(17.09.10) Al Gias Gardon nella valle
di S.Giacomo (valle Stura di Demonte, CN) sono
radunate le pecore di 13 allevatori che non saprebbero
altrimenti dove alpeggiarle. Ma la 'convivenza' con
il lupo è difficile e il pastore è intenzionato a smettere
Valle
Stura di Demonte:
la voglia di fare i pastori c'è
Ma il
lupo la fa passare
Un mese fa ero stato in valle Grana a trovare il
pastore Mario Durbano perseguitato dal lupo. Ora sono stato sull'altro versante del
Monte Grum. Realtà molto diversa ma un pastore alle
prese con gli stessi lupi. Con ragazzi con
una grande passione ma che da grandi non
potranno fare il pastore come desiderebbero
testo e
foto di Michele Corti
Da tre anni tra la
Valle Grana e la Valle Stura di Demonte (vallone dell'Arma) si è insediato
stabilmente un branco di lupi. Pare che la famiglia cresca. Come sia cambiata
la vita del pastore Mario Durbano, che abita a Frise e utilizza i pascoli del
vallone del Rio Frise sotto il Monte Grum, ve l'ho già spiegato nel fotoracconto
Pastori e lupi: qual'è la razza in via
di estinzione?. Questa volta !2
settembre) sono
stato esattamente sull'altro versante del Grum, quello della valle Stura. Una realtà
molto diversa dato che la morfologia del terreno cambia completamente: ampie
distese di pascoli, ampi crinali erbosi, persino un ampio pianoro (Piano
Gardon). Su questi pascoli non è difficile imbattersi nelle mandrie di
candide vacche da carne Piemontesi sottoposte a una custodia saltuaria.
I
bovini adulti, si sa, sanno difendersi bene dal lupo e se i vitelli sono
protetti dalla madre non corrono rischi. Viste in lontananza le mandrie di
Piemontesi potrebbero essere confuse con un gregge di pecore, ma il bianco
porcellana (ben diverso dalla lana 'dorata') e la struttura meno densa del gruppo
non lasciano spazio a dubbi. La prima mandria (foto sopra) l'ho avvistata da S.
Giacomo. Pascolava sul versante orografico destro del Vallone dell'Arma.
Da S.Giacomo (mappa sotto in basso a sinistra), piccolo nuclo abitato,
più centrale idroelettrica, ho abbandonato la strada principale per
infilarmi nell'omonimo vallone e salire in quota verso i Gias. Gias
nelle valli cuneensi (e nelle torinesi valli di Lanzo) è toponimo
equivalente ad 'alpe'. Tipicamente contraddistingue un 'complesso pastorale'
ancestrale, una cellula costituita da uno o più recinti di muriccia a
secco e da una capanna (o riparo sottoroccia) sempre rigorosamente in sasso.
La
mappa delle località visitate (cliccare per ingrandire).
La vecchia mappa non riporta la nuova pista comodamente
percorribile con fuoristrada
Sopra i 1.500 m la
valle si apre e alla vista si presenta un panorama di
ampie distese di pascoli che, nelle parti più basse,
mostrano segni di incipente incespugliamento. La strada
semiasfaltata termina al Gias Bourel. Di qui in avanti
si procede su una pista sterrata (benm tracciata e ben
tenuta peraltro). Il Gias Bourel presenta delle strutture
edilizia singolari, non si capisce perché rimaste
incompiute. Di fatto la presenza della roulotte denuncia
l'insufficienza e l'inadeguatezza dei locali
Guardando in alto
scorgiamo un'altra bianca mandria in movimento. E' sul
crinale che divide la Valle Stura dalla Valle Grana.
Per togliervi il dubbio
che siano pecorelle vi offro una zoomata (l'ingrandimento
è 10 x). le indistinguibili forme muscolose della Piemontese
appaiono in tutta evidenza nei soggetti in movimento.
Guardando invece sul
versate opposto della valletta, un po' più in basso
rispetto alla quota a cui sono arrivato, ecco un'altra
mandria che si intrattiene in un area 'sporca' dove
ormai la copertura arbustiva è prevalente e si sono
giù sviluppati dei piccoli alberi. Che le vacche da
carne da solo riesscano a 'tenere pulito' è escluso.
Un dato da tenere a mente per comprendere il senso di
tutta questa nostra storia.
Preso dall'osservazione
del panorama, dei pascoli, delle mandrie invece di svoltare
a sinistra ad un bivio vado diritto e dopo poche centinaia
di metri arrivo al Gias Contard, fine della strada e
dietrofront (la mia meta è ben più distante). La diversione
mi consente di rendermi conto dello stato delle strutture
d'alpeggio di queste montagne.
la vecchia capanna
(foto sopra) è stata qualche tempo fa sostituita da
una struttura singolare (foto sotto). Si può ben immaginare,
anche senza entrarvi, quale sia il confort all'interno
di questo bunker che figurerebbe meglio in una
base antartica.
Ripresa la pista 'giusta'
per il Gias Gardon transito per il Gias della Sella.
Qui scorgo un'altra roulotte e capisco che devo
proseguire ancora (l'amico Stefano Martini, funzionario
della Comunità Montana, mi aveva indicato: "quando
vedi la roulotte prosegui"). Qui il fabbricato
'tradizionale' è più ampio ma la luce penetra solo attraverso
una minuscola apertura collocata sopra l'ingresso (foto
sotto).
Oltre alla roulotte
vi è una baracca di lamiera (foto sotto) (nella
foto si ha una buona idea del versante e della
pista che lo taglia in lieve pendenza).
La montagna ha un
aspetto secco ma dove si raccoglie umidità (e la fertilità)
il cotico è ancora verdeggiante.
Arrivato ad un fabbricato
di recente costruzione (una casetta su due livelli rivestita
in sasso e dotata di 'normali' aperture) esce una signora
(Irma, la moglie del pastore Domenico Tamagno) che mi
sta aspettando. Irma era stata allertata da Stefano
e mi fa indicazione di proseguire. Arrivo sino
a Testa Gardon, un ampio panettone erboso con qualche
cucuzzolo roccioso. Qui scorgo delle sagome di persone
in lontananza; mi avvicino e vedo che in mezzo al pascolo
c'è anche un pick-up. Sono Domenico, il pastore che
sto cercando, con i 'bambini': Roberto, terza media,
e Mattia, prima media. Le pecore sono lì vicino a quota
leggermente più bassa, sull'orlo dei bastioni di roccia
del ripido versante Sud di Testa Gardon.
I ragazzi sono fin
troppo solerti nel guidare e spostare il gregge tanto
che il padre dopo aver ordinato di manovrare deve poi
spesso richiamarli. I ragazzi, infatti, insistono
a mantenere in movimento e a spostare il gregge. Nella
foto sotto il gregge viene fatto risalire da un canale
che 'convoglia' pericolosamente sui salti di roccia.
Niente pericolo per le capre (una cinquantina) ma con le
pecore (700) è meglio non rischiare.
Il motivo di tanta
voglia di 'fare i pastori' è presto detto. Il giorno
successivo saranno sui banchi di scuola e oggi (domenica
12 settembre) è l'ultimo giorno di vita in montagna,
con le pecore e le capre. Senza approfondire troppo
salta fuori che ai ragazzi la scuola non piace per nulla.
Tutta colpa loro? Colpa dei padri pastori (ma non certo 'padri-padroni')
che li fanno lavorare da piccoli? Oso pensare
che forse anche la scuola dovrebbe fare qualcosa di
più per farsi piacere da ragazzi che amano la montagna,
gli animali, il sentirsi 'grandi' capaci di muoversi in
mezzo ad un vasto scenario di praterie e montagne che
fa sentire asltrimenti 'piccoli'.
A coadiuvare ci sono
dei cagnetti volenterosi. Nella foto sotto vediamo in
azione la coppia costituita da Mattia e da un 'derivato'
Maremmano. E' un specie di Maremmano miniaturizzato
che fa tenerezza (se pensiamo ai lupi, che qui operano
da tre anni viene da avere paura per lui).
A parte la giornata
particolare (vigilia di un poco atteso ritorno a scuola)
papà Domenico conferma che i 'bambini' hanno grande
passione. E' la parola chiave che sento sempre ripetere
da contadin e pastori e, detta in termini 'scientifici'
è la struttura simboli portante della loro vita e del
loro lavoro. Parlando di carriere scolastiche e prospettive
post media inferiore entro subito nel vivo dell'
'intervista' e chiedo se Domenico ritienga che i figli
frequenterebbero volentieri la 'Scuola pratica di pastori'
che sto architettando con gli amici Luca Battaglini
(docente dell'Università di Torino) e Marzia Verona
('angelo dei pastori', scrittrice 'pastorale' e blogger).
L'interesse c'è. I problema è che con il lupo l'attività
del pastore è diventata difficile (ancora di più di
prima, se possibile) e non sono molti i padri che, pur
essendo felici di vedere che i figli desiderano seguirne
le orme, se la sentono di incoraggiarli. E' triste.
Ma la tristezza si mescola alla rabbia (e alla voglia
di far qualcosa perché non vinca il lupo e i suoi sponsor
cittadini).
Domenico senza girarci
tanto intorno dichiara che per ora non molla,
ma solo perché ci sono gli impegni quinquennali del
PSR, ma che poi ... è quasi sicuro che dovrà smettere.
"Qui a cavallo con la Val Grana i lupi sono arrivati
solo tre anni fa ma da allora gli attacchi sono aumentati
perché credo che siamo aumentati anche i lupi".
Quest'anno Domenico ha avuto 5 perdite a luglio
(agnelli e capretti), poi una pecora adulta il 7 agosto.
Quest'ultimo caso di predazione è sintomatico dell'aggraversi
della presisone predatoria perché il lupo ha ucciso
la pecora vicinissimo alla casa. Sulle prime la pecore
era stata lasciata sul posto ma al mattino era sparita
e la ricerca ha consentito di trovare a valle "solo
la lana e un po' di ossa". Secondo Domenico doveva
trattarsi di una lupa affamata per lo svezzamento dei
cuccioli. Oltre all'allargamento della famiglia l'aumentata
pressione predatoria sulle pecore, sempre secondo Domenico,
è legata anche al venir meno di un'altra categoria di
prede: i camosci. "Prima del lupo sulle rocce si
vedevano sempre, adesso basta, non li vedi più".
E pensare che i lupofili sostengono che i loro beniamini sono
un toccasana per le popolazioni di ungulati che grazie
al lupo diventano più forti e numerose. Sarà. Sarà anche
interssante sentire il parere dei cacciatori e degli
esperti venatori. Il guaio con i lupofili è che
essendo tendenzialmente integralisti, guidati dalla
sacra missione dell'indispensabile, salvifico ritorno
dei 'grandi carnivori' danno tuttoper scontato e preferiscono
non ascoltare i pareri di altre competenze: i cinofili,
i pastoralisti, i tecnici venatori. Tanto non servono:
il lupo ci deve essere e basta.
Con l'inizio della
scuola Domenico non avrà più l'aiuto dei figli (che
vediamo ancora nelal foto sotto mentre scattano per
muovere il gregge). La stagione d'alpeggio va dal primo
di giugno al 10 ottobre e l'ultimo mese è il peggiore.
I lupacchiotti sono ormai forti e partecipano alla 'scuola
di caccia' che consiste anche nell'uccidere dei capi
'per esercizio', senza mangiarli. Alle giornate
limpide (come quella che abbiamo trovato noi) si alternano
giornate uggiose e nebbiose che rendono facile l'avvicinamento
del predatore. Per una persona sola non è facile tenere
sotto sorveglianza 700 pecore e 50 capre figuriamoci
quando c'è la nebbia e quando il gregge si muove nei
canali, in mezzo alle rocce.
Questo gregge poi
ha una particolarità: oltre alle 260 pecore e alle 50
capre di Domenico vi sono circa 450 pecore di altri
12 piccoli allevatori. Che non saprebbero a chi affidare
i loro animali e che dovrebbero cessare l'allevamento.
Per la 'guardia' Domenico percepisce 16 € con l'impegno
a ritirare le bestie al primo di giugno e di riconsegnarle
al 10 di ottobre. E' bene precisare che le pecore in
questione non sono pecore qualsiasi ma pecore Sambucane,
una razza già in via di estinzione che è stata recuperata
grazie all'appassionato lavoro di Stefano Martini (fondatore
e curatore dell'Ecomuseo della pastorizia di Pietraporzio,
nel comune di Pontebernardo) e di Antonio Brignone (tecnico
agricolo della comunità montana). Grazie al lavoro loro
e dei pastori che hanno creduto al progetto di recupero
e valorizzazione della pecora Sambucana si è costituito
il consorzio Escaroun ('piccolo gregge'
in provenzale/occitano e la coperativa Lou Barmaset che è il braccio
commerciale del Consorzio. Oltre all'agnello Sambucano
pesante (tardoun) vengono commercializzati
i prodotti ottenuti con la lavorazione della lana (quella
della Sambucana è abbastanza fine) e, da quest'anno,
anche i formaggi (la toumo, delicata ma ricca
di tante note sensoriali). Ciò grazie alla realizzazione
del Caseificio dell'ecomuseo dove opera la casara/pastora
Patrizia Giordano (sorella del pastore Battista).
Il programma di rilancio
della Sambucana ha unito la valorizzazione di risorse
agricole e culturali e rappresenta un esempio spesso
citato e ammirato; tanto è vero che sono numerosi i
gruppi (scolaresche ma anche pastori, tecnici,
operatori della montagna) che vengono in visita nel
minuscolo villaggio di Pontebernardo per conoscere da
vicino la realtà dell'ecomuseo. E'incredibile pensare
come ci possano essere 'amici della montagna' che
rimangono insensibili di fronte al rischio che tutto
questo lavoro, tutto l'impegno, la passione di tante
persone possano venir messe in forse da ... un branco
di lupi. Bisogna essere accecati dall'ideologia 'naturalistica'
per pensare che la presenza di quattro canidi selvatici
valga più dei tanti valori culturali, sociali, umani,
economici rappresentati dalla pecora Sambucana e da
tutto quello che essa significhi per l'identità
e la vitalità economica della valle.
Esagero? Provo a dimostrarvi
che non lo faccio. Come dicevo prima qui ci sono le
pecore di 13 allevatori. Che se non potessero portarle
qui non saprebbero dove sbattere.
Oltre ad un transumante
che viene da fuori (e che quindi non accetta di certo
pecore locali 'a guardia' vi è in valle il gregge dei
già citati Giordano (composto esclusivamente dalle proprie
pecore e da quelle del cognato), quello di Gloria
Degiovanni, presidente del Consorzio, che oltre alle
proprie comprende pochi capi di piccolissimi allevatori.
Vi è poi un gregge stanziale di pecore di razze francesi
(dove le Sambucane, anche se fossero accettate, non
possono certo essere inserite per non rischiare il meticciamento).
Di fatto, però, i greggi sono 'al completo' perché le
montagne dove si può pascolare, minimizzando i danni
da lupo, sono quelle che sono e perché la gestione e
la sorveglianza del gregge impone comunque di non superare
una certa dimensione.
Un elemento cruciale
che impedisce di utilizzare un buon numero di ottimi
pascoli (che restano quindi abbandonati) è rappresentao
dalla diffocoltà di accesso. Qui a Gardon la 'montagna'
(intesa come pascolo) è, secondo Domenico, meno bella
di dove andava prima con le sue sole pecore (al Monte
Vaccia non distante da Pianche dove i Tamagno risiedono).
"Ma lì le reti dovevo portarle su a spalla".
La situazione con l'avvento del lupo è diventata così
critica che due greggi di Sambucane devono alpeggiare
fuori valle (uno sulla Visalta, l'altro in valle Maira).
Si dirà: si parla di reti ma i cani?
Allora è bene sapere
che Domenico è l'unico pastore della valle Stura di
Demonte che ha da subito accettato il cane. Lo aveva anche prima
di venire qui a Gardoun quando il problema lupo si era
già da tempo affacciato in alta valle, nei pascoli 'di
casa', dove Domenico tiene le pecore in tardo autunno
e in primavera (è lì che Domenico ha avuto le perdite
maggiori in conseguenza della predazione di pecore fatte
saltare fuori dai recinti). Il Maremmano è stato portato
anche qui a Gardon. E' successo, però, che due anni
fa il cane ha mandato una turista all'ospedale. Non
è stata sbranata, per carità; più che le escoriazioni
è stata la paura che ha indotto Domenico ad accompagnarla
al pronto soccorso (una premura che gli è valsa la comprensione
della signora che quindi non ha sporto denuncia). In
ogni caso la malcapitata si era avvicinata al gregge
per scatatre delle innocenti fotografie quando il cane
da dietro l'ha buttata per terra e l'ha immobilizzata.
Grazie all'intervento del pastore la spiacevole situazione
non si è protratta per molto ma .... il Maremmano, che
nel frattempo è divenuto di carattere più aggressivo,
non viene più a Gardon. Resta a casa a fare il ... cagnaccio
da guardia. E qui c'è il Maremmano in miniatura che
abbiamo già conosciuto, più altri cagnetti 'classici'.
Nonostante i pascoli
siano molto belli (a parte le rocce e i dirupi sul versante
meridionale della montagna) la conduzione di un gregge
quassù pone qualche problema anche per via della presenza
delle mandrie di bovine da carne che impone di fare
attenzione agli 'sconfinamenti'. Nella foto sopra si
vede il Pian Gardon e, nella valle a destra, si
scorgono dei puntini bianchi (è la solita mandria
di Piemontesi da carne). Nel ritorno mi fermo a salutare
la signora Irma che sta aspettando il marito e i figli
per poter scendere a valle.
Fotografo i due recinti:
uno affianca l'abitazione (foto sopra), l'altro è un
po' più distante e ospita le pecore che hanno appena
partorito. La gestione dei recinti implica una permanenza
limitata sulla stessa superficie. La durata della stessa
dipende dalle precipitazioni e dallo stato del terreno.
Prima di scendere
un ultimo scatto al vecchio Gias Gardon che si trova
a quota inferiore rispetto alla pista e al nuovo fabbricato.
Si osservano nella foto (sotto) i recinti in pietra
a secco (noi in Lombardia li chiamiamo bárek), la posizione
ben studiata al riparo da un cucuzzolo roccioso su una
selletta e la solita baracca in lamiera. Alla quale
pare proprio che qui gli alpeggiatori si adattino perché
anche presso dove ora sorge il confortevole
nuovo fabricato (due livelli con sottotetto abitabile)
si osserva una platea di calcestruzzo su cui appoggiava
la baracca di lamiera utilizzata sino alla recente inaugurazione
del nuovo alloggio. Quante baracche di lamiera esisteranno
ancora sugli alepggi cuneensi? Parecchi secondo Marzia
Verona e sarebbe interessante saperlo con precisione.
Infatti questo problema dell'inadeguatezza di alloggi
per i pastori e di locali adatti alla lavorazioen del
latte è uno di quelli, insieme alla reperibilità
e al costo del personale e al mercato 'drogato' degli
affitti delle 'montagne' che aggrava la
precarietà delle gestioni pastorali e che fa si che
il lupo rappresenti la classica 'goccia che fa
traboccare il vaso'.
Sulla strada del ritorno,
quando sono già ridisceso nella parte bassa del vallone
di S. Giacomo, mi imbatto inell'ennesima mandria Piemontese,
questa volta, però, la posso vedere da vicino.
Infine molto più a
valle (come si nota dalla vegetazione) a fianco della
strada scorgo questo (foto sotto) tristanzuolo gregge
di capre 'contaminato' per di più dalla presenza delle
'tibetane'. E' un gregge che, come riferitomi da Domenico, un
tempo pascolava in montagna ed ora deve restare confinato
nel praticello. Non è poco lo sconvolgimento imposto
dal lupo. Quanti allevamenti di pecore e, soprattutto,
di capre hanno dovuto chiudere, quante centinaia di
ha di pascolo sono stati abbandonati? Domande a cui
cercherò di dare risposta a breve. Intanto ricordo a
tutti che se il lupo è protetto anche i pascoli,
in ragione del patrimonio di biodiversità e paesaggio
da essi costituito, sono altrettanto tutelati dalle
direttive europee. Un dettaglio che spesso anche gli
amministratori e i politici tendono a dimenticare. La
Regione Piemonte fortunatamente no.
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