(20.09.10)
Resoconto di un sopralluogo ad
alcune malghe dell'alta Valcamonica
nei comuni di Monno, Incudine e Vezza
d'Oglio. Tante strutture ma è sinora
mancato un minimo di visione
complessiva per la gestione di un
pregevole comprensorio
Malghe tra il Mortirolo e la Val
Grande: un patrimonio 'depotenziato'
in attesa di
rilancio
Le malghe del comprensorio
tra il Passo del Mortirolo e la Val
Grande sono collocate in un contesto
di notevole interesse dal punto di
vista turistico, con emergenze di
carattere storico e naturalistico, una
fitta rete sentieristica e buone
potenzialità per la MTB. Le tante
strutture esistenti, spesso da
riqualificare, la
notevole estensione e la modesta
acclività dei pascoli, oggi in parte
degradati, possono consentire
un'azione di rilancio con
valenza pilota per altri
comprensori malghivi, in Lombardia e
non solo
testo e
foto di Michele Corti
Il 14 settembre mi sono recato per un
sopralluogo alle Malghe tra la valle
del Mortirolo e la val Grande in
alta Valcamonica. Ho visitato Val
Bilghera (Vezza d'Oglio) e Salina
(Incudine). Varadega (foto sopra)
e Andrina (foto sotto) -
entrambe di Monno - le ho
potute solo scorgere da lontano.
Questa volta ero con diversi colleghi
dell'Università di Milano (sede di
Edolo) e l'occasione era abbastanza
importante perché si trattava di
valutare l'opportunità dell'impegno
dell'università in un progetto
'strategico' di rilancio di queste
malghe. Ma il tempo a disposizione non
era molto perché c'era in programma
anche un incontro con i sindaci una
volta ridiscesi a valle presso la sede
del Corso di laurea per la Tutela e
la valorizzazione del territorio e
dell'ambiente montano. Per recarci
alle malghe, una volta risalita la
valle del Mortirolo provenienti da
Monno, abbiamo lasciato
la strada provinciale, quasi in
prossimità del passo. In realtà la
strada scollina in Valtellina in
coincidenza del Passo della
Foppa, ma il più noto Mortirolo
continua a dare il nome all'arteria
stradale. Il passaggio del Giro
d'Italia ha contribuito a rinverdirne
la fama.
Siti ricchi di
storia
Mortirolo è nome evocativo e
enigmatico, con richiamo alla morte e
al Tirolo (ma forse non c'entrano).
Resta il fatto che la sua rilevanza
strategica per il passaggio tra la
Valtellina e la Valcamonica ha fatto
sì che qui si svolgessero importanti
fatti d'arme. Quindi la morte in
qualche modo c'entra.
Gli scontri più famosi furono quelli
tra austriaci e francesi nel 1799 e
quelli, con tanto di impiego di pezzi
di artiglieria da entrambe le parti,
tra partigiani delle Fiamme
Verdi da una parte e forze della
RSI e tedeschi in ritirata dall'altra.
Era l'aprile del '45 e gli scontri si
protrassero sino al 2 maggio.
Di una certa importanza anche gli
episodi risorgimentali (sia nel 1848
che nel 1866). La mitica
battaglia tra Carlo Magno e i
Longobardi ha, invece, i contorni
della leggenda dal momento che il re
franco qui non arrivò mai e che non
avvenne alcuno sterminio dei
longobardi. La nobiltà camuna che fu
protagonista nei secoli successivi
della turbolenta storia della valle
conservò infatti a lungo la matrice
longobarda (trasposta nel 'partito'
ghibellino filo-milanese e
visconteo).
Ad un epoca precedente risalgono gli
echi delle violente resistenze alla
cristianizzazione che hanno lasciato
una ricca testimonianza nella
topomomastica ('grotte dei pagani',
'dos dei pagani', 'tombe dei pagani'
ecc.). Proprio qui nella zona del
Mortirolo vi è il Monte Pagano (2.348
m). Il Monte si erge a poche centinaia
di metri a S della Malga Salina. Qui
tutt'oggi sono visibili i resti del
'Forte' della 'Linea Cadorna'
realizzato durante la prima guerra
mondiale (un recinto in pietra a secco
con spalti e ricoveri in pietra a
secco oggi non più in piedi). Altre
testimonianze storiche militari, oltre
alla stessa trada del Mortirolo
sono rappresentate dalle altre strade
e mulattiere realizzate in quel
periodo (1916) e che hanno poi
rappresentato poi un ottimo reticolo
di accesso alle malghe. Tra le strade
militari dell'epoca da segnalare - in
quanto non oggetto di rifacimenti -
quella, perfettamente realizzata
con i limitati mezzi del tempo,
che conduce dalla
Malga Varadega sino al 'km 3'
(sul tracciato vi sono ancora i cippi
chilometrici) ovvero al limite del
comune di Grosio in posizione di
osservazione e controllo sulla
Valtellina. Oltre alle strade resta
come testimonianza della 'Linea
Cadorna' il reticolo di trinceramenti
(alcuni proprio a N della Malga
Salina).
Un sistema
'indebolito'
La realtà delle malghe del
comprensorio è tutt'altro che
omogenea; resta, però, l'immagine di
un sistema depotenziato che non ha
saputo mettere a frutto alcuni asset
che sarebbero invidiati in molte
realtà di malga: la rete di accesso,
le presenza turistiche legate alla
strada del Mortirolo, la rete
sentieristica, la presenza del Parco
dello Stelvio (almeno per una parte
del territorio). Anche pascoli estesi
e con favorevole giacitura. Non si
capisce perché, per esempio, la malga
Varagega (foto in alto) presenti i
pascoli nelle condizioni in cui si
presentano attualmente (e che basta la
foto, sufficientemente eloquente, a
descrivere). Eppure Varadega è la
prima malga che si incontra venendo
dalla strada del Mortirolo. Un po'
migliori le condizioni della seconda
malga: Andrina (foto sotto in cui si
intravede una lunga tettoia). Le
condizioni dell'alpicoltura sono tali
che sono state progressivamente
ridotte le 'paghe' (unità di pascolo
sufficiente per un bovino adulti) e i
giorni di alpeggio. Meno 'carico'
significa pascolo che arretra in un
circolo vizioso che porta poi alla
disattivazione.
Transitati da malga Salina (dove ci
fermeremo al ritorno) ci fermiano dove
termina la vecchia strada militare (km
35) e dove oggi una comoda strada
asfaltata prosegue per ridiscendere a
Vezza d'Oglio. Qui ci raggiunge il
sindaco di Vezza, Fausto Bonavetti
che, con un mezzo a trazione
integrale del comune, si presta a
svolgere un servizio di 'navetta' per
condurci alla Malga Val Bilghera. Lo
sterrato, infatti, risulta troppo
severo per le auto ''stradali' con le
quali siamo giunti sin qui (per una
volta tanto mi sono fatto trasportare
invece di essere alla guida del mio
piccolo fuoristrada).
La Malga Val Bilghera si trova già
all'interno del Parco e
sull'itinerario per il Monte Serottini
(la cima più alta dell'area di quasi
3.000 m) e i famosi Laghi Seroti, una
delle attrazioni principali della
bella e profonda Val Grande,
caratterizzata anche da ricchezza
faunistica e floristica. I sentieri
sono ben tenuti e la loro percorrenza
consente anche avvistamenti di fauna
selvatica. La malga possiede anche una
buona dotazione di fabbricati di
recente ristrutturati (foto sotto):
un'ampia stallona (utilizzata per la
mungitura), una casera con locali
spaziosi e una costruzione per
l'alloggio dei caricatori su due
livelli. Parlando con il malgaro
Giuseppe Orsatti, però, ci dice che la
frequantazione escursionistica è
andata calando negli anni. Uno dei
motivi, secondo Giuseppe, è dato dal
fatto che non si organizza più a primi
di agosto la festa della malga che
vedeva un notevole concorso di turisti
e di residenti. Un fatto curioso se si
pensa che feste e sagre, anche sulle
malghe, dilagano. "Il passaggio è
calato dell'80%; questa estate avrò
venduto 5-6 formaggi a
turisti".
E' abbastanza singolare anche che, per
la commercializzazione del formaggio,
la Malga Val Bilghera si affidi ad una
vecchia forma di 'filiera corta':
l'acquisto della 'caserata'. "Mi
comprano il latte" dice Giuseppe:
"... alcuni vengono su e lo
lavorano loro direttamente, altri lo
fanno fare alla moglie". la moglie di
Giuseppe è la casara. " Abbiamo
clienti che vengono da vent'anni". Da
una parte non posso che restare
ammirato della perdurante vitalità di
sistemi tradizionali che hanno
resistito sino ad oggi e che in
qualche modo si confondono con
tendenze di
consumo 'post-moderno'. Il famoso
co-produttore eccolo qui. Non sa di
esserlo e molto promabilmente non ha
letto Petrini ma incarna il concetto
di 'superamento della figura del
consumatore' in modo più convincente
che in tanti casi di studio esibiti. A
Vezza d'Oglio le pratiche di
produzione-consumo, di montagna
vissuta non sono mai cessate. Una
risorsa. D'altra parte non posso
esimermi dal riflettere che la
valorizzazione di questo latte non è
con molta probabilità ottimale,
in termini di prezzo di trasformazione
si intende. Un problema comune (sarà
il tema cruciale del prossimo racconto
d'alpeggio).
Giuseppe ci riferisce anche un'altra
circostanza che
porterebbe a concludere che
si sta facendo 'come i gamberi'.
"Qualche anno fa tenevo anche le
capre, facevo dei formaggini di pura
capra di quasi mezzo chilo".
Mentre noi 'esperti'
andiamo in giro a rintracciare e
'resuscitare' le perdute
tradizione di caseificazione di latte
caprino, predichiamo la
'differenziazione produttiva' qui
c'era già quello che oggi vorremmo
'vendere' come 'ricetta' per il
rilancio dell'alpeggio. Non sarebbe
più semplice impedire che certe
tradizioni si perdano piuttosto che
poi impiegare grandi sforzi per
recuperarle? Mah.
Perché Giuseppe ha 'mollato' le capre?
Sarà per l'impegno a gestirle, ma
certo il Parco e gli ottusi
regolamenti forestali non aiutano. Poi
il CFS (guarda caso sul posto, vedi la
Panda della foto sopra) deve
applicarli. A qualcuno del nostro
gruppo le guardie hanno confidato che
a loro non piace 'bastonare' e che
molte volte devono sanzionare i
margari perché non sono informati.
Le 'istituzioni' e le 'agenzie'
preposte a supportarli latitano. Vero.
Ma è anche vero che le normative sono
una giungla e che, a dirla tutta,
tante volte sono contrarie al senso
comune, contradditorie tra loro e
difficilmente interpretabili. Se per
tagliare una pianta bisogna essere
laureati in legge ....
Ma andiamo avanti. Grandi
ristrutturazioni (per gli 'adeguamenti
igienico-sanitari). Anche qui in
queste malghe si sarà speso parecchio
per sistemare la casera. I risultati,
però, lasciano perplessi e inducono a
riflessioni. C'è un grande locale con
tanto di focolare, attrezzato con
il braccio girevole che regge la
caldaia, ma che - lo dice la signora
Orsatti, la casara: "viene
utilizzato come ripostiglio". Perché?
"C'è troppo fumo". Magari anche in
passato il tiraggio non era ottimale
ma la nuova sistemazione certo non ha
migliorato le cose. Magari in passato
il fumo poteva anche disperdersi dalla
copertura (oggi c'è una soletta,
perfettamente sigillata). In effetti
il locale potrebbe servire da
affumicatoio (la foto sopra non è
annebbiata per motivi 'tecnici' ma per
la presenza del fumo).
Per fortuna qualcosa di buono c'è:
'l'acqua esce a 6 gradi' sentenzia con
orgoglio il Giuseppe. Il locale
per la sosta del latte e
l'affioramento della panna è spazioso
e l'acqua corrente fredda consente di
immergere un gran numero di bacinelle.
I materiali sono vari; si va dalla
plastica al rame alla lamiera zincata
(che non si dovrebbe usare e che non è
il massimo in termini di
ossidazione).
E' evidente che l'adeguamento alle
norme igienico-sanitarie si è tradotto
in un mare di piastrelle ma, essendo
calato dall'alto, non ha poi
comportato una coerenza di pratiche.
La piastrella è stata imposta al di là
del necessario per 'purificare' gli
ambienti tradizionali. Ma ha avuto una
prevalente funzione culturale e
simbolica (imposizione di un 'nuovo
ordine' igienistico). Con la
pericolosa implicazione che 'adesso è
tutto a norma', che la piastrellatura
di per sé garantisca pulizia ed
igiene.
Nel bene e nel male i malgari sono
ancora attaccati a pratiche e
strumenti tradizionali che si
armonizzano in modo problematico con
le 'nuove' regole e le nuove
strutture. Come si vede dalla foto
sotto gli strumenti di lavoro del
casaro sono 'ancestrali' (lo 'spino'
realizzato con il fil de
fer).
Uno degli aspetti paradossali (ma non
tanto) di questa 'modernità' imposta
dall'esterno, non interiorizzata, mal
amalgamata con i sistemi tradizionali,
è dato dall'uso del gas. Abbiamo visto
che il focolare è inutilizzabile per
il fumo e allora si usa ... la
bombola. In un contesto di bosco e
brughiera che avanzano non usare le
'biomasse' e l'energia rinnovabile' è
quanto meno singolare.
Ma quello che lascia più perplessi
degli 'adeguamenti' igienico sanitari
così come realizzati nell'ambito della
progettazione è che si pensa poco,
pochissimo ai locali di
maturazione e, soprattutto, al
fatto che siano idonei alla
funzione che dovrebbero assolvere:
creare e garantire un ambiente
microclimatico e
microbiologico favorevole
all'ottenimento di prodotti di qualità
a 'identità' riconoscibile, specifica,
in grado di valorizzare la materia
prima, il pascolo, l'ambiente di
montagna con tutte le sue
particolarità. Le condizioni di
locali totalmente piastrellati non
possono essere parimenti idonee
per il prodotto in diverse fasi
di maturazione (vedi foto
sotto).
Lasciamo la Malga Val Bilghera con
l'idea che, qui come altrove, la
sintesi tra tradizione, modernità e
psot-modernità è ancora tutta da
raggiungere. Come simboli valgano la
perlinatura (leggera) che 'abbellisce'
(si fa per dire) la casa di abitazione
(foto mancante, dimenticanza) e
il vecchio truogolo abbandonato in
mezzo allo spazio antistante (foto
sotto).
Ritorniamo alla Malga Salina. Si
dovrebbe dire Salina bassa per
distinguerla da quella altra (di cui
rimangono solo ruderi). La casetta di
abitazione è del tipo 'seriale' che si
può osservare anche in altre malghe
della zona (anche nella Malga Varadega
se riguardate bene la prima foto in
alto). Una costruzione su questo
'modello' l'avevo vista anche alla
Malga Mola sopra Edolo (chissà dove ho
archiviato la foto?). Mi aveva fatto
un'impressione del tutto diversa, di
fabbricato 'moderno', estraneo allo
stile malghivo. Basta un po' di
'patina' degli anni (il legno esposto
alle intemperie fa miracoli di
'antichizzazione') e tutto cambia.
Bella non è, e non ha nulla ha che
fare con qualsivoglia tipologia
tradizionale, però, nell'ambiente si
inserisce (almeno quel tanto da non
tirare un pugno allo stomaco).
Mi ha invece molto colpito il locale
'vendita' (meno male che è stata
ormai archiviata anche nei
contesti più periferici la voce
'spaccio' che - a parte la droga -
evoca squallidi punti vendita
industriali). L'ingresso è stato
concepito con larghe vedute; ci sono
persino delle vetrine che consentono
al turista di scrutare dentro stando
al riparo dalla pioggia. Le porte
metalliche sono un po' invasive. Ma
non sofistichiamo troppo.
Nella foto sotto vediamo come il
locale 'vendita' (all'estrema destra)
sia collocato razionalmente (alla
testata del caseificio), e come il
caseificio sia di ragguardevoli
dimensioni. Quello che non va e che i
margari, Caterina e Mario Boldini non
mancano di farci subito osservare,
è che il bel caseifcio (almeno in
termini di 'scatola' edilizia) è
troppo prossimo alla tettoia dove
sosta la mandria. Per di più tra
tettoia e caseificio c'è la fontana
per l'abbeverata con le inevitabili
perdite di acqua e formazione di
una 'colata' di fango misto a
sterco.
La tettoia è francamente brutta e la
sua lunghezza 'impatta' pesantemente.
Realizzata con un impasto di materiali
si caratterizza per i sostegni
costituiti da travi di ferro a doppio
T. Una realizzazione attenta (si fa
per dire) alle sole esigenze
funzionali ma tale da compromettere la
qualità estetica dell'intorno. Come
altre realizzazioni simili è stata
realizzata copiando dai manuali di
edilizia agricola le soluzioni valide
per le aziende di pianura che hanno
l'esigenza di mettere al riparo
macchine operatrici di gradi
dimensioni e che richiedono quindi una
notevole 'luce'. In montagna, però,
sono le vacche che devono essere
ricoverate, non le macchine, e un
fabbricato aperto su un lato con la
falda di copertura inclinata dalla
parte opposta all'entrata non è il
massimo in termini di protezione
da pioggia battente e vento.
Fino all'epoca in cui la
progettazione è stata affidata a
professionisti (che, con poca o nulla
esperienza di montagna si
ispirano ai manuali), fino a quando
vigevano i saperi locali
contestualizzati le falde delle
penzane erano inclinate verso
l'apertura.
Caterina con piglio deciso si
concentra sulle 'magagne' del
caseificio. Lo fa a buon diritto
perché, come ella stessa tiene a
precisare "Io sono 50 anni che lavoro
nelle malghe; le ho fatte passare
tutte" (per il resto è vispa e
giovanile, non solo nell'abbigliamento
'tipico' da 'casara di malga alla
moda'). Qui alla Salina la coppia
viene da 9 stagioni. Mario
sostiene che 'lavorava il
latte' meglio il vecchio locale ormai
semi-diroccato "quello nuovo lavora di
meno" (belle queste espressioni:
locali che 'lavorano' il latte,
montagne da 'mangiare'). Ma lo
conferma anche Caterina che ci fa
vedere l'unica apertura prevista dal
progetto per il locale affioramento
(foto sotto).
Per poter migliorare la circolazione
dell'aria i Boldini hanno insistito
che venisse aperta una piccola
apertura in comunicazione con il
locale adiacente.
Caterina poi si lamenta per il lavello
utilizzato per lavare i secchi.
"Non è del materiale giusto".
Non è neanche tanto alto e profondo.
Di solito si usano capaci vasche in
acciaio inox. Di certo più adatte a
ricevere urti. Ma a volte per lavare i
secchi e i bidoni ci sono progettisti
che hanno fatto anche di peggio,
ovvero hanno collocato un piccolo ...
lavandino da bagnetto di casa (neanche
quello principale). Ovviamente poi il
margaro i secchi se li deve lavare
all'aperto.
Più sostanziali le osservazioni sul
focolare. Anche qui si usa il gas. Una
caldaia 'incamiciata' con
l'alimentazione al legna con carrello
sarebbe stata molto meglio sostiene
Caterina. E ha ragione. Dice anche che
l'altezza del sostegno della caldaia
era del tutto sbagliata e che nella
sistemazione originaria non era stato
previsto che le caldaie .... possono
avere dimensioni e quindi altezze
diverse.
Sotto vediamo in che condizioni è il
locale dove sono depositati i formaggi
in fase di maturazione. Nella foto si
osservano
solo pochi formaggi freschi
o semi-freschi ma in una foto di
qualche settimana prima, inviata da
Francesco Ponteri, si potevano vedere
formaggi con la crosta scura accando a
formaggi appena fuori fascera (Ponteri
è il presidente della Valtemo,
l'associazione nata per iniziativa di
studenti ed ex-studenti della sede di
Edolo di Unimi che ora sta stimolando
il coinvolgimento dei docenti in
questo progetto di rilancio delle
malghe).
A parte il materiale eterogeneo a
supporto delle assi imbarcate
(pallets, cassette di plastica della
frutta, bidoni di plastica) non si può
non osservare il pavimento allagato.
"C'è troppa poca umidità". Se non si
bagna le croste dei formaggi spaccano.
La piastrellatura al soffitto e le
mattonelle non aiutano certo a creare
un ambiente adatto alla stagionatura.
E' vero che qui, come alla Malga Val
Bilghera, va molto il prodotto fresco
(che poi la gente del posto provvede a
stagionare nelle proprie cantine
private) ma, come si vede, si tratta
di formaggi di una certa pezzatura
che, se non venduti a qualcuno che sa
come e dove tenerli, sono di difficile
vendita se 'giovani'. La mancanza
di locali ideonei di stagionatura
non favorisce la valorizzazione
commerciale di questi prodotti. Si
dice che la gente chiede il 'fresco'.
Però le forme ben stagionate un
mercato di intenditori ce l'hanno. A
Ponte di Legno (siamo distanti pochi
chilomentri) l'amico Andrea
Bezzi, giovane ed intraprendente
casaro dell'alpeggio Case di Viso ha
iniziato da qualche hanno a
percorerrere la strada delle lunghe
stagionature. Nella cantina in paese
nelle scansie ha parecchie forme anche
di tre e più anni che tiene in
posizione verticale (come nelle
cantine del Bitto). E le richieste ci
sono. Un formaggio così da prestigio
anche perché chi se ne intende sa che
solo formaggi perfetti reggono simili
stagionature 'da vino'. C'è poi un
grande vantaggio nella produzione di
un formaggio d'alpeggio che riesce ad
arrivare all'anno di
stagionatura: poterlo venderlo in alpe
l'anno successivo. Così si ha qualcosa
da vendere oltre alle formaggelle
fresche e al formaggio invernale. Di
fronte ad una gamma di formaggi
d'alpeggio freschi e dell'annata
precedente anche l'invernale prodotto
nell' 'intermezzo' ci può stare
bene (sempre che non venga
spacciato per quallo che non
è).
Mario (foto sopra) ci tiene molto a
farmi visitare i vecchi fabbricati. Si
rammarica non solo che il locale di
affioramento 'lavori meno' ma anche
che non ci sia più un silter
(cantina) alla moda vecchia. Nel
vecchio rudere ci sono ancora le
scalere (foto sotto). Secondo Mario un
pavimento selciato è molto più ideoneo
"... hanno messo quelle mattonelle ...
bisogna tornare indietro".
I vecchi fabbricati ora inutilizzati
erano realizzati sfruttando il profilo
del versante in modo da massimizzare
la protezione dai venti e dai
movimenti delle masse nevose.
Allineati uno con l'altro vi erano
stalle, porcilaia, locale per
l'affioramento della panna, locale per
la lavorazione del latte,
silter, tettoia per il ricovero
della mandria, alloggi per il
personale.
Mario ci informa che la
ristrutturazione di questi fabbricati
risale al 1951. E' allora che deve
essere stata realizzata la soletta in
calcestruzzo.
Nonostante nel complesso i fabbricati
'tengano' vi sono alcuni crolli e ad
ogni idea di riutilizzo andrebbe
premesso il consolidamento statico e
la messa in sicurezza.
Mario mi fa rilevare anche la
localizzazione sbagliata della
tettoia. Prima abbiamo
sottolineato come è collocata
troppo a ridosso del caseificio (e
alla vendita). Il malgaro ci tiene a
far rilevare però come sia anche una
questione di dislocazione rispetto ai
pascoli. Si è sottratto spazio al
pascolo è si è creata una
condizione per la quale
i nutrienti presenti nelle
deiezioni vengono solo in
parte recuperati e utilizzati per
la concimazione del pascolo, mentre in
misura significativa si
disperdono e sono dilavati
dall'acqua.
Rientrati a Edolo ci incontriamo con i
rappresentanti dei comuni (compreso
Luigi Giancarlo Marchioni, che, oltre
che sindaco di Incudine, è anche il
presidente dell'Unione dei comuni
dell'Alta Valle Camonica). L'idea di
un progetto che valorizzi una delle
malghe quale 'malga modello' ma che
coinvolga anche le altre in un piano
strategico 'di comprensorio' che ne
valorizzi la complementarietà e
presupponga dei servizi comuni è
largamente condivisa. I rappresentanti
dei tre comuni e
dell'Unione manifestano un forte
interesse per il 'progetto malghe' e
una rara sintonia tra loro. Le malghe
visitate presentano, come visto, degli
elementi di debolezza; gli interventi
pregressi non sono sempre stati
coordinati e finalizzati ad un disegno
complessivo (non solo comprensoriale,
ma anche relativo alla stessa
malga).
Alcuni aspetti gestionali presentano
larghi margini di miglioramento.
Nell'insieme, però, le risorse in
campo sono notevoli e non sempre
facilmente rinvenibili
nell'ambito comprensorio
malghivo. Si tratta di ricomporre i
tasselli di un puzzle con
alcune tessere mancanti o
difettose rafforzando i punti deboli.
In una visione comprensoriale poi si
può pensare a strutture comuni al
servizio dell'insieme delle malghe
(informazione per i turisti presso
l'ex caserma, forse anche casera
di stagionatura e punto
vendita).
Se le amministrazioni ci credono e se
i malgari e, soprattutto le loro
nuove leve, saranno coinvolte in modo
attivo e propositivo (non come nel
caso degli 'adeguamenti igienici')
allora il progetto potrà avere gambe
per camminare. Senza dimenticare che
ci sono delle sfide da affrontare e da
vincere come quella di convincere i
giovani che il futuro è su in malga,
nella qualità, nel rapporto con
i consumatori/co-produttori
(vecchi e nuovi), nelle razze a
duplice attitudine di
montagna e non negli
stalloni con le vacche spinte. Perché
se il futuro delle malghe non è
necessariamente roseo e scontato
quello degli stalloni, brutte copie in
miniatura delle fabbriche del latte
padane, lo è ancora di meno.
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