BBC se non ci credi)
e negli ultimi dieci anni si contano almeno venti casi
documentati nel mondo. E' abbastanza acclarato che non
sono solo i lupi affetti dalla rabbia ad attaccare,
a ferire, a uccidere. La cosa che va evidenziata poi
è che - come da esami autoptici - i lupi
non si limitano a uccidere gli umani ma poi se li pappano
pure, spolpandoli ben benino come le pecore (tra poco
ne vedremo). Pare sconvolgente che il lupo divori
gli umani ma non c'è niente di strano. Lo faceva
alla grande in Europa, almeno sino al XVIII secolo.
Poi ha dovuto stare schiscio perché i fucili
si sono fatti sempre più potenti e precisi. E'
un concetto che esprime l'insospettabile Luigi Boitani,
massimo esperto europeo di lupologia, che - intervistato
da Pro Natura (organizzazione ambientalista ticinese)
- alla domanda:
In
un suo recente libro sulle taglie pagate in passato
per la cattura dei predatori in Ticino, Marzio Barelli,
un autore ticinese, sostiene che il lupo in Europa sarebbe
stato antropofago e ipotizza che lei correggerebbe oggi
il suo giudizio opposto di vent’anni fa?
rispondeva:
Non
ho mai detto il contrario! Negli ultimi 100 anni
non abbiamo prove di attacchi di lupi a persone in Europa.
Ma abbiamo ottime prove del contrario fino al Sei-Ottocento.
Il lupo è un animale intelligente e culturale.
Il suo comportamento non sta solo iscritto nei geni
ma la mamma lo insegna ai suoi cuccioli a seconda delle
circostanze. Sa che un uomo con una forca è
pericoloso e che uno con il fucile lo è ancor
di più. In origine il lupo era un pericolo.
Se più nessun uomo torcesse un capello ad
un lupo, in una sola generazione lupina, cinque anni
quindi, il lupo potrebbe nuovamente provare ad attaccare
anche le persone, almeno dove se lo può permettere.
Abbiamo i primi bagliori in Canada da dove ci vengono
segnalati tre casi. Ma in Europa non abbiamo ancora
alcun segno di questo tipo, finora. (link
alla rivista
con l'intervista)
Numerosi
casi di uomini (in maggioranza bambini) sbranati dal
lupo in Europa
All'esimio
scienziato occorre ricordare che, anche se i casi
di uomini sbranati e divorati da lupi in Europa nel
XX secolo sono diminuiti non è affatto vero che
non si sono registrati. E' curioso che Boitani
dica che gli ultimi attacchi di lupi a persone in Europa
risalgano al XIX secolo perché è
co-autore di un rapporto sulla pericolosità del
lupo per l'uomo a cura della lobby europea degli esperti
conservazionisti (emanazione del WWF): la Large
Carnivore Initiative for Europe. Il rapporto dal
titolo The fear of wolves: A review of wolf
attacks on humans, [La paura del lupo. Una rassegna
dei casi di aggressioni all'uomo] è stato pubblicato
dal Norsk Insitutt for Naturforskning, Trondheim, Norvegia,
2002. Da questo studio apprendiamo quanto segue: in
Polonia nel 1937 furono uccisi 5 bambini (su 10 attaccati)
nei villaggi di Tymoszewicze e Hryniewicze; tra il 1945
e il 1947 a Valdimir si registrarono 10 morti per attacchi
di lupi (per lo più bambini). In Spagna a Vimianzo
venne ucciso un bambino nel 1957 nel villaggio di Vilare
in Castrelo; nel 1958 nel vicino villaggio di Tines
vennero uccisi due bambini; a Rante nel 1974 su 4 persone
aggredite dai lupi 2 morirono. Nella Russia europea
a Kirov tra il 1944 e il 1950 vennero uccisi dai
lupi 22 tra bambini e ragazzi (tra i 3 e i 17 anni);
a Oritji tra il 1951 e il 1953 vennero uccisi 4 bambini;
ad Arkadek un lupo rabido aggredì 10 persone
e una morì. In Lituania 11 persone sono state
uccise dai lupi tra il 1900 e il 1937. In Estonia nel
1980 una donna anziana è morta (per le ferite)
in seguito all'attacco di un lupo rabido. Questa statistica
esclude casi dubbi. Abbiamo elencato solo i casi di
attacchi con esito fatale. Quelli con solo ferimento
sono diverse volte tanti. Altro che assenza di attacchi
da un secolo!
Ma
torniamo alla favola triste di Casa Capuzzola
Casa
Capuzzola è un'azienda agricola nella valle del
Panaro, in comune di Pavullo nel Frignano, nel medio-basso
Appennino, a 350 m di quota. Dino Mazzini da ragazzo
decise che stare a vivere a Bologna non faceva per lui
e - interrotti gli studi di veterinaria ma comunque
con un diploma di perito agraria intasca - si mise all'opera
per rimettere in piedi l'azienda che da diverse
generazioni apparteneva alla famiglia ('era del trismonno').
Erano terreni abbandonati, interessati a movimenti franosi.
Dino era un ragazzo pieno di entusiasmo di 23 anni quando
ha iniziato a lavorare al progetto di trasformare un'azienda
abbandonata dell'Appennino in un allevamento ovino biologico
condotto con criteri estensivi ma 'moderni'.
La
passione per la moto gli ha fatto conoscere la realtà
della pastorizia britannica dove il pastore da secoli
si è affrancato dall'esigenza di sorvegliare
a vista il gregge. In Gran Bretagna il lupo si è
estinto (o meglio è stato eliminato) nel XVIII
secolo. Isola felice per i pastori, favoriti peraltro
da una morfologia del terreno favorevole (quelle che
chiamano 'montagne' sono panettoni) e da una piovosità
ben distribuita durante l'anno che insieme alla mitigazione
del clima atlantico crea condizioni ideali per l'allevamento
ovino al pascolo. Anche in Appennino, però, dove
l'inverno è rigido e l'estate arida con opportuni
accorgimenti si può fare ovinicoltura. In primavera
la produzione foraggera è abbondante e può
essere sfruttata in un sistema di produzione di latte
che ha un picco di fabbisogno alimentare in coincidenza
con la prima parte della lattazione. Per ottenere buoni
pascoli e prati-pascoli si è dovuto operare dei
decespugliamenti e per contenere i movimenti franosi
si sono eseguiti drenaggi, scavi di fossi di scolo,
approntate opere di ingegneria naturalistica. Per gestire
in modo razionale il pascolamento venne collocata sul
perimetro aziendale una recinzione esterna mentre
un sistema di recinti aveva consentito di suddividere
i pascoli in decine di parcelle. In tutto furono stesi
6 km di recinzione e piantati 3.000 pali. Erano
recinzioni finalizzate a tenere dentro le pecore non
a tenere fuori i lupi. Allora di lupo non si parlava
ancora anche se nell'alto Appennino la presenza era
già accertata.
Un
pastore ambientalista
Da
adolescente Dino (dopo essere stato iscritto alla Fgci,
da bravo
figlio di operai comunisti bolognesi) si è avvicinato
al WWF al quale è stato iscritto poi in modo
continuativo dal 1989 al 2007 (perché non lo
è più si capirà bene tra poco).
In qualità di responsabile del gruppo WWF locale
il nostro è stato artefice, tra il 1993 ed il 2007, di importanti
battaglie locali contro la cementificazione, il disboscamento, l'escavazione
selvaggia di ghiaia nei fiumi, l'inquinamento delle falde acquifere. Un
attivismo che non gli ha certo ingraziato l'amministrazione comunale. Da ambientalista
Dino vedeva nella sua attività di recupero di
'terreni agricoli marginali' non solo un progetto di
vita e di lavoro per sé (nel solco di una tradizione
famigliare riattivata) ma anche un modo per fare 'manutenzione
del territorio' e 'prevenzione delle calamità
naturali'; per controllare il dissesto idrogeologico
ma anche per prevenire gli incendi.
E' il concetto di 'pulizia' radicatissimo
nella cultura rurale, agli antipodi da quello 'meccanico'
(che si esprime nei contributi attualmente erogati
dalla regione per 'trinciare' tutta la vegetazione presente
per produrre 'biomasse'). Pulizia, nel senso di stewardship,
accudimento, utilizzo della terra per produrre frutti
e per favorire la vita di una pluralità di specie
vegetali ed animali. Era evidente che l'ambientalismo
di Dino era già permeato da elementi ecoruralisti
che poi sarebbero venuti in conflitto (nel modo più
drammatico e lacerante che si possa immaginare) con
l'ecologismo da salotto urbano.
Le
prime delusioni
Terminati
i lavori di sistemazione, nel 2001, Casa Capuzzola si
presentava come una azienda ovina 'modello', gestita
in modo da ridurre al minimo il fabbisogno di manodopera
pur garantendo un pascolamento razionale. Era la messa
in pratica di modelli di 'recupero dell'agricoltura
appenninica' di 'rilancio della pastorizia', di 'aziende
eco-compatibili' che politici ed 'esperti' esponevano
in convegni e pubblicazioni. Peccato che le 117 pecore
Suffolk di Dino vennero tutte abbattute per Scrapie
(una malattia virale) nel 2002. Dopo qualche mese le
norme regionali vennero modificate e le misure draconiane
modificate (in altre regioni abbattimenti obbligatori
indiscriminati non sono mai stati attuati). Nel 2003
e 2004 l'azienda venne 'chiusa per sdegno' per protesta
contro gli ostacoli frapposti dall'amministrazione comunale
ad alcune opere edilizie (secondo Mazzini 'ritorsione'
per aver denunciato gli abusi e le speculazioni
edilizie di un vicino 'Centro turistico').
Nonostante tutte le amarezze sofferte alla fine del 2005 l'azienda aveva
però ripreso la sua attività ed aveva trovato, grazie anche ai finanziamenti
previsti dalla Comunità Europea per l'agricoltura biologica, un suo equilibrio
economicamente sostenibile. Le pecore Suffolk, da carne, erano però
state sostituite dalla Sarde, da latte. Un fatto decisivo
perché implica una serie di investimenti (strutture
per la mungitura, caseificio, commercializzazione) e
un grande impegno di manodopera. Appare chiaro che il
modello di allevamento estensivo (non certo 'brado')
di Casa Capuzzola non era finalizzato a 'lavorare poco'
e a prendere contributi (una strategia che 'premia'
in contesti ben diversi con pascoli di centinaia di
ettari) ma a valorizzare i terreni di proprietà
in modo ecologico e a risparmiare sul lavoro di conduzione
del gregge per poterlo concentrare su altri aspetti
dell'allevamento.
L'inaspettato inizio delle predazioni
Nel 2006 iniziano i casi di predazione da lupo che
hanno condotto, un mese fa, alla liquidazione
di quello che rimaneva del gregge. Tra maggio e settembre
2006 scomparvero 17 pecore. Le carcasse non vennero
mai trovate e nessun indennizzo per il danno potè
essere chiesto. Anche se i cacciatori sostenevano di
aver avvistato lupi nei dintori Dino si rifiutava
di credere che, dopo un secolo il lupo, fosse tornato
nel basso Appennino. L'incredulità era rafforzata
dal fatto che lui era un amico del lupo, era del WWF,
aveva finanziato la campagna S. Francesco per salvare
il lupo.Una beffa del destino. Ma nel 2007 le predazioni
si ripeterono. Vi furono due attacch: a luglio e a settembre,
con una quarantina di capi uccisi o dispersi. In
passato i cani penetrati nei recinti avevano fatto danni,
ma limitati. Le modalità di aggressione poi erano
del tutto diverse.
I cani colpivano in modo impreciso, azzannando in
diverse pari del corpo. Le pecore uccise, invece, presentavano
ora precisi morsi mortali alla gola. Nonostante ciò,
anche a fronte di precise interrogazioni sui banchi
consiliari, la Provincia di Modena sostenne che
si trattava di cani e negò fermamente la possibilità
della presenza di lupi a quelle quote basse dell'Appennino.
Però, e qui c'è un elemento intollerabile
di ipocrisia dell'istituzione, mentre nelle sedi istituzionali
e sulla stampa locale si faceva di tutto per negare
la presenza del lupo:
"[...] sul sito Ermes Ambiente della Regione Emilia
Romagna (dove politicamente paga di più mostrare i successi di politiche
protezionistiche e soldi dei cittadini spesi in quella direzione) quella
presenza stabile del Lupo nell'appennino modenese in più nuclei familiari è
certificata dagli stessi tecnici del servizio faunistico della Provincia di
Modena fin dall'estate 2006. La presenza del Lupo viene considerata su quelle
pagine internet un segnale positivo dello stato di salute dell'appennino"
(www.casacapuzzola.it).
Di fronte a tanta ipocrisia le convinzioni politiche
e ambientaliste di Dino hanno cominciato a vacillare.
Da ambientalista conosceva il progetto Life-lupo e quanti
soldi sono stati spesi. Non può fare a meno di
constatare che gli 'esperti' che hanno lavorato al progetto
hanno poi anche guadagnato dei soldini vendendo online
libri in cui si racconta quanto sia bello e buono il
lupo.
La rabbia contro qualcuno che ha vantaggi delle
disgrazie altrui monta.
Il nostro allevatore, però, nel 2007 non
ha ancora abbandonato l'idea di una 'convivenza pacifica'
con il lupo e pensa ancora che possano essere efficaci
i mezzi di 'dissuasione sonora'. Chiede quindi inutilmente
alla Provinca di fornirgli delle 'radio-ecologiche',
un sistema di altoparlanti alimentati a pannelli solari.
Per la Provincia i lupi 'non esistono' e nion prende
in considerazione la cosa. In ogni caso Dino scoprirà
che il sistema di protezione acustica, collaudato in
Canada, non funziona.
Intanto nel gennaio 2008 un lupo viene investito
e ucciso da un auto sulla strada provinciale in prossimità
dei recinti di Casa Capuzzola. La Provincia sostiene
che trattasi di un individio 'in dispersione' non stabile
ma offre comunque un risarcimento di 1.000 euro per
i danni dell'anno precedente. L'azienda ne chiedeva
10.000 e rifiuta qualla che definisce 'elemosina'. A
questo punto Dino lancia una provocatoria campagna 'Adotta
un lupo, alleva una pecora'
. Che viene presentata così:
Vogliamo condividere con tutti i cittadini ambientalisti
amanti di questo meraviglioso predatore la gioia per
averlo nutrito in questi ultimi anni. Per tutti loro
c'è ora una imperdibile opportunità: allevate
pecore a distanza nella nostra azienda agricola. Quando
la pecora sarà stata mangiata od uccisa noi vi
inveieremo la prova fotografica ed il certificato veterinario
di morte sbranata così avrete la certezza e la
gratificazione di aver contribuito al mantenimento del
lupo. Poi potete allevare un'altra pecora per avere
altre indicibili soddisfazioni.
La provocazione non finisce qui e si allega un dettagliato
regolamento. Al di là dell'amaro sarcasmo il
fossato che divide ora Dino, che ha ancora in tasca
la tessera del WWF, dalla cultura urbano-ambientalista
è diventato un abisso. Nel suo sito l'allevatore
esprime il senso di questa contrapposizione e la
consapevolezza che la sua 'storia esemplare' debba servire
a scuotere una pubblica opinione che è raggiunta
solo dalla voce dei cittadini e degli 'studiosi' favorevoli
al ritorno del lupo:
Quello che ci
fa piu' arrabbiare di questa storia e' che a leggere i giornali, i siti
istituzionali, le dichiarazioni dei politici, i blog, i libri che vengono
scritti da parte di cittadini improvvisati montanari, ecc.... tutti sembrano
contenti che il lupo sia tornato ed il lupo sembra solo la vittima da difendere
dalle angherie degli allevatori di ovini, anche se nessuno
vuole ammettere che i pastori ormai sono in numero inferiore a quello dei lupi. Ma
queste parole arrivano tutte da chi usa il sedere degli altri per prendere la
"supposta che fa male" e non ci mette il sedere suo. Una posizione
troppo comoda ed ipocrita perché chi ha ormai il sedere che sanguina come noi
possa tacere. Le vittime di questa situazione sono solitamente pastori che
vivono sulla terra e non sulla rete o negli uffici e nelle universita', e che
non hanno purtroppo né la cultura né le conoscenze tecniche né le amicizie
né i soldi della comunità europea per farsi ascoltare. La nostra voce può
essere quindi importante, altrimenti l'unica voce che si può leggere ed
ascoltare rimane quella dei cittadini e degli "studiosi" che sono
favorevoli a questo ritorno. Tutta gente ripetiamo che però usa il sedere
degli altri (gli allevatori e i proprietari di terreni montani) per prendere la
supposta che fa male (il lupo), non il loro.(www.casacapuzzola.it)
La
lotta estenuante con la burocrazia
Nel
febbraio 2008, l' ormai sfiduciato Mazzini scrive
alla Comunità Montana chiedendo di poter chiudere
l'attività per forza maggiore rinunciando ai
contributi ancora da percepire ma salvaguardando almeno
quelli già percepiti in due anni di faticosa
attività. Intanto si cerca di vendere le pecore.
La situazione si fa insostenibile anche nel vicino Parco
Faunistic di Fastà o (una coop di proprietari
dei terreni) dove i lupi, nonostante le recinzioni che
la cingono (antisalto per ungulati) penetrano e fanno
strage di daini, caprioli e soprattutto, mufloni. Questi
due casi clamorosi di aziende messe in ginocchio dai
lupi non sono isolati. Sono solo i più clamorosi.
Diversi altri allevatori di pecore chiudono in silenzio.
Ovvio che alle 'istituzioni' e ai verdi sarebbe tanto
piaciuto che anche Dino Mazzini chiudesse senza tante
storie. Gli investimenti fatti, il legame affettivo
con la terra e l'azienda, l'impegno assunto con i finanziamenti
per l'agricoltura biologica, però, rappresentano
tutti elementi che impediscono una 'uscita di scena'
in sordina, alla chetichella. Spingono Dino a ribellarsi,
a protestare, a contattare giornali e politici, a usare
la rete. Anche a nome di chi ha meno voce e accesso
di lui a questi canali.
Sono
diverse le aziende che lamentano attacchi nell'estate
2008. La Provincia continua a dare la colpa a i cani
rinselvatichiti e occupa interi paginoni dei giornali
in distribuzione gratuita per proclamare quanto sia
buono, bello, utile,
necessario il lupo. Alcuni allevatori devono rinunciare
a tenere al pascolo anche i vitelli.
In
agosto Casa Capuzzola torna ad essere 'visitata' dai
predatori. Due attacchi con 21 pecore uccise e 1 dispersa.
Esasperato Dino mette una taglia di 1.000 € sul lupo,
non certo perché qualcuno gli porti - come un
tempo - la coda a dimostrazione di averlo ucciso (finirebbero
entrambi in carcere) ma per fornire prove certe della
sua presenza in zona. Le forze di opposizione presentano
nuove interrogazioni. Il dott. Duccio Berzi, del Centro Documentazione e Studi sul Lupo
(ci sono anche lupologi 'illuminati' fuori della setta
degli adoratori del lupo), presta all'azienda Casa Capuzzola
due foto-trappole che vengono posizionate in un recinto.
Intanto il 21 settembre i lupi aggrediscono una pecora,
la portano fuori dal recinto attraverso una tubazione
per il deflusso dell'acqua e la divorano completamente.
Nonostante alcuni inconvenienti tecnici la fototrappola
intanto fornisce il responso: ha 'beccato' una lupa.
La prova che i lupi ci sono finalmente è lì
e la Provincia non può più negare. I tecnici
del servizio faunistico si arrendono. Dopo due anni
di stragi! Mazzini il 10
ottobre 2008
prepara la richiesta di materiali per mettere in sicurezza
le recinzioni (o almeno per tentare un 'esperimento').
Notate bene questa data. La Provincia risponde che bisogna
bandire una gara e che è necessario il parere
della Regione, ecc..
Nel
2009 non succede (quasi) nulla. Solo due attacchi con
4 pecore uccise, ma molto vicine all'abitazione e questo
è un fatto inquietante. L'avvilimento è
tale che la notizia non viene neppure comunicata alla
stampa. Nessuna risposta in merito alla fornitura dei
materiali per 'fortificare' le recenzioni sino a settembre,
quando una telefonata annuncia che è 'quasi pronto'.
Dal momento che in autunno c'è abbastanza lavoro
da fare Dino non sollecita più di tanto e comunica
che aspetterà la comunicazione scritta in merito
all'effettiva disponibilità del materiale. Nessuna
risposta, invece, da parte della Comunità Montana
in relazione alla richiesta di cessare l'attività
per 'forza maggiore'. Unica nota positiva: la Regione
ha, nel frattempo, deciso di ammettere ad indennizzo
anche i costi per l'incenerimento delle carcasse che
spesso superano l'indennizzo (a valore carne secondo
mercuriali) tanto che i pastori, specie se vi sono costi
di trasporto notevoli, rinunciavano alle domande.
Tragico
epilogo nella primavera del 2010
L'11
maggio di quest'anno avviene la prima di una serie impressionante
di 9 aggressioni cadenzate che costringono Dino a regalare
le ultime pecore sopravvissute. Ma quale moralità,
quale 'equilibrio ecologico' c'è in una situazione
in cui i lupi si appostano intorno ad una azienda e
quando l'appetito si fa sentire entrano in una proprietà
cintata e si servono come a un supermercato? E' predazione?
O è solo un allevamento all'aperto del lupo
alle spalle di un allevatore e per la goduria degli
imbecilli che stanno in città pensando che così
l'Appennino è tormato per incantesimo 'un ambiente
di alta qualità ecologica'? Ma l'Italia non è
un paese civile e quando un gruppo di pressione o una
corporazione la fa da prepotente il buon senso, il diritto
di proprietà, la morale vengono calpestate senza
tanti complimenti. Se poi la vittima è il contadino
e ancor più il pastore collocato dalla cultura
urbana al gradino più basso della scala sociale
...
In
qualsiasi paese civile le guardie venatorie sarebbero
intervenute a sparare ai lupi. In Svizzera il problema
sarebbe stato risolto all'inizio alla 25^ pecora sbranata.
Pam.
L'ultimo
episodio di predazione è del 21 giugno. Aggressione
dopo aggressione le pecore superstiti (e, in particolare,
le agnelle) sono state portate in luoghi sempre più
sicuri. Niente da fare. In ultimo i lupi sono arrivati nella
vigna-giardino di casa, a 20 m dalla abitazione. A
questo punto si alza bandiera bianca. Comincia a serpeggiare
la paura per l'incolumità delle stesse persone
che dimorano nella casa. I lupi appaiono sempre
più sfrontati e arrivano a colpire in un
ambiente, l'intorno della casa, con tanti elementi artificiali e
recanti le tracce umane ...
che in "teoria" dovrebbero risultare quantomeno scoraggianti per un predatore che a sentire alcuni che scrivono libri e fanno convegni ha paura dell'uomo e sarebbe solito nutrirsi sempre di cinghiali e caprioli, mangiando le pecore solo quando proprio non sa più cosa mangiare...
(www.casacapuzzola.it)
Poi
vi è il rischio di sanzioni penali per inosservanza
delle norme sul benessere animale. Pare assurdo ma è
così. In occasione degli ultimi episodi al veterinario
che constata i motivi dei decessi, recide la testa per
l'esame della Scrapie, ed esegue le constatazioni del
caso, si aggiunge il veterinario provinciale che nel
verbale scrive:
Visto il numero di
episodi di p.redazione dal 12 maggio 2010 a tutt'oggi, vista la delibera della
Giunta Regionale prot. n. 416/02 e succ modificazioni, si prescrive la messa in
atto di idonee misure in funzione delle necessità per il caso specifico al fine
di garantire un riparo adeguato dai predatori così come previsto dal D
Leg
146/2001.
E'
colpa di Dino - secondo la burocrazia - se i lupi gli
hanno sbranato le pecore nei recinti, sin sotto casa.
Non si parla di animali 'bradi', 'incustoditi' ma di
pecore che pascolavano su terreni recintati di proprietà
con tanto di cani da difesa (due maremmani). Ciò
nonostante è' lui il carnefice. Il lupo, si sà, è ontologicamente innocente.
Dino deve chiudere le pecore in stalla, sorvegliarle a vista. E' antieconomico?
Problemi suoi. E' lui che deve smettere di tenere le
pecore. Non si vorrà forse 'togliere' il lupo
che gode di uno status di intoccabilità (che
esiste solo in Italia e che va molto oltre le previsioni
della Direttiva Habitat e della Convenzione di Berna).
Oppure l'allevatore
dovrebbe stendere una rete metallica altissima, antisalto,
anche interrata, tipo Auschwitz (con costi insostenibili)
o un reticolato elettrico (che, lungo chilometri,
implicherebbe una manutenzione molto onerosa). Il lupo
libero di scorazzare e le pecore e i pastori nel ...
lager.
E tutti gli investimenti fatti? L'azienda del trisnonno?
Quanti secoli sono passati da quando il lupo era libero di scorazzare
da queste parti e da quanti secoli l'uomo con il suo lavoro ha sistemato
e messo a frutto
queste terre? Rispondono i lupofili: sì ma prima
c'era il lupo! Anche la tigre con i denti a sciabola
se è per quello. Basta far girare indietro un
pò di più l'orologio del tempo. La questione
del 'chi c'era prima' e dei 'diritti del lupo' è
di lana caprina, non si stanno contrapponendo diritti
del lupo di ieri o di oggi ma semplicemente interessi
sociali ben reali nell'attualità. Ai verdi fa
comodo nascondere che ogni conflitto è tra attori
umani anche quando si tirano in mezzo entità
metafisiche quali la Natura, l'Ambiente. I verdi non
vogliono che il contadino, il pastore possano disporre
del territorio (sul quale peraltro possono vantare anche diritti
di proprietà); vogliono esercitare il loro
potere, il controllo sul territorio: quali animali ci
devono essere e quali no, quali attività umane
siano ammissibili e quali no, persino come deve gestire
le sue pecore un pastore.
Dino si sente espropriato. E forse prova
gli stessi sentimenti di un contadino russo o ucraino
'collettivizzato'.
Nel
frattempo (prima degli ultimi episodi di predazione)
la Provincia comunica che il materiale per le reti è
pronto e si chiedono perché non è stato
ritirato visto che era pronto da tempo.
L'ultima
beffa crudele arriva dopo che le ultime pecore
se ne sono andate. Arriva finalmente la risposta della
Comunità Montana alla richiesta di poter cessare
l'attività per 'forza maggiore'. La lettera raccomandata
del 22 giugno 2010 cita il parere negativo della
regione (fornito già da 10 mesi!). Sono passati
14 mesi dalla domanda.
L'azienda
deve continuare l'attività pena la restituzione
di 20.000 €, che sono stati investiti in strutture ora
inutili visto che le pecore non ci sono più.
Mazzini è costretto ad inventarsi un allevamento
biologico di asini.
Gli
asini hanno il vantaggio di tirare calci micidiali capaci
di uccidere le bestiacce fameliche, ma di reddito
ne forniscono poco. Almeno i terreni resteranno puliti,
non ci sarà pericolo di incendio boschivo e
non si dovranno rimborsare i finanziamenti. Si sta pensando
anche a trasformare l'azienda in una struttura per cavalli
anziani a fine carriera. Una mesta conclusione. Dopo
queste vicende, però, Dino Mazzini non se la
sente di stare zitto. E ha collocato sulla sua proprietà
grandi striscioni di protesta. E' anche pronto a portare
la testimonianza della sua incredibile e vergognosa
storia dove possa servire. E' diventato un militante
contadino.
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