Risorse
rinnovabili e pulite?
Da
tempo, dietro l'etichetta di "energie rinnovabili",
vengono proposte soluzioni molto ambigue sotto il profilo
ecologico; spesso si tratta di nuovi e fruttuosi business
spesso benedetti da incentivi pubblici.
Dai
biocarburanti ad alcuni esempi di "energia da biomasse"
sono stati messi bene in evidenza gli impatti
ambientali profondamente negativi di soluzioni presentate,
almeno all'inizio, come una panacea per l'ambiente.
L'acqua viene considerata "risorsa rinnovabile"
ma si tratta di un equivoco pericoloso. Sappiamo che
l'acqua dolce sul pianeta è costituita in buona parte
da riserve formatesi in tempi lunghissimi che ora vengono
rapidamente esaurite. I nostri ghiacciai alpini, in
rapida regressione, esemplificano bene il carattere
di risorsa tutt'altro che facilmente rinnovabile dell'acqua.
Classificare l'idroelettrico come "risorsa rinnovabile",
"energia alternativa" o "ecologica"
è quindi di per sé già un fatto discutibile.
Gli
impatti dello sfruttamento idroelettrico "tradizionale"
Nel
nuovo "movimento" intorno alle "fonti
energetiche rinnovabili" il "vecchio"
idroelettrico continua ad essere protagonista. Anche
nella versione "classica" (bacini
idroelettrici in quota, gallerie, condotte forzate che
incanalano alle centrali a valle l'acqua) la produzione
idroelettrica non è certo esente da impatti negativi
sulla montagna e l'ambiente. Il grado di sfruttamento
delle acque di una realtà come la Valtellina è già elevatissimo
eppure, grazie agli incentivi per le fonti di energia
"pulita" si sta procedendo a captare fino
all'ultima goccia d'acqua traforando montagne già ampiamente
interessate da estese reti di cunicoli e gallerie. Energia
"pulita" si dice, ma i corsi d'acqua
vengono lasciati all'asciutto (solo di recente si parla di "minimo
afflusso vitale"). Gli impianti idroelettrici comportano
grandi alterazioni e interventi a carico del sistema idrografico. La
capacità di adattamento delle biocenosi acquatiche,
la diversità e la produttività biologiche di sistemi
sottoposti a drastiche oscillazioni delle portate e
a interventi sugli alvei sono irrimediabilmente compromesse
ed interi ecosistemi distrutti. Vanno poi considerati
gli impatti
degli enormi volumi di materiali movimentati, i prati,
i pascoli, i paesi cancellati dai bacini idroelettrici,
le tragedie come il Gleno e il Vajont. In cambio le
popolazioni di montagna hanno avuto posti "sicuri"
e ben pagati (sempre meno per via dell'automazione degli
impianti) e i "sovracanoni".
Le
popolazioni, almeno in teoria, sarebbero state
risarcite dalla privazione dell'uso dell'acqua, un bene
considerato inalienabile, attraverso i Consorzi BIM (bacini
imbriferi montani). Ai BIM sono versati dei sovracanoni
idroelettrici che - in base alla legge istitutiva di
questi enti - dovrebbero essere impiegati per il "progresso
economico e sociale delle popolazioni di montagna".
I BIM sono nati prima delle Comunità Montane ma, dopo
l'istituzione delle stesse, hanno continuato a funzionare:
due enti con finalità coincidenti.
Diventati
enti di "smistamento" della spesa e percepiti
come "cassa" sono stati risucchiati nei meccanismi
della "spesa politica", ovvero in quei meccanismi
di mediazione che avvantaggiano il ceto politico-professional-imprenditoriale
locale in quanto terminale e referente di interessi
esterni alle comunità locali di montagna. Va da sé che
i vantaggi di questi meccanismi per la popolazione
di montagna (e la cura del territorio) sono modesti.
Il meccanismo di risarcimento è apparente e lo sfruttamento
della montagna reale.
Il
"nuovo" idroelettrico: le centrali a pompaggio
Le
centrali a pompaggio non sono in sé nuove. Bacini di
raccolta dell'acqua che precipita a valle, attraverso
le condotte forzate, per far girare le turbine delle
centrali ve ne sono parecchi. Ma sono impianti che si
integrano nell'ambito di reti vallive di bacini in quota
e centrali a valle. La ragione per cui si usa l'energia
elettrica per pompare in alto l'acqua è legata al costo
differenziale dell'energia elettrica nelle diverse fasce
orarie. Di giorno la domanda (civile e industriale)
è elevata, di notte è molto bassa. Ma le centrali nucleari
"lavorano" a ritmo costante e devono cedere
di notte l'energia in "saldo". Ecco allora
che una palese assurdità energetica diventa una soluzione
economica. Di notte con l'energia elettrica a basso
costo si pompa l'acqua rimandandola in cima alle montagne,
di giorno la si fa cadere alimentando le turbine. L'energia
idroelettrica prodotta è meno dell'energia utilizzata
(si perde inevitabilmente un 30%).
La
novità è che ora si vogliono costruire grandi centrali
a pompaggio, non per integrare sistemi idroelettrici
già esistenti, ma per puntare alla grande sullo sfruttamento
del differenziale di costo della tariffe elettriche.
Così
tra tra Renon e Bolzano è in progetto la costruzione
di una di queste centrali, realizzata totalmente
dentro la montagna, con costi preventivati di 300 milioni
di euro. Qualche giorno fa la Kelag, azienda energetica
leader della e una delle principali società austriache
del settore Carinzia (controllata dalla Rewe, leader
nel nucleare), ha dichiarato la paternità del progetto.
L'impianto dovrebbe produrre fino a 318 gigawattora, consumandone 459 per
funzionare. Per costruire l'impianto si dovranno portare via 2,4 milioni di metri cubi di
materiale di scavo l'equivalente di 200mila
camion. Si tratta di costi energetici (solo per lo scavo e il trasporto dei
materiali) molto elevati.
Da
parte della Provincia autonoma con un articolo di una
legge "omnibus" si è inserita una clausola
che prevede, nel caso di impianti di produzione elettrica
che interessano più comuni (come nella fattispecie)
che la provincia possa modificare d'ufficio il piano
regolatore nel caso di non approvazione da parte dei
comuni. La Kelag conta di avviare la centrale nel 2015. Al momento ha una procedura di
Via favorevole e l'ok della giunta provinciale. Se ottenesse le modifiche
urbanistiche e le licenze edilizie dai Comuni di Renon e Bolzano, potrebbe far
partire i lavori.
Tutto
a posto e tutto chiaro allora? Non proprio se le società
energetiche locali si sono chiamate fuori reputando
troppo rischioso un affare basato su un differenziale
elettrico tendenzialmente in via di riduzione (il differenziale
si è ridotto da 3,5 a 2,1 negli ultimi 6 anni). A parte
una sostenibilità ambientale che pare difficile da dimostrare
(VIA o non VIA) anche la sostenibilità economica non
è così certa. E allora? I dubbi su i nuovi "eldoradi"
energetici della montagna (pensiamo anche ai "Parchi
eolici") rimangono tutti.
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