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(20.09.10)   Resoconto di un sopralluogo ad alcune malghe dell'alta Valcamonica nei comuni di Monno, Incudine e Vezza d'Oglio. Tante strutture ma è sinora mancato un minimo di visione complessiva per la gestione di un pregevole comprensorio

 

Malghe tra il Mortirolo e la Val Grande: un patrimonio 'depotenziato' in attesa di rilancio

 

Le  malghe del comprensorio tra il Passo del Mortirolo e la Val Grande sono collocate in un contesto di notevole interesse dal punto di vista turistico, con emergenze di carattere storico e naturalistico, una fitta rete sentieristica e buone potenzialità per la MTB. Le tante strutture esistenti, spesso da riqualificare,  la notevole estensione e la modesta acclività dei pascoli, oggi in parte degradati,  possono consentire un'azione di rilancio con valenza pilota per altri comprensori malghivi, in Lombardia e non solo

 

testo  e foto di Michele Corti

 

 

Il 14 settembre mi sono recato per un sopralluogo alle Malghe tra la valle del Mortirolo e la val Grande in alta Valcamonica. Ho visitato Val Bilghera (Vezza d'Oglio) e Salina (Incudine). Varadega (foto sopra)  e Andrina (foto sotto) - entrambe di Monno -  le ho potute solo scorgere da lontano. Questa volta ero con diversi colleghi dell'Università di Milano (sede di Edolo) e l'occasione era abbastanza importante perché si trattava di valutare l'opportunità dell'impegno dell'università in un progetto 'strategico' di rilancio di queste malghe. Ma il tempo a disposizione non era molto perché c'era in programma anche un incontro con i sindaci una volta ridiscesi a valle presso la sede del Corso di laurea per la Tutela e la valorizzazione del territorio e dell'ambiente montano. Per recarci alle malghe, una volta risalita la valle del Mortirolo provenienti da Monno,  abbiamo lasciato la strada provinciale, quasi in prossimità del passo. In realtà la strada  scollina in Valtellina in coincidenza del Passo della Foppa, ma il più noto Mortirolo continua a dare il nome all'arteria stradale. Il passaggio del Giro d'Italia ha contribuito a rinverdirne la fama.

 

Siti ricchi di storia

 

Mortirolo è nome evocativo e enigmatico, con richiamo alla morte e al Tirolo (ma forse non c'entrano). Resta il fatto che la sua rilevanza strategica per il passaggio tra la Valtellina e la Valcamonica ha fatto sì che qui si svolgessero importanti fatti d'arme. Quindi la morte in qualche modo c'entra.

Gli scontri più famosi furono quelli tra austriaci e francesi nel 1799 e quelli, con tanto di impiego di pezzi di artiglieria da entrambe le parti,  tra partigiani delle Fiamme Verdi da una parte e  forze della RSI e tedeschi in ritirata dall'altra. Era l'aprile del '45 e gli scontri si protrassero sino al 2 maggio.

Di una certa importanza anche gli episodi risorgimentali (sia nel 1848 che nel 1866). La mitica battaglia tra Carlo Magno e i Longobardi ha, invece, i contorni della leggenda dal momento che il re franco qui non arrivò mai e che non avvenne alcuno sterminio dei longobardi. La nobiltà camuna che fu protagonista nei secoli successivi della turbolenta storia della valle conservò infatti a lungo la matrice longobarda (trasposta nel 'partito' ghibellino filo-milanese e visconteo).

Ad un epoca precedente risalgono gli echi delle violente resistenze alla cristianizzazione che hanno lasciato una ricca testimonianza nella topomomastica ('grotte dei pagani', 'dos dei pagani', 'tombe dei pagani' ecc.). Proprio qui nella zona del Mortirolo vi è il Monte Pagano (2.348 m). Il Monte si erge a poche centinaia di metri a S della Malga Salina. Qui tutt'oggi sono visibili i resti del 'Forte' della 'Linea Cadorna' realizzato durante la prima guerra mondiale (un recinto in pietra a secco con spalti e ricoveri in pietra a secco oggi non più in piedi). Altre testimonianze storiche militari, oltre alla stessa trada del Mortirolo sono rappresentate dalle altre strade e mulattiere realizzate in quel periodo (1916) e che hanno poi rappresentato poi un ottimo reticolo di accesso alle malghe. Tra le strade militari dell'epoca da segnalare - in quanto non oggetto di rifacimenti -  quella, perfettamente realizzata con i limitati mezzi del tempo, che  conduce  dalla Malga Varadega  sino al 'km 3' (sul tracciato vi sono ancora i cippi chilometrici) ovvero al limite del comune di Grosio in posizione di osservazione e controllo sulla Valtellina. Oltre alle strade resta come testimonianza della 'Linea Cadorna' il reticolo di trinceramenti (alcuni proprio a N della Malga Salina).

 

Un sistema 'indebolito'

 

La realtà delle malghe del comprensorio è tutt'altro che omogenea; resta, però, l'immagine di un sistema depotenziato che non ha saputo mettere a frutto alcuni asset che sarebbero invidiati in molte realtà di malga: la rete di accesso, le presenza turistiche legate alla strada del Mortirolo, la rete sentieristica, la presenza del Parco dello Stelvio (almeno per una parte del territorio). Anche pascoli estesi e con favorevole giacitura. Non si capisce perché, per esempio, la malga Varagega (foto in alto) presenti i pascoli nelle condizioni in cui si presentano attualmente (e che basta la foto, sufficientemente eloquente, a descrivere). Eppure Varadega è la prima malga che si incontra venendo dalla strada del Mortirolo. Un po' migliori le condizioni della seconda malga: Andrina (foto sotto in cui si intravede una lunga tettoia). Le condizioni dell'alpicoltura sono tali che sono state progressivamente ridotte le 'paghe' (unità di pascolo sufficiente per un bovino adulti) e i giorni di alpeggio. Meno 'carico' significa pascolo che arretra in un circolo vizioso che porta poi alla disattivazione.

 

 

Transitati da malga Salina (dove ci fermeremo al ritorno) ci fermiano dove termina la vecchia strada militare (km 35) e dove oggi una comoda strada asfaltata prosegue per ridiscendere a Vezza d'Oglio. Qui ci raggiunge il sindaco di Vezza, Fausto Bonavetti che,  con un mezzo a trazione integrale del comune, si presta a svolgere un servizio di 'navetta' per condurci alla Malga Val Bilghera. Lo sterrato, infatti, risulta troppo severo per le auto ''stradali' con le quali siamo giunti sin qui (per una volta tanto mi sono fatto trasportare invece di essere alla guida del mio piccolo fuoristrada).

 

 

La Malga Val Bilghera si trova già all'interno del Parco e sull'itinerario per il Monte Serottini (la cima più alta dell'area di quasi 3.000 m) e i famosi Laghi Seroti, una delle attrazioni principali della bella e profonda Val Grande, caratterizzata anche da ricchezza faunistica e floristica. I sentieri sono ben tenuti e la loro percorrenza consente anche avvistamenti di fauna selvatica. La malga possiede anche una buona dotazione di fabbricati di recente ristrutturati (foto sotto): un'ampia stallona (utilizzata per la mungitura), una casera con locali spaziosi e una costruzione per l'alloggio dei caricatori su due livelli. Parlando con il malgaro Giuseppe Orsatti, però, ci dice che la frequantazione escursionistica è andata calando negli anni. Uno dei motivi, secondo Giuseppe, è dato dal fatto che non si organizza più a primi di agosto la festa della malga che vedeva un notevole concorso di turisti e di residenti. Un fatto curioso se si pensa che feste e sagre, anche sulle malghe, dilagano. "Il passaggio è calato dell'80%; questa estate avrò venduto 5-6 formaggi a turisti".

 

 

E' abbastanza singolare anche che, per la commercializzazione del formaggio, la Malga Val Bilghera si affidi ad una vecchia forma di 'filiera corta': l'acquisto della 'caserata'. "Mi comprano il latte" dice Giuseppe:  "... alcuni vengono su e lo lavorano loro direttamente, altri lo fanno fare alla moglie". la moglie di Giuseppe è la casara. " Abbiamo clienti che vengono da vent'anni". Da una parte non posso che restare ammirato della perdurante vitalità di sistemi tradizionali che hanno resistito sino ad oggi e che in qualche modo si confondono con tendenze di consumo 'post-moderno'. Il famoso co-produttore eccolo qui. Non sa di esserlo e molto promabilmente non ha letto Petrini ma incarna il concetto di 'superamento della figura del consumatore' in modo più convincente che in tanti casi di studio esibiti. A Vezza d'Oglio le pratiche di produzione-consumo, di montagna vissuta non sono mai cessate. Una risorsa. D'altra parte non posso esimermi dal riflettere che la valorizzazione di questo latte non è con molta probabilità ottimale, in termini di prezzo di trasformazione si intende. Un problema comune (sarà il tema cruciale del prossimo racconto d'alpeggio).

 

 

Giuseppe ci riferisce anche un'altra circostanza che porterebbe a concludere che si sta facendo 'come i gamberi'. "Qualche anno fa tenevo anche le capre, facevo dei formaggini di pura capra di quasi mezzo chilo". Mentre noi 'esperti'  andiamo in giro a rintracciare e 'resuscitare'  le perdute tradizione di caseificazione di latte caprino, predichiamo la 'differenziazione produttiva' qui c'era già quello che oggi vorremmo 'vendere' come 'ricetta' per il rilancio dell'alpeggio. Non sarebbe più semplice impedire che certe tradizioni si perdano piuttosto che poi impiegare grandi sforzi per recuperarle? Mah.

Perché Giuseppe ha 'mollato' le capre? Sarà per l'impegno a gestirle, ma certo il Parco e gli ottusi regolamenti forestali non aiutano. Poi il CFS (guarda caso sul posto, vedi la Panda della foto sopra) deve applicarli. A qualcuno del nostro gruppo le guardie hanno confidato che a loro non piace 'bastonare' e che molte volte devono sanzionare i margari perché non sono informati. Le 'istituzioni' e le 'agenzie' preposte a supportarli latitano. Vero. Ma è anche vero che le normative sono una giungla e che, a dirla tutta, tante volte sono contrarie al senso comune, contradditorie tra loro e difficilmente interpretabili. Se per tagliare una pianta bisogna essere laureati in legge ....

 

 

Ma andiamo avanti. Grandi ristrutturazioni (per gli 'adeguamenti igienico-sanitari). Anche qui in queste malghe si sarà speso parecchio per sistemare la casera. I risultati, però, lasciano perplessi e inducono a riflessioni. C'è un grande locale con tanto di focolare, attrezzato con il braccio girevole che regge la caldaia, ma che - lo dice la signora Orsatti, la casara:  "viene utilizzato come ripostiglio". Perché? "C'è troppo fumo". Magari anche in passato il tiraggio non era ottimale ma la nuova sistemazione certo non ha migliorato le cose. Magari in passato il fumo poteva anche disperdersi dalla copertura (oggi c'è una soletta, perfettamente sigillata). In effetti il locale potrebbe servire da affumicatoio (la foto sopra non è annebbiata per motivi 'tecnici' ma per la presenza del fumo).

 

 

Per fortuna qualcosa di buono c'è: 'l'acqua esce a 6 gradi' sentenzia con orgoglio il Giuseppe.  Il locale per la sosta del latte e l'affioramento della panna è spazioso e l'acqua corrente fredda consente di immergere un gran numero di bacinelle. I materiali sono vari; si va dalla plastica al rame alla lamiera zincata (che non si dovrebbe usare e che non è il massimo in termini di ossidazione).

 

 

E' evidente che l'adeguamento alle norme igienico-sanitarie si è tradotto in un mare di piastrelle ma, essendo calato dall'alto, non ha poi comportato una coerenza di pratiche. La piastrella è stata imposta al di là del necessario per 'purificare' gli ambienti tradizionali. Ma ha avuto una prevalente funzione  culturale e simbolica (imposizione di un 'nuovo ordine' igienistico). Con la pericolosa implicazione che 'adesso è tutto a norma', che la piastrellatura di per sé garantisca pulizia ed igiene.

 

 

Nel bene e nel male i malgari sono ancora attaccati a pratiche e strumenti tradizionali che si armonizzano in modo problematico con le 'nuove' regole e le nuove strutture. Come si vede dalla foto sotto gli strumenti di lavoro del casaro sono 'ancestrali' (lo 'spino' realizzato con il fil de fer).

 

 

Uno degli aspetti paradossali (ma non tanto) di questa 'modernità' imposta dall'esterno, non interiorizzata, mal amalgamata con i sistemi tradizionali, è dato dall'uso del gas. Abbiamo visto che il focolare è inutilizzabile per il fumo e allora si usa ... la bombola. In un contesto di bosco e brughiera che avanzano non usare le 'biomasse' e l'energia rinnovabile' è quanto meno singolare.

 

 

Ma quello che lascia più perplessi degli 'adeguamenti' igienico sanitari così come realizzati nell'ambito della progettazione è che si pensa poco, pochissimo ai locali di maturazione e, soprattutto, al fatto che siano idonei alla funzione che dovrebbero assolvere: creare e garantire un ambiente microclimatico e microbiologico favorevole all'ottenimento di prodotti di qualità a 'identità' riconoscibile, specifica, in grado di valorizzare la materia prima, il pascolo, l'ambiente di montagna con tutte le sue particolarità. Le condizioni di locali totalmente piastrellati non possono essere parimenti idonee  per il prodotto in diverse fasi di maturazione (vedi foto sotto).

 

 

Lasciamo la Malga Val Bilghera con l'idea che, qui come altrove, la sintesi tra tradizione, modernità e psot-modernità è ancora tutta da raggiungere. Come simboli valgano la perlinatura (leggera) che 'abbellisce' (si fa per dire) la casa di abitazione (foto mancante, dimenticanza)  e il vecchio truogolo abbandonato in mezzo allo spazio antistante (foto sotto).

 

 

Ritorniamo alla Malga Salina. Si dovrebbe dire Salina bassa per distinguerla da quella altra (di cui rimangono solo ruderi). La casetta di abitazione è del tipo 'seriale' che si può osservare anche in altre malghe della zona (anche nella Malga Varadega se riguardate bene la prima foto in alto). Una costruzione su questo 'modello' l'avevo vista anche alla Malga Mola sopra Edolo (chissà dove ho archiviato la foto?). Mi aveva fatto un'impressione del tutto diversa, di fabbricato 'moderno', estraneo allo stile malghivo. Basta un po' di 'patina' degli anni (il legno esposto alle intemperie  fa miracoli di 'antichizzazione') e tutto cambia. Bella non è, e non ha nulla ha che fare con qualsivoglia tipologia tradizionale, però, nell'ambiente si inserisce (almeno quel tanto da non tirare un pugno allo stomaco).

 

 

Mi ha invece molto colpito il locale 'vendita' (meno male che è stata ormai archiviata anche nei contesti più periferici la voce 'spaccio' che - a parte la droga - evoca squallidi punti vendita industriali). L'ingresso è stato concepito con larghe vedute; ci sono persino delle vetrine che consentono al turista di scrutare dentro stando al riparo dalla pioggia. Le porte metalliche sono un po' invasive. Ma non sofistichiamo troppo.

 

 

Nella foto sotto vediamo come il locale 'vendita' (all'estrema destra) sia collocato razionalmente (alla testata del caseificio), e come il caseificio sia di ragguardevoli dimensioni. Quello che non va e che i margari, Caterina e Mario Boldini non mancano di farci subito osservare, è che il bel caseifcio (almeno in termini di 'scatola' edilizia) è troppo prossimo alla tettoia dove sosta la mandria. Per di più tra tettoia e caseificio c'è la fontana per l'abbeverata con le inevitabili perdite di acqua e formazione di una 'colata' di fango misto a sterco.

 

 

La tettoia è francamente brutta e la sua lunghezza 'impatta' pesantemente. Realizzata con un impasto di materiali si caratterizza per i sostegni costituiti da travi di ferro a doppio T. Una realizzazione attenta (si fa per dire) alle sole esigenze funzionali ma tale da compromettere la qualità estetica dell'intorno. Come altre realizzazioni simili è stata realizzata copiando dai manuali di edilizia agricola le soluzioni valide per le aziende di pianura che hanno l'esigenza di mettere al riparo macchine operatrici di gradi dimensioni e che richiedono quindi una notevole 'luce'. In montagna, però, sono le vacche che devono essere ricoverate, non le macchine, e un fabbricato aperto su un lato con la falda di copertura inclinata dalla parte opposta all'entrata non è il massimo in termini di protezione da pioggia battente e vento.  Fino all'epoca in cui la progettazione è stata affidata a professionisti (che, con poca o nulla esperienza di montagna si ispirano ai manuali), fino a quando vigevano i saperi locali contestualizzati le falde delle penzane erano inclinate verso l'apertura.

 

 

Caterina con piglio deciso si concentra sulle 'magagne' del caseificio. Lo fa a buon diritto perché, come ella stessa tiene a precisare "Io sono 50 anni che lavoro nelle malghe; le ho fatte passare tutte" (per il resto è vispa e giovanile, non solo nell'abbigliamento 'tipico' da 'casara di malga alla moda'). Qui alla Salina la coppia viene da 9 stagioni.  Mario sostiene che  'lavorava il latte' meglio il vecchio locale ormai semi-diroccato "quello nuovo lavora di meno" (belle queste espressioni: locali che 'lavorano' il latte, montagne da 'mangiare'). Ma lo conferma anche Caterina che ci fa vedere l'unica apertura prevista dal progetto per il locale affioramento (foto sotto).

 

 

Per poter migliorare la circolazione dell'aria i Boldini hanno insistito che venisse aperta una piccola apertura in comunicazione con il locale adiacente.

 

 

Caterina poi si lamenta per il lavello utilizzato per lavare i secchi.  "Non è del materiale giusto". Non è neanche tanto alto e profondo. Di solito si usano capaci vasche in acciaio inox. Di certo più adatte a ricevere urti. Ma a volte per lavare i secchi e i bidoni ci sono progettisti che hanno fatto anche di peggio, ovvero hanno collocato un piccolo ... lavandino da bagnetto di casa (neanche quello principale). Ovviamente poi il margaro i secchi se li deve lavare all'aperto.

 

 

Più sostanziali le osservazioni sul focolare. Anche qui si usa il gas. Una caldaia 'incamiciata' con l'alimentazione al legna con carrello sarebbe stata molto meglio sostiene Caterina. E ha ragione. Dice anche che l'altezza del sostegno della caldaia era del tutto sbagliata e che nella sistemazione originaria non era stato previsto che le caldaie .... possono avere dimensioni e quindi altezze diverse.

 

 

Sotto vediamo in che condizioni è il locale dove sono depositati i formaggi in fase di maturazione. Nella foto si osservano solo pochi formaggi freschi o semi-freschi ma in una foto di qualche settimana prima, inviata da Francesco Ponteri, si potevano vedere formaggi con la crosta scura accando a formaggi appena fuori fascera (Ponteri è il  presidente della Valtemo, l'associazione nata per iniziativa di studenti ed ex-studenti della sede di Edolo di Unimi che ora sta stimolando il coinvolgimento dei docenti in questo progetto di rilancio delle malghe).

 

 

A parte il materiale eterogeneo a supporto delle assi imbarcate (pallets, cassette di plastica della frutta, bidoni di plastica) non si può non osservare il pavimento allagato. "C'è troppa poca umidità". Se non si bagna le croste dei formaggi spaccano. La piastrellatura al soffitto e le mattonelle non aiutano certo a creare un ambiente adatto alla stagionatura. E' vero che qui, come alla Malga Val Bilghera, va molto il prodotto fresco (che poi la gente del posto provvede a stagionare nelle proprie cantine private) ma, come si vede, si tratta di formaggi di una certa pezzatura che, se non venduti a qualcuno che sa come e dove tenerli, sono di difficile vendita se 'giovani'. La mancanza di locali ideonei di stagionatura  non favorisce la valorizzazione commerciale di questi prodotti. Si dice che la gente chiede il 'fresco'. Però le forme ben stagionate un mercato di intenditori ce l'hanno. A Ponte di Legno (siamo distanti pochi chilomentri) l'amico Andrea Bezzi, giovane ed intraprendente casaro dell'alpeggio Case di Viso ha iniziato da qualche hanno a percorerrere la strada delle lunghe stagionature. Nella cantina in paese nelle scansie ha parecchie forme anche di tre e più anni che tiene in posizione verticale (come nelle cantine del Bitto). E le richieste ci sono. Un formaggio così da prestigio anche perché chi se ne intende sa che solo formaggi perfetti reggono simili stagionature 'da vino'. C'è poi un grande vantaggio nella produzione di un formaggio d'alpeggio che riesce ad arrivare all'anno di stagionatura: poterlo venderlo in alpe l'anno successivo. Così si ha qualcosa da vendere oltre alle formaggelle fresche e al formaggio invernale. Di fronte ad una gamma di formaggi d'alpeggio freschi e dell'annata precedente anche l'invernale prodotto nell' 'intermezzo' ci può stare bene (sempre che non venga spacciato per quallo che non è).

 

 

Mario (foto sopra) ci tiene molto a farmi visitare i vecchi fabbricati. Si rammarica non solo che il locale di affioramento 'lavori meno' ma anche che non ci sia più un silter (cantina) alla moda vecchia. Nel vecchio rudere ci sono ancora le scalere (foto sotto). Secondo Mario un pavimento selciato è molto più ideoneo "... hanno messo quelle mattonelle ... bisogna tornare indietro".

 

 

I vecchi fabbricati ora inutilizzati erano realizzati sfruttando il profilo del versante in modo da massimizzare la protezione dai venti e dai movimenti delle masse nevose. Allineati uno con l'altro vi erano stalle, porcilaia, locale per l'affioramento della panna, locale per la lavorazione del latte, silter, tettoia per il ricovero della mandria, alloggi per il personale.

 

 

Mario ci informa che la ristrutturazione di questi fabbricati risale al 1951. E' allora che deve essere stata realizzata la soletta in calcestruzzo.

 

 

Nonostante nel complesso i fabbricati 'tengano' vi sono alcuni crolli e ad ogni idea di riutilizzo andrebbe premesso il consolidamento statico e la messa in sicurezza.

Mario mi fa rilevare anche la localizzazione sbagliata della tettoia. Prima abbiamo sottolineato come è collocata troppo a ridosso del caseificio (e alla vendita). Il malgaro ci tiene a far rilevare però come sia anche una questione di dislocazione rispetto ai pascoli. Si è sottratto spazio al pascolo è si è creata una condizione per la quale i nutrienti presenti nelle deiezioni  vengono solo in parte recuperati e utilizzati per la concimazione del pascolo, mentre in misura significativa si disperdono e sono dilavati dall'acqua.

 

 

Rientrati a Edolo ci incontriamo con i rappresentanti dei comuni (compreso Luigi Giancarlo Marchioni, che, oltre che sindaco di Incudine, è anche il presidente dell'Unione dei comuni dell'Alta Valle Camonica). L'idea di un progetto che valorizzi una delle malghe quale 'malga modello' ma che coinvolga anche le altre in un piano strategico 'di comprensorio' che ne valorizzi la complementarietà e presupponga dei servizi comuni è largamente condivisa. I rappresentanti dei tre comuni e dell'Unione manifestano un forte interesse per il 'progetto malghe' e una rara sintonia tra loro. Le malghe visitate presentano, come visto, degli elementi di debolezza; gli interventi pregressi non sono sempre stati coordinati e finalizzati ad un disegno complessivo (non solo comprensoriale, ma anche relativo alla stessa malga).

Alcuni aspetti gestionali presentano larghi margini di miglioramento. Nell'insieme, però, le risorse in campo sono notevoli e non sempre facilmente rinvenibili nell'ambito comprensorio malghivo. Si tratta di ricomporre i tasselli di un puzzle con alcune tessere mancanti o difettose rafforzando i punti deboli. In una visione comprensoriale poi si può pensare a strutture comuni al servizio dell'insieme delle malghe (informazione per i turisti presso l'ex caserma, forse anche casera di stagionatura e punto vendita).

 

Se le amministrazioni ci credono e se i malgari e, soprattutto le loro nuove leve, saranno coinvolte in modo attivo e propositivo (non come nel caso degli 'adeguamenti igienici') allora il progetto potrà avere gambe per camminare. Senza dimenticare che ci sono delle sfide da affrontare e da vincere come quella di convincere i giovani che il futuro è su in malga, nella qualità, nel rapporto con i consumatori/co-produttori (vecchi e nuovi), nelle razze a duplice attitudine di montagna  e non negli stalloni con le vacche spinte. Perché se il futuro delle malghe non è necessariamente roseo e scontato quello degli stalloni, brutte copie in miniatura delle fabbriche del latte padane, lo è ancora di meno.

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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