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alle Orobie il ritorno dei grandi predatori può condizionare negativamente i
sistemi pastorali penalizzando in particolare quelli basati sulla lavorazione
in alpeggio del latte ovicaprino
Orsi e lupi ci priveranno
dei più autentici formaggi ovicaprini
d'alpeggio?
Testo e foto di Michele Corti
Con la prossima stagione d’alpeggio si profila sempre piùconcretamente una nuova minaccia per le produzioni di latte ovino, caprino o
miste. Come se non bastassero la burocrazia, l'iperigienismo, l’esproprio di
tipicità, immagini, e denominazioni - operato spregiudicatamente dai caseifici
industriali - ecco il nuovo regalo della civiltà ‘industriale’: il ritorno degli
orsi e dei lupi sulle Alpi
La wilderness èl’altra faccia della medaglia industrial-consumista
L’agricoltura, la zootecnia, il caseificio sono sempre più
ingranaggi del sistema globale di produzione alimentare, nelle pianure dilaga (senza
segni di ravvedimento) il cemento, i capannoni e nei campi sterminati della
monocoltura, livellati al laser, si taglia l’ultimo albero. La città e la
pianura cercano una compensazione nelle montagne dove si auspica il ritorno
alla wilderness. Un ritorno per niente ‘naturale’ e
totalmente ideologico come testimonia l’affermazione del comandante del CFS di
Vicenza a proposito dell’orso M5 (ruffianamente ribattezzato ‘Dino’), l’esemplare che questa primavera ha
provocato una vera e propria strage di asini tra la montagna veronese e quella
vicentina:
‘L’allarme su Dino è eccessivo. Non fa
male agli uomini ed è una rivincita della natura, capace di affascinarci col
suo mistero. Le persone che ci chiedono preoccupate se possono passeggiare
o andare per funghi nei boschi non devono temerlo. Anzi, se hanno il destino di
incontrare l’orso possono dirsi davvero fortunate’.
I pastori, invece, non si dicono affatto fortunati se
incontrano l’orso o il lupo. Michele Baracco è un pastore piemontese delle Alpi
marittime. Questa primavera ha scritto a diversi giornali e ha partecipato al
convegno ‘Lupi, genti e territori’ tenutosi a Torino il 24 e 25 maggio. A
differenza di altri pastori non esclude la convivenza con il lupo, ma è anche
molto chiaro su alcuni punti. Michele gestisce un piccolo alpeggio a 2.000 m
dove porta al pascolo le pecore, le tiene dentro recinti elettrici la notte e…
trova anche il tempo di caseificare. Ha quindi più di un titolo per dire la sua
e sostenere che gli incontri con il canide si sono fatti sempre più frequenti e
inquietanti. Anno dopo anno i lupi si fanno più sfacciati grazie all’impunità
di cui godono, all’assenza di quella persecuzione che li teneva in passato
lontani dall’uomo e dagli abitati. In un equilibrio che durava da millenni tra
prede e predatori (a loro volta potenziali prede). L’equilibrio non l’hanno
rotto i pastori ma la modernità, le pressioni economiche e politiche della
città e della pianura sulla montagna. Ora la città lo vuole ripristinare a modo
suo, facendone pagare le spese ai montanari.
L'aumento
dei branchi di lupo in Piemonte (fonte: Rapporto 2009
- Progetto Lupo)
Una vita dura che col
lupo diventa ancor più dura
‘Durante la passata stagione ho subito due attacchi’ ricorda
il pastore. ‘Il primo da parte di un singolo lupo il quale uscito dalla macchia
ha preso un agnello di circa dieci chili a meno di venti metri da me’. In
questo caso, spaventato dalle urla, il
lupo ha mollato la preda. In un altro caso il pastore racconta di essersi
trovato tra i lupi e il gregge: ‘I lupi si sono mantenuti a circa cinquanta
metri da me, senza peraltro mostrare alcuna paura: sembrava anzi che stessero
valutando come potermi aggirare’. La conclusione è che nemmeno il pascolo custodito è sinonimo di sicurezza dalla predazione:
‘… oltre a quelli da me testimoniati vi sono vari altri episodi analoghi in
tutto l’arco delle Marittime e delle Cozie che dimostrano come la mera presenza
del pastore non sia di per sé sufficiente ad evitare attacchi’. Michele quindi suggerisce
di dotare i pastori di un fucile in grado di sparare proiettili di gomma perché
è convinto che altri metodi di dissuasione (acustici) si dimostrino inutili una
volta che il lupo si accorge che non vi è una reale situazione di pericolo.
La giornata di lavoro in alpeggio di Michele prevede il
pascolo guidato dalle 9 alle 17 e un ulteriore turno serale dopo la mungitura
sino al calare delle tenebre. Non tutti vogliono e possono fare così. Alla
lavorazione del latte dedica solo un’ora:dalle 8 (dopo la mungitura) alle 9. E’
chiaro che con così poco tempo a disposizione non è possibile dedicarsi a
lavorazioni che richiedono maggior tempo. Per di più, in parecchi altri casi,
il pastore non può dedicarsi costantemente alla custodia del gregge. Non può
permettersi di pagare qualcuno che faccia giù a casa il fieno al posto suo e,
durante l’alpeggio, è costretto ad andare su e giù parecchie volte. Fino a
quando non c’erano i lupi tutto questo era possibile. Ora è tutto più
complicato. Calcolare gli impatti diretti e indiretti, economici e non
economici della presenza dei predatori non è impresa semplice.
Facile
da allestire sul praticello in piano. Ma su in montagna
...,
Gli ambientalisti
hanno strane idee
‘Si fanno l’idea che i pastore sta su per tutto l’alpeggio
ma ….noi dobbiamo scendere a fare il fieno’ ci racconta Marilena Giorgis che
con il Marito Aldo Macario carica l’alpe Vagliotta in comune di Valdieri (Parco delle Alpi Marittime). Marilena ci ha
riferito che lo scorso anno ha perso 30 pecore da latte di razza
Frabosana-Roaschina. Trattasi di una splendida razza ovina che non è a rischio
di estinzione ma pur sempre a limitata diffusione locale e meritevole di
salvaguardia. Marilena produce Sola di pecora, Seirass, Bruss, formaggi di
capra, biologici per di più. I prodotti sono di alta qualità e la gente sale
volentieri in alpe ad acquistarli. Ecco un altro punto dolente: i cani da
guardianìa. ‘La gente va e viene… come si fa a tenere quei cani’. Marilena si
riferisce ai Maremmani che, per il WWF e affini, rappresentano la panacea di
ogni male. A parte la necessità di abituarli da cuccioli con il gregge (e
quindi l’impossibilità di avere ‘chiavi in mano’ dei guardiani bell’è pronti)
Marilena dice apertamente non si fida. ‘Basta che succeda qualcosa una volta
…’. Si riferisce alla probabilità di eventuali morsicature di turisti-consumatori.
La pastora-casara sostiene anche che la sua ‘è una montagna balorda … anche per
il cane è difficile’. Si riferisce al terreno accidentato, alla difficoltà di
controllare il gregge da parte dei cani. ‘Se poi c’è la nebbia ...’.
Un
pastore della Val Stura di Demonte.
Quest’anno useremo i
recinti che ci da il Parco , ma a mio
figlio dico che ….
Quest’anno Marilena e il marito (che in alpeggio non è fisso
perché deve scendere a fare il fieno) adotteranno le recinzioni. ‘A noi le da
il Parco, ma per chi deve comprarle è una spesa, quelle grosse costano 170 € e
a noi ne servono una ventina’. Certo sarà complicato. Oltre alle pecore e alle
capre in lattazione c’è il gregge delle asciutte che prima se ne stavano
tranquille più in alto.
Alla fine la conclusione della pastora è amara: ‘Noi siamo
in ballo e ormai balliamo ma a mio figlio dico che se vuole fare il
pastore deve farlo in altro modo’. Ecco il punto. L’impatto del lupo porta
a una ristrutturazione in negativo delle attività pastorali: greggi più grossi
e graduale scomparsa dei piccoli greggi da latte che non possono permettersi
personale e che devono per forza dedicarsi alla fienagione a valle. Gli
‘esperti’ del lupo la fanno facile: ‘Radunare le greggi e utilizzare pastori
salariati’. Non sanno (o fanno finta di non sapere che: 1) la morfologia di
molte valli alpine non consente di sfruttare il territorio con greggi di
centinaia o migliaia di capi; 2) la qualità dei prodotti caseari è legata alla
cura artigianale, all’esperienza, alla conoscenza di pascoli e animali (un
conto è ‘fare’ un formaggio di capra/pecora qualsiasi un conto è creare un
formaggio che si distingue dai prodotti di massa a latte pastorizzato, che il
consumatore è disposto a pagare diversi € al kg in più); 3) l’aumento delle dimensioni dei greggi
implica, se si vuole lavorare il latte, la presenza di strutture che quasi
sempre difettano.
Un
casaro-pastore delle Valli del Bitto. Non può
stare tutto il giorno con le capre
Dalle Marittime alle
Orobie
Spostiamoci sulle Orobie, terra del Bitto, dove tutt’oggi il
latte di capra è aggiunto nella misura del 20% a quello vaccino. Qui il sistema
di pascolo è ‘pilotato’. Gli ‘esperti’ del lupo (e dell’orso) conoscono solo il
pascolo ‘libero’ e quello ‘blindato’. Non conoscono altre modalità (o meglio
fanno finta di non conoscerle). Poi si arrogano il diritto di giudicare chi
è 'vero' pastore e chi no. I proclami 'salviamo
i pastori per salvare il lupo' (vedi 'Il lupo' di Carmine
Esposito, Ed. Muzzio, Roma, 2007) ripresi anche al recente
convegno di Torino alla luce di queste considerazioni
lasciano il tempo che trovano.
In realtà dove la montagna è aspra, i versanti scoscesi e il
pascolo costituito da ‘atolli’ di cotica erbosa corta dispersi tra le rocce e
vi sono ampi arbusteti, il sistema di pascolo è basato sul controllo a distanza
da parte da parte del pastore che, a volte, avrebbe difficoltà a
seguire le capre su certi percorsi 'alpinistici'.
Il gregge viene fisicamente accompagnato per un certo
tratto ma poi l’addetto alle capre (un pastore che mantiene una sua
specializzazione anche se munge le vacche come gli altri) le ‘lancia’ verso
determinate aree di pascolo. In questo
modo, nel corso della giornata, il gregge compie dei percorsi-tipo
consuetudinari e, se non rientra in tempo per la mungitura, si sa dove andare a
cercarlo. Nulla a che vedere con il ‘pascolo brado’. Nel ‘pascolo brado’
(pascolo di rapina perché non si paga l’affitto dell’alpeggio) gli animali sono
controllati con il binocolo una volta la settimana. Si pratica ovviamente solo
con i capi asciutti e i benefici ambientali sono nulli perché gli animali
brucano qua e là senza criterio, non si ripristinano sentieri ecc.
Negli alpeggi del Bitto le capre, invece, sono munte
regolarmente e, pur utilizzando il pascolo secondo un criterio ben definito,
sono ‘libere’. Di notte dormono spesso in cima ad un monte (l’istinto della
paura dei predatori non è scomparso!). Parecchi alpeggi del Bitto al di fuori
del nucleo ‘storico’ dei ‘duri e puri’ hanno rinunciato a mantenere un gregge
di capre in aggiunta alle vacche da latte perché, sia pure con questo sistema,
è comunque necessario un ‘capraio’. Se il sistema di pascolo dovesse
modificarsi a causa della presenza dell’orso e del lupo questo addetto sarebbe
impegnato esclusivamente con le capre e, dal punto di vista economico, la cosa
diventerebbe insostenibile (anche perché per la possa delle recinzioni il
‘capraio’ dovrebbe farsi aiutare da altri pastori).
Spesso
in alpeggio mancano rivoveri a prova di predatore
Bitto storico a
rischio lupo e orso?
Il rischio di abbandono della monticazione delle capre
diventerebbe concreto e il futuro della capra Orobica (razza ‘vulnerabile’
anche se non a immediato rischio di estinzione) sarebbe compromesso. Sarebbe
compromessa anche l’identità del Bitto e una tradizione casearia di secoli. Non
ci riferiamo a vaghe ipotesi. E’ una circolare del Parco delle Orobie
bergamasche del 15 maggio firmata dagli esperti del lupo e dell’orso Meriggi e
Crotti che solleva il problema.
Gli esperti orsolupologi hanno allertato tutti i comuni e le
comunità montane circa il possibile arrivo nel Parco di M2 e M6 dal territorio
bresciano e senza escludere neppure che un altro orso non identificato, che si
muove tra la Valtellina e
la Svizzera, possa puntare a Sud. Nella circolare:
‘si invitano le amministrazioni locali a
segnalare agli allevatori tale possibilità invitando gli stessi a prendere le
necessarie misure (utilizzo di cani da pastore, greggi sorvegliate,
stabulazione notturna del bestiame, recinti elettrificati) evitando il pascolo
libero essendo tale tipologia di allevamento estremamente a rischio di
predazione’.
Un ‘avviso ai naviganti’ che ha il solo scopo di mettere le
mani avanti ‘ve l’avevamo detto’. Non è certo pensabile che alla vigilia
dell’alpeggio i pastori possano pensare di cambiare il loro sistema, assumere
aiuti, dotarsi di cani (abbiamo già visto che non è cosa che si può fare
dall’oggi al domani).
Fino
a quando saranno libere?
Quella (apparentemente)
strana alleanza tra lupi e formaggi di plastica
Resta l’impressione che la scelta di favorire a tutti i
costi l’espansione dei grandi carnivori sulle Alpi e le altre montagne europee
(e non solo) rappresenti qualcosa di apriori, deciso dalla potente lobby
internazionale degli amici dei lupi, degli orsi e delle linci. Qualcosa che non
ha tanto a che fare con una scelta ecologica
quanto con un’opzione ideologica e politica. Una scelta che trova
terreno fertile negli interessi forti di chi desidera una montagna spopolata da
sfruttare ai fini idrici, energetici, turistici senza la ‘seccante’ presenza di
comunità locali, contadini, pastori, boscaioli.
Il ‘parco del lupo e dell’orso’ è del tutto coerente con il
consumismo turistico e la montagna-parco giochi ed è un alleato (oggettivo o
soggettivo che sia) con le tendenza alla ulteriore industrializzazione delle
attività agro zootecniche e casearie. Un
ulteriore strumento per mettere in difficoltà i ‘sovversivi del gusto’ con i
loro prodotti unici, pieni di passione e di aromi di pascolo, che rappresentano
una sfida permanente all’omologazione casearia.
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