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(18.06.10) Una costosa campagna promozionale del Ministero dell'ambiente
invita ad andare a vedere l'orso nelle 'oasi', riserve
e parchi nazionali. Ne prendiamo spunto per riprendere
alcune riflessioni sul tema 'caldo' di orsi e lupi
"E'
un business alle nostre spalle" dicono i pastori
Da
Roma arriva un irresponsabile sostegno ministeriale
alla demagogia che fa credere che il turista può avvistare
gli orsi (e che cerca di controbilanciare i danni reali
alla pastorizia e alla zootecnia cercando di accreditare presunti
benefici turistici)
testo
e foto di
Michele Corti
Quando l'orso era solo quello Marsicano del Parco Nazionale dell'Abruzzo la campagna avrebbe avuto un ben diverso effetto. Ma ora
gli orsi sono quelli sloveni ben più grandi e aggressivi
di quello appenninico. E sono un problema dalla Lombardia
al Friuli. Parliamo della campagna pubblicitaria' lanciata
dal Ministero dell'Ambiente romano che invita a visitare oasi, riserve e Parchi nazionali.
Una campagna demagogica perché non si può far credere
ad uno sprovveduto cittadino che venendo nei 'Parchi'
si vede l'orso.
Visitate
oasi (WWF), riserve, parchi nazionali italiani suggerisce
la campagna (Foto M.
Corti)
Via
Leoncavallo a Milano: l'orso entra nell'universo della
comunicazione consumistica (Foto M.
Corti)
Quando
ambientalismo fa rima con centralismo e controllo ambiental-poliziesco
del territorio
Intanto notiamo che nella campagna vi sono le oasi
e non i Parchi regionali (di competenza regionale).
Una presenza e un'assenza comunque sintomatiche. Le
oasi sono 'istituti' del WWF un'associazione privata,
ma molto, molto 'vicino' alla burocrazia centralista
del Ministero dell'Ambiente, alle Direzioni Generali,
alla Polizia dell'ambiente: il CFS erede della Milizia
Nazionale Forestale. Più vicina al cuore dell'apparato
centralista delle 'nemiche' regioni di sicuro.
Così si ripagano gli ambientalisti del WWF (con Legambiente
le cose sono un po' diverse) per il loro antifederalismo. Notare che nell'alternanza dei governi di sinista e di
destra non cambia nulla a livello di questi equilibri
politici che restano sotto la superficie ma influiscono
di più di quelli del teatrino della politica rappresentato
sui media.
Il
'padrone' è diventato 'democratico' e persino 'compagno'
Chi si meraviglia del connubio tra WWF e le componenti più
autoritarie della burocrazia romana, però, non ha capito
nulla. La 'vernice' di 'sinistra progressista' è di
comodo, come per tante altre organizzazioni, lobby,
centri di potere.
La partecipazione del WWF alle marce contro i missili
della NATO (non certo contro quelli sovietici,
in omaggio al 'pacifismo') è stato un prezzo da pagare
alle convenzioni del potere. Un prezzo del resto pagato
anche dalla Fiat, dalla Confindustria e
dai banchieri. Vernice politico-culturale liberal nel resto dell'occidente, rossa di varie sfumature in Italia.
Ma ci vuole poco a capire che l'ideologia dei Parchi ('santuari della natura' o ASL del verde a seconda dei
punti di vista) è tutto fuorché democratica. Si dice
che i verdi sono come le angurie: verdi fuori e rossi
dentro. In realtà sotto la 'pelle' verde e la polpa
rossa c'è un nocciolone nero.
La 'tradizione' di difesa della foresta e della 'natura' risale
al medioevo. I 'forestali' e i 'guardiacaccia' - gli
'operatori ambientali' dell'epoca - sono nati
come sgherri dei signorotti. Ma già allora si ricorreva
ad argomenti 'naturalistici' (beninteso solo di
'rinforzo' a quelli decisivi della frusta
e della corda d'impiccagione, a carico dei contadini
e servi). I contadini ('bruti') lasciati fare e lasciati
in possesso di armi avrebbero sterminato la fauna (ovviamente
il divieto per i sottomessi campagnoli di tenere armi
rappresentava anche una 'assicurazione sulla vita' per
i signorotti). Nulla di nuovo sotto il sole. Anche se,
da sempre, il potere fa finta di essere diverso.
I
'parchi' sono gli eredi delle riserve signorili, dei
contadini europei impiccati dai 'forestali' e del
genocidio delle popolazioni amerinde negli Usa
Ci vuole poco a capire che i Parchi
sono gli eredi delle riserve signorili, uno strumento
per affermare un potere di controllo sul territorio
da parte dei poteri 'esterni'. Il Parco del Gran Paradiso era la riserva di caccia (o meglio
sterminio) dei Savoia, il Parco dell'Abruzzo è stato voluto dagli stessi Savoia
e quello dell'Adamello Brenta (che avrebbe dovuto nascere insieme
all'Abruzzo ma ha atteso 60 anni) era proposto dalla
famiglia patrizia milanese dei Gallarati Scotti come 'Parco dell'orso'. Quanto al connubbio tra 'forestalismo'
e ideologie autoritarie, anche senza andare indietro
nei secoli, basti pensare con quanto impegno il regime
fascista sosteneva la Milizia Nazionale Forestale, la giornata dell'albero e simili
iniziative che vedevano protagonista Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Quanto alla 'paterna sollecitudine'
dei verdi per i 'poveri operai urbani' che avrebbero
bisogno di 'ricrearsi' nei Parchi e ai quali gli 'egoisti'
montanari, pastori e contadinio vorrebero negare questo
diritto ricorda molto da vicino il dopolavorismo fascista
e le analoghe istituzioni comuniste. In realtà i verdi
non pensano agli 'operai' ma a quella middle class
dove pescano i loro consensi e che già intercetta una
parte proporzionalmente elevata della spesa pubblica
'sociale' e 'culturale' (alla faccia dei poveri e di
chi ha veramente bisogno).
Chi
è 'democratico' e chi fascista?
E qualcosa è sopravvissuto se
è vero che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 gruppi di estrema destra
legati al principe romano Junio Valerio Borghese, tentarono un colpo di stato con l’appoggio di una colonna armata del
Corpo Forestale dello Stato. Del resto l'ideologia
dei Parchi e della wilderness nasce negli Usa gabellando
per 'natura incontaminata' territori già largamente
interessati alle attività antropiche dei nativi amerindi
(che subirono una deportazione non propriamente 'democratica').
In Francia una diversa vicenda storica ha in qualche
modo reso il contadino meno subalterno al potere urbano.
In Italia la città è riuscita a inculcare nel contadino
il disprezzo di sè stesso e quindi si 'autocensura'
e si 'autocastra'. Laddove, come appunto in Francia,
ma anche in paesi germanici il contadino è più consapevole
della propria identità e del proprio interesse, invece,
la musica cambia. La Confédération paysanne in Francia non ha alcun complesso
'italiano' di sudditanza alle ideologie urbane. Pur
essendo di estrema sinistra giustifica il bracconaggio
contro il lupo con la 'resistenza sociale' e parla di
eco-fascismo a proposito dell'imposizione della
presenza di lupi e orsi da parte delle tecnoburocrazie
'verdi'.
"E'
un business alle nostre spalle"
Orsi e lupi rappresentano strumenti ideali per conseguire diversi obiettivi
politici: rendere la montagna meno vivibile e favorire
la desertificazione umana, aumentare il controllo sul
territorio in nome del controllo del bracconaggio, del
monitoraggio ecc., intervenire sulla gestione delle
attività tradizionali (pascola qui e non la, pascola
così e non cosà).
E' il ritorno del medioevo con il recupero del terreno perduto da parte
dei signori feudali a vantagggio delle comunità. Un
salto di qualità ulteriore dopo l'intrusione dei poteri
statali e delle burocrazie nella regolazione della vita
dei montanari. Il consenso dell'opinione pubblica urbana
è un utile supporto a queste lucide strategie dei centri
di potere. Ed ecco il senso di una campagna diseducativa
che chiunque ha a cuore una educazione ambientale che
non sia solo ideologia dovrebbe rifiutare.
Una campagna che da fiato a quelle componenti subalterne e miopi all'interno
delle comunità di montagna che vorrebbero cavalcare
il 'business' dell'orso sperando, (che accattoni!),
di vendere qualche chilo di formaggio, di miele, di
'salsa dell'orso' in più o di avere qualche ospite in
più in albergo. Facendo finta di ignorare che, consentendo
di danneggiare ulteriormente le attività tardizionali
pastorali e di zootecnia estensiva cui si deve la manutenzione
del paesaggio e la produzione delle eccellenze gastronomiche,
il turismo montano taglia il ramo dove è seduto. Miopia,
egoismo e ignoranza. Chi ci vede bene sono i pastori.
Lo scorso anno quando l'orso JJ5 imperversava nella
bergamasca l'amico Tino Ziliani, presidente dell'associazione
pastori lombardi sentenziava: 'E' un business alle nostre
spalle'. Io ho speso qualche parola di più per farlo
capire ma il succo è proprio questo.
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